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Per la condanna basta la parola del testimone (Cass. 36437/18)

30 luglio 2018, Cassazione penale

Le dichiarazioni di un testimone, purché credibili e riferite a fatti specifici, non necessitano di riscontri.

Il potere di disporre anche d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova rientra nel compito del giudice di accertare la verità ed ha la funzione di supplire all’inerzia delle parti o a carenze probatorie, quando le stesse incidono in maniera determinante sulla formazione del convincimento e sul risultato del giudizio.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 9 aprile – 30 luglio 2018, n. 36437
Presidente Mazzei – Relatore Aprile

Ritenuto in fatto

1. Con il provvedimento impugnato, il Giudice di pace di Trieste ha assolto per insussistenza del fatto H.L. dal reato di cui all’art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286 del 1998.
2. Ricorre il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Trieste che chiede l’annullamento della sentenza impugnata, deducendo la violazione di legge, in riferimento agli artt. 192 e 546 cod. proc. pen., avendo il giudice ritenuto necessario un riscontro documentale alla testimonianza dell’operante in merito alla esistenza del provvedimento del Questore che ordinava l’allontanamento dell’imputato dal territorio nazionale.

Considerato in diritto

1. Osserva il Collegio che il ricorso appare fondato.
1.1. Il Giudice di pace ha ritenuto insufficiente dal punto di vista probatorio la dichiarazione testimoniale resa dall’ufficiale di polizia giudiziaria in merito agli accertamenti dallo stesso svolti in occasione del controllo dell’imputato; il testimone ha riferito di avere proceduto, in data 1 marzo 2016, al controllo e all’identificazione dell’imputato che risultava colpito dal provvedimento di espulsione emesso dal Questore in data 17 dicembre 2015.
In particolare, il Giudice di pace ha ritenuto tale testimonianza priva "del necessario riscontro documentale", non essendo stato prodotto dal Pubblico ministero il provvedimento del Questore.
1.2. Il Giudice di pace, che non ha espresso alcun dubbio sulla credibilità e attendibilità del testimone, non ha esercitato i propri poteri istruttori di cui all’art. 507 cod. proc. pen..
2. Costituisce consolidato canone ermeneutico l’affermazione che "le dichiarazioni testimoniali, purché credibili e riferite a fatti specifici di diretta cognizione, non necessitano, in vista dell’utilizzazione probatoria, di riscontri esterni perché, in assenza di specifici e riconoscibili elementi idonei a giustificare il sospetto di dichiarazioni consapevolmente false, il giudice deve presumere che il testimone abbia correttamente riferito quanto a sua effettiva conoscenza e deve limitarsi a verificare la compatibilità tra il contenuto delle dichiarazioni testimoniali e le altre risultanze probatorie" (Sez. 2, n. 16627 del 28/02/2007, Calderone, Rv. 236652).
2.1. D’altra parte, la giurisprudenza di legittimità è stabilmente orientata ad affermare che "il giudice ha il dovere di esplicitare le ragioni per le quali ritenga di non procedere ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen., in quanto il potere di disporre anche d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova rientra nel compito del giudice di accertare la verità ed ha la funzione di supplire all’inerzia delle parti o a carenze probatorie, quando le stesse incidono in maniera determinante sulla formazione del convincimento e sul risultato del giudizio" (Sez. 3, n. 50761 del 13/10/2016, P.M. in proc. Negro, Rv. 268606).
3. In forza di tali premesse, quindi, la sentenza impugnata risulta affetta da un doppio vizio che ne impone l’annullamento.
Nel giudizio di rinvio il Giudice di pace, in diversa persona fisica, si atterrà ai seguenti principi di diritto:
"le dichiarazioni testimoniali dell’ufficiale di polizia giudiziaria, purché credibili e riferite a fatti specifici, non necessitano, in vista dell’utilizzazione probatoria, di riscontri".
"il giudice, qualora ritenga insufficienti gli elementi probatori acquisiti mediante la dichiarazione testimoniale dell’ufficiale di polizia giudiziaria in merito all’esistenza di un fatto giuridico - presupposto all’oggetto dell’accertamento - del quale l’operante abbia avuto conoscenza per ragioni di ufficio, ha il dovere di esplicitare le ragioni per le quali ritenga di non procedere ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen., in quanto il potere di disporre anche d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova rientra nel compito del giudice di accertare la verità ed ha la funzione di supplire all’inerzia delle parti o a carenze probatorie, quando le stesse incidono in maniera determinante sulla formazione del convincimento e sul risultato del giudizio".
3.2. La sentenza va, dunque, annullata con rinvio al Giudice di pace di Trieste, in diversa persona fisica.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Giudice di pace di Trieste, in diversa persona fisica.