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Porte chiuse, il virus infetta il processo penale

17 ottobre 2020, Nicola Canestrini

La pubblicità delle procedure giudiziarie tutela le persone soggette alla giurisdizione contro una giustizia segreta, che sfugge al controllo del pubblico, e costituisce anche uno strumento per preservare la fiducia nei giudici, contribuendo così a realizzare l’equo processo. 

 

Dibattimenti penali sempre a porte chiuse? 

 

“L’accusatore per primo e l’imputato per secondo intervengano con un solo discorso; [...] inizi l’istruttoria, con una analisi adeguata dei fatti esposti. Tutti i cittadini [...] ascoltino con attenzione”

 Platone, Le leggi

1. Introduzione

Come noto, con il d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. decreto “Cura Italia”), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 70 del 17.3.2020, edizione straordinaria, ed entrato immediatamente in vigore, il Governo è tornato a disciplinare, tra le altre, la materia dello svolgimento dell’attività giudiziaria nell’attuale contesto di emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del Covid-19; a tale provvedimento si è sommato il d.l. 8 aprile 2020, n. 23], in vigore dal 9 aprile 2020; il decreto è stato convertito, con modifiche, dalle legge 24 aprile 2020 n. 27 recante "misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19. Proroga dei termini per l’adozione di decreti legislativi (c.d. Decreto Cura Italia)".

Posta l’indiscutibile necessità di regolamentare in via d’urgenza la materia, al fine di tutelare la salute pubblica e dei singoli e contenere altresì i possibili effetti negativi dell’epidemia sul regolare corso dei procedimenti penali, è stato rilevato (1) che la legislazione in commento non manchi di sollevare alcuni interrogativi: il tema di fondo è naturalmente quello del rapporto tra diritto alla salute, inteso nella sua duplice dimensione individuale e collettiva ai sensi dell’art. 32 Cost., le garanzie processuali e l'efficienza dell’attività giudiziaria, valori questi aventi tutti rango costituzionale e chiamati in causa dalla legislazione emergenziale.

Prima di affrontare la disamina di alcuni aspetti critici sottesi alla normativa, con particolare riferimento alla deroga ex lege della pubblicità del dibattimento, è bene ricordare che la disciplina era inizialmente affidata all’art. 83 del provvedimento; avuto specifico riguardo alle ricadute del decreto-legge in esame sui procedimenti penali, si conferma l’adozione di due diverse fasce di misure, secondo una logica già impiegata nell’ambito del d.l. dell’8 marzo e per cui

  • a un primo gruppo di interventi generali ed estesi uniformemente a tutto il territorio nazionale si somma la possibilità che
  • i capi degli uffici giudiziari adottino, sia fino all’11 maggio che successivamente, le singole prescrizioni di cui all’elenco contenuto al comma 7 dell’articolo.

Per quanto concerne lo svolgimento dell’attività giudiziaria non sospesa, oltre alla possibilità di adozione, ai sensi del co. 5, di alcune specifiche misure da parte dei capi degli uffici giudiziari, si segnala la possibilità, sancita al comma 12 e già contemplata nel d.l. 11/2020, di ricorso alla partecipazione a distanza alle udienze da parte di persone detenute, internate o sottoposte a custodia cautelare in carcere.

Addendum: Secondo il Decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, "Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all'emergenza epidemiologica da Covid-19", in vigore dal 29/10/20203, "le udienze dei procedimenti civili e penali alle quali è ammessa la presenza del pubblico possono celebrarsi a porte chiuse, ai sensi, rispettivamente, dell'articolo 128 del codice di procedura civile e dell'articolo 472, comma 3, del codice di procedura penale" (art. 23 DL 137/20). 

 

2. Il dibattimento a porte chiuse, un problema per la democrazia

Con specifico riferimento alla pubblicità del dibattimento, l'articolo 83/7 (e) prevede "la celebrazione a porte chiuse, ai sensi dell’articolo 472, comma 3, del codice di procedura penale, di tutte le udienze penali pubbliche o di singole udienze e, ai sensi dell’articolo 128 del codice di procedura civile, delle udienze civili pubbliche".

La lettera della norma prevede quindi (in alternativa al procedimento a distanza, che pure solleva già di una perplessità rispetto al cd. giusto processo) indicherebbe che l'udienza in presenza debba sempre tenersi a porte chiuse, quasi a sottintendere un interesse sovraordinato della salute pubblica e della sicurezza nazionale”; sia peraltro consentito qui sollevare dubbi circa la  legittimità costituzionale e convenzionale della disposizione emergenziale nella misura in cui non permette al giudice di valutare la necessità di procedere a porte chiuse caso per caso (per esempio solo quando vi sia pericolo di assembramento nel pubblico).

La giurisprudenza di legittimità ha peraltro recepito la giurisprudenza di Strasburgo ribadendo che ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata in udienza pubblica se il giudice deve esprimere un giudizio di merito idoneo ad incidere in modo diretto, definitivo e sostanziale su beni dell'individuo costituzionalmente tutelati (Corte di Cassazione, sez. III Penale sentenza 8 aprile - 18 luglio 2016, n. 30408).

2.a La disciplina ordinaria nella normativa interna 

Secondo l'art. 473 c.p.p. rubricato "ordine di procedere a porte chiuse", nei casi previsti dall'articolo 472, il giudice, sentite le parti, dispone, con ordinanza pronunciata in pubblica udienza, che il dibattimento o alcuni atti di esso si svolgano a porte chiuse.

Si tratta, in sintesi, dei casi nei quali la pubblicità possa

  • nuocere al buon costume ovvero
  • comportare la diffusione di notizie da mantenere segrete nell'interesse dello Stato o 
  • recare pregiudizio alla riservatezza dei testimoni ovvero delle parti private in ordine a fatti che non costituiscono oggetto dell'imputazione.

Il giudice dispone altresì che il dibattimento o alcuni atti di esso si svolgano a porte chiuse 

  • in caso di reati sessuali a danno di minori, o
  • quando avvengono da parte del pubblico manifestazioni che turbano il regolare svolgimento delle udienze, o
  • quando è necessario salvaguardare la sicurezza di testimoni o di imputati o - appunto -
  • quando la pubblicità può nuocere alla "pubblica igiene".

La natura di eccezioni al principio pubblicitario si riflette sulla forma del provvedimento che li dispone: l'ordine di procedere a porte chiuse è pronunciato con ordinanza, atto formale, estrinsecazione tipica dei poteri decisionali del Giudice, il quale deve essere motivato a pena di nullità (art 125 c.p.p.).

L'ordinanza con cui si è disposto che il dibattimento o alcuni atti di esso si svolgano a porte chiuse è revocata, con le medesime forme con cui è stata emessa, quando sono cessati i motivi del provvedimento (art. 473/1 c.p.p.): ne consegue il carattere "provvisorio" dell'ordinanza de qua, nel senso che l'efficacia preclusiva della pubblicità che le è propria può legittimamente esplicarsi fintantoché permangano le ragioni di segretezza che l'hanno giustificata. Venute meno queste ultime, si dovrà procedere a revocarla, con le stesse modalità con cui è stata emessa, cioè con ordinanza pronunciata in pubblica udienza, quindi dinanzi al pubblico riammesso in aula, previa audizione delle parti.

Non è, invece, necessaria una revoca espressa quando l'ordinanza ha disposto la chiusura delle porte per il compimento di atti dibattimentali determinati. In questo caso la regola generale della pubblicità riacquista automaticamente vigore una volta conclusi gli atti per i quali si era reso necessario procedere a porte chiuse (in questo senso, si esprime la Rel. prog. prel. del codice).

La violazione delle regole che disciplinano la adozione della ordinanza ex art. 473/1 c.p.p.., determina la nullità della stessa.

In proposito, tuttavia, si possono delineare ipotesi diverse a seconda che il vizio attenga al procedimento formativo del provvedimento, ovvero ai presupposti sostanziali dello stesso.

Sotto il primo profilo, l'ordinanza de qua è nulla in due casi: quando difetta la motivazione (art. 125/3 c.p.p.) e quando è stata emessa senza la previa consultazione delle parti. Mentre nel primo caso si ha una nullità relativa (art. 181 c.p.p.), nel secondo, poiché viene violata una disposizione (art. 473/1 c.p.p.) che concerne l'intervento delle parti nel procedimento (art. 178/1, lett. b e c c.p.p.), si configura una nullità di carattere intermedio (art. 180 c.p.p.)

Il provvedimento che dispone la chiusura delle porte è, poi, nullo, ex art. 471/1 c.p.p., quando viene adottato al di fuori dei casi tassativamente indicati dall'art. 472 c.p.p.. Si è affermato, sul punto, che per evitare la nullità non è sufficiente un semplice richiamo dell'ordinanza ad una delle fattispecie di cui all'art. 472, necessitando, invece, «la reale sussistenza dei presupposti di fatto che costituiscono il sostrato delle previste eccezioni», posto che la discrezionalità del Giudice nella valutazione di tali presupposti non può estendersi fino a «rendere immuni dal vizio de quo i provvedimenti basati su circostanze palesemente inesistenti» (così commento al codice di procedura penale, Wolters Kluwer, sub 372, con richiami dottrinali).

Per quanto attiene alla natura di tale nullità, la dottrina e una giurisprudenza maggioritaria sono concordi nel ritenerla di tipo relativo, come tale dichiarabile solo su eccezione di parte e sottoposta ai termini e limiti di deducibilità di cui agli artt. 181 e 182 c.p.p. 

In ordine alla impugnabilità della ordinanza che dispone la chiusura delle porte, nonostante il silenzio serbato sul punto dall'art. 473, si ritiene applicabile la regola generale sancita dall'art. 586, a norma del quale, quando non è diversamente stabilito dalla legge, le ordinanze emesse nel dibattimento possono essere impugnate solo con l'impugnazione contro la sentenza conclusiva del giudizio.

2.b La disciplina ordinaria nella normativa convenzionale

Il regime del dibattimento a porte chiuse, applicabile solo per “questioni di natura tecnica che possono essere regolate in maniera soddisfacente unicamente in base al fascicolo”  (sentenza Corte EDU 10 aprile 2012, Lorenzetti contro Italia) pare  rivelarsi incompatibile con i principi sovranazionali, quali l'art'14, par. 1, Patto ONU, che prevede la garanzia della pubblicità dei procedimenti giudiziari, sancita anche dall’art. 6, paragrafo 1, della CEDU, così come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, e, di conseguenza, con l’art. 117, primo comma, Cost., rispetto al quale la citata disposizione convenzionale assume notoriamente una valenza integrativa, quale «norma interposta».

L’art. 6, paragrafo 1, della CEDU stabilisce – per la parte conferente – che «ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata [...], pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale [...]», soggiungendo, altresì, che «La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia». Inoltre, la stessa Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha già avuto modo di ritenere in contrasto con l’indicata garanzia convenzionale taluni procedimenti giurisdizionali dei quali la legge italiana prevedeva la trattazione in forma camerale.

Ciò è avvenuto, in specie, con riguardo al procedimento applicativo delle misure di prevenzione (sentenza 13 novembre 2007, Bocellari e Rizza contro Italia, sulla cui scia sentenza 26 luglio 2011, Paleari contro Italia; sentenza 17 maggio 2011, Capitani e Campanella contro Italia; sentenza 2 febbraio 2010, Leone contro Italia; sentenza 5 gennaio 2010, Bongiorno e altri contro Italia; sentenza 8 luglio 2008, Perre e altri contro Italia) e al procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione (sentenza 10 aprile 2012, Lorenzetti contro Italia).

La Corte europea è pervenuta a tale conclusione richiamando la propria costante giurisprudenza, secondo la quale la pubblicità delle procedure giudiziarie tutela le persone soggette alla giurisdizione contro una giustizia segreta, che sfugge al controllo del pubblico, e costituisce anche uno strumento per preservare la fiducia nei giudici, contribuendo così a realizzare lo scopo dell’art. 6, paragrafo 1, della CEDU: ossia l’equo processo.

Come attestano le eccezioni previste dalla seconda parte della norma, questa non impedisce, in assoluto, alle autorità giudiziarie di derogare al principio di pubblicità dell’udienza.

La stessa Corte europea ha, d’altra parte, ritenuto che alcune situazioni eccezionali, attinenti alla natura delle questioni da trattare – quale, ad esempio, il carattere “altamente tecnico” del contenzioso – possano giustificare che si faccia a meno di un’udienza pubblica. In ogni caso, tuttavia, l’udienza a porte chiuse, per tutta o parte della durata, deve essere “strettamente imposta dalle circostanze della causa”.

Come rilevato dalla Corte Costituzionale con le citate sentenze n. 93 del 2010 e n. 135 del 2014, la norma convenzionale, come interpretata dalla Corte europea, non contrasta con le conferenti tutele offerte dalla nostra Costituzione (ipotesi nella quale la norma stessa rimarrebbe inidonea a integrare il parametro dell’art. 117, primo comma, Cost.), ma si pone, anzi, in sostanziale assonanza con esse. L’assenza di un esplicito richiamo, non scalfisce, infatti, il valore costituzionale del principio di pubblicità delle udienze giudiziarie, peraltro consacrato anche in altre carte internazionali dei diritti fondamentali.

La pubblicità del giudizio – specie di quello penale – rappresenta, in effetti, un principio connaturato ad un ordinamento democratico (ex plurimis, sentenze n. 373 del 1992, n. 69 del 1991 e n. 50 del 1989). Il principio non ha valore assoluto, potendo cedere in presenza di particolari ragioni giustificative, purché, tuttavia, obiettive e razionali (sentenza n. 212 del 1986), e, nel caso del dibattimento penale, collegate ad esigenze di tutela di beni a rilevanza costituzionale (sentenza n. 12 del 1971); anche da ultimo la Corte Costituzionale con sentenza 109/2015 ha riaffermato che la pubblicità del giudizio - specie di quello penale - rappresenta un principio connaturato ad un ordinamento democratico: il principio non ha valore assoluto, potendo cedere in presenza di particolari ragioni giustificative, purché, tuttavia, obiettive e razionali, e, nel caso del dibattimento penale, collegate ad esigenze di tutela di beni a rilevanza costituzionale (sentenza 109 del 15 giugno 2015).

La Corte EDU, a sua volta, ricorda che la pubblicità della procedura degli organi giudiziari di cui all’articolo 6 § 1 tutela i giustiziabili contro una giustizia segreta che sfugge al controllo del pubblico (vedere, Riepan c. Austria, nº 35115/97, § 27, CEDH 2000 XII); essa costituisce anche uno dei mezzi per preservare la fiducia nelle corti e nei tribunali. Con la trasparenza che essa conferisce all’amministrazione della giustizia, aiuta a realizzare lo scopo dell’articolo 6 § 1: il processo equo, la cui garanzia è annoverata fra i principi di ogni società democratica ai sensi della Convenzione (vedere fra molte altre, Tierce e altri c. Saint-Marin, nº 24954/94, 24971/94 e 24972/94, § 92, CEDH 2000 IX).

L’articolo 6 § 1 tuttavia non pone ostacoli al fatto che le autorità giudiziarie decidano, viste le particolarità della causa sottoposta al loro esame, di derogare a questo principio: ai sensi stessi di questa norma, "l’ingresso nella sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico per tutto o parte del processo nell’interesse della moralità, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita delle parti in causa, o in quella misura ritenuta strettamente indispensabile dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità potesse ledere gli interessi della giustizia"; l’udienza a porte chiuse, con chiusura totale o parziale, deve allora essere strettamente imposta dalle circostanze della causa (vedere per esempio, mutatis mutandis, la sentenza Diennet c. Francia, del 26 settembre 1995, Serie A nº 325-A, § 34) .

3. La normativa emergenziale. 

La norma che obbligherebbe dunque il giudice nazionale di condurre sempre il dibattimento a porte chiuse si scontra con i principio sopra delineati; la tutela della salute dei partecipanti all’udienza potrebbe peraltro  tranquillamente essere raggiunta tramite l’adozione di misure di contenimento meno restrittive della chiusura del dibattimento, quali l’obbligo dell’adozione di distanze di sicurezza, quello di indossare la mascherina e il contenimento del numero di spettatori/giornalisti presenti in aula. 

La chiusura totale e indiscriminata dell’aula pare un’eccessiva, nonché immotivata, restrizione del diritto dell'imputato alla celebrazione di un processo equo; si noti, peraltro, che nei casi previsti dall'art. 472/3 c.p.p., quando, cioè, si procede a porte chiuse secondo la disciplina "ordinaria" anche per ragioni di pubblica igiene, a causa di manifestazioni del pubblico che turbano il regolare svolgimento dell'udienza ovvero in funzione di salvaguardia della sicurezza di testimoni o imputati, il Giudice può (deve?) consentire la presenza dei giornalisti, presenza invece esclusa dalla normativa emergenziale (che non prevede nemmeno l'uso della tecnologa moderna per garantire la necessaria partecipazione dell'opinione pubblica, ad es. mediate link a comunicar solo ai gioramositi accreditati o prevedendo lo streaming su piattaforme web). 

 Spetterà dunque alla difesa richiedere che venga celebrata l’udienza sotto forma del dibattimento pubblico, sollevando la relativa eccezione di nullità che andrà eventualmente coltivata nelle fasi di impugnazione, dovendo in subordine instare affinché in caso di rigetto per impossibilità di interpretare una norma contra legem il giudice sollevi questione di legittimità costituzionale dell’art. 83/7 (e) DL 17 marzo 2020, n. 18, Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19, convertito con modificazioni dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, in riferimento all’art. 117 della Costituzione come parametro interposto dell’articolo 6 della Convenzione EDU.

 

(1) Si rimanda a Giulia Picaro, IL VIRUS NEL PROCESSO PENALE. TUTELA DELLA SALUTE, GARANZIE PROCESSUALI ED EFFICIENZA DELL'ATTIVITÀ GIUDIZIARIA NEI D.L. N. 18 E N. 23 DEL 2020, sistema penale 17.4.2020, alla quale sono debitore dei primi paragrafi.