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Quale tutela dei figli minori nel MAE? (Cass. 15143/22)

19 aprile 2022, Cassazione penale

La consegna di madre con prole convivente potrebbe violare i diritti fondamentali della persona se disposta senza una previa verifica da parte dell'ordinamento dello Stato richiedente che escludano che l'interessata possa essere sottoposta a condizioni incompatibili con la tutela della condizione di madre, a salvaguardia degli interessi del minore.

Qualora l'ordinamento dell'autorità giudiziaria richiedente non contempli forme di tutela del diritto dei figli a non essere privati del ruolo della madre, secondo modalità comparabili a quelle previste dall'ordinamento interno, si determinerebbe, infatti, una lesione di diritti fondamentali, previsti sia dalla Costituzione che dalla CEDU, il che imporrebbe il rifiuto della consegna ai sensi della L. n. 69 del 2005, art. 2, come riformulato dal D.Lgs. n. 10 del 2021, art. 2, comma 1, che scansie che "l'esecuzione del mandato di arresto Europeo non può, in alcun caso, comportare una violazione dei principi supremi dell'ordine costituzionale dello Stato o dei diritti inalienabili della persona riconosciuti dalla Costituzione, dei diritti fondamentali e dei fondamentali principi giuridici sanciti dall'art. 6 del trattato sull'Unione Europea o dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva dalla L. 4 agosto 1955, n. 848, e dai Protocolli addizionali alla stessa".

Lo  standard comune definito a livello Europeo di tutela dei diritti fondamentali nell'applicazione della L. n. 69 del 2005, art. 2 impone preliminarmente l'interpretazione del diritto dell'Unione Europea.

Nello spirito di leale cooperazione tra corti nazionali ed Europee nella definizione di livelli comuni di tutela dei diritti fondamentali - obiettivo questo di primaria importanza in materie oggetto di armonizzazione normativa (Corte Cost., ord., n. 117 del 2019), come quella di cui si controverte -, è, dunque, necessario stabilire, mediante proposizione di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, se la consegna, in esecuzione di un mandato di arresto Europeo, di una madre di figlio minorenne con lei convivente sia conforme o meno ai diritti fondamentali garantiti dal diritto Europeo, e in particolare dalla CDFUE, interpretata in armonia con le tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, richiamate anche dall'art. 52, paragrafo 4, della stessa CDFUE come fonti rilevanti.

9. Posto che il diritto alla vita privata e familiare, la protezione dell'infanzia e il diritto del minore a scelte operate nel suo best interest trovano pari riconoscimento nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea così come nella Costituzione italiana, si è, invero, al cospetto di un caso di c.d. doppia pregiudizialità, che richiede al giudice italiano un'attenta valutazione circa l'opzione tra rinvio pregiudiziale e scrutinio di costituzionalità alla luce della più recente giurisprudenza della Corte costituzionale (C. Cost., sent. n. 20 del 2019; sent. n. 63 del 2019; sent. n. 269 del 2017; ord. n. 117 del 2019).

9.1. Il Collegio ritiene, tuttavia, nel caso di specie di optare per la pregiudiziale sovranazionale, anche indipendentemente dall'obbligo del giudice di ultima istanza di sollevare questione innanzi alla Corte di giustizia ai sensi dell'art. 267, comma 3 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (da ultimo: Corte giustizia, 6/10/2021, in causa C-561/19, Consorzio Italian Management e Catania Multisevizi), proprio in ragione della necessità prioritaria di chiarire lo standard di tutela comune offerto sul punto dal diritto dell'Unione.

L'interpretazione della Corte di giustizia, peraltro, proprio nel silenzio della L. n. 69 del 2005 sulla disciplina della consegna delle madri di prole minorenne convivente, potrebbe risultare idonea a tutelare i diritti fondamentali in gioco senza necessità di procedere ad alcuna dichiarazione di incostituzionalità di disposizioni della legge di attuazione.

9.2. Il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia si rende necessario, peraltro, anche per pervenire a una interpretazione uniforme del diritto dell'Unione sul punto.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Sez. VI, Ord., (ud. 14/01/2022) 19-04-2022, n. 15143

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente -

Dott. COSTANTINI Antonio - Consigliere -

Dott. ROSATI Martino - Consigliere -

Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere -

Dott. D'ARCANGELO Fabrizio - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sui ricorsi proposti da:

1. Procuratore generale presso la Corte di appello di Bologna;

2. Y.F., nata in (OMISSIS);

avverso la sentenza del 15 ottobre 2021 emessa dalla Corte di appello di Bologna;

visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi;

udita la relazione svolta dal consigliere Fabrizio D'Arcangelo;

udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Angelillis Ciro, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità di entrambi i ricorsi;

udite le conclusioni del difensore, RG, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso e, in subordine, che venga sollevata questione di legittimità costituzionale.

Svolgimento del processo

1. L'autorità giudiziaria belga ha emesso in data 26 giugno 2020 un mandato d'arresto Europeo nei confronti della cittadina nigeriana Y.F. per l'esecuzione della pena di cinque anni di reclusione inflitta dal Tribunale di Anversa con la sentenza n. 2268 del 2020 per i reati di tratta di essere umani e di agevolazione dell'immigrazione clandestina, commessi tra il (OMISSIS).

1.1. La persona richiesta in consegna all'atto dell'arresto, avvenuto in (OMISSIS) era con il figlio minorenne Y.G.S., nato a (OMISSIS), e con lei convivente, che è stato affidato ai servizi sociali.

Nel corso dell'interrogatorio reso all'udienza del 3 settembre 2021 la Y. non ha acconsentito alla sua consegna all'autorità giudiziaria belga e il Consigliere delegato ha convalidato l'arresto, disponendo la custodia cautelare in carcere, di seguito sostituita, con ordinanza del 5 ottobre 2021, con gli arresti domiciliari.

1.2. All'udienza del 17 settembre 2021, sentite le richieste delle parti, la Corte di appello di Bologna ha disposto l'acquisizione presso l'autorità giudiziaria richiedente di informazioni relative alle modalità di esecuzione della pena per le madri conviventi con figli minorenni nell'ordinamento belga, al trattamento carcerario al quale la Y. sarebbe stata sottoposta e alle misure che sarebbero state adottate nei confronti del minore, nonchè sulla possibilità di rinnovazione del giudizio conclusosi con la pronuncia di una condanna in absentia.

Con nota del 5 ottobre 2021, l'Ufficio del Procuratore del Re di Anversa ha comunicato alla Corte di appello di Bologna che le risposte ai quesiti formulati erano di competenza del Servizio Pubblico Federale per la giustizia.

1.3. Con sentenza emessa in data 15 ottobre 2021 la Corte di appello di Bologna ha rifiutato la consegna all'autorità giudiziaria del Belgio di Y.F. e ha revocato la misura cautelare applicata, disponendo l'immediata rimessione in libertà della persona richiesta in consegna.

La Corte di appello ha rilevato che, in mancanza di risposta dell'autorità giudiziaria belga, non vi sarebbe la certezza che nell'ordinamento dello Stato richiedente siano riconosciute modalità di detenzione assimilabili a quelle dello Stato italiano e, segnatamente, che tutelino il diritto della madre a non essere privata del rapporto con i figli e al loro accudimento e che assicurino ai figli la necessaria assistenza materna e familiare costituzionalmente garantita in conformità alle previsioni degli artt. 3 e 31 Cost., dall'art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo e dell'art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea.

2. Avverso tale sentenza hanno presentato ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Bologna e la persona richiesta in consegna.

3. Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Bologna, con unico motivo, ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata, censurando l'erronea applicazione della L. n. 69 del 2006, artt. 16 e 18 e l'illogicità della motivazione.

Deduce il Procuratore generale ricorrente che la Corte di appello di Bologna avrebbe dovuto quanto meno riproporre la richiesta di informazioni integrative all'autorità correttamente individuata e che non vi sarebbe motivo di dubitare che lo Stato richiedente non riconosca modalità di detenzione assimilabili a quelle garantite dallo Stato italiano.

4. L'avvocato RG, difensore della Y., ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata, deducendo tre motivi.

Premette il difensore che la ricorrente ha interesse a ricorrere, pur avendo la Corte di Appello negato la sua consegna, in quanto la Corte di appello di Bologna aveva fondato il rigetto della richiesta di consegna su motivi estranei al merito della stessa e, dunque, la sentenza impugnata non precluderebbe definitivamente l'esecuzione della consegna richiesta.

Il rifiuto alla consegna avrebbe, invece, dovuto essere pronunciato per ragioni di merito, in quanto l'esecuzione del mandato di arresto Europeo, già allo stato degli atti e prescindendo dagli esiti dell'integrazione probatoria, sarebbe lesiva delle garanzie costituzionali e dei diritti fondamentali garantiti dalle convenzioni sovranazionali.

4.1. Con il primo motivo il difensore censura l'erronea applicazione della L. n. 69 del 2005, artt. 2 e 17 e deduce che la Corte di appello di Bologna avrebbe dovuto rifiutare la richiesta di consegna, in quanto la ricorrente era stata condannata all'esito di un processo contumaciale di cui non aveva avuto notizia e che era stato celebrato in assenza di difensore e in lingua neerlandese a lei ignota.

4.2. Con il secondo motivo il difensore lamenta la violazione della L. n. 69 del 2005, art. 2, in quanto, essendo la ricorrente in stato di gravidanza, come risulta dalla documentazione medica acquisita successivamente alla sentenza impugnata, e madredi un bambino di poco più di due anni, l'esecuzione della consegna avrebbe determinato la lesione del diritto alla salute della madre e dell'interesse superiore del minore a non veder reciso il proprio rapporto con la madre.

Il difensore rileva che, pur essendo stato abrogato lo specifico motivo di rifiuto della consegna previsto dall'art. 18, lett. s) della formulazione originaria della L. n. 69 del 2005 per le donne incinta o madri con prole inferiore ai tre anni, la consegna dovrebbe essere esclusa in ragione della clausola generale di cui al novellato L. n. 69 del 2005, art. 2 al fine di evitare la lesione dei diritti fondamentali all'infanzia e alla maternità.

4.3. Con il terzo motivo il difensore rileva che, qualora la Corte di cassazione ritenesse di non aderire all'interpretazione che consente di rifiutare la consegna di donna incinta o di madre con prole convivente ai sensi della L. n. 69 del 2005, art. 2, dovrebbe sollevare questione di legittimità costituzionale della L. n. 69 del 2005, art. 18, nella parte in cui irragionevolmente non prevede quale causa obbligatoria di rifiuto della consegna l'essere donna incinta ovvero madre di figlio di età inferiore ai tre anni per contrasto con gli artt. 2, 31, 3 e 111 Cost. e con l'art. 10 Cost., in relazione agli artt. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e all'art. 17 della Carta sociale Europea.

5. All'esito della camera di consiglio del 16 dicembre 2021 il Collegio, dopo aver sentito le parti, ha differito la deliberazione, ai sensi dell'art. 615 c.p.p., alla camera di consiglio del 14 gennaio 2022.

Motivi della decisione

1. La Corte di appello di Bologna, nella sentenza impugnata, ha rifiutato la consegna all'autorità giudiziaria belga di Y.F., in quanto madre di un bambino di età inferiore a tre anni, convivente solo con lei al momento dell'arresto.

Secondo la Corte di appello, in materia di mandato di arresto Europeo, ai fini della consegna di madre di prole di età non superiore a sei anni è necessario che l'ordinamento dello Stato richiedente riconosca modalità di detenzione assimilabili a quelle garantite dall'ordinamento italiano e che assicurino ai figli la necessaria assistenza materna e familiare garantita dagli artt. 3 e 31 Cost., dall'art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo e dell'art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea.

2. Ritiene la Corte che la decisione dei ricorsi proposti avverso questa sentenza imponga, in via pregiudiziale, di sollecitare un chiarimento da parte della Corte di giustizia dell'Unione Europea sull'esatta interpretazione, ed eventualmente sulla validità, della disciplina delineata dalla Decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto Europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, per la consegna di madre di prole minorenne con lei convivente.

3. La disciplina italiana di attuazione, la L. 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto Europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), nella formulazione originaria, prevedeva, all'art. 18, venti motivi di "rifiuto della consegna" obbligatori.

La L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. s), in particolare, prevedeva che "La corte di appello rifiuta la consegna (...) se la persona richiesta in consegna è una donna incinta o madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente, salvo che trattandosi di mandato d'arresto Europeo emesso nel corso di un procedimento, le esigenze cautelari poste a base del provvedimento restrittivo dell'autorità giudiziaria emittente risultino di eccezionale gravità".

Con questa previsione, che non trovava corrispondenza nella decisione quadro, il legislatore italiano aveva trasposto nella disciplina di recepimento del mandato di arresto Europeo il precetto dell'art. 275 c.p.p., comma 4, che nell'ordinamento interno sancisce il divieto per il giudice di disporre la custodia cautelare in carcere, se non a fronte di esigenze cautelari eccezionali, nei confronti dell'imputata che sia madre di prole di età non superiore a tre anni (il limite di tre anni è di seguito stato elevato a sei anni dalla L. 21 aprile 2011, n. 62, art. 1, comma 1).

La giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto che il motivo di rifiuto previsto dalla L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. s) si applicasse sia ai casi di mandato di arresto c.d. esecutivo, che ai casi di c.d. mandato di arresto processuale (Sez. F, n. 35286 del 02/09/2008, Zvenca, Rv. 241002 - 01), come era dimostrato dall'operatività della deroga in essa prevista quando il mandato di arresto Europeo fosse stato emesso "nel corso di un procedimento" (e, dunque, prima dell'esercizio dell'azione penale).

La giurisprudenza di legittimità ha, inoltre, affermato, in numerose pronunce, che il divieto di consegna previsto dalla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18, lett. p), pur espressamente sancito in materia di mandato di arresto Europeo, in quanto espressione di un principio generale e, segnatamente, della primaria esigenza di tutela dell'interesse dei minori, dovesse trovare applicazione anche in materia estradizionale; l'esecuzione dell'estradizione nei confronti della madre con prole minorenne convivente era, dunque, ammessa solo previa verifica che lo specifico trattamento penitenziario cui sarebbe sottoposta l'estradanda consentisse la salvaguardia dell'integrità psicofisica del minore (ex plurimis: Sez. 6, n. 1677 del 11/12/2019, dep. 2020, Kurti, Rv. 278216 - 01; Sez. 6, n. 19148 del 10/03/2009, Crudu, Rv. 243318 - 01; Sez. 6, n. 12498 del 04/12/2007, dep. 2008, Kochanska, Rv. 239145 - 01).

3.1. La L. 4 ottobre 2019, n. 117 (Delega al Governo per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della decisione quadro 2002/584/GAI, relativa al mandato d'arresto Europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, e disposizioni in materia di mandato di arresto Europeo e procedure di consegna tra Stati) ha modificato il testo della L. n. 69 del 2005, al fine di adeguarla più compiutamente alla decisione quadro.

Diffuse criticità della legge italiana di attuazione erano, infatti, emerse nella Relazione di valutazione del gruppo di esperti del Consiglio dell'Unione Europea sul quarto ciclo di valutazioni reciproche concernente "l'applicazione pratica del mandato di arresto Europeo e delle corrispondenti procedure di consegna tra Stati membri", pubblicata in data 23 febbraio 2009, nonchè nella più recente Relazione della Commissione sull'attuazione della decisione quadro sul mandato d'arresto Europeo, trasmessa in data 2 luglio 2020 al Parlamento Europeo e al Consiglio, che si concludeva prospettando l'eventualità di una procedura di infrazione.

Uno dei punti maggiormente critici era costituito proprio dall'introduzione, da parte del legislatore italiano, di motivi di rifiuto ulteriori e del tutto nuovi rispetto a quelli previsti dalla decisione quadro.

La L. n. 117 del 2019 ha, dunque, introdotto la distinzione tra motivi di rifiuto obbligatori e facoltativi, elencati rispettivamente all'art. 18 ed al nuovo art. 18-bis, e ha conferito una delega al Governo per apportare "le opportune modifiche" a questi articoli, in vista del loro compiuto allineamento alla decisione quadro.

In questo contesto la L. n. 117 del 2019, art. 6, comma 5, lett. a) ha ridotto a diciassette i motivi di rifiuto obbligatori enunciati dall'art. 18, mantenendo, tuttavia, in ordine alla consegna di donna incinta o di madre, la medesima formulazione previgente, trasposta però alla lett. p).

3.2. Il D.Lgs. 2 febbraio 2021, n. 10 (Disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della decisione quadro 2002/584/GAI, relativa al mandato d'arresto Europeo e alle procedure di consegna tra stati membri, in attuazione delle delega di cui alla L. 4 ottobre 2019, n. 117, art. 6) ha operato una generalizzata soppressione di tutte le disposizioni interne che erano difformi dalla disciplina Europea.

Il D.Lgs., in particolare, ha abrogato i motivi di non esecuzione del mandato di arresto Europeo non previsti, come "obbligatori", dalla decisione quadro o che, pur previsti dalla decisione quadro, nella legge di attuazione italiana assumevano un'estensione maggiore di quella delineata dal diritto dell'Unione.

Il D.Lgs. n. 10 del 2021, art. 14 ha, dunque, sostituito integralmente il testo della L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18, relativo ai "motivi di rifiuto obbligatorio della consegna", prevedendo che "la corte di appello rifiuta la consegna nei seguenti casi:

a) se il reato contestato nel mandato d'arresto Europeo è estinto per amnistia ai sensi della legge italiana, quando vi è la giurisdizione dello Stato italiano sul fatto;

b) se risulta che nei confronti della persona ricercata, per gli stessi fatti, sono stati emessi, in Italia, sentenza o decreto penale irrevocabili o sentenza di non luogo a procedere non più soggetta a impugnazione o, in altro Stato membro dell'Unione Europea, sentenza definitiva, purchè, in caso di condanna, la pena sia stata già eseguita ovvero sia in corso di esecuzione, ovvero non possa più essere eseguita in forza delle leggi dello Stato che ha emesso la condanna;

c) se la persona oggetto del mandato d'arresto Europeo era minore di anni 14 al momento della commissione del reato".

Allo stato attuale, dunque, la disciplina italiana di attuazione del mandato di arresto Europeo non contempla più la causa di rifiuto relativa alla consegna di madre incinta o con prole di età inferiore a tre anni.

3.3. Il D.Lgs. n. 10 del 2021 è entrato in vigore il 20 febbraio 2021 e, in ossequio al principio tempus regit actum, le sue disposizioni sostituiscono le precedenti e si applicano ai mandati di arresto emessi a partire da tale data.

Il D.Lgs. n. 10 del 2021, art. 28, con riferimento ai mandati di arresto Europeo pendenti a tale data, ha previsto, inoltre, che: "i procedimenti relativi alle richieste di esecuzione di mandati di arresto Europeo in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto proseguono con l'applicazione delle norme anteriormente vigenti quando a tale data la corte d'appello abbia già ricevuto il mandato d'arresto Europeo o la persona richiesta in consegna sia stata già arrestata".

Nel caso di specie, dunque, la richiesta di consegna della ricorrente è assoggettata alla disciplina dettata dal D.Lgs. n. 10 del 2021, in quanto, pur essendo stato emesso in data 26 giugno 2020 dal Tribunale di Anversa il mandato di arresto Europeo, l'arresto della persona richiesta in consegna è avvenuto a (OMISSIS).

4. Nell'attuale assetto della disciplina di attuazione sul mandato di arresto Europeo, dunque, la consegna di donna incinta o madre di prole minorenne convivente non può essere rifiutata, in quanto questa ipotesi non rientra in alcuno dei motivi di rifiuto tassativamente previsti dal legislatore.

5. Secondo due pronunce di questa Corte, richiamate nella sentenza della Corte di appello di Bologna, tuttavia, l'intervenuta abrogazione del motivo obbligatorio di rifiuto della consegna già previsto dalla L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. p) non vale di per sè a ritenere consentita la consegna, in esecuzione di un mandato di arresto Europeo, all'autorità richiedente della madre di prole di età inferiore a tre anni (Sez. 6, n. 25333 del 25/06/2021, Eminovic, Rv. 281533 - 01; Sez. 6, n. 22124 del 03/06/2021, Tonuzi, Rv. 281349 - 01).

La consegna di madre con prole inferiore a tre anni con lei convivente potrebbe, infatti, violare i diritti fondamentali della persona se disposta senza una previa verifica da parte dell'ordinamento dello Stato richiedente che riconosca modalità di detenzione assimilabili a quelle garantite dall'ordinamento italiano, tali da escludere che l'interessata possa essere sottoposta a condizioni incompatibili con la tutela della condizione di madre, a salvaguardia degli interessi del minore (Sez. 6, n. 22124 del 03/06/2021, Tonuzi, Rv. 281349 - 01).

Qualora l'ordinamento dell'autorità giudiziaria richiedente non contempli forme di tutela del diritto dei figli a non essere privati del ruolo della madre, secondo modalità comparabili a quelle previste dall'ordinamento interno, si determinerebbe, infatti, una lesione di diritti fondamentali, previsti sia dalla Costituzione che dalla CEDU, il che imporrebbe il rifiuto della consegna ai sensi della L. n. 69 del 2005, art. 2, come riformulato dal D.Lgs. n. 10 del 2021, art. 2, comma 1.

Questa disposizione sancisce, infatti, che "l'esecuzione del mandato di arresto Europeo non può, in alcun caso, comportare una violazione dei principi supremi dell'ordine costituzionale dello Stato o dei diritti inalienabili della persona riconosciuti dalla Costituzione, dei diritti fondamentali e dei fondamentali principi giuridici sanciti dall'art. 6 del trattato sull'Unione Europea o dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva dalla L. 4 agosto 1955, n. 848, e dai Protocolli addizionali alla stessa".

6. L'interpretazione della L. n. 69 del 2005, art. 2 è stata chiarita dalla Corte costituzionale nell'ordinanza n. 216 del 2021, nella quale ha chiesto, in via pregiudiziale, alla Corte di giustizia se l'art. 1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584/GAI sul mandato di arresto Europeo, letto alla luce degli artt. 3, 4 e 35 della Carta dei diritti fondamentali dell'unione Europea (CDFUE), debba essere interpretato nel senso che l'autorità giudiziaria di esecuzione, ove ritenga che la consegna di una persona afflitta da gravi patologie di carattere cronico e potenzialmente irreversibili possa esporla al pericolo di subire un grave pregiudizio alla sua salute, debba richiedere all'autorità giudiziaria emittente le informazioni che consentano di escludere la sussistenza di questo rischio, e sia tenuta a rifiutare la consegna allorchè non ottenga assicurazioni in tal senso entro un termine ragionevole.

La Corte costituzionale, nel motivare il rinvio pregiudiziale, ha rilevato che spetta in primo luogo alla Corte di giustizia dell'Unione Europea stabilire in quali casi - oltre quelli previsti dalla legge nazionale e dalla decisione quadro 2002/584/GAI - l'autorità giudiziaria italiana possa rifiutarsi di dare esecuzione a un mandato d'arresto Europeo.

Nelle materie oggetto di integrale armonizzazione normativa, infatti, "spetta in primo luogo al diritto dell'Unione stabilire gli standard di tutela dei diritti fondamentali al cui rispetto sono subordinate la legittimità della disciplina del mandato di arresto Europeo e la sua concreta esecuzione a livello nazionale".

La Corte costituzionale ha rilevato che sarebbe manifestamente in contrasto con il primato, l'unità e l'effettività del diritto dell'Unione "un'interpretazione del diritto nazionale che riconoscesse all'autorità giudiziaria di esecuzione il potere di rifiutare la consegna dell'interessato al di fuori dei casi tassativi previsti dalla legge in conformità alle previsioni della decisione quadro, sulla base di disposizioni di carattere generale come quelle contenute nel testo della L. n. 69 del 2005, artt. 1 e 2 anteriormente alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 10 del 2021, o come l'art. 2 della medesima legge nella formulazione oggi vigente".

Richiamando le ricorrenti affermazioni della Corte di giustizia, dunque, la Corte costituzionale ha affermato che è "precluso agli Stati membri condizionare l'attuazione del diritto dell'Unione, nei settori oggetto di integrale armonizzazione, al rispetto di standard puramente nazionali di tutela dei diritti fondamentali, laddove ciò possa compromettere il primato, l'unità e l'effettività del diritto dell'Unione (ex plurimis: Corte giustizia, 26/02/2013, in causa C-617/10, Fransson, par. 29; 26/02/2013, in causa C-399/11, Melloni, par. 60).

I diritti fondamentali al cui rispetto la decisione quadro è vincolata ai sensi del suo art. 1, paragrafo 3, sono, piuttosto, quelli riconosciuti dal diritto dell'Unione Europea, e conseguentemente da tutti gli Stati membri allorchè attuano il diritto dell'Unione: diritti fondamentali alla cui definizione, peraltro, concorrono in maniera eminente le stesse tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri (artt. 6, paragrafo 3, TUE e 52, paragrafo 4, CDFUE)".

7. Il Collegio condivide questa interpretazione e rileva che il riferimento allo standard comune definito a livello Europeo di tutela dei diritti fondamentali nell'applicazione della L. n. 69 del 2005, art. 2 impone preliminarmente l'interpretazione del diritto dell'Unione Europea.

8. Nello spirito di leale cooperazione tra corti nazionali ed Europee nella definizione di livelli comuni di tutela dei diritti fondamentali - obiettivo questo di primaria importanza in materie oggetto di armonizzazione normativa (Corte Cost., ord., n. 117 del 2019), come quella di cui si controverte -, è, dunque, necessario stabilire, mediante proposizione di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, se la consegna, in esecuzione di un mandato di arresto Europeo, di una madre di figlio minorenne con lei convivente sia conforme o meno ai diritti fondamentali garantiti dal diritto Europeo, e in particolare dalla CDFUE, interpretata in armonia con le tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, richiamate anche dall'art. 52, paragrafo 4, della stessa CDFUE come fonti rilevanti.

9. Posto che il diritto alla vita privata e familiare, la protezione dell'infanzia e il diritto del minore a scelte operate nel suo best interest trovano pari riconoscimento nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea così come nella Costituzione italiana, si è, invero, al cospetto di un caso di c.d. doppia pregiudizialità, che richiede al giudice italiano un'attenta valutazione circa l'opzione tra rinvio pregiudiziale e scrutinio di costituzionalità alla luce della più recente giurisprudenza della Corte costituzionale (C. Cost., sent. n. 20 del 2019; sent. n. 63 del 2019; sent. n. 269 del 2017; ord. n. 117 del 2019).

9.1. Il Collegio ritiene, tuttavia, nel caso di specie di optare per la pregiudiziale sovranazionale, anche indipendentemente dall'obbligo del giudice di ultima istanza di sollevare questione innanzi alla Corte di giustizia ai sensi dell'art. 267, comma 3 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (da ultimo: Corte giustizia, 6/10/2021, in causa C-561/19, Consorzio Italian Management e Catania Multisevizi), proprio in ragione della necessità prioritaria di chiarire lo standard di tutela comune offerto sul punto dal diritto dell'Unione.

L'interpretazione della Corte di giustizia, peraltro, proprio nel silenzio della L. n. 69 del 2005 sulla disciplina della consegna delle madri di prole minorenne convivente, potrebbe risultare idonea a tutelare i diritti fondamentali in gioco senza necessità di procedere ad alcuna dichiarazione di incostituzionalità di disposizioni della legge di attuazione.

9.2. Il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia si rende necessario, peraltro, anche per pervenire a una interpretazione uniforme del diritto dell'Unione sul punto.

La Corte suprema del Regno Unito ha, infatti, rifiutato la consegna di madri in esecuzione di un mandato di arresto Europeo, in quanto l'interferenza con il diritto alla vita familiare sancito dall'art. 8 della Convenzione EDU non può ritenersi proporzionata se non quando l'interesse superiore del minore, secondo la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo e la CDFUE, abbia ricevuto una considerazione primaria (Corte Suprema del Regno Unito, 20 giugno 2012, HH e PH contro Vice Procuratore della Repubblica italiana, Genova; FK contro Autorità giudiziaria polacca (2012) UKSC 25).

9.3. La proposizione del ricorso pregiudiziale alla Corte di giustizia, peraltro, non esclude il ricorso alla Corte costituzionale nel caso in cui una norma della disciplina di attuazione, in violazione dell'art. 11 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, non consenta di garantire lo standard Europeo dei diritti fondamentali o anche nel caso, "sommamente improbabile", in cui questo standard risulti contrastante con "l'osservanza dei principi supremi dell'ordine costituzionale italiano e dei diritti inalienabili della persona" (Corte Cost., ord. n. 24 del 2017).

10. La decisione quadro 2002/584/GAI, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto Europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, è fondata sul principio del reciproco riconoscimento, di cui ha costituito la prima concretizzazione.

10.1. L'art. 1, par. 2, della decisione quadro sul mandato di arresto Europeo sancisce che "gli Stati membri danno esecuzione ad ogni mandato d'arresto Europeo in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alle disposizioni della presente decisione quadro".

A questa regola la decisione quadro prevede tassative eccezioni costituite dai motivi di non esecuzione obbligatoria (art. 3) e facoltativa (artt. 4 e 4-bis).

10.2. La Corte di giustizia dell'Unione Europea ha, peraltro, affermato che il primato del diritto dell'Unione e la sua effettività precludono agli Stati membri la possibilità di introdurre ex novo motivi ostativi dell'esecuzione o di estendere la portata di quelli previsti dalla decisione quadro.

La decisione quadro ha, infatti, disciplinato la materia dei limiti alla consegna in modo esaustivo e, pertanto, non è possibile imporre restrizioni ulteriori all'esecuzione di un mandato, nè mediante le norme statali di trasposizione nè attraverso l'attività interpretativa dei giudici nazionali (Corte di giustizia, 26/02/2013, in causa C-399/11, Melloni, par. 44).

11. Posto che la decisione quadro non contempla un motivo di rifiuto per la consegna di madre convivente con prole minorenne, in questo caso la consegna sembrerebbe incondizionatamente dovuta.

12. L'obbligo incondizionato di consegna, in esecuzione di un mandato di arresto Europeo, di una donna madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente sembra, tuttavia, porsi obiettivamente in tensione non solo con lo standard nazionale, ma anche con quello Europeo di tutela dei diritti fondamentali dei soggetti incisi (il diritto al rispetto della vita privata e familiare della madre ma anche e soprattutto del figlio minorenne), potendone determinare un'esasperata compressione, se non un sacrificio vero e proprio.

L'art. 1, par. 3, della decisione quadro 2002/584/GAI prevede, peraltro, che "L'obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti dall'art. 6 del trattato sull'Unione Europea non può essere modificata per effetto della presente decisione quadro".

Il dodicesimo considerando della decisione quadro aggiunge, inoltre, che "La presente decisione quadro rispetta i diritti fondamentali ed osserva i principi sanciti dall'art. 6 del trattato sull'Unione Europea e contenuti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, segnatamente il capo VI".

Tale principio è, peraltro, sotteso all'intero ordinamento giuridico dell'Unione, nel quale - come risulta, tra l'altro, dall'art. 51, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (CDFUE) - i diritti fondamentali vincolano tanto le istituzioni, organi e organismi dell'Unione, in primis nella loro produzione normativa, quanto gli Stati membri allorchè attuino il diritto dell'Unione.

12.1. La Corte di giustizia, peraltro, ha più volte interpretato la disciplina del mandato di arresto Europeo coniugando l'attuazione del principio del mutuo riconoscimento con la tutela dei diritti fondamentali, come nelle sentenze relative alla non esecuzione del mandato di arresto Europeo in caso di rischio di violazione dell'art. 4 CDFUE (Corte giustizia, 5/04/2016, in cause riunite C-404/15 e C659/15 PPU, Aranyosi e Caldararu) o del rischio di violazione del diritto a un processo equo (da ultimo, Corte giustizia, 20/02/2022, in cause riunite C-562/21 PPU e C-563/21, X e Y; 17/12/2020, in cause riunite C-354/20 PPU e C-412/20 PPU, L e P).

12.2. Parimenti la Corte EDU ha affermato che, nel contesto dell'esecuzione di un mandato d'arresto Europeo da parte di uno Stato membro dell'Unione Europea, il meccanismo di riconoscimento reciproco non dovrebbe essere automaticamente e meccanicamente applicato a discapito dei diritti fondamentali (Corte EDU, 17/04/2018, Pirozzi c. Belgio, p.p. 57-64).

La Corte Edu ha, inoltre, affermato, anche con riferimento ai casi di consegna di sospettati per i reati più gravi, che l'esecuzione del mandato di arresto Europeo da parte dello Stato di esecuzione, pur essendo riconducibile agli obblighi procedurali, discendenti dall'art. 2 CEDU, di cooperare perchè le persone sospettate di aver commesso un omicidio siano processate e, ove ritenute colpevoli, condannate nello Stato ove il reato è stato commesso, tuttavia, trova un limite nel rischio, fondato su "gravi motivi", della violazione dei diritti fondamentali del ricercato (Corte EDU, 9/07/2019, Romeo Castario contro Belgio, p.p. 79, 92).

13. L'art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, che ha lo stesso valore dei Trattati (art. 6, paragrafo 1, del TUE), afferma che "Ogni individuo ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle sue comunicazioni".

L'art. 24, par. 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea sancisce, inoltre, che "In tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente" e il par. 3 aggiunge che "Ogni bambino ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse".

L'art. 3, par. 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo, inoltre, sancisce che "In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione permanente" e analogo principio è affermato dall'art. 6 della Convenzione Europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli.

13.1. La Corte di giustizia nel caso Piotrowski, pur ritenendo compatibile con il diritto dell'Unione la consegna, in esecuzione di un mandato di arresto Europeo, di minori che raggiungano la soglia di età per la responsabilità penale così come definita dal diritto nazionale, ha posto in evidenza la necessità di garanzie procedurali atte ad assicurare "che l'interesse superiore dei minori che sono oggetto di un mandato d'arresto Europeo sia sempre considerato preminente, a norma dell'art. 24, paragrafo 2, della Carta" e conformemente al considerando n. 8 della Direttiva (UE) 2016/800 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell'11 maggio 2016 sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati nei procedimenti penali (Corte giustizia, 23/01/2018, in causa C-367/16, Piotrowski, par. 37).

Sarebbe, dunque, singolare che il parametro del best interest of the child, che deve informare le scelte di esecuzione del mandato di arresto Europeo nei confronti del minore accusato o condannato, non assuma rilievo per i minori, in età ampiamente inferiore, che convivono con la loro madre, destinataria di un mandato di arresto Europeo, e che sono estranei a ogni contestazione penale.

13.2. La preminenza del superiore interesse del minore è, peraltro, stata affermata dalla Corte di giustizia in materia di asilo nel contesto del cd. Regolamento Dublino II (Corte giustizia, 6/06/2013, in causa C-648/11, MA e a., par. 57), strumento fondato anch'esso sui principi di mutuo riconoscimento e di fiducia reciproca.

14. Il diritto fondamentale al rispetto della vita privata e della vita familiare sancito dall'art. 7 della CDFUE deve, peraltro, avere pari latitudine del diritto al rispetto della vita privata e familiare riconosciuto dall'art. 8 della Convenzione, così come interpretato dalla Corte EDU. Secondo l'art. 52, par. 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europa, infatti, "Laddove la (...) Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione".

14.1. La Corte EDU ha riconosciuto in più occasioni che è particolarmente problematico stabilire se i neonati e i bambini piccoli possano rimanere in carcere con le loro madri.

A questo proposito, la Corte ha preso atto del riconoscimento da parte del Comitato Europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT), che, da un lato, le prigioni non forniscono un ambiente adeguato per i neonati e i bambini piccoli, mentre, dall'altro, la separazione forzata di madri e neonati è altamente indesiderabile.

La Corte EDU ha anche osservato che le Regole delle Nazioni Unite per il trattamento delle donne detenute affermano che le decisioni di consentire ai bambini di rimanere con le loro madri in prigione si basano sull'interesse superiore dei bambini (Corte EDU, 26/11/2013, X v. Lettonia, p. 95; 24/03/2016, Korneykova e Korneykov v. Ucraina, p. 129).

Recentemente la Corte EDU ha, inoltre, ritenuto violato il diritto alla vita privata e familiare del ricorrente, di nazionalità nigeriana, in ragione dell'ordine di espulsione dal Regno Unito emesso nei suoi confronti dopo avere riportato una condanna penale per la falsificazione di un documento di identità, non avendo le autorità nazionali correttamente bilanciato la considerazione della natura e della gravità del reato commesso dal ricorrente con il miglior interesse del figlio minore.

La decisione da queste adottata di espellere il ricorrente costituiva, pertanto, una interferenza sproporzionata nella sua vita familiare, poichè essa aveva per conseguenza la separazione dal figlio (Corte EDU, 24/11/2020, Unuane v. Regno Unito, p.p. 86-90).

15. La Corte di giustizia ha affermato che "uno degli obiettivi della decisione quadro 2002/584 è quello della lotta contro l'impunità" (Corte giustizia, 20 febbraio 2022, in cause riunite C-562/21 PPU e C-563/21, X and Y) e ha precisato che la decisione quadro 2002/584/GAI presuppone un impegno comune degli Stati membri a "lottare contro l'impunità di una persona ricercata che si trovi in un territorio diverso da quello nel quale si suppone abbia commesso un reato" (Corte giustizia, sentenza L e P, paragrafo 62, e ulteriori precedenti ivi citati).

L'indefettibile separazione forzata di madri e neonati o figli conviventi minorenni in esecuzione del mandato di arresto Europeo è, tuttavia, altamente problematica, in ragione dell'estrema vulnerabilità del bambino in tenera età, e può determinare conseguenze eccezionalmente gravi, su un soggetto estraneo a ogni addebito penale.

Non spetta a questa Corte il delicato compito di conciliare l'obbligo di esecuzione del mandato di arresto Europeo, in attuazione del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie nello spazio comune Europeo, con i diritti fondamentali del minore convivente con la madre richiesta in consegna.

La valorizzazione del canone del best interest of child, che esige una valutazione primaria ma non esclusiva dell'interesse del minore, potrebbe, tuttavia, indurre a differire la consegna della madre convivente in un momento nel quale, tenuto conto delle condizioni individuali e delle circostanze del caso di specie, sia maggiormente rispettosa dell'interesse del minore o a consentire la consegna del minore, unitamente alla madre, solo previa verifica delle condizioni di detenzione che saranno garantite nello stato richiedente.

Il trasferimento dei neonati e per i bambini, unitamente alla madre, infatti, impone, secondo quanto sancito dalle Raccomandazioni dell'Organizzazione mondiale della sanità del 6 ottobre 2010, "United Nations Rules for the Treatment of Women Prisoners and Non-custodia/ Measures for Women Offenders" (the Bangkok Rules), l'obbligo per le autorità di garantire adeguatamente la salute e il benessere del bambino (Corte EDU, 24/03/2016, Korneykova e Korneykov v. Ucraina, p. 131).

La mancata adozione di misure, in ragione dell'estrema vulnerabilità del minore, può, infatti, integrare un trattamento inumano e degradante, ai sensi dell'art. 3 CEDU, per la madre e il figlio (Corte EDU, 24/03/2016, Korneykova e Korneykov v. Ucraina, p.p. 140-148; 17/10/2019, G.B. e altri v. Turchia, p.p. 101117 and 151; 7/12/2017, S.F. e altri v. Bulgaria, 2017, p.p. 84-93).

16. Sulla base di questi rilievi la Corte ritiene, pertanto, di sottoporre alla Corte di giustizia dell'Unione Europea, in via pregiudiziale ai sensi e per gli effetti dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (TFUE), come modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla L. 2 agosto 2008, n. 130, le seguenti questioni pregiudiziali:

a) "se l'art. 1, paragrafi 2 e 3, e gli artt. 3 e 4 della decisione quadro 2002/584/GAI, debbano essere interpretati nel senso che non consentono all'autorità giudiziaria dell'esecuzione di rifiutare o comunque di differire la consegna della madre con figli minorenni conviventi";

b) "se, in caso di positiva risposta a tale prima questione, l'art. 1, paragrafi 2 e 3, e gli artt. 3 e 4 della decisione quadro 2002/584/GAI siano compatibili con gli artt. 7 e 24, par. 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, anche alla luce della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo in materia di art. 8 CEDU e delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, nella misura in cui impongono la consegna della madre recidendo i legami con i figli minori conviventi senza considerare il best interest of the child".

17. Deve, pertanto, essere disposta la sospensione del presente giudizio sino alla definizione delle questioni pregiudiziali proposte.

Si chiede l'esame delle indicate questioni mediante procedimento accelerato ai sensi dell'art. 105 del Regolamento di Procedura della CGUE, in quanto si tratta di decisione che incide sui diritti fondamentali di una madre incinta e di un minore di pochi anni, convivente solo con la s essa, e che è necessaria per superare l'incertezza che attualmente perdura sulla i sua futura custodia.

I quesiti proposti pongono, inoltre, all'attenzione della Corte di Giustizia questioni comuni a un numero significativo di casi pendenti innanzi alla giurisdizione italiana ma anche di altri Stati membri e in un ambito, quale quello del mandato di arresto Europeo, che secondo quanto previsto dall'art. 17 della decisione quadro 2002/584/GAI deve essere trattato "con la massima urgenza".

P.Q.M.
Visto l'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, come modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, ratificato dalla L. 2 agosto 2008, n. 130, sospende il presente giudizio sino alla definizione delle questioni pregiudiziali formulate. Chiede che le questioni siano decise con procedimento accelerato. Ordina la trasmissione di copia della presente ordinanza, unitamente agli atti del giudizio, alla cancelleria della Corte di giustizia dell'Unione Europea.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2022