Home
Lo studio
Risorse
Contatti
Lo studio

Decisioni

Permanenza forzata sul territorio nazionale e deroga al principio di specialità (20247/04)

29 aprile 2004, Cassazione penale

Per non incorrere nella deroga del principio di specialità per non aver lasciato il territorio dello Stato è necessario docu,mentare la impossibilità di farlo legittimamente (es. con una richiesta di revoca del divieto di espatrio).

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Sez. IV, (ud. 17/03/2004) 29-04-2004, n. 20247

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio

Dott. OLIVIERI Renato - Presidente -

Dott. MARZANO Francesco - Consigliere -

Dott. VISCONTI Sergio - Consigliere -

Dott. PALMIERI Ettore - Consigliere -

Dott. IACOPINO Silvana - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) OA

avverso ORDINANZA del 03/10/2003 TRIB. LIBERTA' di MILANO;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. VISCONTI SERGIO;

sentite le conclusioni del P.G. Dott. VENEZIANO Marcello che ha chiesto il rigetto del ricorso;

sentito il difensore dell'O., avv. GM, in sostituzione dell'avv. CL, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione


Con ordinanza in data 11.9.2003, su richiesta della difesa, il GIP del Tribunale di Milano ha revocato l'ordinanza emessa dallo stesso ufficio il 30.6.2003 di applicazione della misura coercitiva della custodia cautelare in carcere nei confronti di Olivieri Antonio in ordine al reato di cui all'art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990, in quanto tale delitto non rientrava tra quelli per i quali l'Olivieri era stato estradato dalla Repubblica di Slovenia il 30.4.2002.

Con ordinanza del 3.10.2002 il Tribunale di Milano, in funzione di giudice del riesame, su impugnazione del P.M., ha ripristinato la misura cautelare, ritenendo che si era verificata la condizione prevista dall'art. 721 c.p.p. e dall'art. 14, comma 1, lett. b), della convenzione europea sull'estradizione, di deroga al principio di specialita', e cioe' "se avendo avuto la possibilita' di farlo, l'individuo estradato non ha lasciato nei 45 giorni successivi alla sua liberazione definitiva, il territorio della parte alla quale e' stato rilasciato o se vi e' ritornato dopo averlo lasciato".

Il Tribunale ha osservato che, essendo cessato l'ultimo obbligo a lui imposto, e cioe' l'obbligo di firma presso la Stazione CC. di Priverno il 4.1.2003, si era verificata sicuramente una delle due ipotesi suindicate.

L'O. a mezzo del suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per Cassazione, chiedendo l'annullamento dell'ordinanza del Tribunale di Milano per i seguenti motivi:

1) Violazione dell'art. 721 c.p.p. e dell'art. 14 della conv. Eur. Estr. e falsa applicazione degli artt. 272 e 285 c.p.p.. Il ricorrente ha dedotto che, avendo il GIP del Tribunale di Como ritirato il suo passaporto, egli era nell'impossibilita' assoluta di lasciare il territorio nazionale, e di effettuare un espatrio regolare.

2) Violazione degli artt. 721 e 346 c.p.p. e falsa applicazione degli artt. 272 e 285 c.p.p.. Il ricorrente ha sostenuto che il termine di 45 giorni seguito dalla locuzione "liberazione definitiva" non puo' che riferirsi alla definizione della sua posizione giuridica con sentenza definitiva relativa al procedimento pendente presso il Tribunale di Como, per il quale era stato estradato, e non essere limitata, come ha fatto il Tribunale del riesame, alla cessazione di una situazione di "restrizione personale".

3) Violazione dell'art. 721 c.p.p. e dell'art. 24 della Cost.. Il ricorrente ha assunto che la sottoposizione ad altra misura coercitiva limita il diritto di difesa in ordine al reato per il quale e' stato estradato, ed ha subito il massimo della custodia cautelare, per essere stato scarcerato per decorrenza dei termini. Inoltre, la nuova misura cautelare viola i principi in ordine ai quali e' configurato l'istituto dell'estradizione.

Il ricorso e' palesemente infondato e va, pertanto, dichiarato inammissibile. In ordine al primo motivo di ricorso, l'O. assume la violazione di legge, in quanto "il GIP del Tribunale di Como, nell'applicare all'estradato la custodia cautelare, ha disposto nei confronti dello stesso il ritiro del passaporto".

Si osserva, in primo luogo, che l'ordinanza suindicata del 16.8.1999 dispone l'applicazione della custodia cautelare in carcere e non contiene disposizioni in ordine al divieto di espatrio (art. 281 c.p.p.), presupposto essenziale perche' il giudice possa disporre il ritiro del passaporto.

Lo stesso Tribunale del riesame ha motivato l'ordinanza impugnata, precisando che, dopo la scarcerazione del ricorrente per scadenza dei termini massimi di custodia cautelare, unica misura residuale era l'obbligo di firma presso la stazione CC. di Priverno, escludendo cosi' la sussistenza di altre misure coercitive, nel cui novero rientra il divieto di espatrio (capo 2^, titolo 1^, libro 4^ c.p.p.).

Ma, anche se tale obbligo fosse stato disposto, si perverrebbe ad analoghe conclusioni, non avendo mai l'O. manifestato la volonta' di espatriare, chiedendo eventualmente la revoca della misura impeditiva. L'art. 721 c.p.p. e l'art. 14 della Conv. Eur. Estr., prevedendo la deroga al principio di specialita' nel caso che l'individuo estradato non abbia lasciato il territorio dello Stato in cui e' stato estradato nei 45 giorni successivi alla sua liberazione, pone l'inciso "se avendo avuto la possibilita' di farlo".

Tale espressione va interpretata non solo nel senso di una materiale "possibilita'", ma soprattutto in una determinazione dell'estradato di lasciare il territorio, che nella specie avrebbe potuto attuarsi con una richiesta di revoca del divieto di espatrio, e - solo in caso di rigetto di tale istanza - si sarebbe costituita una situazione di "impossibilita'" di lasciare lo Stato in cui l'estradato si trova.

Ne consegue che, per le ragioni espresse l'ordinanza impugnata non viola le disposizioni di cui all'art. 721 c.p.p. e art. 14 della Convenzione europea di estradizione resa esecutiva in Italia con L. 30 gennaio 1963, n. 300.

Manifestamente infondato e' anche il secondo motivo di gravame, essendo evidente che la locuzione "liberazione definitiva" attiene alla cessazione della misura cautelare, che aveva indubbiamente, nella specie, il carattere della definitivita' per avere perduto efficacia per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare.

La diversa interpretazione del ricorrente comporterebbe che, nel caso di condanna dell'estradato, bisognerebbe attendere anche l'espiazione della pena, e poi aspettare 45 giorni per emettere un nuovo provvedimento cautelare, e cio' sicuramente non puo' essere seriamente ritenuto che rientra nella ratio legis.

Infine, con il terzo motivo di ricorso, eccessivamente articolato e tutt'altro che specifico, sostanzialmente il ricorrente assume che l'affrontare in vinculis per altra causa il procedimento per il quale e' stato estradato limita l'esercizio del diritto di difesa in violazione dell'art. 24 Cost. Appare sufficiente osservare, come ha peraltro ineccepibilmente ritenuto il giudice di merito, che l'art. 721 c.p.p., pur limitando il potere di limitare la liberta' personale dell'estradato - tranne che si verifichino le condizioni di deroga gia' citate - non attribuisce allo stesso un diritto aggiuntivo di partecipare libero al procedimento riguardante l'estradizione.

Ne' lo stato di custodia cautelare limita il diritto di difesa, garantito dall'art. 24 della Cost., non essendovi nel nostro codice di rito norma alcuna che preveda un diverso svolgimento del processo penale se l'imputato sia detenuto o libero, trattandosi di questione attinente a situazioni necessitanti o meno l'applicazione della misura coercitiva.

Alla declaratoria di inammissibilita' del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 500,00, in favore della cassa delle ammende, non versando nell'ipotesi di assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilita'.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 500,00 in favore della Cassa delle ammende.

La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al competente Tribunale distrettuale del riesame di Milano perche' provveda a quanto stabilito nell'art. 92 del D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271 (art. 92 disp. att. c.p.p.).

Manda alla Cancelleria per gli immediati adempimenti a mezzo fax.

Cosi' deciso in Roma, il 17 marzo 2004.

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2004