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Prova a discarico revocata, diritto di difesa violato se eccepito a verbale (Cass. 2511/17)

18 gennaio 2017, Cassazione penale

Deve ritenersi nulla l'ordinanza con la quale il giudice abbia revocato il provvedimento di ammissione dei testi della difesa in difetto di motivazione sul necessario requisito della loro superfluità, in violazione del diritto della parte di "difendersi provando", stabilito dall'art. 495 c.p.p., comma 2, corrispondente al principio della "parità delle armi" sancito dall'art. 6, comma terzo, lett. d), della CEDU, al quale si richiama l'art. 111 Cost., comma 2, in tema di contraddittorio tra le parti. 

L'esclusione tacita di un testimone implica necessariamente l'assenza totale di motivazione, onere a cui il giudice del merito effettivamente non può sottrarsi nel comprimere e ridurre il diritto alla prova riconosciuto alle parti, anche se gli compete il potere di escludere le prove manifestamente superflue ed irrilevanti, secondo una verifica di sua esclusiva competenza, che sfugge al sindacato di legittimità ove abbia formato oggetto di apposita motivazione immune da vizi logici e giuridici.

La violazione del diritto di difesa, sub specie di mancata ammissione delle prove dedotte, esige che ne sia precisata la portata indicando specificamente le prove che l'imputato non ha potuto assumere e le ragioni della loro rilevanza ai fini della decisione nel contesto processuale di riferimento, considerato che il diritto dell'imputato di difendersi citando e facendo esaminare i propri testi, trova un limite nel potere del giudice di escludere le prove superflue ed irrilevanti, ex art. 495 c.p.p.

L'esclusione immotivata della prova richiesta ed ammessa determina nel processo di primo grado una nullità di carattere relativo, soggetta al regime di cui all'art. 181 c.p.p.; in conseguenza, ai sensi dell'art. 182, comma 2, la parte pregiudicata, presente all'atto era tenuta, a pena di decadenza, ad eccepire la nullità prima del suo compimento o tuttalpiù immediatamente dopo, e così pure ad opporsi alla dichiarazione di chiusura dell'istruttoria dibattimentale.

La revoca dell'ordinanza ammissiva di testi della difesa, resa in difetto di motivazione sulla superfluità della prova, produce una nullità di ordine generale che deve essere immediatamente dedotta dalla parte presente, ai sensi dell'art. 182 c.p.p., comma 2, con la conseguenza che in caso contrario essa è sanata.

La revoca dell'ammissione può essere tacita, per effetto dell'omissione della prova, ma non è possibile desumere le eccezioni difensive volte ad opporsi al provvedimento pregiudizievole in assenza di specifica verbalizzazione dell'eccezione di nullità. 

In tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

(ud. 24/11/2016) 18-01-2017, n. 2511

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTEMBRE Antonio - Presidente -

Dott. MORELLI Francesca - Consigliere -

Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere -

Dott. AMATORE Roberto - Consigliere -

Dott. SCOTTI Umberto - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

M.S., nato il (OMISSIS);

T.M., nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 14/01/2016 della CORTE APPELLO di CAMPOBASSO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/11/2016, la relazione svolta dal Consigliere Dr. UMBERTO LUIGI SCOTTI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Lori Perla, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito il difensore, avv. MC, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso presentato.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 14.1.2016 la Corte di appello di Campobasso, in riforma della sentenza di primo grado del 1/12/2014 del Tribunale di Campobasso, ha assolto gli imputati M.S. e T.M. dal reato di cui agli artt. 110, 582, 583, 585 e 577 c.p. e art. 61 c.p., n. 1), 4), 5) e 11), contestato loro al capo B, riqualificato nella sentenza di primo grado con riferimento all'art. 110 c.p., art. 590 c.p., comma 2 e art. 61 c.p., n. 11 ter per aver in concorso con altri, alcuni dei quali non identificati e minori, colpito con schiaffi, pugni e calci S.D., provocandogli la frattura diafisaria composta della tibia guaribile in 50 giorni.

La Corte territoriale ha invece confermato la statuizione di penale responsabilità dei due predetti imputati per il reato di cui agli artt. 110 e 610 c.p., contestato al Capo A) della rubrica, per aver con violenza, spintonandolo e accompagnandolo all'interno della palestra dell'istituto scolastico, costretto S.D., contro la sua volontà, a passare attraverso due file di persone che lo percuotevano con schiaffi, pugni e calci in caso di risposta sbagliata alle domande propostegli. La Corte ha pertanto condannato gli imputati a mesi due di reclusione, rideterminando la provvisionale concessa in primo grado e accordando il beneficio della non menzione.

2. In data 11/03/2016 hanno presentato personalmente ricorso congiuntamente i due imputati, chiedendo l'annullamento della sentenza, con il corredo di quattro motivi.

2.1. Con il primo motivo, proposto ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), i ricorrenti deducono la nullità della sentenza in relazione all'ordinanza ex art. 495 c.p.p., comma 4, omessa rinnovazione dell'istruttoria e mancata assunzione di prova decisiva.

I ricorrenti lamentano di aver subito in primo grado due provvedimenti di decurtazione della propria lista testimoniale, ammessa il 16/11/2012 e comprendente sedici persone, dapprima limitata a soli quattro testimoni in data 30/06/2014, dopo l'escussione dei testi di accusa, e poi ulteriormente ridotta, senza alcuna motivazione, il 6/10/2014, dopo l'escussione dei soli due testi presentatisi, nonostante regolare intimazione di tutti i testi e formale opposizione del difensore.

La Corte territoriale, pur investita di specifico motivo di appello sul punto, si era limitata a una enunciazione di principio sulla sussistenza astratta del potere di riduzione, senza una congrua motivazione delle ragioni che ne giustificavano in concreto l'esercizio, tanto più che si tratta di quattordici testi oculari del fatto.

I ricorrenti danno tuttavia atto che nei verbali delle udienze e nelle trascrizioni delle fonoregistrazioni non vi è traccia nè dei provvedimenti di revoca, nè tantomeno delle loro eccezioni difensive; di qui l'alternativa fra ritener sussistenti i provvedimenti di revoca e le relative eccezioni, senza di che non avrebbe avuto alcun senso la censura mossa nei motivi di appello, o accertare una lesione dei diritti difensivi nel corso del giudizio di primo grado per la tacita pretermissione delle richieste di prova a discarico, sicchè sarebbe stato necessario per il giudice d'appello accogliere la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale.

2.2. Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono la nullità della sentenza in relazione all'art. 88 c.p.p., comma 3 e art. 178 c.p.p., lett. c), per l'accoglimento della richiesta di esclusione del responsabile civile, ossia l'Istituto Onnicomprensivo Statale di R, dapprima non citato dal Giudice con errore procedurale e poi indebitamente escluso perchè la relativa richiesta era stata proposta successivamente agli accertamenti relativi alla costituzione delle parti.

2.3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano motivazione solo apparente relativamente alla loro doglianza d'appello circa la riduzione delle prove a loro discarico e assenza grafica della motivazione circa le loro richieste di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale e di sospensione dell'efficacia della provvisionale.

2.4. Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano travisamento del fatto, illogicità della motivazione e omessa valutazione di prove rilevanti a loro favore; la Corte si era basata esclusivamente sulla versione della persona offesa, trascurando le deposizioni di tre testi D.D.T., C.C. e Co.Gi., che avevano escluso la sussistenza di coartazione nella sottoposizione del S. al passaggio.

La sentenza impugnata, secondo i ricorrenti, era infine illogica e contraddittoria laddove individuava nei soli Sc.Gi. e D.D.P. i responsabili della violenza privata per aver trascinato contro volontà il S..

Motivi della decisione

1. Quanto al primo motivo ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), gli stessi ricorrenti assumono che la revoca dell'ammissione sia avvenuta tacitamente e non sia stata accompagnata da un provvedimento esplicito, che non risulta nè dal verbale nè dalla trascrizione delle fonoregistrazioni; l'esclusione tacita implica necessariamente l'assenza totale di motivazione, onere a cui il giudice del merito effettivamente non può sottrarsi nel comprimere e ridurre il diritto alla prova riconosciuto alle parti, anche se gli compete il potere di escludere le prove manifestamente superflue ed irrilevanti, secondo una verifica di sua esclusiva competenza, che sfugge al sindacato di legittimità ove abbia formato oggetto di apposita motivazione immune da vizi logici e giuridici. (Sez. U, n. 15208 del 25/02/2010, Mills, Rv. 24658501).

La violazione del diritto di difesa, sub specie di mancata ammissione delle prove dedotte, esige che ne sia precisata la portata indicando specificamente le prove che l'imputato non ha potuto assumere e le ragioni della loro rilevanza ai fini della decisione nel contesto processuale di riferimento, considerato che il diritto dell'imputato di difendersi citando e facendo esaminare i propri testi, trova un limite nel potere del giudice di escludere le prove superflue ed irrilevanti, ex art. 495 c.p.p. (Sez. 5, n. 10425 del 28/10/2015 - dep. 2016, Lanzafame, Rv. 26755901; Sez. 2, n. 2350 del 21/12/2004 - dep. 2005, Papalia ed altri, Rv. 23071701).

Ciò premesso, deve ritenersi nulla l'ordinanza con la quale il giudice abbia revocato il provvedimento di ammissione dei testi della difesa in difetto di motivazione sul necessario requisito della loro superfluità, in violazione del diritto della parte di "difendersi provando", stabilito dall'art. 495 c.p.p., comma 2, corrispondente al principio della "parità delle armi" sancito dall'art. 6, comma terzo, lett. d), della CEDU, al quale si richiama l'art. 111 Cost., comma 2, in tema di contraddittorio tra le parti. (Sez. 5, n. 51522 del 30/09/2013, Abatelli e altro, Rv. 25789201).

L'esclusione immotivata della prova richiesta ed ammessa ha determinato nel processo di primo grado una nullità di carattere relativo, soggetta al regime di cui all'art. 181 c.p.p.; in conseguenza, ai sensi dell'art. 182, comma 2, la parte pregiudicata, presente all'atto era tenuta, a pena di decadenza, ad eccepire la nullità prima del suo compimento o tuttalpiù immediatamente dopo, e così pure ad opporsi alla dichiarazione di chiusura dell'istruttoria dibattimentale.

Sul punto, espressamente: "La revoca dell'ordinanza ammissiva di testi della difesa, resa in difetto di motivazione sulla superfluità della prova, produce una nullità di ordine generale che deve essere immediatamente dedotta dalla parte presente, ai sensi dell'art. 182 c.p.p., comma 2, con la conseguenza che in caso contrario essa è sanata." (Sez. 5, n. 51522 del 30/09/2013, Abatelli e altro, Rv. 25789101; Sez. 5, n. 18351 del 17/02/2012, Biagini, Rv. 252680; Sez. 3, n. 816 del 6/12/2005,Guatta, Rv. 233256).

Gli stessi ricorrenti assumono che dagli atti processuali non risulta alcuna traccia delle loro eccezioni difensive (ricorso, pag.4, capoverso), con la conseguente decadenza, e non allegano e tantomeno provano sulla base di quali elementi la Corte potrebbe accertare la loro opposizione alla riduzione tacita della lista dei testi; se è vero che la revoca dell'ammissione può esser stata tacita, per effetto dell'omissione della prova, non è possibile desumere le eccezioni difensive volte ad opporsi al provvedimento pregiudizievole, come propongono i ricorrenti, dal solo fatto di aver loro successivamente presentato dei motivi di appello sul punto.

La doglianza tardivamente proposta in sede di appello era quindi inammissibile per intervenuta decadenza.

La rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale d'ufficio alternativamente sollecitata da parte ricorrente come rimedio volto ad aggirare l'intervenuta decadenza sarebbe stata comunque carente dell'ineludibile presupposto della sua assoluta necessità.

2. Quanto al secondo motivo con cui i ricorrenti lamentano l'illegittima esclusione del responsabile civile sia perchè la sua citazione avrebbe dovuto avvenire con decreto del Giudice ai sensi dell'art. 88 c.p.p., comma 3 (rectius: 83), sia perchè la richiesta di esclusione sarebbe stata tardiva e quindi inammissibile in quanto proposta dopo gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti, termine di decadenza fissato dall'art. 87 c.p.p..

La censura è inammissibile per carenza d'interesse, ai sensi dell'art. 568 c.p.p., comma 4: l'imputato non nutre alcun interesse giuridicamente apprezzabile alla presenza nel processo del responsabile civile, che infatti può essere chiamato su richiesta della parte civile e nel caso di cui all'art. 77 c.p.p., comma 4, del pubblico ministero. Ciò a maggior ragione nell'ipotesi in cui per l'atteggiarsi del rapporto civilistico sarebbe semmai il responsabile civile a vantare diritti di regresso nei confronti dell'imputato in seguito all'adempimento dell'obbligazione risarcitoria.

Occorre quindi prestar continuità al principio secondo cui: "L'omessa citazione nel giudizio di impugnazione del responsabile civile, presente nel giudizio di primo grado, integra una nullità di ordine generale a regime intermedio che può essere eccepita esclusivamente dalla parte illegittimamente pretermessa e non anche dall'imputato, il quale non vanta un interesse giuridicamente apprezzabile all'osservanza della disposizione violata." (Sez. 4, n. 47288 del 09/10/2014, R.C. e Pandolfi, Rv. 2610710; Sez. 4, n. 3462 del 21/11/2007, Lauriola e altri, Rv. 23874401).

3. Il terzo motivo, nella sua prima parte, relativa alla riduzione della lista testi e alla motivazione del mancato rinnovo dell'istruttoria, ripete il contenuto del primo, sopra esaminato.

Inoltre agli effetti del requisito di cui all'art. 603 c.p.p., comma 3, in tema di necessità della precedente doglianza della violazione di legge nei motivi di appello, occorre rilevare che in secondo grado i ricorrenti si erano limitati a proporre una richiesta, del tutto generica, di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale alla luce delle nullità e/o illegittimità tutte evidenziate in via processuale e del paradosso logico emerso nell'intera istruttoria dibattimentale, oltretutto solo per il caso in cui la Corte lo ritenesse di necessità.

I ricorrenti inoltre denunciano assenza grafica della motivazione circa le loro richieste di sospensione dell'efficacia della provvisionale.

La doglianza è inammissibile poichè la condanna al pagamento della provvisionale, peraltro ridotta nell'importo rispetto alle statuizioni civili della sentenza di primo grado, è di per sè immediatamente esecutiva ex art. 540 c.p.p., comma 2.

D'altro canto, la sospensione dell'esecuzione della condanna al pagamento della provvisionale quando possa derivarne grave e irreparabile danno, di cui all'art. 600 c.p.p., comma 3, concreta un istituto di carattere cautelare, analogo a quello previsto nel processo civile dagli artt. 283 e 351 c.p.c., che mira a scongiurare un pregiudizio interinale, del tutto superato dalla successiva pronuncia della sentenza di secondo grado, corredata delle statuizioni civili, che assorbe e travolge tutte le pronunce cautelari precedenti, così come l'eventuale omessa pronuncia cautelare lamentata dai ricorrenti, comunque sottratta al controllo di legittimità. Infatti "L'ordinanza con la quale la Corte di appello si pronuncia sulla richiesta di sospendere l'esecuzione della condanna al pagamento di una provvisionale non è impugnabile con ricorso per cassazione." (Sez. 4, n. 977 del 13/07/1993 - dep. 10/11/1993, Vescio, Rv. 19618701).

Il motivo è quindi inammissibile.

4. Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano travisamento del fatto, illogicità della motivazione e omessa valutazione di prove rilevanti a loro favore per aver trascurato le deposizioni di tre testi, che avevano escluso la sussistenza di coartazione nella sottoposizione del S. al passaggio.

Il motivo di ricorso di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E) non permette di proporre una diversa ricostruzione del fatto giudicato nel merito se non attraverso un vizio della motivazione, o assente o auto-contraddittoria o ancora manifestamente contraria alle regole della logica, all'ulteriore condizione che il vizio risulti dal testo stesso del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati, senza la quale la censura risulta non concludente e generica.

La giurisprudenza della Corte è ferma nel ritenere che "In tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito." (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 26548201).

Le doglianze dei ricorrenti comunque trascurano il fatto che la Corte di appello di Campobasso si è basata sulle univoche affermazioni della parte offesa e ha posto l'accento sul momento "genetico" del prelevamento forzoso del S., chiarendo che le altre testimonianze non apportavano alcuna contraddizione con riferimento a tale, specifico, momento temporale.

L'ulteriore doglianza, secondo cui la sentenza sarebbe illogica e contraddittoria per aver individuato nei soli Sc.Gi. e D.D.P. i responsabili della violenza privata per aver trascinato contro volontà il S., si fonda su di una affermazione contenuta nella sola sentenza di primo grado, per vero ritenuta frutto di un errore materiale da parte degli stessi ricorrenti; tale errore non è affatto riprodotto nella sentenza di appello che ascrive, senza equivoci, ai soli ricorrenti M. e T. la condotta di prelevamento forzoso configurante violenza privata, mentre i ricorrenti cercano di coinvolgere la Corte nello stesso errore, materiale, del Tribunale solo sulla base della generica affermazione introduttiva circa la corretta valutazione delle complessive risultanze istruttorie di cui a pagina 8, peraltro seguita da specifiche considerazioni dedicati dai Giudici di appello alla responsabilità proprio dei due attuali ricorrenti nella coartazione del S. al gioco della passatella.

Anche questo motivo è quindi inammissibile.

5. I ricorsi devono quindi essere dichiarati inammissibili, con la condanna dei ricorrenti ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000 ciascuno a favore della Cassa delle Ammende, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti ciascuno al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2017