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Povertà non autorizza al furto (Cass, 12860/19)

25 marzo 2019, Cassazione penale

La situazione di indigenza non è di per sé idonea ad integrare la scriminante dello stato di necessità per difetto degli elementi dell'attualità e dell'inevitabilità del pericolo, atteso che alle esigenze delle persone che versano in tale stato è possibile provvedere per mezzo degli istituti di assistenza sociale.

Lo stato di bisogno dell'imputato non può integrare di per sé la scriminante dello stato di necessità e che non può essere riconosciuto al mendicante che si trovi in ristrettezze economiche, perché la possibilità di ricorrere all'assistenza degli enti che la moderna organizzazione sociale ha predisposto per l'aiuto agli indigenti ne esclude la sussistenza, in quanto fa venir meno gli elementi dell'attualità e dell'inevitabilità del pericolo grave alla persona.  

Corte di Cassazione

sez. IV Penale, sentenza 20 novembre 2018 – 25 marzo 2019, n. 12860
Presidente Izzo – Relatore Dawan

Ritenuto in fatto

1. In data 30/11/2017, la Corte di appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Cosenza, ha assolto El. Ve. dal reato ascritto al capo a) della rubrica perché il fatto non sussiste e, per l'effetto, ha rideterminato la pena per la residua imputazione, riconosciute le circostanze attenuanti di cui agli artt. 62-bis e 62, n. 4, cod. pen., equivalenti alle aggravanti e alla recidiva contestata, in anni uno di reclusione ed Euro 300 di multa.

2. Il capo b) ascritto alla Ve. contempla il reato di cui all'art. 624 e 625, comma 1, n. 7 cod. pen. perché, al fine di trarne profitto, si impossessava di alcune forme di formaggio sottraendole dagli scaffali -cui erano pubblicamente esposte - dell'esercizio commerciale Despar, sito presso il centro commerciale Metropolis di Rende. Con l'aggravante di aver commesso il fatto su cose esposte alla pubblica fede e con la recidiva reiterata specifica infraquinquennale. In Rende il 20/06/2017.

3. Avverso la citata sentenza, l'imputata interpone ricorso per cassazione basandolo su tre motivi.

3.1. Primo motivo: violazione di legge in relazione agli artt. 624 e 625, comma 1, n. 7, cod. pen. Non sussiste l'aggravante della pubblica fede perché un addetto alla sicurezza provvedeva ad individuare ed a fermare l'imputata mentre si accingeva ad abbandonare l'esercizio commerciale, ponendo in essere una sorveglianza specifica non limitata al mero sistema di videosorveglianza presente in loco. Una corretta valutazione della vicenda avrebbe consentito di riqualificare il fatto come furto semplice, procedibile a querela di parte, nel caso di specie mancante.

3.2. Secondo motivo: violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo all'art. 54 cod. pen. laddove la Corte di appello nega la configurabilità dell'esimente sostenendo che alle esigenze delle persone indigenti é possibile provvedere per mezzo degli istituti di assistenza sociale i quali farebbero venir meno gli elementi dell'attualità e della inevitabilità dei pericolo grave alla persona. L'assunto, si sostiene, è smentito dalla giurisprudenza di legittimità la quale ha precisato che non è punibile per il reato di furto chi - come l'odierna ricorrente - per l'imprescindibile esigenza di alimentarsi, senza fissa dimora e occupazione, tenti di occultare e sottrarre da un supermercato piccole quantità di generi alimentari di esiguo valore, essendo ravvisabile la scriminante dello stato di necessità di cui all'art. 54 cod. pen.

3.3. Terzo motivo: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 56, 624 e 625, comma 1, n. 7. Manca del tutto il conseguimento, anche per un brevissimo lasso di tempo, dell'effettiva disponibilità della refurtiva perché la Ve. era stata seguita dal vigilante del supermercato, venendo poi fermata all'uscita dell'esercizio commerciale ed invitata a restituire il maltolto. Deve, dunque, trovare applicazione il principio stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte giusta il quale, nel caso di furto in un supermercato, il monitoraggio dell'azione furtiva in essere, esercitato mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce ovvero attraverso la diretta osservazione da parte delle persona offesa o dei dipendenti addetti alla sorveglianza ed il conseguente intervento difensivo in continenti impediscono la consumazione del delitto di furto che resta allo stadio del tentativo, non avendo l'agente conseguito, neppure momentaneamente, l'autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo del soggetto passivo.

Considerato in diritto

1. Il ricorso non può essere accolto.

2. I rilievi formulati con la prima doglianza sono infondati. La Corte di appello, condividendo quanto sostenuto dal primo Giudice, ha correttamente applicato i principi giurisprudenziali in materia rilevando che sussiste l'aggravante di cui all'art. 625 cod. pen., comma 1, n. 7, - sub specie di esposizione della cosa per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede - nel caso in cui il soggetto attivo si impossessi della merce sottratta dai banchi di un supermercato, considerato che nei supermercati - in cui la scelta delle merci avviene con il sistema del self service - la vigilanza praticata dagli addetti è priva di carattere continuativo e si connota come occasionale e/o a campione, mentre l'esclusione dell'aggravante in questione richiede che sulla cosa sia esercitata una custodia continua e diretta, non essendo sufficiente, a tal fine, una vigilanza generica, saltuaria ed eventuale (Sez. 5, sent. n. 6416 del 14/11/2014 (dep. 13/02/2015), Garofalo, Rv. 262663; Sez. 5, n. 34009 del 20/09/2006, P.M. in proc. Mocarski, Rv. 235223).
Con motivazione giuridicamente incensurabile e logica, la Corte territoriale ha ricordato che, nel caso di specie, né il sistema di videosorveglianza né gli addetti alla sicurezza hanno esercitato sull'imputata un controllo continuo; l'addetto alla sicurezza, Gi. Mi., ha dichiarato, nelle s.i.t. rese ai Carabinieri, di aver notato una signora allontanarsi dalle casse con fare sospetto, con qualcosa sotto il maglioncino grigio all'altezza dell'ascella destra, specificando di averla scorta appena al di fuori delle barriere di ingresso e di uscita e non anche durante tutto il percorso dell'azione furtiva, risultando, pertanto, sottratta alla sua vigilanza la precedente condotta di asportazione dal banco e di impossessamento.

2.1. Anche il secondo motivo non merita accoglimento, palesandosi la decisione del Giudice di appello sul punto del tutto corretta e conforme ai principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità per la quale la situazione di indigenza non è di per sé idonea ad integrare la scriminante dello stato di necessità per difetto degli elementi dell'attualità e dell'inevitabilità del pericolo, atteso che alle esigenze delle persone che versano in tale stato è possibile provvedere per mezzo degli istituti di assistenza sociale (Sez. 5, Sentenza n. 3967 del 13/07/2015 (dep. 29/01/2016), Petrache, Rv. 265888; Sez. 6, n. 27049 del 19/03/2008, Niang, Rv. 241014). In effetti, si è ritenuto che lo stato di bisogno dell'imputato non possa integrare di per sé la scriminante di cui all'art. 54 cod. pen. e che non possa essere riconosciuto al mendicante che si trovi in ristrettezze economiche, perché la possibilità di ricorrere all'assistenza degli enti che la moderna organizzazione sociale ha predisposto per l'aiuto agli indigenti ne esclude la sussistenza, in quanto fa venir meno gli elementi dell'attualità e dell'inevitabilità del pericolo grave alla persona (Sez. 1, n. 11863 del 12/10/1995, Hrustic, Rv. 203245 che richiama altresì la Corte Costituzionale, 28 dicembre 1995 n. 519, che aveva dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 670, comma 1, cod. pen.).

2.2. Altrettanto è a dirsi sull'invocata configurabilità del tentativo di cui al terzo motivo.

Diversamente da quanto assunto dalla ricorrente, la sentenza impugnata rileva, sulla base della ricostruzione dei fatti emergente dalle risultanze probatorie, che la condotta di impossessamento della merce si era già consumata perché non era stata monitorata né dagli appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce, né attraverso la diretta osservazione da parte della persona offesa o dei dipendenti addetti alla sorveglianza, in modo da evitare che l'imputata conseguisse, se pur momentaneamente, l'autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva. Come si è infatti già ricordato, gli addetti alla vigilanza dell'esercizio commerciale non si erano accorti dell'occultamento del formaggio da parte della Ve. subito dopo averlo prelevato dai banchi di esposizione ma solo in prossimità dell'uscita dalle barriere presso le casse, venendo la donna fermata solo dopo l'uscita dalle anzidette barriere.
Così ricostruita la vicenda, la conclusione cui è pervenuta la Corte di appello di Catanzaro è del tutto rispettosa dei principi stabiliti dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, sent. n. 52117 del 17/07/2014, Pg in proc. Prevete e altro, Rv. 261186) per le quali, in ipotesi di furto in supermercato, soltanto il monitoraggio della azione furtiva in essere, esercitato mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce ovvero attraverso la diretta osservazione da parte della persona offesa o dei dipendenti addetti alla sorveglianza ovvero delle forze dell'ordine presenti nel locale ed il conseguente intervento difensivo in continenti, impediscono la consumazione del delitto di furto che resta allo stadio del tentativo, non avendo l'agente conseguito, neppure momentaneamente, l'autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo del soggetto passivo.
Non questo è all'evidenza, per le ragioni dianzi ampiamente esposte, il caso in esame, dovendosi pertanto ritenere la relativa doglianza del tutto infondata.
3. In conclusione, si impone il rigetto del ricorso con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.