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PEC non certifica contenuto del messaggio (Cass. 43498/17)

21 settembre 2017, Cassazione penale

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La mancata traduzione in udienza dell'imputato detenuto e regolarmente citato, in quanto attiene al diritto dello stesso a partecipare al dibattimento, determina una nullità generale ai sensi dell'art. 178 c.p.p. la quale, esulando dalle ipotesi di cui al successivo art. 179 c.p.p., non è assoluta ma a carattere c.d. intermedio. Ne consegue che essa non può essere rilevata nè dedotta dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo.

Da un punto di vista tecnico-informatico, la Pec può contenere file allegati. Tuttavia, da un punto di vista legale, il gestore Pec non offre la garanzia della genuinità degli stessi. In buona sostanza il Gestore Pec non certifica affatto il contenuto del messaggio. In altri termini il ricorrente allega una mera certificazione Pec di invio e ricezione ma non l'allegato contenuto dalla mail; una trasmissione Pec certifica che una certa trasmissione è avvenuta tra due indirizzi email Pec, ma non certifica (giuridicamente) quello che la "busta elettronica" conteneva. La Pec garantisce che durante la trasmissione di un messaggio gli allegati non vengano alterati, ma non ne certifica il contenuto verso terzi. Nel caso, infatti, in cui si voglia inviare, insieme al testo dell'email, un file, conferendo allo stesso il valore di originale, sarà necessario utilizzare il sistema di firma digitale sul documento (cfr. Circolare del 20 gennaio 2014, n. 3 della Ragioneria Gen. Stato).

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

(ud. 28/06/2017) 21-09-2017, n. 43498

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IZZO Fausto - Presidente -

Dott. CIAMPI Francesco Maria - Consigliere -

Dott. MENICHETTI Carla - Consigliere -

Dott. BELLINI Ugo - Consigliere -

Dott. TANGA Antonio L. - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

1. P.D., nato a (OMISSIS);

2. F.I., nata ad (OMISSIS);

3. E.E.S., nato in (OMISSIS);

4. D.S.M., nato a (OMISSIS);

5. B.F.A., nato in (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 9386/16 del 30/09/2016 della Corte di Appello di Napoli;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Antonio Leonardo Tanga;

udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BALSAMO Antonio, che ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza resa in data 17 settembre 2015, il G.U.P. del Tribunale di Napoli Nord dichiarava: E.E.S. responsabile dei reati a lui ascritti e relativi a violazioni della normativa sugli stupefacenti e lo condannava alla pena di anni 10 di reclusione ed Euro 80.000 di multa; P.D. responsabile del reato a lui ascritto, con la recidiva aggravata, e relativo a violazioni della normativa sugli stupefacenti e lo condannava alla pena di anni 8 di reclusione ed Euro 42.000 di multa; F.I. responsabile del reato a lei ascritto, con la recidiva aggravata, e relativo a violazioni della normativa sugli stupefacenti e la condannava alla pena di anni 6 mesi 8 di reclusione ed Euro 42.000 di multa; B.F.A. responsabile dei reati a lui contestati con la recidiva aggravata, e relativi a violazioni della normativa sugli stupefacenti, e lo condannava alla pena di anni 8 di reclusione ed Euro 68.000 di multa; D.S.M. responsabile dei reati contestati con la recidiva aggravata, e relativi a violazioni della normativa sugli stupefacenti, e lo condannava alla pena di anni 8 di reclusione ed Euro 42.000 di multa.

1.2. Con la sentenza n. 9386/16 del 30/09/2016, la Corte di Appello di Napoli, adita dagli imputati, all'esito dell'udienza camerale, preso atto della rinuncia di tutti i ricorrenti ai motivi di appello relativi all'accertamento della penale responsabilità, limitandoli alla determinazione della pena, in parziale modifica della sentenza di primo grado, rideterminava le pene in melius.

2. Avverso tale sentenza d'appello, propongono ricorso per cassazione E.E.S., P.D., F.I., B.F.A. e D.S.M., a mezzo dei propri difensori, lamentando (in sintesi giusta il disposto di cui all'art. 173 disp. att. cod. proc. pen., comma 1):

E.E.S.:

1) violazione di legge e vizi motivazionali in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, e art. 62-bis c.p.. Deduce che la sentenza impugnata merita censura per la mancanza di motivazione in ordine alla richiesta di applicazione dell'ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. Sostiene che altrettanto mancante è la valutazione circa le invocate attenuanti generiche.

P.D.:

2) violazione di legge e vizi motivazionali in relazione all'art. 62-bis c.p.. Deduce che la sentenza impugnata merita censura per la mancanza di motivazione in ordine alla richiesta di applicazione delle attenuanti generiche. Deduce che con la rinuncia ai motivi di appello proposti avverso la sentenza di primo grado era stata fatta eccezione del motivo inerente il trattamento sanzionatorio e la concessione delle circostanze attenuanti in relazione al quale si insisteva chiedendone l'accoglimento;

3) violazione di legge e vizi motivazionali in relazione agli artt. 132 e 133 c.p. nonchè al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 vigente prima della sentenza della corte costituzionale nr. 32 del 2014. Deduce che si sosteneva con i motivi di appello che era anche possibile che l'accordo tra cedente e cessionario fosse avvenuto prima del 6 marzo 2014, giorno successivo alla pubblicazione della sentenza della corte costituzionale nr. 32 del 2014 e, quindi, andava applicata la disposizione del D.P.R. n. 309 del 1990,art. 73 in vigore fino al 5 marzo 2014; in ordine alla pena detentiva la forbice edittale in vigore prima del 5 marzo 2014 era da sei a venti anni anzichè da otto a venti anni;

4) violazione di legge e vizi motivazionali in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. Deduce che la sentenza impugnata merita censura per la mancanza di motivazione in ordine alla richiesta di applicazione dell'ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.

F.I.:

5) violazione di legge e vizi motivazionali in relazione agli artt. 132 e 133 c.p. nonchè al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 vigente prima della sentenza della corte costituzionale nr. 32 del 2014. Deduce che era anche possibile che l'accordo tra cedente e cessionario fosse avvenuto prima del 6 marzo 2014, giorno successivo alla pubblicazione della sentenza della corte costituzionale nr. 32 del 2014 e, quindi, andava applicata la disposizione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 in vigore fino al 5 marzo 2014; in ordine alla pena detentiva la forbice edittale in vigore prima del 5 marzo 2014 era da sei a venti anni anzichè da otto a venti anni;

6) violazione di legge e vizi motivazionali in relazione all'art. 62-bis c.p.. Deduce che la sentenza impugnata merita censura per la mancanza di motivazione in ordine alla mancata applicazione delle attenuanti generiche.

B.F.A.:

7) violazione di legge e vizi motivazionali in relazione all'art. 62-bis c.p.. Deduce che la sentenza impugnata merita censura per la mancanza di motivazione in ordine alla richiesta di applicazione delle attenuanti generiche. Deduce che con la rinuncia ai motivi di appello proposti avverso la sentenza di primo grado era stata fatta eccezione del motivo inerente il trattamento sanzionatorio e la concessione delle circostanze attenuanti in relazione al quale si insisteva chiedendone l'accoglimento;

8) violazione di legge e vizi motivazionali in relazione agli artt. 132 e 133 c.p. nonchè al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 vigente prima della sentenza della corte costituzionale nr. 32 del 2014. Deduce che era anche possibile che l'accordo tra cedente e cessionario fosse avvenuto prima del 6 marzo 2014, giorno successivo alla pubblicazione della sentenza della corte costituzionale nr. 32 del 2014 e, quindi, andava applicata la disposizione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 in vigore fino al 5 marzo 2014; in ordine alla pena detentiva la forbice edittale in vigore prima del 5 marzo 2014 era da sei a venti anni anzichè da otto a venti anni;

9) violazione di legge e vizi motivazionali in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. Deduce che la sentenza impugnata merita censura per la mancanza di motivazione in ordine alla richiesta di applicazione dell'ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5;

10) violazione di legge e vizi motivazionali in relazione all'art. 178 c.p.p., lett. c), art. 420-ter c.p.p. e art. 599 c.p.p., comma 2. Deduce che l'imputato posto agli arresti domiciliari presso la propria abitazione solo ed esclusivamente per questa causa aveva manifestato a mezzo del difensore la volontà di comparire dinanzi alla Corte di Appello per l'udienza fissata per il giorno 30 settembre 2016 ma non vi è stata risposta alcuna ed il processo di secondo grado è stato discusso e definito all'udienza del 30 settembre 2016 in assenza dell' imputato; in particolare, in data 19 settembre 2016 veniva inviata alla Corte di Appello di Napoli, quinta sezione penale, all'indirizzo di posta certificata (pec) risultante anche dal decreto di citazione per il grado di appello, richiesta di autorizzazione per provvedere alle indispensabili esigenze di vita nonchè richiesta di autorizzazione per comparire all'udienza del 30 settembre 2016 raggiungendo la Corte di Appello di Napoli con mezzi propri e senza scorta. Precisa che solo in data 30 settembre 2016 si è proceduto alla discussione e vi è stata sentenza; in precedenza vi sono state due udienza di rinvio ma se anche l'imputato avesse rinunciato a comparire alle precedenti udienze o meglio non avesse chiesto di comparire ad una precedente udienza, ciò non vuol dire che egli non aveva poi il diritto di comparire all'udienza del 30 settembre 2016.

D.S.M.:

11) violazione di legge e vizi motivazionali in relazione agli artt. 132 e 133 c.p. nonchè al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 vigente prima della sentenza della corte costituzionale nr. 32 del 2014. Deduce che era anche possibile che l'accordo tra cedente e cessionario fosse avvenuto prima del 6 marzo 2014, giorno successivo alla pubblicazione della sentenza della corte costituzionale nr. 32 del 2014 e, quindi, andava applicata la disposizione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 in vigore fino al 5 marzo 2014; in ordine alla pena detentiva la forbice edittale in vigore prima del 5 marzo 2014 era da sei a venti anni anzichè da otto a venti anni;

12) violazione di legge e vizi motivazionali in relazione all'art. 62-bis c.p.. Deduce che la sentenza impugnata merita censura per la mancanza di motivazione in ordine alla richiesta di applicazione delle attenuanti generiche.

Motivi della decisione

3. I ricorsi sono manifestamente infondati e, perciò, inammissibili.

4. Occorre premettere, da valere per tutti i ricorsi, che nel 'caso di sostanziale "doppia conforme" (come nella specie), le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Ciò vale anche in ordine all'eventuale diniego del riconoscimento delle attenuanti generiche.

5. Mette conto, subito, evidenziare che, a seguito della rinuncia ai motivi di appello relativi alla penale responsabilità, i motivi dei presenti ricorsi, che attengono alla responsabilità degli imputati, alla qualificazione giuridica dei fatti, alle attenuanti generiche e all'entità della pena, risultano non consentiti (cfr. Sez. 4, 18/07/2013, - ud. 18/07/2013, dep.22/07/2013-, n. 31362).

5.1. Questa Corte ha già avuto modo di precisare che la rinunzia parziale ai motivi di appello deve ritenersi incondizionata e determina il passaggio in giudicato della sentenza gravata limitatamente ai capi oggetto di rinunzia; ne consegue che la Corte di appello non ha l'onere di motivare in ordine ad essi (cfr. Sez. 2, n. 46053 del 21/11/2012 -dep. 27/11/2012-Lombardi e altro, Rv. 255069). Così, è stato dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione avverso la decisione del giudice di appello che, rilevata la rinuncia dell'imputato ai motivi di appello diversi da quelli relativi alla riduzione di pena, dichiari, in virtù dell'art. 589 c.p.p., commi 2 e 3 e art. 591 c.p.p., comma 1, lett. d), l'inammissibilità sopravvenuta dei motivi oggetto di rinuncia, omettendone l'esame ai fini dell'applicazione dell'art. 129 c.p.p., considerato che la rinuncia ha effetti preclusivi sull'intero svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità. Pertanto, poichè, ex art. 597 c.p.p., comma 1, l'effetto devolutivo dell'impugnazione circoscrive la cognizione del giudice del gravame ai soli punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti, una volta che essi costituiscano oggetto di rinuncia, non può il giudice di appello prenderli in considerazione, nè può farlo il giudice di legittimità sulla base di un'ipotetica implicita revoca di tale rinuncia, stante l'irrevocabilità di tutti i negozi processuali, ancorchè unilaterali (cfr. Sez. 2, n. 3593 del 03/12/2010 - dep. 01/02/2011, Izzo, Rv. 249269).

5.2. A ciò deve aggiungersi che, soprattutto dopo la specifica modifica dell'art. 62-bis c.p. operata con il D.L. 23 maggio 2008, n. 2002 convertito con modifiche dalla L. 24 luglio 2008, n. 125, è assolutamente sufficiente che il giudice si limiti a dar conto, come nel caso in esame, di avere valutato e applicato i criteri di cui all'art. 133 c.p.. In tema di attenuanti generiche, infatti, posto che la ragion d'essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all'obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo l'affermata insussistenza. Al contrario, secondo una giurisprudenza consolidata di questa Corte Suprema, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l'esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio (così, ex plurimis, sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, Gennuso, rv. 192381; sez. 1 n. 12496 del 02/09/1999, Guglielmi ed altri, rv. 214570; sez. 6, n. 13048 del 20//06/2000, Occhipinti ed altri, rv. 217882; sez. 1, n. 29679 del 13/06/2011, Chiofalo ed altri, rv. 219891). In altri termini, dunque, va ribadito che l'obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (cfr. sez.2, n. 38383 del 10/07/2009, Squillace ed altro, rv. 245241, e sez. 4, n. 43424 del 29/09/2015).

5.3. Giova, infine, rammentare che la valutazione dei vari elementi rilevanti ai fini della dosimetria della pena rientra nei poteri discrezionali del giudice il cui esercizio (se effettuato nel rispetto dei parametri valutativi di cui all'art. 133 c.p., come nel caso di specie) è censurabile in cassazione solo quando sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico. Ciò che qui deve senz'altro escludersi (sez 2, n.45312 del 03/11/2015; sez. 4 n.44815 del 23/10/2015).

6. Quanto alla censura sub 10), relativa al ricorso di B.F.A., mette conto osservare che, a questo riguardo il Collegio, pur consapevole dell'esistenza di differenti indirizzi giurisprudenziali, ritiene di aderire all'orientamento secondo cui: "La mancata traduzione in udienza dell'imputato detenuto e regolarmente citato, in quanto attiene al diritto dello stesso a partecipare al dibattimento, determina una nullità generale ai sensi dell'art. 178 c.p.p. la quale, esulando dalle ipotesi di cui al successivo art. 179 c.p.p., non è assoluta ma a carattere c.d. intermedio. Ne consegue che essa non può essere rilevata nè dedotta dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo." (cfr. Sez. 2, n. 2225 del 27/05/2010; Sez. 5, n. 6916 del 28/04/1999 Ud. -dep. 01/06/1999- Rv. 213616).

6.1. In altri termini, trattandosi di una nullità di ordine generale, essa è soggetta ai limiti di deducibilità di cui all'art. 182 c.p.p. e la relativa eccezione, quindi, ai sensi dell'art. 182 c.p.p., comma 2, deve essere proposta dal difensore al momento della verifica della ritualità della citazione, cosicchè, in mancanza, non può poi essere fatta valere in sede di legittimità (cfr. Sez. 6, n. 41700 del 11/11/2010).

6.1.1. Nella specie, la prima udienza camerale -preceduta da una udienza di mero rinvio- si era tenuta il 24/06/2016 e, in quella sede, v'era stata la rinuncia -ad opera del difensore e procuratore speciale- ai motivi di appello concernenti la penale responsabilità dell'imputato esaurendosi così la fase istruttoria e delle conclusioni. In nessuna delle udienze precedenti quella del 30/09/2016 vi fu richiesta di presenziare da parte dell'odierno ricorrente nè il difensore ha mai eccepito -prima della deliberazione della sentenza- la mancata traduzione (ovvero l'autorizzazione a presenziare).

6.1.2. Deve poi precisarsi che da un punto di vista tecnico-informatico, la Pec può contenere file allegati. Tuttavia, da un punto di vista legale, il gestore Pec non offre la garanzia della genuinità degli stessi. In buona sostanza il Gestore Pec non certifica affatto il contenuto del messaggio. In altri termini il ricorrente allega una mera certificazione Pec di invio e ricezione ma non l'allegato contenuto dalla mail; una trasmissione Pec certifica che una certa trasmissione è avvenuta tra due indirizzi email Pec, ma non certifica (giuridicamente) quello che la "busta elettronica" conteneva. La Pec garantisce che durante la trasmissione di un messaggio gli allegati non vengano alterati, ma non ne certifica il contenuto verso terzi. Nel caso, infatti, in cui si voglia inviare, insieme al testo dell'email, un file, conferendo allo stesso il valore di originale, sarà necessario utilizzare il sistema di firma digitale sul documento (cfr. Circolare del 20 gennaio 2014, n. 3 della Ragioneria Gen. Stato).

6.1.3. Al di là di ogni altra considerazione, la richiesta di autorizzazione in questione risulta contenuta in una istanza (cartacea) sprovvista di data certa, comunque successiva alle udienze camerali già celebrate. Ne consegue che il motivo deve essere respinto in quanto la questione dedotta ha per oggetto una nullità non deducibile ai sensi dell'art. 182 c.p.p., come sopra spiegato.

7. Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè -non ravvisandosi motivi di esclusione (cfr. Corte costituzionale sentenza n. 186 del 2000)- al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro 2.000,00.

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2017