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Prova di fatti negativi nel processo penale? (Cass. 8336/20)

2 marzo 2020, Cassazione penale

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Costituisce principio generale del nostro ordinamento processuale quello per cui la prova dei fatti negativi non può essere data, mentre può essere data quella del fatto positivo contrario; pertanto, l’onere della prova dell’intempestività incombe su chi la allega e a tal fine non è sufficiente affidarsi a semplici presunzioni o supposizioni, ma deve essere fornita una prova contraria rigorosa.

Il giudice d’appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado non ha l’obbligo di rinnovare l’istruzione dibattimentale mediante l’esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive, ma deve offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata.

Poiché il termine per la presentazione della querela decorre dal momento in cui la conoscenza del fatto da parte della persona offesa è certa, l’eventuale incertezza circa il momento di tale conoscenza deve essere interpretata a favore del querelante.

Le dichiarazioni rese dalla vittima di abuso sessuale affetta da ritardo mentale non sono di per sé inattendibili, ma obbligano il giudice non soltanto a verificarne analiticamente la coerenza, costanza e precisione ma anche a ricercare eventuali elementi esterni di supporto.

 

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 17 dicembre 2019 – 2 marzo 2020, n. 8336
Presidente Ramacci – Relatore Di Stasi

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 23/03/2018, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Genova, all’esito di giudizio abbreviato, pronunciando - per quanto rileva in questa sede - nei confronti di S.G. , B.G. e C.R. - imputati dei reati di cui all’art. 609 bis c.p., commessi in danno di D.F. - dichiarava S.G. responsabile del reato ascrittogli e, ritenuta la circostanza attenuante del caso di minore gravità, lo condannava alla pena anni uno, mesi sei e giorni venti di reclusione, alle correlate pene accessorie ed al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita; dichiarava, poi, non doversi procedere nei confronti di B.G. e C.R. in ordine ai reati ascrittigli per essere la querela tardiva.
Con sentenza del 15/02/2019 della Corte di appello di Genova, a seguito di appello proposto dal Procuratore della Repubblica nei confronti di B.G. e dal Procuratore Generale nei confronti di B.G. e di C.R. nonché di appello incidentale di B.G. e S.G. , in parziale riforma della predetta sentenza, dichiarava B.G. responsabile del reato ascrittogli e, ritenuta la circostanza attenuante del caso di minore gravità, lo condannava alla pena anni uno, mesi uno e giorni dieci di reclusione, alle correlate pene accessorie ed al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita; assolveva, poi, S.G. dal reato ascrittogli ed eliminava le statuizione civili e confermava nel resto.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Genova e B.G. , chiedendone l’annullamento e proponendo i seguenti motivi.
Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Genova articola due motivi.
Con il primo motivo deduce inosservanza o erronea applicazione degli artt. 124 e 609 septies c.p..
Argomenta che la Corte territoriale, pur avendo rilevato l’errore in cui era incorso il Tribunale nel considerare il termine per la proposizione della querela (tre mesi anziché il termine di sei mesi previsto dall’art. 609 septies c.p.) aveva erroneamente ritenuto, in difformità dal consolidato orientamento di legittimità, che l’incertezza nella collocazione nel tempo della condotta contestata a C.R. ai fini della verifica della tempestività della querela doveva portare ad accogliere la tesi favorevole all’imputato e, quindi, a confermare la declaratoria di improcedibilità per difetto di tempestiva querela; aggiunge che, peraltro, l’identificazione dell’imputato era stata possibile per la parte lesa soltanto nell’estate 2015 e, quindi, da tale data, doveva decorrere il termine per la proposizione della querela.
Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione in relazione al reato contestato capo d) all’imputato S.G. , lamentando che la Corte territoriale aveva assolto dal reato contestatogli l’imputato, riformando la sentenza di condanna del Tribunale senza adempiere all’onere di motivazione rafforzata e pervenendo a conclusioni prive di riferimento ai dati probatori.
In data 12.12.2019 il difensore di S.G. ha depositato memoria ex art. 121 c.p.p., nella quale ha dedotto in ordine alla infondatezza del ricorso proposto, rimarcando la compiutezza strutturale della motivazione espressa dalla Corte territoriale e la mancata impugnazione della parte civile
B.G. , a mezzo del difensore di fiducia, articola quattro motivi di ricorso.
Con il primo motivo deduce violazione dell’art. 609 septies c.p., vizio di motivazione e travisamento della prova, lamentando che la Corte territoriale nonostante l’incertezza sulla collocazione temporale dei fatti contestati, pur enunciando il principio del favor rei, aveva ritenuto la querela tempestivamente propostaCon il secondo motivo deduce violazione dell’art. 192 c.p., e correlato vizio di motivazione in relazione alla attendibilità della persona offesa, lamentando che la Corte territoriale aveva espresso argomentazioni apodittiche e non aveva individuato elementi di riscontro alle dichiarazioni della persona offesa, affetta da deficit intellettivo, senza tener conto dei rilievi difensivi mossi con l’atto di appello e delle risultanze istruttorie (consulenza tecnica dell’imputato, sommarie informazioni rese dalla sorella della persona offesa, intercettazioni telefoniche).
Con il terzo motivo deduce violazione di legge, omessa valutazione degli atti richiamati dalla difesa e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità, lamentando che la Corte territoriale aveva offerto una motivazione carente e contraddittoria in ordine alla piena consulenza da parte dell’imputato della condizione di inferiorità della persona offesa, omettendo di valutare le risultanze istruttorie (consulenza tecnica del PM e consulenza tecnica dell’imputato).
Con il quarto motivo deduce violazione di legge, omessa valutazione degli atti richiamati dalla difesa e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità, lamentando che la Corte territoriale aveva offerto una motivazione carente e contraddittoria in ordine alla condotta di induzione riferibile all’imputato, senza considerare che le dichiarazioni rese dalla persona offesa evidenziavano che era la ragazza a prendere l’iniziativa e ad assumere condotte provocatorie.

Considerato in diritto

1. Il ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Genova è fondato e va accolto.

1.1. Con riferimento alla posizione dell’imputato C.R. va osservato quanto segue.

Costituisce principio generale del nostro ordinamento processuale quello per cui la prova dei fatti negativi non può essere data, mentre può essere data quella del fatto positivo contrario; pertanto, l’onere della prova dell’intempestività incombe su chi la allega e a tal fine non è sufficiente affidarsi a semplici presunzioni o supposizioni, ma deve essere fornita una prova contraria rigorosa. Del resto, poiché il termine per la presentazione della querela decorre dal momento in cui la conoscenza del fatto da parte della persona offesa è certa, l’eventuale incertezza circa il momento di tale conoscenza deve essere interpretata a favore del querelante (Sez. 5, n. 13335 del 17/01/2013, Rv. 255060 - 01; Sez. 1, n. 7333 del 28/01/2008, Rv. 239162 - 01; Sez. 5 n. 2344 del 1999, Rv. 212621; Sez. 5 n. 2486 del 1999, Rv. 212720).
La Corte territoriale non si è attenuta a tale principio, poiché, nell’obbiettiva incertezza e in assenza di prova circa il momento in cui la persona offesa veniva a conoscenza del reato nei suoi aspetti oggettivi e soggettivi, ha risolto il dubbio a favore del querelato.

1.2. Con riferimento alla posizione di S.G. , va richiamato il principio di diritto, secondo il quale il giudice d’appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado non ha l’obbligo di rinnovare l’istruzione dibattimentale mediante l’esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive, ma deve offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 03/04/2018, Rv. 272430 - 01).

Le Sezioni Unite hanno osservato che "all’assenza di un obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa in caso di ribaltamento assolutorio, debba affiancarsi l’esigenza che il giudice d’appello strutturi la motivazione della decisione assolutoria in modo rigoroso, dando puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte. La tesi favorevole alla necessità di una puntuale motivazione anche in caso di riforma della condanna in assoluzione costituiva, d’altronde, un orientamento largamente condiviso anche prima della sentenza Dasgupta, sul rilievo che il giudice di appello, quando riforma in senso radicale la condanna di primo grado pronunciando sentenza di assoluzione, ha l’obbligo di confutare in modo specifico e completo le precedenti argomentazioni, essendo necessario scardinare l’impianto argomentativo-dimostrativo di una decisione assunta da chi ha avuto diretto contatto con le fonti di prova. Tale principio affonda le sue radici in una risalente elaborazione giurisprudenziale di questa Corte (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679; Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191229), che ha stabilito, in linea generale, l’obbligo di una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni raggiunte nel caso in cui il giudice di appello riformi totalmente la decisione di primo grado, sostituendo all’assoluzione l’affermazione di colpevolezza dell’imputato. Ne discende che il giudice di appello, nel riformare la condanna pronunciata in primo grado con una sentenza di assoluzione, dovrà confrontarsi con le ragioni addotte a sostegno della decisione impugnata, giustificandone l’integrale riforma senza limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della riformata pronuncia delle generiche notazioni critiche di dissenso, ma riesaminando, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice e quello eventualmente acquisito in seguito, per offrire una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia adeguata ragione delle difformi conclusioni assunte".

Nella specie, la Corte territoriale, nel ribaltare la precedente valutazione del Giudice di primo grado, si è solo parzialmente impegnata nella confutazione delle argomentazioni svolte dal Tribunale.

Il Tribunale aveva spiegato in maniera ampia, logica e coerente le ragioni per cui la percepibilità della condizione deficitaria della persona offesa era da ritenersi palese in assoluto ed in concreto anche per lo S. , che aveva ritenuto essere consapevole di relazionarsi con un soggetto particolarmente fragile intellettivamente e responsabile di essersi approfittato delle condizioni della persona offesa.

Il Giudice di primo grado rimarcava, in particolare, che le categorie mentali della ragazza, che specificamente trapelavano dalle denunce, dalle sommarie informazioni testimoniali, dal diario e dalla messaggistica su Facebook prodotte dallo S. erano assolutamente diverse da quelle tipiche di una giovane donna di oltre vent’anni; evidenziava, inoltre, che nel rapporto con lo S. il deficit cognitivo della ragazza emergeva chiaramente sin dai primi messaggi che gli indirizzava la ragazza, messaggi dei quali il Tribunale analizzava specificamente il contenuto; rimarcava, poi, l’estrema cautela mostrata dallo S. nell’intraprendere il rapporto, quale ulteriore elemento dimostrativo della consapevolezza dell’imputato di relazionarsi con soggetto affetto da deficit cognitivo.

Sui punti evidenziati, ed in relazione ai numerosi aspetti e profili ad essi fattualmente correlati e, come tali, investiti dal motivato convincimento espresso dal Giudice di primo grado, la Corte territoriale ha omesso di confutare appieno la consistenza e linearità del ragionamento del primo giudice, trascurando la necessaria valutazione critica di tutti gli elementi su cui è stata fondata la precedente decisione di condanna.

In definitiva, la Corte territoriale ha confutato solo in parte il ragionamento probatorio del giudice di prime cure, senza tenere conto di tutti gli elementi su cui lo stesso si fondava ed ha apoditticamente ritenuto che non vi fosse prova che l’imputato avesse consapevolezza dei problemi cognitivi della persona offesa omettendo di confrontarsi con le argomentazioni esposte in proposito nella sentenza di primo grado.

3. Va, quindi, esaminato il ricorso proposto da B.G. .

Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

I Giudici di merito hanno evidenziato che la collocazione temporale dei fatti contestati era certa, alla luce sia delle indicazioni contenute in querela che dei riscontri forniti dall’imputato in sede di interrogatorio del 16/05/2016; i fatti, quindi, almeno in parte, erano stati compiuti oltre l’inizio del luglio 2015: in tale contesto, essendo stata la querela presentata il 08/01/2016, l’eccezione difensiva risulta correttamente respinta.
Il ricorrente, peraltro, neppure si confronta con le argomentazioni esposte dalla Corte di merito, ponendosi il motivo anche ai confini dell’ammissibilità per genericità.

2. Il secondo motivo di ricorso è, invece, fondato ed assorbente degli ulteriori motivi proposti.

Questa Corte ha affermato il principio secondo il quale le dichiarazioni rese dalla vittima di abuso sessuale affetta da ritardo mentale non sono di per sé inattendibili, ma obbligano il giudice non soltanto a verificarne analiticamente la coerenza, costanza e precisione ma anche a ricercare eventuali elementi esterni di supporto (Sez. 3, n. 46377 del 23/05/2013, Rv. 257855 - 01; Sez. 3, n. 35492 del 06/07/2007, Rv. 237597 - 01).

La Corte territoriale ha reso in ordine alla valutazione di attendibilità della persona offesa una motivazione carente ed apodittica, limitandosi ad affermare la coerenza, precisione ed assenza di animosità delle dichiarazioni rese, senza fornire specifica e concreta giustificazione delle considerazioni effettuate.

Deve, pertanto, ritenersi apparenti le argomentazioni esposte ed eluso l’obbligo di motivazione in ordine alla attendibilità della persona offesa, obbligo che si profilava maggiormente specifico, atteso che la questione era stato oggetto di specifico motivo di gravame proposto dall’imputato.

4. La sentenza va pertanto annullata con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Genova che si atterrà ai rilievi ed ai principi di diritto sopra enunciati.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Genova.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.