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Proprozionalità nel MAE va verificata (Cass. 14937/22)

15 aprile 2022, Cassazione penale

Il principio di proporzionalità, sancito dall'art. 5, par. 4, del Trattato sull'Unione europea, dagli artt. 6 e 7 della CDFUE e dagli artt. 5 e 8 della CEDU, costituisce principio fondante del diritto dell'Unione europea e impone che lo scopo sotteso a ciascuna azione debba essere perseguito nella modalità che comprima nella minor misura possibile i diritti fondamentali dell'interessato.

 Il principio di proporzionalità dovrebbe, inoltre, intendersi richiamato dall'art. 1, par. 3, della decisione quadro 2002/584/GAI sul mandato di arresto europeo e sarebbe affermato anche dal considerando n. 26 dalla direttiva 2014/41/UE relativa all'ordine europeo di indagine penale.

Un mandato di arresto europeo emesso per ragioni esclusivamente investigative e indeterminate non può essere eseguito.

Carenze sistemiche e generalizzate del sistema giudiziario polacco non possono giustificare il rifiuto della consegna in assenza della prova di un pregiudizio individuale per il soggetto richiesto in consegna: tale pregudizio individuale per il diritto fondamentale del ricorrente ad un equo processo dinanzi ad un giudice indipendente e imparziale può essere escluso  anche in ragione della «natura comune» del reato contestato, o non vi è prova che la mancanza di autonomia dell'autorità giudiziaria polacca abbia cagionato un pregiudizio in concreto per lo svolgimento del processo nei confronti del consengando e che le ripercussioni individuali non possono essere inferite dal potere del Ministro della giustizia polacco di disporre il distaccamento dei giudici.

 

Corte di Cassazione

 sezione VI Num. 14937 Anno 2022

Presidente: PETRUZZELLIS ANNA

Relatore: D'ARCANGELO FABRIZIO

 Data Udienza: 14/04/2022 -deposito 15 aprile 2022

 SENTENZA

sul ricorso proposto da

MAP , nato in Polonia il **

avverso la sentenza del 3 marzo 2022 emessa dalla Corte di appello di Milano;

visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Fabrizio D'Arcangelo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Giuseppe

Riccardi, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

udito l'avvocato Nicola Canestrini che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;

 RITENUTO IN FATTO

 1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano ha disposto la consegna all'autorità giudiziaria polacca di APM in esecuzione del mandato di arresto europeo emesso in data 12 giugno 2019 dal Tribunale di Siedlce per il reato di cui all'art. 294, par. 1, del codice penale polacco (ricettazione), aggravato, ai sensi dell'art. 294 del medesimo codice, in ragione del «rilevante valore patrimoniale» dei beni oggetto del reato.

 2. Gli avvocati Bozena Katia Kolakowska e Nicola Canestrini, nell'interesse del M, ricorrono avverso tale sentenza e ne chiede l'annullamento deducendo quattro motivi di ricorso e, segnatamente:

 a) l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 2 della legge n. 69 del 2005, 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), 19 del Trattato dell'Unione europea (T.U.E.), 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), 111 della Costituzione e la mancanza di motivazione in merito all'insussistenza di un rischio di violazione del diritto fondamentale a un equo processo innanzi a un giudice precostituito per legge. Espone il ricorrente che la Commissione europea nella Relazione sullo stato di diritto 2021, la Corte di Giustizia dell'Unione europea, nelle sentenze del 2 marzo 2021 (resa nel caso Ab), del 25 luglio 2018 (resa nel caso LM del 25 luglio 2018) e del 22 febbraio 2022 (resa nel caso X e Y) e la Corte Edu nella pronuncia Reczkpwicz c. Polonia del 22 luglio 2021 e il Group of States against Corruption (GRECO) hanno evidenziato la mancanza di imparzialità e di indipendenza della magistratura polacca, in quanto sottoposta a influenze del potere esecutivo.

L'Unione europea avrebbe, peraltro, aperto recentemente una procedura di infrazione, ai sensi dell'art. 7, par. 1, del T.U.E. nei confronti della Polonia per tali violazioni, sospendendo l'erogazione dei finanziamenti europei del Next Generation UE (c.d. Recovery Fund).

 Questi rilievi, ad avviso dei difensori, avrebbero dovuto indurre la Corte di appello di Milano a rifiutare la consegna, anche indipendentemente dalla prova di un serio rischio di ripercussione individuale sui diritti fondamentali del soggetto richiesto in consegna.

 La Corte di appello di Milano, inoltre, sotto il profilo del rischio di un pregiudizio individuale per il ricorrente, avrebbe obliterato la peculiare procedura di nomina dei giudici polacchi, non aliena da interferenze del potere esecutivo, e che proprio il giudice del Tribunale distrettuale di Siedlce, che aveva emesso il mandato di arresto europeo, aveva adottato l'atto mentre era in un periodo di distacco ordinato dal Ministero della giustizia polacco.

 Rileva il ricorrente che, secondo quanto rilevato dalla Corte di Giustizia nella sentenza dell'16 novembre 2021, proprio il potere di distacco dei magistrati, attribuito dall'art. 77 della legge sull'organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari al Ministro della Giustizia polacco, in ragione della sua possibilità di esercizio immotivata, senza limiti temporali e non sindacabile, costituirebbe uno dei momenti in cui maggiormente difetta l'indipendenza del potere giudiziario polacco da quello esecutivo.

 La carenza di indipendenza sarebbe, inoltre, dimostrata dal fatto che il giudice polacco, non abbia revocato il mandato di arresto europeo, ancorché abbia ordinato la restituzione al M di parte dei beni sequestrati, in quanto aveva ritenuto che non ne fosse stata dimostrata la provenienza delittuosa.

 b) l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale, in relazione all'art. 2 della legge n. 69 del 2005, artt. 2-3 della CEDU, art. 4 della CDFUE e la mancanza di motivazione circa l'insussistenza di un rischio di violazione, in caso di consegna, del diritto del M a non subire trattamenti inumani e degradanti, in violazione degli artt. 2-3 CEDU e dell'art. 4 CDFUE, in ragione delle condizioni di detenzione in Polonia nonché in ragione della sussistenza, in tale Stato, di una comprovata e generale problematica relativa agli abusi perpetrati dalle forze di polizia sulle persone sottoposte alla loro custodia.

 La difesa aveva, infatti, dedotto alla Corte di appello, come il Comitato per la Prevenzione della Tortura e dei Trattamenti inumani e degradanti (CTP), costituito in seno al Consiglio d'Europa, abbia documentato in due distinti rapporti, rispettivamente del 2017 e del 2020, gli abusi dell'autorità di polizia sulle persone sottoposte alla loro custodia e le condizioni di sovraffollamento carcerario in tale Stato, riscontrate anche in alcune sentenze della Corte Edu, come la pronuncia Orchowski c. Polonia.

 Ad avviso del ricorrente, la Corte di appello di Milano, rigettando la censura in quanto «generica, riferita ad una situazione priva di qualsiasi riferimento specifico alla posizione del M» avrebbe violato il principio di diritto costantemente affermato dalla Corte di Giustizia, a partire dalla sentenza Aranyosi-Caldararu del 2016, secondo il quale, qualora l'autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione si trovi al cospetto di elementi oggettivi che denotino una generale violazione nello Stato emittente di un diritto fondamentale, allo scopo di verificare se tale violazione generale possa avere ripercussioni nel caso concreto, deve richiedere informazioni supplementari per conoscere le concrete condizioni in cui il soggetto richiesto in consegna sarà detenuto.

 c) l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale, in relazione all'art. 5 TUE, artt. 6, 7, 52 della CDFUE, artt. 5-8 della CEDU, e la mancanza di motivazione in ordine alla violazione del principio di proporzionalità da parte dell'autorità giudiziaria polacca nell'emissione nei confronti del M del mandato di arresto europeo.

 Deduce il ricorrente che il principio di proporzionalità, sancito dall'art. 5, par. 4, del Trattato sull'Unione europea, dagli artt. 6 e 7 della CDFUE e dagli artt. 5 e 8 della CEDU, costituisce principio fondante del diritto dell'Unione europea e impone che lo scopo sotteso a ciascuna azione debba essere perseguito nella modalità che comprima nella minor misura possibile i diritti fondamentali dell'interessato.

 Il principio di proporzionalità dovrebbe, inoltre, intendersi richiamato dall'art. 1, par. 3, della decisione quadro 2002/584/GAI sul mandato di arresto europeo e sarebbe affermato anche dal considerando n. 26 dalla direttiva 2014/41/UE relativa all'ordine europeo di indagine penale.

 Nel caso di specie l'autorità giudiziaria polacca avrebbe motivato il mandato di arresto europeo ponendo a fondamento dello stesso un'esigenza esclusivamente istruttoria (quella di compiere atti di indagine che, secondo il diritto polacco, richiedono la necessaria presenza dell'indagato), che, tuttavia, lo Stato di emissione avrebbe potuto legittimamente perseguire a mezzo di uno strumento meno invasivo, quale un ordine europeo di indagine avente ad oggetto la richiesta di audizione in videoconferenza. 

d) l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale, in relazione all'art. 7 della legge n. 69 del 2005, in merito alla sussistenza del requisito della doppia incriminabilità nel caso di specie, posto che la condotta contestata al M non sarebbe sussumibile in alcuna ipotesi di reato prevista dalla legge italiana.

 Deduce il ricorrente che la fattispecie di reato di cui all'art. 291 del codice penale polacco, a differenza della fattispecie di ricettazione prevista dall'ordinamento italiano, incrimina «chiunque acquisisca beni ottenuti mediante un atto illecito...» e tale connotazione di illeceità è più ampia della nozione di «bene proveniente da reato», che figura nell'art. 648 cod. pen. e che invece esclude dal perimetro del penalmente rilevante le condotte di acquisizione di beni illecite solo sotto il profilo amministrativo o civile.

 Posto, pertanto, che la nozione di «atto illecito» non è del tutto coincidente con l'elemento materiale del delitto di ricettazione, nella specie sarebbe problematico il vaglio circa l'effettiva sussistenza dell'estremo della "doppia incriminabilità" richiesto dalla disciplina del mandato di arresto europeo.

 Nella dettagliata elencazione contenuta nel mandato di arresto europeo, peraltro, solo otto dei centocinquantuno beni indicati quale oggetto della condotta criminosa sarebbero espressamente indicati come proventi di reato e, dunque, la condotta contestata, nella sua globalità, non costituirebbe reato.

 Il ricorrente, in via subordinata, chiede di consentire la consegna solo limitatamente ai beni dichiaratamente derivanti da reato.

 3. In prossimità dell'udienza l'avvocato Nicola Canestrini ha depositato motivi aggiunti, deducendo l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e, segnatamente, degli artt. 2 legge 69/2005,6 CEDU, 19 T.U.E., 47 CDFUE e 111 della Costituzione, e la mancanza di motivazione in merito all'insussistenza di un rischio di violazione del diritto del M ad un "processo equo" in caso di consegna (motivo di ricorso n. 1).

 Espone il ricorrente che ulteriore prova della sistemica carenza di indipendenza dell'autorità giudiziaria emittente sarebbe costituita dalla sentenza, sopravvenuta al deposito del ricorso, con la quale la Corte Costituzionale polacca, in data 10 marzo 2002, ha stabilito che l'articolo 6 par. 1 della CEDU, nella parte in cui garantisce il diritto dei singoli a che la propria causa sia esaminata da un giudice "precostituito per legge", è incompatibile con la Costituzione della Polonia, e dunque da ora in poi non potrà più trovare applicazione.

 CONSIDERATO IN DIRITTO

 1. Il ricorso deve essere accolto nei limiti che di seguito si precisano.

 2. Occorre rilevare, in via preliminare, che l'art. 18 del d. Igs. 2 febbraio 2021, n. 10 ha modificato l'art. 22 della legge n. 69 del 2005 ammettendo il ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa dalla corte di appello sulla richiesta di consegna nella disciplina del mandato di arresto europeo solo «per i motivi, contestualmente enunciati, di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 dell'articolo 606 del codice di procedura penale» e, dunque, non per vizi della motivazione.

 3. Con il primo motivo il ricorrente deduce l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 2 della legge n. 69 del 2005, 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), 19 del Trattato dell'Unione europea (T.U.E.), 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), 111 della Costituzione, e la mancanza di motivazione in merito all'erronea valutazione circa l'insussistenza di un rischio di violazione del diritto fondamentale a un equo processo innanzi a un giudice precostituito per legge.

 4. Il motivo è infondato.

 La Corte di Giustizia dell'Unione europea ha riconosciuto che l'autorità giudiziaria dell'esecuzione, in circostanze eccezionali e a determinate condizioni, può rifiutare di dare esecuzione a  un mandato d'arresto europeo laddove sussista un rischio reale che la consegna dell'interessato possa portare a una violazione del

diritto fondamentale ad essere giudicato da un giudice imparziale sancito dall'articolo 47, secondo paragrafo, della Carta, a causa di preoccupazioni in merito all'indipendenza della magistratura nello Stato emittente (Corte Giustizia, 25 luglio 2018, C-216/18 PPU, LM. S).

 La Corte di giustizia, in particolare, in questa pronuncia, ha sancito che «l'articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, deve essere interpretato nel senso che, qualora l'autorità giudiziaria dell'esecuzione, chiamata a decidere sulla consegna di una persona oggetto di un mandato d'arresto europeo emesso ai fini dell'esercizio di un'azione penale, disponga di elementi, come quelli contenuti in una proposta motivata della Commissione europea, adottata a norma dell'articolo 7, paragrafo 1, TUE, idonei a dimostrare l'esistenza di un rischio reale di violazione del diritto fondamentale a un equo processo garantito dall'articolo 47, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, a causa di carenze sistemiche o generalizzate riguardanti l'indipendenza del potere giudiziario dello

Stato membro emittente, detta autorità deve verificare in modo concreto e preciso se, alla luce della situazione personale di tale persona, nonché della natura del reato per cui è perseguita, e delle circostanze di fatto poste alla base del mandato d'arresto europeo, e tenuto conto delle informazioni fornite dallo Stato membro emittente, ai sensi dell'articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro 2002/584, come modificata, vi siano motivi seri e comprovati di ritenere che, in caso di consegna a quest'ultimo Stato, detta persona corra un siffatto rischio».

 Recentemente la Corte di Giustizia, riunita in Grande Sezione, nella sentenza del 22 febbraio 2022, nelle cause riunite C-562/21 PPU e C-563-21, rispondendo a due domande di pronuncia pregiudiziale propostele dal Rechtbank Amsterdam, nell'ambito dell'esecuzione nei Paesi Bassi di due mandati d'arresto europei emessi da due Tribunali regionali polacchi, ha ulteriormente chiarito il contenuto del c.d. double step approach delineato nella precedente sentenza.

 La Corte di giustizia ha, infatti, precisato il sindacato che spetta al giudice richiesto di eseguire il mandato di arresto e ha affermato «che l'art. 1, parr. 2 e 3, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa

al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio

2009, deve essere interpretato nel senso che, quando l'autorità giudiziaria dell'esecuzione chiamata a decidere sulla consegna di una persona oggetto di un mandato d'arresto europeo dispone di elementi che attestano l'esistenza di carenze sistemiche o generalizzate concernenti l'indipendenza del potere

giudiziario dello Stato membro emittente, per quanto riguarda segnatamente la procedura di nomina dei membri di tale potere, la suddetta autorità può rifiutare la consegna della persona in parola soltanto laddove:

- nell'ambito di un mandato d'arresto europeo emesso ai fini dell'esercizio di un'azione penale, questa stessa autorità constata che sussistono, nelle particolari circostanze della causa, seri e comprovati motivi di ritenere che, tenuto conto

segnatamente degli elementi forniti dalla persona di cui trattasi e relativi alla sua situazione personale, alla natura del reato per il quale quest'ultima è sottoposta a procedimento penale, al contesto di fatto in cui tale mandato d'arresto europeo si

inserisce o a qualsiasi altra circostanza rilevante ai fini della valutazione dell'indipendenza e dell'imparzialità del collegio giudicante verosimilmente chiamato a conoscere del procedimento a carico della persona in parola, quest'ultima corra, in caso di consegna, un rischio reale di violazione del diritto fondamentale di cui trattasi» (Corte giustizia, 20/02/2022, in cause riunite C- 562/21 PPU e C-563/21, X e Y, § 103).

 

In senso analogo si era, peraltro, orientata la giurisprudenza di legittimità, rilevando che, in tema di mandato di arresto europeo, ai fini del rifiuto della consegna ad uno Stato estero fondato sul pericolo che la persona sia sottoposta ad un procedimento in violazione del diritto ad un equo processo, non è sufficiente

la mera denuncia da parte del consegnando di gravi carenze sistemiche rilevate nei confronti dello Stato di emissione essendo invece necessario che egli alleghi circostanze specifiche e concrete che possano giustificare anche il mero sospetto

del carattere non equo del procedimento (Sez. 6, n. 15924 del 21/05/2020, Mokrzyci, Rv. 278889 - 01, fattispecie relativa a richiesta di consegna proveniente dalle autorità giudiziarie polacche, rispetto alla quale il ricorrente aveva

genericamente lamentato il difetto di indipendenza e terzietà dell'autorità giudiziaria polacca, senza addurre l'effettiva incidenza negativa di tali carenze rispetto al proprio procedimento).

 Nel caso di specie la Corte di appello di Milano ha fatto buon governo dei principi affermati dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea e dalla giurisprudenza di legittimità, rilevando, con motivazione non certo apparente, che le carenze sistemiche e generalizzate del sistema giudiziario polacco non possono giustificare il rifiuto della consegna in assenza della prova di un pregiudizio individuale per il soggetto richiesto in consegna.

 Nella valutazione della Corte di appello non risulta dimostrato alcun rischio «serio e comprovato» di pregiudizio individuale per il diritto fondamentale del ricorrente ad un equo processo dinanzi ad un giudice indipendente e imparziale, anche in ragione della «natura comune» del reato contestato (ricettazione).

 La Corte di appello ha, inoltre, congruamente rilevato nella sentenza impugnata che non vi è prova che la mancanza di autonomia dell'autorità giudiziaria polacca abbia cagionato un pregiudizio in concreto per lo svolgimento del processo nei confronti del M e che le ripercussioni individuali non possono essere inferite dal potere del Ministro della giustizia polacco di disporre il distaccamento dei giudici.

 Non risulta, peraltro, che nella specie il provvedimento di distacco del giudice abbia connessioni con la trattazione del procedimento pendente nei confronti del M o sia stato determinato dallo stesso.

 La mancata revoca del mandato di arresto europeo a fronte della restituzione parziale dei beni sottoposti  a sequestro in favore del ricorrente, per come prospettata, non pare, inoltre, poter dimostrare il pregiudizio individuale per l'imparzialità del giudizio, in quanto ben potrebbe essere espressione di una fisiologica valutazione discrezionale sulla permanenza dell'ipotesi accusatoria formulata, eventualmente solo ridotta nella propria ampiezza.

 5. Per analoghe ragioni deve ritenersi infondato, e, dunque, deve essere rigettato, il motivo aggiunto presentato dal ricorrente in prossimità della celebrazione dell'udienza.

 Con tale motivo il ricorrente deduce che un'ulteriore prova della sistemica carenza di indipendenza dell'autorità giudiziaria polacca sarebbe costituita dalla sentenza n. 7 del 10 marzo 2022 della Corte costituzionale polacca, con la quale è stato stabilito che l'art. 6, par. 1, della CEDU, nella parte in cui garantisce il diritto dei singoli a che la propria causa sia esaminata da un giudice «precostituito per legge», è incompatibile con la Costituzione della Polonia.

 Come ha già rilevato questa Corte, fin tanto che la disciplina del mandato d'arresto europeo non sia sospesa, ai sensi dell'art. 7, par. 2, T.U.E., nei confronti dello Stato membro - la possibilità di rifiutare la consegna va riconosciuta soltanto «in circostanze eccezionali», in cui l'autorità giudiziaria di esecuzione accerti, ad esito di una valutazione concreta dello specifico caso, che vi sono motivi seri e comprovati per ritenere che la persona richiesta corra, a seguito della consegna, un rischio reale di violazione dei suoi diritti fondamentali (Sez. 2, n. 6633 del 17/02/2021, Mokrzyci, Rv. 280657 - 01, fattispecie relativa al rischio di violazione dello Stato di diritto rilevato dalla Risoluzione del Parlamento europeo del 17 settembre 2020 in merito alla mancanza di indipendenza della magistratura in Polonia).

 Il considerando 10 della decisione quadro 2002/584 sancisce, infatti, che l'attuazione del meccanismo del mandato d'arresto europeo può essere sospesa solo in caso di grave e persistente violazione da parte di uno Stato membro dei principi sanciti all'articolo 2 TUE, tra cui quello dello Stato di diritto, constatata dal Consiglio europeo in applicazione dell'articolo 7, paragrafo 2, TUE, e con le conseguenze previste al paragrafo 3 dello stesso articolo.

 Soltanto in presenza di una decisione del Consiglio europeo, seguita dalla sospensione da parte del Consiglio dell'applicazione della decisione quadro 2002/584 nei confronti dello Stato membro interessato, l'autorità giudiziaria dell'esecuzione sarebbe tenuta a rifiutare automaticamente l'esecuzione di ogni mandato d'arresto europeo emesso da detto Stato membro, senza dover svolgere alcuna valutazione concreta del rischio reale, corso dall'interessato, di lesione del contenuto essenziale del suo diritto fondamentale a un equo processo (Corte giustizia, Corte Giustizia, 25 luglio 2018, C-216/18 PPU, LM. S, § 7).

 6. Con il secondo motivo il ricorrente censura l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale, in relazione all'art. 2 della legge n. 69 del 2005, agli artt. 2 e 3 CEDU, all'art. 4 CDFUE e la mancanza di motivazione in ordine all'erronea valutazione circa l'insussistenza di un rischio di violazione del diritto del M a non subire trattamenti inumani e degradanti in caso di  consegna.

 7. Il motivo è infondato.

 Il vizio di motivazione denunciato dal ricorrente è, infatti, insussistente in quanto la Corte di appello di Milano, in attuazione dei principi affermati dalla Gran Camera della Corte di Giustizia nella sentenza 5 aprile 2016 (404/15, Aaranyosi e C 659/15, Caldararu) e dalla giurisprudenza di legittimità (ex plurimis: Cass. Sez. 6 n. 23277 del 1/6/2016, Barbu, Rv 267296), ha esaminato le censure svolte dal ricorrente e ha ritenuto che le stesse non evidenzino situazioni di rischio specifico e, dunque, individuale, per il ricorrente.

 Le sentenze della Corte Edu invocate dal ricorrente (Orchhowski c. Polonia e Kauczor c. Polonia), del resto, non fanno riferimento alle condizioni attuali del sistema penitenziario polacco, essendo state emesse nel 2009, e i documenti del Comitato per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti (CPT) non fondano un rischio individuale nelle forme delineate dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia e della Corte di Cassazione, in quanto si riferiscono prioritariamente ad abusi commessi nella fase precautelare dell'arresto.

 Parimenti non sussiste la violazione di legge denunciata nella motivazione della Corte di appello di Milano.

 La giurisprudenza di legittimità, in più sentenze, ha rilevato recentemente che non appare necessario richiedere informazioni individualizzate sulle condizioni carcerarie in Polonia, risultando sufficienti quelle generali emergenti dal rapporto del Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d'Europa del 25 luglio 2018, che ha definito accettabili le condizioni materiali degli istituti di custodia di polizia (le celle risulterebbero di sufficiente ampiezza e adeguatamente equipaggiate) e ha soltanto auspicato un miglioramento di quelle penitenziarie (all'epoca comunque dotate di uno spazio di 3 mq. per ogni detenuto, ovvero in linea con la soglia minima dello spazio individuale intramurario stabilito ai fini dell'art. 3 CEDU dalla Corte europea per i diritti dell'uomo) (ex plurimis: Sez. 6, n. 107266 del 23/04/2022, Danilul; Sez. 6, n. 15924 del 21/05/2020, Mokrzyci, Rv. 278889 - 01; Sez. 6, n. 8081 del 25/2/2021, Kalwajtys).

 8. Con il quarto motivo il ricorrente censura l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale, in relazione all'art. 7 della legge n. 69 del 2005, in merito all'erronea valutazione circa il rispetto del requisito della doppia incriminabilità nel caso di specie.

 9. Il motivo è, tuttavia, infondato. Secondo il costante orientamento di questa Corte, infatti, in tema di mandato di arresto europeo, per soddisfare la condizione della doppia punibilità prevista dall'art. 7, comma primo, della I. 22 aprile 2005, n. 69, non è necessario che lo schema astratto della norma incriminatrice dell'ordinamento straniero trovi il suo esatto corrispondente in una norma dell'ordinamento italiano, ma è sufficiente che la concreta fattispecie sia punibile come reato in entrambi gli ordinamenti, a nulla rilevando l'eventuale diversità, oltre che del trattamento sanzionatorio, anche del titolo e di tutti gli elementi richiesti per la configurazione del reato (ex plurimis: Sez. 6, n. 27483 del 29/05/2017, Majkowska, Rv. 270405 - 01; Sez. 6, n. 22249 del 03/05/2017, Bernard, Rv. 269918-01; Sez. 6, n. 19406 del 17/05/2012, Ferrari, Rv. 252723-01; Sez. 6, n. 4538 del 01/02/2012, Cozma, Rv. 251790 - 01).

 Anche a seguito della modifica dell'art. 7 della legge 22 aprile 2005, n. 69, per effetto del d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 10, per integrare il requisito della doppia punibilità, che costituisce presupposto indispensabile per potersi far luogo alla consegna, non è necessario che coincidano la qualificazione giuridica ed i singoli elementi costitutivi delle fattispecie incriminatrici previste dallo Stato richiedente e da quello richiesto (Sez. 6, n. 21336 del 26/05/2021, Brocai, Rv. 281509 - 01, in applicazione del principio, la Corte ha escluso la ricorrenza della doppia punibilità con riferimento a condotte di contrabbando inquadrabili negli artt. 292 e 294 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, trattandosi di reati depenalizzati dall'art. 1, comma 1, del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8).

 Declinando tali consolidati principi nel caso di specie, deve rilevarsi che la divergenza tra la fattispecie del codice penale polacco e quella italiana evidenziata dal ricorrente non consente di escludere la sussistenza della doppia punibilità come definita dall'art. 7 della legge n. 69 del 2005 e interpretata dal costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, in quanto, come correttamente rilevato dalla Corte di appello di Milano, l'addebito concretamente formulato nei confronti del M è agevolmente riconducibile alla fattispecie interna della ricettazione.

  10. Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale, in relazione all'art. 5 TUE, artt. 6, 7, 52 CDFUE, artt. 5-8 CEDU, e la mancanza di motivazione in ordine alla violazione del principio di proporzionalità da parte dell'autorità giudiziaria polacca nell'emissione a carico del M del mandato di arresto europeo.

 11. Il motivo può essere accolto nei limiti che di seguito si precisano. La decisione quadro 2002/584/GAI, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, è fondata sul principio del reciproco riconoscimento, di cui ha costituito la prima concretizzazione.

 11.1. L'art. 1, par. 2, della decisione quadro sul mandato di arresto europeo sancisce che «gli Stati membri danno esecuzione ad ogni mandato d'arresto europeo in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alle disposizioni della presente decisione quadro».

 A questa regola la decisione quadro prevede tassative eccezioni costituite dai motivi di non esecuzione obbligatoria (art. 3) e facoltativa (artt. 4 e 4-bis).

 11.2. La Corte di giustizia dell'Unione europea ha, peraltro, affermato che il primato del diritto dell'Unione e la sua effettività precludono agli Stati membri la possibilità di introdurre ex novo motivi ostativi dell'esecuzione o di estendere la portata di quelli previsti dalla decisione quadro.

 La decisione quadro ha, infatti, disciplinato la materia dei limiti alla consegna in modo esaustivo e, pertanto, non è possibile imporre restrizioni ulteriori all'esecuzione di un mandato, né mediante le norme statali di trasposizione né attraverso l'attività interpretativa dei giudici nazionali (Corte di giustizia, 26/02/2013, in causa C-399/11, Melloni, par. 44).

 11.3. Il mandato di arresto europeo emesso dall'autorità giudiziaria polacca è corredato di una motivazione nella quale si precisa che il mandato è stato emesso «allo scopo di condurre il procedimento istruttorio in corso presso la Procura Distrettuale di Siedlce...» e si aggiunge che «APM si nasconde dalle autorità giudiziarie, fuori dai confini nazionali, e quindi non è possibile svolgere attività con la sua partecipazione che sono necessarie per il procedimento istruttorio nel caso...svolto dalla Procura Distrettuale di Siedlce».

Per quanto risulta dalla motivazione sembrerebbe essersi in presenza di un mandato di arresto europeo emesso per esigenze esclusivamente investigative (peraltro imprecisate nel contenuto e nel tempo) e senza alcun riferimento al successivo esercizio dell'azione penale.

 L'art. 1, par. 1, della decisione quadro 2002/584/GAI, tuttavia, definisce il mandato d'arresto europeo come «una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell'arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell'esercizio di un'azione penale o dell'esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privative della libertà».

 La definizione del legislatore europeo, dunque, non contempla un mandato di arresto europeo strumentale ad esigenze meramente investigative, dovendo lo stesso pur sempre essere finalizzato all'esercizio dell'azione penale.

 Questa Corte ha, peraltro, affermato che non può essere data esecuzione ad un mandato di arresto europeo emesso esclusivamente per sottoporre la persona richiesta in consegna ad atti di istruzione (nella specie, interrogatori e confronti), perché in tal modo verrebbe impiegato lo strumento coercitivo per finalità investigative, non previste dalla decisione-quadro del 13 giugno 2002 e dalla relativa legge di attuazione del 22 aprile 2005 n. 69 (Sez. 6, n. 15970 del 17/04/2007, Piras, Rv. 236378-01).

 La giurisprudenza di legittimità ha, in altre occasioni, ritenuto legittima la consegna in esecuzione di mandato di arresto europeo ai fini dell'esercizio dell'azione penale in relazione al provvedimento volto a consentire l'assunzione di un interrogatorio (Sez. 6, n. 43386 del 11/10/2016, Berdzik, Rv. 268305 - 01), di un confronto (Sez. 6, n. 51511 del 18/12/2013, Lampugnani, Rv. 258510 - 01) e accompagnamento a fini investigativi per l'espletamento dell'interrogatorio e della ricognizione formale (Sez. 6, n. 45043 del 20/12/2010, Velardi, Rv. 249219),

 In tali pronunce, tuttavia, la Corte ha deciso casi nei quali gli atti istruttori da compiere erano specificamente individuati, determinati ab origine, e non assolutamente indeterminati, come nel caso di specie.

 L'inammissibilità di un mandato di arresto europeo per ragioni esclusivamente investigative e indeterminate è, inoltre, confermata dalla direttiva 2014/41/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014 relativa all'ordine europeo di indagine penale.

 Il considerando n. 25 della direttiva sancisce che «La presente direttiva stabilisce le regole sul compimento in tutte le fasi del procedimento penale, compresa quella processuale, di un atto di indagine, se necessario con la partecipazione della persona interessata ai fini della raccolta di elementi di prova.

 Ad esempio un ordine europeo di indagine può essere emesso per il trasferimento temporaneo di tale persona nello Stato di emissione o per lo svolgimento di un'audizione mediante videoconferenza. Tuttavia, qualora tale persona debba essere trasferita in un altro Stato membro ai fini di un procedimento penale, anche per comparire dinanzi a un organo giurisdizionale per essere processata, dovrebbe essere emesso un mandato d'arresto europeo (MAE) in conformità della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio».

 Il considerando n. 26 aggiunge che «Per garantire un uso proporzionato del MAE, l'autorità di emissione dovrebbe esaminare se un OEI costituisca un mezzo efficace e proporzionato per svolgere i procedimenti penali. L'autorità di emissione dovrebbe esaminare, in particolare, se l'emissione di un OEI ai fini dell'audizione di una persona sottoposta a indagini o di un imputato mediante videoconferenza possa costituire una valida alternativa».

 Tali previsioni dimostrano come, nel diritto dell'Unione europea, il mandato di arresto europeo non possa essere emesso esclusivamente per finalità investigative, disancorate dall'esercizio dell'azione penale nello stato richiedente, in quanto per il perseguimento delle legittime finalità investigative sono previsti strumenti alternativi della cooperazione europea nello spazio giuridico comune.

 L'obiettiva incertezza circa le ragioni istruttorie che sono state poste a fondamento dell'adozione del mandato di arresto europeo di cui si controverte impone, dunque, di chiarire, mediante la richiesta di informazioni integrative all'autorità emittente, ai sensi dell'art. 16 della legge n. 69 del 2005, quali siano gli atti istruttori da compiere con la presenza della persona richiesta in consegna, e se la sua presenza sia indispensabile per il prosieguo del procedimento o ai fini dell'esercizio dell'azione penale.

 Solo tale accertamento consentirà, infatti, di chiarire se il mandato di arresto europeo sia conforme al paradigma delineato dall'art. 1, par. 1, della decisione quadro 2002/584/GAI e esaminare compiutamente la censura svolta dal ricorrente.

 12. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere accolto e deve essere disposto l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano perché provveda ad acquisire le informazioni integrative sopra indicate.

 P.Q.M.

 Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, della legge n. 69 del 2005.

 Così deciso il 14/04/2022