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Processo tributario, prova per presunzioni (Cass. 17183/15)

26 agosto 2015, Cassazione civile

E' consentito l’ingresso nell’accertamento fiscale, prima, e nel processo tributario, poi, di elementi comunque acquisiti e, dunque, anche di prove atipiche ovvero di dati acquisiti in forme diverse da quelle regolamentate, secondo i canoni caratteristici della prova per presunzioni: tali elementi non sono predeterminati né predeterminabili dalla legge, poiché qualunque cosa, documento o dichiarazione può costituire la base per una inferenza presuntiva idonea a produrre conclusioni probatorie circa i fatti della causa. Si può dunque ravvisare nella categoria delle presunzioni semplici (salvo i limiti di cui all’art. 2729 cod. civ.), la via attraverso la quale le prove atipiche posso entrate nel processo civile. 

Il procedimento che deve necessariamente seguirsi in tema di prova per presunzioni, per non incorrere in vizi di legittimità della decisione, si articola in due momenti valutativi:

a) prima occorre che il giudice esamini ognuno degli elementi indiziari per eliminare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e, invece, conservare quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria;

b) poi occorre che egli proceda a una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi così isolati e accerti se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una prova logicamente valida, in rapporto di vicendevole completamento e secondo crismi di ragionevole probabilità e non necessariamente di certezza.

Corte di Cassazione

sez. Tributaria, sentenza 9 giugno - 26 agosto 2015, n. 17183
Presidente Piccininni - Relatore Cirillo

Ritenuto in fatto

Il 1° febbraio 2009 all’aeroporto di Malpensa era trattato in arresto, in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare per fatti di riciclaggio, l’avvocato svizzero F.P.. Nella circostanza gli era sequestrato un personal computer con archiviati centinaia di nominativi relativi a clientela assistita dal professionista o dal suo studio.

La consulenza tecnica fatta espletare dalla Procura milanese consentiva di appurare che l’avv. P. o la X S.A., a lui riconducibile, avevano promosso, in forza di rapporti di mandato e/o di consulenza variamente articolati, (a) la costituzione di trust e fondazioni nel Liechtenstein e di società ed enti in vari Paesi stranieri, (b) l’interposizione di società-veicolo, (c) la realizzazione di espedienti per consentire la permanenza all’estero di capitali “scudati”, nonché finanziamenti e ristrutturazioni societarie per il rientro in Italia di capitali detenuti all’estero.

In particolare, la Polizia tributaria appurava che tra i files ne ve erano alcuni riferiti alla società Y con sede a Mauren (Liechtenstein) associata ai nominativi di C.M. e D.S. in M. e a talune disponibilità bancarie non dichiarate e costituite presso il Credit Suisse di Chiasso.

Nel contempo, i militari rilevavano taluni accreditamenti e prelevamenti non giustificati su conti bancari italiani dei coniugi M.-S..

Ne scaturivano atti impositivi e di contestazione di sanzioni nei confronti di C.M. e D.S. in M. per l’anno d’imposta 2005 (ID.DD., IVA), che erano annullati dalla Commissione tributaria provinciale di Firenze con decisione 139/20/12 confermata nel merito dalla Commissione tributaria regionale della Toscana che, con sentenza del 16 ottobre 2013 (101/25/13), ha riformato la pronunzia di primo grado solo in punto di spese, compensandole.

Il giudice d’appello ha motivato il rigetto dell’appello erariale sul merito della pretesa fiscale “osservando come non siano emersi elementi in grado di confortare ulteriori considerazioni a quanto già minimamente (ed insufficientemente) evidenziato negli avvisi di accertamento, posto che la situazione circostanziale non è per certo vinta, in termini di presunzioni, da quelle che, allo stato, altro non sono che mere considerazioni erariali”.

In particolare, quanto alle disponibilità all’estero, ha osservato che non era dimostrato il passaggio tra i depositi svizzeri asseritamente riferibili ai coniugi M.-S. e i loro conti italiani, così come, in mancanza di rogatorie in Liechtenstein, non era dimostrata la riconducibilità ai contribuenti della Y.
Tuttavia, i margini di obiettiva incertezza della vicenda giustificavano, per il giudice d’appello, la compensazione integrale di tutte le spese di lite.
Per la cassazione delle sentenza d’appello, per quanto a ciascuno sfavorevole, ricorrono in pari data l’Agenzia delle Entrate e i coniugi M.-S., questi ultimi resistono al ricorso erariale con controricorso.

Considerato in diritto

Il ricorso erariale è fondato.

Con il primo motivo, denunciando la violazione di norme di diritto sostanziali [artt. 2727, 2729 cod. civ.; art. 39, comma 1, lett. c-d), e art. 41 d.p.r. 600/1973; art. 12, comma 2, d.l. 78/2009; art. 4-5 d.l. 167/1990], l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza d’appello laddove nega valore indiziario ai contenuti dei files rinvenuti nel p.c. sequestrato all’avv. P. e l’inferenza che ne deriva in relazione a una serie di dati logici e circostanziali desumibili dagli accertamenti fiscali.

Il motivo è fondato perché il giudice di appello ha erroneamente applicato la disciplina in tema di presunzioni.

Va premesso, in tesi generale, che il diritto interno, tanto in materia di imposte dirette (d.p.r. 600/1973, art. 39, comma 2, e art. 41, comma 2) quanto in tema d’imposta sul valore aggiunto (d.p.r. 633/1972, artt. 54 e 55, comma 2), consente l’ingresso nell’accertamento fiscale, prima, e nel processo tributario, poi, di elementi comunque acquisiti e, dunque, anche di prove atipiche ovvero di dati acquisiti in forme diverse da quelle regolamentate (d.p.r. 600/1973, art. 32 e 33; d.p.r. 633/1972, art. 51), secondo i canoni caratteristici della prova per presunzioni. Riguardo alla prova dei fatti giuridici la dottrina civilistica ha tempo chiarito che “un dato incontestabile è che tali elementi non sono predeterminati né predeterminabili dalla legge, poiché qualunque cosa, documento o dichiarazione può costituire la base per una inferenza presuntiva idonea a produrre conclusioni probatorie circa i fatti della causa. Si può dunque ravvisare nella categoria delle presunzioni semplici (salvo i limiti di cui all’art. 2729 cod. civ.), la via attraverso la quale le prove atipiche posso entrate nel processo civile”. Si aggiunto nella dottrina tributaria che “i requisiti tipici di una presunzione semplice non può essere stabilita a priori, ma consegue unicamente alla concreta valutazione del contenuto indiziario degli elementi tipici”.

È stato recentemente ricordato, in giurisprudenza, che al fine di valutare la corretta applicazione dell’art. 2729 cod. civ., anche successivamente alla modifica del vizio di motivazione nel giudizio di cassazione, occorre verificare che il giudice di merito abbia valutato i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza di tutti gli elementi offerti in giudizio attraverso un esame non parcellizzato, posto che la scorretta valutazione degli elementi, in quanto operata senza il rispetto dei criteri di legge, non integra un giudizio di fatto, ma una vera e propria valutazione in diritto soggetta al controllo di legittimità, anche in esito alla modifica dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. (Cass. 9760/2015, in tema di Lista Falciani; conf. S.U., 8054/2014/8U e Cass. 19894/2005).

Infatti, compete alla Corte di Cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 cod. civ., oltre ad essere applicata a livello di proclamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino o no ascrivibili alla fattispecie astratta (Cass. 17535/2008).

Se è sicuramente devoluto al monopolio del giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 cod. civ. per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, tale giudizio, tuttavia, non può sottrarsi al controllo in sede di legittimità, ai sensi dell’invocato art. 360 n. 3 cod. proc. civ., se, violando i succitati criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice si sia limitato a negare valore indiziario a singoli elementi acquisiti in giudizio, senza accertarne la capacità di assumere rilievo in tal senso, ove valutati nella loro sintesi (Cass. 9760/2015 e 19894/2005).

Il giudice d’appello ha trascurato gli elementi indiziari offerti dall’Agenzia e riproposti dalla parte pubblica in ricorso (§ 8.1 - 8.2 - 10 - 15) e disconosciuto valenza indiziante al contenuto della memoria informatica del p.c. sequestrato all’avvocato P., senza esaminarne le inferenze logiche.

Invero, dalle risultanze processuali emerge:
a) che l’avvocato P. fosse coinvolto in Operazioni trans-frontaliere sospette, nonché nella costituzione e amministrazione di fondazioni e trust in Paesi a fiscalità privilegiata, etc., tanto da suscitare l’attenzione investigativa dell’autorità giudiziaria penale milanese, sino al suo arresto all’aeroporto di Malpensa per fatti di riciclaggio;
b) che egli viaggiasse recando con sé un p.c. con centinaia nominativi e pratiche registrati su files relativi a operazioni su estero e a schermatura di capitali;
c) che le registrazioni sui files – attribuiti alla società Y (Liechtenstein) e associati ai nominativi di C.M. e D.S. in M. e alle disponibilità bancarie costituite presso il Credit Suisse di Chiasso – non fossero dissimili dalle altre registrazioni riguardanti centinaia di nominativi, società e conti bancari;
d) che non vi fosse alcuna ragione logica, esposta in sentenza, per cui i nominativi di C.M. e D.S. in M. potessero finire accidentalmente nella memoria informatica di un professionista dedito ad affari come quelli sopra indicati (sub a).

Di tutti tali elementi logici e circostanziali, in larga misura pacifici, il giudice d’appello avrebbe dovuto dar conto prima di affermare che non fosse dimostrata la disponibilità dei depositi svizzeri in capo ai coniugi M.-S. e la riconducibilità ai contribuenti della Y. Si aggiunga che le acquisizioni della Guardia di Finanza attengono al procedimento di accertamento fiscale e, avendo natura di atti inerenti a procedimenti amministrativi, essi esulano dalla disciplina relativa alle rogatorie (Cass. 8606/2015 e giur. ivi cit.).

È, del resto, priva di rilievo la circostanza che il Fisco italiano non abbia verificato in loco le disponibilità estere attribuite ai coniugi M.-S., poiché la peculiare impermeabilità di Liechtenstein e Svizzera, all’epoca dei fatti, non consentiva alcuna ragionevole possibilità di riscontro collaborativo che fosse di conforto al contenuto della Lista P. per l’amministrazione italiana. Infatti, la semplice allocazione di attività societarie (anstalt) e finanziarie in Liechtenstein e Svizzera consentiva l’occultamento al Fisco italiano della disponibilità delle stesse in capo ai contribuenti nazionali, stante la solo recente caduta delle barriere di segretezza in forza degli accordi del 23 e del 26 febbraio 2015 tra l’Italia e rispettivamente la Svizzera e il Liechtenstein in tema di scambio di informazioni ai fini fiscali.

Dunque, è l’intero compendio logico e circostanziale offerto dall’Agenzia a riprova della propria pretesa impositiva a dover essere valutato unitariamente dal giudice di merito che, nel raffronto fra gli indizi disponibili e la conseguente scelta di quelli conducenti, deve dar conto degli eventuali elementi di controprova rispetto ai dati enucleabili dalla Lista P. stessa. Resta, comunque, fermo il criterio secondo cui le circostanze sulle quali la presunzione si fonda devono essere tali da lasciare apparire l’esistenza del fatto ignoto come una conseguenza solo ragionevolmente probabile del fatto noto, dovendosi ravvisare una connessione fra i fatti accertati e quelli ignoti secondo regole di esperienza che convincano di ciò, sia pure con qualche margine di opinabilità (Cass. 6220/2005).

A tal fine, il giudice di merito non può limitarsi ad enunciare il giudizio nel quale consiste la sua valutazione, ma deve impegnarsi anche nella descrizione del processo cognitivo attraverso il quale è giunto al finale giudizio.

Il procedimento che deve necessariamente seguirsi in tema di prova per presunzioni, per non incorrere in vizi di legittimità della decisione (Cass. 13819/2003), si articola in due momenti valutativi: a) prima occorre che il giudice esamini ognuno degli elementi indiziari per eliminare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e, invece, conservare quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; b) poi occorre che egli proceda a una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi così isolati e accerti se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una prova logicamente valida, in rapporto di vicendevole completamento (Cass. 9108/2012) e secondo crismi di ragionevole probabilità e non necessariamente di certezza (Cass. 4306/2010).
Il tutto poi va necessariamente correlato agli obblighi di estensione fiscale, alle presunzioni di redditività e al regime sanzionatorio stabiliti dalla legge 167/1990 a carico del contribuente per i trasferimenti di danaro e altri valori verso l’estero.
La sentenza d’appello, discostatasi dagli enunciati principi di diritto, va dunque cassata con rinvio sul punto, in accoglimento del primo motivo.
Fondato è anche il secondo motivo del ricorso erariale che denuncia il malgoverno delle norme di diritto sostanziali in tema di movimentazioni bancarie (art. 32, comma 1, n. 2 d.p.r. 600/1973 e art. 51, comma 1, n. 2, d.p.r. 633/1972) laddove la distinta ripresa fiscale legata ai flussi finanziari sui conti italiani dei contribuenti – disattesa dal giudice di primo grado e riproposta in appello dal Fisco con motivo d’impugnazione – è stata nuovamente disattesa dal giudice regionale.
Invero, la Commissione, con unica valutazione preliminare riferita a tutte le riprese fiscali contestate, si è limitata a osservare “come … non siano emersi elementi in grado di confortare ulteriori considerazioni a quanto già minimamente (ed insufficientemente) evidenziato negli avvisi di accertamento, posto che la situazione circostanziale non è per certo vinta, in termini di presunzioni, da quelle che, allo stato, altro non sono che mere considerazioni erariali”.
Sennonché il giudice d’appello trascura che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito di impresa, l’art. 32 d.p.r. 600/1973 impone di considerare ricavi sia i prelevamenti, sia i versamenti su conto corrente, salvo che il contribuente non provi che questi ultimi sono registrati in contabilità e che i primi sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire l’acquisizione di utili (Cass. 16896/2014).
Si aggiunga che i movimenti bancari operati sui conti personali di soggetti legati al contribuente da stretto rapporto familiare possono essere riferiti al contribuente, salva la prova contraria a suo carico, al fine di determinarne i maggiori ricavi non dichiarati, in quanto tali rapporti di contiguità rappresentano elementi indiziari che assumono consistenza di prova presuntiva, ove il soggetto formalmente titolare del conto non sia in grado di fornire indicazioni sulle somme prelevate o versate e non disponga di proventi diversi o ulteriori rispetto a quelli derivanti dalla gestione dell’attività imprenditoriale (Cass. 20668/2014).
Si tratta di principi validi tanto per l’accertamento di maggiori imposte dirette quanto di maggiore imposta sul valore aggiunto, ex art. 32 d.p.r. 600/1973 e art. 51 d.p.r. 633/1972 (Cass. 26829/2014 e 12624/2012).
La sentenza d’appello, discostatasi dagli enunciati principi di diritto, va dunque cassata con rinvio sul punto, in accoglimento del secondo motivo.
Il ricorso dei contribuenti, riguardando la compensazione delle spese processuali, resta assorbito dalla cassazione delle sentenza di merito e dalla necessità di nuova rivalutazione degli esiti complessivi del giudizio da parte del giudice di rinvio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, dichiara assorbito il ricorso dei contribuenti, cassa la sentenza d’appello e rinvia la causa, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Toscana che, in diversa composizione, procederà a nuovo esame osservando i principi di diritto enunciati in motivazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte di tutti i ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per ciascun ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.