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Permesso di soggiorno per familgia non rinnovato in caso di condanna per maltrattamenti (TAR TN, 271/18)

4 dicembre 2018, TAR Trento

 

La condanna riportata per i reati ricompresi nell'elencazione dell'art. 380 c.p.p. costituisce per lo straniero elemento ostativo al rilascio e al rinnovo del permesso di soggiorno, indipendentement dall'avvnuto arresto in flagranza.

Le condanne riportate per i reati previsti dall'art. 4 del TU sull'immigrazione (e fra questi quelli elencati nell'art. 380, primo e secondo comma, c.p.p.) costituioscono causa impeditiva al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno, senza che occorra una specifica valutazione di pericolosità del condannato da parte dell'amministrazione, atteso che detto giudizio è espresso preventivamente e direttamente dal legislatore in considerazione del grave disvalore attribuito e del particolare allarme sociale dagli stessi ingenerato.

In tema di ricongiungimento familiare va effettuto il bilanciamento richiesto dalla legge tra le esigenze di pubblica sicurezza, valutate prevalenti, ed i legami familiari nel territorio nazionale: al fine della dovuta considerazione dei vincoli familiari esistenti, la normativa sull'immigrazione richiede che gli stessi devono essere effettivi, escludendo da un lato che questi assumano di per sé carattere preminente e dall'altro che possano costituire scudo o garanzia assoluta di immunità dal rischio di revoca o diniego di rinnovo del permesso di soggiorno.

Non può essere riconosciuta l'effettività dei vincoli con la  famiglia quando via sia una condanna per maltrattamenti in famiglia, da ciò risultando già minata quell'unità familiare che, a fini difensivi, infondatamente l'interessato ora rivendica per sottrarsi alla prevista reazione dell'ordinamento giuridico.

 Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento

(Sezione Unica)

(ud. 08/11/2018) 04-12-2018, n. 271

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 159 del 2018, proposto da

-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. GF, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'interno - Questura di Trento, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Trento nei cui uffici in Trento, largo Porta Nuova n. 9, è pure per legge domiciliato;

per l'annullamento

del decreto di rigetto dell'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno n. RI21/A11/2018/IMM di data 20.02.2018, notificato il 20.3.2018, e di ogni altro provvedimento presupposto, connesso e conseguente.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti il controricorso e la memoria difensiva del Ministero dell'interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 novembre 2018 il cons. Paolo Devigili e uditi l'avv. GF per il ricorrente ed il procuratore dello Stato Davide Volpe per l'intimato Ministero;

Svolgimento del processo

Il ricorrente, cittadino marocchino titolare di permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato valido fino al 4.11.2016, impugna con il ricorso in epigrafe il decreto con cui il Questore della Provincia di Trento ha respinto la domanda di rinnovo di tale permesso.

L'autorità di pubblica sicurezza ha posto a fondamento del diniego le numerose condanne penali riportate, fra cui quella - divenuta irrevocabile in data 8.12.2016 - per maltrattamenti contro familiari (art. 572 c.p.).

Il ricorso è affidato ai seguenti motivi:

1. Difetto di motivazione.

Il certificato del casellario giudiziale non riporta, fra le condanne penali riportate, quello di sequestro di persona.

2. Violazione di legge (art. 5, co.5, D.Lgs. n. 268 del 1998).

Il Questore avrebbe trascurato di considerare i recenti profili, favorevoli all'interessato, che comproverebbero l'intervenuta integrazione sociale e consentirebbero il rinnovo del permesso di soggiorno. Il provvedimento di diniego non esprimerebbe congruamente il giudizio di pericolosità e non valuterebbe la sussistenza dei legami familiari.

3. Difetto di istruttoria e di motivazione.

Le condanne penali riportate non denoterebbero una condotta antigiuridica abituale e continua, e peraltro non sarebbero ascrivibili a quelle ricomprese nell'elenco tassativo di cui all'art. 380 cod. proc. pen., atteso che detta disposizione, alla quale fa rinvio l'art. 4, co. 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, richiede per la sua applicazione l'arresto in flagranza, misura non applicata nei confronti del ricorrente, o l'applicazione della pena dell'ergastolo, o della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a venti anni.

4. Eccesso di potere per errata valutazione dei fatti, difetto di istruttoria, carenza di motivazione e illogicità della decisione.

Il percorso riabilitativo recentemente intrapreso, favorevolmente valutato dai servizi sociali e sfociato in numerosi incontri con i figli nonché nella frequentazione del centro di alcoologia, deporrebbe per l'avvenuto inserimento sociale e consentirebbe la valutazione di elementi sopravvenuti idonei a riconsiderare la situazione dell'interessato.

Nel derivato giudizio si è costituito il Ministero dell'interno instando per il rigetto del ricorso.

Con ordinanza cautelare n. 28 di data 26 giugno 2018 è stata respinta la domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato.

Nel prosieguo il ricorrente ha prodotto memoria difensiva, di cui il Collegio non può tener conto essendo stata depositata in data 2 novembre 2018, e dunque tardivamente rispetto al termine stabilito dall'art. 73 cod. proc. amm.

Alla pubblica udienza odierna la causa è passata in decisione.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

2. Quanto alle censure mosse con il primo, secondo e terzo dei dedotti motivi, da esaminarsi congiuntamente in ragione della loro connessione, va osservato quanto segue.

2.1. Se è pur vero che il certificato rilasciato dal casellario giudiziale non riporta nell'elencazione dei precedenti penali quello di sequestro di persona, è altrettanto vero che il ricorrente ha indiscutibilmente riportato sentenze di condanna, con l'inflizione di pene detentive certamente non lievi, per il reato di violenza e minaccia a pubblico ufficiale (art. 336 c.p.) nonché - reiteratamente - per lesione personale (art. 582 c.p.) e per resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.), per guida in stato di ebbrezza (art. 186 D.Lgs. n. 285 del 1992) e per maltrattamenti contro familiari (art. 572 c.p.).

3. La condanna riportata ex art. 572 c.p. rientra nell'elencazione di cui al comma 2, lett. l-ter, dell'art. 380 c.p.p., e dunque è ricompresa fra i reati ostativi - ex art. 4, co. 3, e 5, co. 5, d.lgs. n. 286/1998 - al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno.

4. Non può dubitarsi che la condanna riportata per i reati ricompresi nell'elencazione dell'art. 380 c.p.p. costituisce per lo straniero elemento ostativo al rilascio e al rinnovo del permesso, prescindendo dalla circostanza che - per detti reati - sia (anche) prevista obbligatoriamente, nel caso di flagranza, l'arresto, e che tale misura non sia stata applicata (rectius non si sia potuta applicare): le sopra viste norme del TU sull'immigrazione ricollegano infatti la "ostatività" alla pronuncia di una sentenza penale di condanna per i reati previsti nei commi 1 e 2 della citata disposizione del codice di procedura penale, senza operare alcun discrimine fra soggetti condannati che, al momento della commissione dei fatti delittuosi, sono stati colti o meno in flagranza, e dunque nei cui confronti sia stata applicata o non applicata la misura dell'arresto (cfr. T.r.g.a. Trento sentenza n. 28/2018).

5. Rilevato quanto precede, deve altresì riscontrarsi che il prevalente insegnamento giurisprudenziale (tra le più recenti sentenze: Tar Lombardia Milano sez. I n. 35/2018; Tar Veneto sez. III n. 795/2018; Tar Calabria Reggio Calabria n. 551/2018) riconduce automaticamente alle condanne riportate per i reati previsti dall'art. 4 del TU sull'immigrazione (e fra questi quelli elencati nell'art. 380, primo e secondo comma, c.p.p.) la causa impeditiva al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno, senza che occorra una specifica valutazione di pericolosità del condannato da parte dell'amministrazione, atteso che detto giudizio è espresso preventivamente e direttamente dal legislatore in considerazione del grave disvalore attribuito e del particolare allarme sociale dagli stessi ingenerato.

5.1. Peraltro, nel decretare il diniego al rinnovo, nel caso di specie l'Autorità di pubblica sicurezza ha pure considerato la personalità dell'interessato, pervenendo ad una valutazione - invero giustificata dai fatti - negativa per la riscontrata incapacità di adattarsi alle normali regole di civile convivenza in ambito sociale e familiare.

6. Ne consegue che il provvedimento questorile non ha giustificato il denegato rinnovo solo in base al riscontro della molteplicità e gravità delle condanne riportate e alla natura ostativa di almeno uno dei reati, ma ha anche effettuato il bilanciamento, richiesto dall'art. 5, co. 5 parte seconda, del D.Lgs. n. 286 del 1998 (cfr. Cons. di Stato sez. III n. 5088/2017), tra le esigenze di pubblica sicurezza, valutate prevalenti, ed i legami familiari nel territorio nazionale rivendicati dal ricorrente.

7. Peraltro al fine della dovuta considerazione, in subiecta materia, dei vincoli familiari esistenti, la suddetta norma di riferimento del TU sull'immigrazione richiede che gli stessi devono essere effettivi, escludendo da un lato che questi assumano di per sé carattere preminente (cfr. Cons. di Stato sez. III n. 6163/2012; Tar Lombardia Brescia sez. II n. 108/2018 e Tar Piemonte sez. I n. 469/2017), e dall'altro che possano costituire "scudo o garanzia assoluta di immunità dal rischio di revoca o diniego di rinnovo del permesso di soggiorno" (cfr. Tar Veneto sez. III n. 793/2018).

7.1. Nel caso di specie, l'effettività in capo al ricorrente dei vincoli con la propria famiglia non può essere riconosciuta, atteso che la riportata sentenza di condanna per il reato p.e.p. dall'art. 572 c.p. (doc. 2 fasc. amministrazione) ha riguardato proprio il trattamento riservato dall'odierno ricorrente alla moglie e ai due figli piccoli, da ciò risultando già minata quell'unità familiare che, a fini difensivi, infondatamente l'interessato ora rivendica per sottrarsi alla prevista reazione dell'ordinamento giuridico (cfr. Cass. pen. sez. I n. 34562/2007).

8. Il primo motivo è dunque irrilevante, ed il secondo e terzo sono infondati.

9. Passando all'esame del quarto, con cui - come sopra visto - il ricorrente deduce l'omessa considerazione di elementi valutativi favorevoli sopravvenuti alle sentenze di condanna, deve osservarsi quanto segue.

9.1. La norma di riferimento del TU sull'immigrazione (art. 5, co. 5, prima parte) richiede che i sopraggiunti nuovi elementi, per poter essere considerati rilevanti, devono essere tali da consentire il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno.

9.2. Sul punto in questione è stato condivisibilmente affermato che, in relazione ad una condanna riportata per un reato ostativo, il solo elemento sopravvenuto di cui si possa tener conto è il provvedimento che annulla la causa ostativa (cfr. Cons. di Stato sez. III n. 3966/2011 e Tar Lombardia Milano sez. IV n. 291/2018), ossia l'eventuale riforma della sentenza nei successivi gradi di giudizio qui non invocabile, non potendo comunque rientrare nella cosiddetta clausola di garanzia, indicata nel citato art. 5 del TU sull'immigrazione, l'asserita successiva corretta condotta di vita che, in effetti, non può essere considerata tale da elidere la causa ostativa al rilascio o al rinnovo del permesso dipendente dalla condanna penale.

10. Peraltro il provvedimento impugnato non ha mancato di considerare i pretesi sopraggiunti elementi favorevoli segnalati dall'interessato nella fase infraprocedimentale, che tuttavia sono stati espressamente valutati insufficienti dal Questore per sanare le contestazioni poste alla base del diniego.

10.1. Invero la stessa documentazione prodotta dal ricorrente attesta l'avvio e la prosecuzione di recenti iniziative finalizzate ad ottenere la riabilitazione alcologica e ad affrontare o superare le difficoltà della separazione coniugale per mantenere relazioni con la ex moglie e con i figli, secondo un percorso tuttavia ancora in itinere e peraltro non scevro da segnalate difficoltà ed incertezze.

11. In tale situazione, fermo quanto rilevato ai punti 9.1. e 9.2. che precedono, anche il quarto motivo si appalesa comunque infondato, e con esso l'intero ricorso che va pertanto rigettato.

12. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

13. Compete al difensore del ricorrente, attesa l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato (decreto n. 10/2018 Reg. Patr.), la liquidazione degli onorari maturati nel presente giudizio secondo quanto liquidato nel dispositivo.

P.Q.M.
Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa per la Regione autonoma del Trentino - Alto Adige/Südtirol, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe lo respinge.

Condanna il ricorrente a rifondere al Ministero dell'interno le spese di giudizio nella misura di Euro 1.000,00 (mille/00), oltre al rimborso forfetario per spese generali.

Liquida a favore dell'avv. GF, difensore del ricorrente, le competenze maturate in Euro 1.000,00, oltre al rimborso forfetario per spese generali e agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.

Così deciso in Trento nella camera di consiglio del giorno 8 novembre 2018 con l'intervento dei magistrati:

Roberta Vigotti, Presidente

Carlo Polidori, Consigliere

Paolo Devigili, Consigliere, Estensore