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Parte civile non accetta il rito abbreviato: resta nel processo penale (Cass. 36154/18)

27 luglio 2018, Cassazione penale

La mancata accettazione della parte civile del rito abbreviato comporta il venir meno dell'azione civile in sede penale o solamente l'inoperatività della sospensione necessaria per pregiudizialità penale, altrimenti contemplata dal comma dell'art.75 cpp?

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE V PENALE

(data ud. 23/05/2018) 27/07/2018, n. 36154
 

 

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

G.F., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 13/01/2016 della CORTE APPELLO di FIRENZE;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. MARIA GIUSEPPINA FODARONI, che ha concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio, sulla subordinazione della sospensione condizionale e sulle statuizioni civili; rigetto nel resto.

udito il difensore, avv. EV, del Foro di Roma, in sostituzione dell'avv. ALP del Foro di Firenze, difensore della parte civile, che chiede il rigetto del ricorso, e deposita conclusioni e nota spese.

udito il difensore, avv. CR, del Foro di Firenze, difensore di G., che si riporta ai motivi di ricorso.

Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Firenze con sentenza del 13/1/2016, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Firenze - Sezione Distaccata di Empoli del 24/9/2012, appellata dall'imputato G.F., ha riconosciuto all'imputato le attenuanti generiche e ha conseguentemente rideterminato la pena inflitta in mesi 6 di reclusione, rigettando nel resto il gravame.

Il Tribunale aveva ritenuto il G. responsabile del reato di cui agli artt. 582 e 583 c.p. nei confronti di O.G., per averlo colpito al volto, cagionandogli lesioni personali guaribili in giorni 30 (frattura pluri-frammentaria delle ossa e del setto nasali), e nei confronti di O.L., per aver spinto con forza il suo volto contro un pilastro, cagionandogli lesioni personali guaribili in giorni 30 (frattura chiusa di altre ossa della faccia, scheggiatura di incisivo, lesione da graffio al collo).

Il Tribunale aveva escluso le aggravanti contestate, qualificato come semplice la recidiva, e condannato l'imputato alla pena di mesi 8 di reclusione e al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio, e alla rifusione delle spese in favore delle parti civili; il Tribunale aveva liquidato altresì una provvisionale di Euro 5.000,00, a favore di ciascuna parte civile e aveva concesso la sospensione condizionale della pena, peraltro subordinata al pagamento delle somme liquidate a titolo di provvisionale.

2. Ha proposto ricorso l'avv. LB, difensore di fiducia dell'imputato, svolgendo quattro motivi.

2.1. Con il primo motivo, proposto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), il ricorrente lamenta violazione della legge penale in relazione alla mancata estromissione dal giudizio penale della parte civile che non aveva accettato il rito speciale di cui all'art. 441 c.p.p., comma 4.

Il ricorrente ne trae argomento per ritenere illegittimo il riconoscimento del diritto delle parti civili al risarcimento del danno e al pagamento della provvisionale esecutiva, nonchè alla rifusione delle spese legali.

Dottrina e giurisprudenza (inclusa la sentenza citata, la sentenza della Cassazione n. 10001 - e non 1001- del 2004) non avallavano affatto la partecipazione della parte civile dissenziente al giudizio abbreviato.

Il ricorrente richiama il disposto dell'art. 441 c.p.p., comma 4, art. 651 c.p.p., comma 2, art. 652 c.p.p., comma 2, e art. 576 c.p.p. e assume che non erano previsti altri effetti sulla domanda principale della parte civile che non presta il consenso sul rito.

Il dissenso espresso induce a pensare che la parte civile non intenda partecipare al giudizio penale e preferisca riservare al giudice civile completa autonomia sull'esistenza del fatto, la sua attribuzione a un soggetto determinato e l'illiceità della condotta.

La dichiarazione di non accettare il rito priva di senso la partecipazione della parte civile al processo penale e la orienta verso il giudizio civile, ove potrà senza alcun pregiudizio esercitare i propri diritti senza alcun limite probatorio, come del resto indica chiaramente la sentenza 443 del 1990 della Corte costituzionale.

Nè alla parte civile dissenziente spetta il diritto alla rifusione delle spese legali, poichè non esiste alcuna norma che ammetta la scissione fra pronuncia sull'azione principale e pronuncia sulle spese, con l'unica eccezione di cui all'art. 444 c.p.p., comma 2, laddove però la preclusione dello svolgimento dell'azione civile non dipende dalla scelta della parte civile.

2.2. Con il secondo motivo, proposto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), il ricorrente lamenta violazione della legge penale in relazione alla valutazione delle deposizioni delle persone offese, costituitesi parti civili, nonchè della deposizione di C.A., nonchè mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.

C.A., compagna di O.G., presente all'episodio di cui aveva avuto diretta percezione, sentita il 6/6/2011 (atti pag. 21-22) aveva indicato quale responsabile delle lesioni un altro soggetto, descritto in modo incompatibile per età, capigliatura, e corporatura dall'imputato G., pur avendo detto di aver ricevuto una spinta dall'imputato.

A differenza di quanto affermato dalla Corte di appello, che aveva ritenuto che la C. non avesse riferito del colpo inferto dal G. al proprio compagno per non averlo vista, la donna, profondamente coinvolta nella lite al punto da essere stata spinta essa pure, aveva dichiarato di essere stata presente sul posto a breve distanza dai protagonisti e ha attribuito la condotta lesiva ad un ragazzo di circa 27 anni (e non all'imputato, ma a suo figlio) che aveva estratto preventivamente un qualche arnese metallico dalla tasca.

Quand'anche in precedenza l'imputato avesse colpito O.G., certamente le gravi lesioni al naso erano state provocate dal successivo colpo sferrato dall'altra persona indicata dalla C..

2.3. Con il terzo motivo, proposto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), il ricorrente lamenta violazione della legge penale processuale in relazione al riconoscimento della responsabilità concorsuale non contestata ex art. 110 c.p. e si duole altresì della mancata corrispondenza fra capo di imputazione e sentenza con la conseguente violazione degli artt. 521 e 522 c.p. e nullità della sentenza impugnata.

Entrambe le sentenze, ben diversamente dal contenuto del capo di imputazione (mai modificato dal Pubblico Ministero) che addebita al G. entrambi i colpi produttivi delle lesioni personali patite dai due O., hanno attribuito all'imputato una responsabilità concorsuale (sentenza di primo grado, pag.4 e pag.6, ultimo rigo; sentenza di appello, pag.7, rigo 12).

Nè per giustificare la deroga alla corrispondenza fra accusa e sentenza poteva essere invocato il carattere abbreviato del giudizio e la conoscenza degli atti contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero, dovendosi aver comunque riguardo al tenore del capo di imputazione effettivamente contestato.

2.4. Con il quarto motivo, proposto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), il ricorrente lamenta violazione della legge penale in relazione alla subordinazione della concessa sospensione condizionale della pena al pagamento delle somme liquidate a titolo di provvisionale immediatamente esecutiva entro un termine decorrente dalla pronuncia della sentenza di primo grado, anzichè dal passaggio in giudicato della sentenza.

Tale disposizione era palesemente illegittima e in contrasto con la consolidata giurisprudenza di legittimità che esclude l'esecuzione ante judicatum dei capi penali della sentenza, incluso quello sulla sospensione condizionale. La Corte aveva equivocato, ritenendo che l'appellante si dolesse della sospensione condizionale e non già della sua illegittima subordinazione.

3. In data 7/5/2018 la difesa dell'imputato ha depositato memoria riprendendo con i due motivi aggiunti rispettivamente i temi del primo e del secondo motivo di ricorso, nel secondo caso allegando il verbale delle dichiarazioni rese dalla teste C.A..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge in relazione alla mancata estromissione dal giudizio penale delle parti civili che non avevano accettato il rito speciale di cui all'art. 441 c.p.p., comma 4.

1.1. Il Giudice di primo grado aveva sostenuto che la mancata accettazione del rito abbreviato delle parti civili comportasse solo la conseguenza di cui al comma 1 (in realtà: comma 4) dell'art.441.

La Corte fiorentina ha ritenuto assolutamente corretta tale statuizione, richiamando a proprio conforto la sentenza 1001 (in realtà:10001) del 2004 di questa Corte e assumendo che la mancata accettazione del rito speciale determinasse l'unico effetto di rendere inapplicabile l'art. 75 c.p.p., comma 3, (che prevede la sospensione del processo civile sino alla definizione del processo penale), e ha aggiunto che la parte civile non ha il potere di opporsi all'ammissione del rito speciale, nè di impugnare il provvedimento che lo dispone (osservazioni quest'ultime del tutto ineccepibili e neppur contestate dal ricorrente).

Giova precisare che il comma 3 dell'art. 75 prevede la sospensione del processo civile fino alla pronuncia della sentenza penale non più soggetta a impugnazione, allorchè l'azione civile è proposta in sede civile nei confronti dell'imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado.

1.2. Secondo il ricorrente, dottrina e giurisprudenza non avallavano affatto la partecipazione al giudizio abbreviato della parte civile dissenziente rispetto a quel rito, scelto dall'imputato.

Il ricorrente richiama, innanzitutto, a sostegno della propria interpretazione il disposto dell'art. 441 c.p.p., comma 4, art. 651 c.p.p., comma 2, art. 652 c.p.p., comma 2, e art. 576 c.p.p.; quindi, pur riconoscendo che il codice non prevede, almeno esplicitamente, altri effetti sulla domanda principale della parte civile che non presta il consenso sul rito, il ricorrente attribuisce al dissenso espresso dalla parte civile il significato che essa non intende partecipare al giudizio penale e preferisce riservare al giudice civile completa autonomia sull'esistenza del fatto, la sua attribuzione a un soggetto determinato e l'illiceità della condotta.

Nell'ottica del ricorrente la dichiarazione di non accettare il rito priva di senso la partecipazione della parte civile al processo penale e la orienta verso il giudizio civile, ove potrà senza alcun pregiudizio esercitare i propri diritti senza alcun limite probatorio.

1.3. Le suggestive osservazioni del ricorrente traggono spunto da una cornice normativa non priva di ambiguità, compatibile astrattamente con le opposte soluzioni dell'interrogativo, che sono state accolte, sia pur nel contesto di meri obiter dicta, nel contesto di precedenti decisioni di questa Corte e del Giudice delle leggi.

Può infatti sostenersi che la mancata accettazione della parte civile del rito abbreviato comporti il venir meno dell'azione civile in sede penale, come propugna l'imputato ricorrente, con soluzione condivisa dal Procuratore generale, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio delle statuizioni civili, ovvero che l'effetto del dissenso sia solamente l'inoperatività della sospensione necessaria per pregiudizialità penale, altrimenti contemplata dal comma dell'art.75.

Le due tesi opposte sono state coerentemente difese dalle parti nel corso del processo sin dall'udienza del 10/7/2012 dinanzi al Giudice di primo grado, ove il contrasto interpretativo si era già chiaramente delineato, e i Giudici del merito lo hanno sempre risolto accogliendo la seconda delle due opzioni ricordate.

1.4. Il Collegio ritiene che le censure proposte dal ricorrente non siano condivisibili e tendano a introdurre un'ipotesi di revoca necessaria della costituzione di parte civile non prevista, nè esplicitamente, nè implicitamente, dalla legge.

L'art. 441, comma 4, prevede una sola conseguenza in caso di dissenso della parte civile rispetto al rito abbreviato scelto dall'imputato, ossia l'assenza dell'effetto di sospensione necessaria del giudizio civile che conseguirebbe nell'ipotesi in cui la parte civile già costituita proponga azione in sede civile verso l'imputato.

L'altra ipotesi di sospensione per pregiudizialità penale (proposizione dell'azione civile dopo la sentenza di primo grado) non viene in considerazione per assorbimento, visto che per definizione nella fattispecie regolata dall'art. 441, comma 4 vi è una parte civile già costituita, che, appunto, non accetta il rito abbreviato.

1.5. L'attuale codice di rito, privo di una regola di sistema quale quella espressa nel previgente art. 3 del codice abrogato, è improntato a un tendenziale principio di separazione fra la giurisdizione penale e quella civile, ben diversamente dal codice previgente, ispirato al principio dell'unità della funzione giurisdizionale e del primato della giurisdizione penale.

L'art. 75 c.p.p. al comma 1 considera l'ipotesi della trasmigrazione in sede penale dell'azione civile già proposta in sede civile (translatio judicii dalla sede civile a quella penale).

Il secondo comma dello stesso articolo esprime in linea generale il principio del doppio binario giurisdizionale, secondo il quale l'azione civile proposta in sede civile e non trasferita nel processo penale, prosegue indipendentemente senza interferenze reciproche.

Il comma 3 considera le due ipotesi della proposizione dell'azione civile dopo la costituzione di parte civile (ossia dopo la proposizione della stessa azione civile in sede penale) ovvero dopo la pronuncia della sentenza penale di primo grado, prevedendo per tali ipotesi l'unico residuo caso di sospensione necessaria del processo civile.

Tale disposizione va tuttavia coordinata con la seconda parte del comma 2 dell'art. 82, che prevede la revoca della costituzione di parte civile nell'ipotesi in cui la parte civile, già costituita in sede penale, promuova l'azione in sede civile (translatio judicii dalla sede penale a quella civile).

1.6. La ragione principale che milita a favore della soluzione accolta dalla sentenza impugnata, puntualmente indicata già dal Giudice empolese con l'ordinanza del 10/7/2012, sta nel silenzio assoluto serbato dalla legge sull'effetto di caducazione dell'azione civile scaturente dal dissenso sul rito, in un contesto normativo che individua espressamente nell'art. 82 c.p.p. le ipotesi tipiche di revoca della domanda diretta a ottenere le statuizioni civili nel processo penale (dichiarazione orale della parte personalmente o di suo procuratore speciale in udienza; dichiarazione scritta in atto depositata in cancelleria e notificato alle altre parti; omessa presentazione delle conclusioni ex art. 523 c.p.p.; promozione dell'azione civile davanti al giudice civile), senza contemplare affatto la mancata accettazione del rito abbreviato.

Se questo fosse stato l'effetto perseguito dal legislatore sarebbe stato logico disporre in tal senso, se non nell'art. 82, almeno nel corpo del comma 4 dell'art. 441, affermando che in tal caso la costituzione di parte civile si intendeva revocata e quindi precisando che l'azione civile riproposta in sede civile andava esente dal vincolo pregiudiziale previsto dal comma 3 dell'art.75.

1.7. Il sistema conseguente all'accoglimento dell'interpretazione preferita possiede una sua intrinseca razionalità, volta a tutelare la parte civile che partecipa ad un processo destinato a svolgersi secondo le regole di un rito che "subisce", in conseguenza del privilegio di scelta attribuito all'imputato, e con pesanti limitazioni della facoltà di prova.

La corretta lettura della disciplina dell'art. 441 c.p.p., comma 4, induce a ritenere che la parte civile dissenziente sul rito abbreviato non sia automaticamente estromessa dal processo penale e la sua azione esercitata in sede penale resti efficace; se tuttavia, in qualsiasi momento, decide di esercitare l'azione in sede civile, abbandonando il processo penale, stante l'effetto automatico di revoca attribuito a tale condotta processuale dall'art. 82 c.p.p., comma 2, il processo civile così iniziato non soffre sospensione in deroga alla previsione generale dell'art. 75, comma 3.

Nella sostanza, la parte civile dissenziente può continuare a partecipare al processo a prova limitata, salvo abbandonarlo in ogni momento in cui ritenga pregiudicata le sue possibilità difensive, per trasferire l'azione in sede civile, senza alcun pregiudizio.

1.8. Questa Corte (Sez. 2, n. 19243 del 30/03/2017, Verrocchio, Rv. 269570) ha affermato che il comportamento della parte civile che esprime parere contrario alla ammissione dell'imputato al rito abbreviato condizionato non è equiparabile alla manifestazione di volontà di non accettare tale rito che produce l'effetto di cui all'art. 441 c.p.p., comma 4, e cioè di rendere inapplicabile la sospensione del processo civile fino alla definizione di quello penale, ai sensi dell'art. 75, comma 3, dello stesso codice.

Non diverse appaiono le indicazioni fornite dalla pronuncia citata dalla Corte toscana e dal ricorrente (Sez. 1, n. 10001 del 05/02/2004, Pisanelli, Rv. 227115) secondo la quale allorchè la parte civile, in luogo di esprimere la volontà di non accettare il rito abbreviato, così determinando, ai sensi dell'art. 441 c.p.p., comma 4, l'unico effetto di rendere inapplicabile il disposto di cui all'art. 75, comma 3, stesso codice (che prevede la sospensione del processo civile fino alla definizione di quello penale), si limiti a non esprimere nè dissenso nè consenso all'instaurazione del suddetto rito speciale, tale comportamento processualmente neutro, non può essere interpretato come indicativo di una scelta della parte civile di trasferire la domanda civilistica nella sua sede naturale, rinunciando all'azione proposta nel processo penale.

Nessuna delle due pronunce (dedicate rispettivamente al caso del parere contrario al rito abbreviato condizionato e al silenzio circa l'adozione del rito speciale), che pure indicano specificamente l'effetto della posizione espressa dalla parte civile nell'inapplicabilità del comma 3 dell'art. 75, definito anzi "unico", sostiene che la dichiarazione di dissenso della parte civile comporta l'abbandono del processo penale e la revoca della domanda civilistica proposta in quella sede.

1.9. Contrastanti indicazioni non possono essere desunte da altre norme del codice di rito.

L'art. 576 c.p.p., comma 1, seconda parte, attribuisce alla parte civile il diritto di proporre impugnazione agli effetti civili contro la sentenza pronunciata nel giudizio abbreviato quando ha consentito all'abbreviazione del rito.

L'esclusione della legittimazione della parte civile dissenziente sul rito ad impugnare la sentenza resa nel giudizio abbreviato agli effetti civili, da un lato, conferma implicitamente la persistenza nel processo penale della sua azione civile, perchè altrimenti non vi sarebbe stato bisogno di alcuna precisazione (l'unica parte civile ipotizzabile essendo appunto la parte consenziente sul rito, visto che la parte civile dissenziente sarebbe stata automaticamente estromessa secondo la tesi non accolta); d'altro canto, la predetta esclusione si giustifica con la disciplina contenuta nelle norme relative all'efficacia extra-penale del giudicato (art. 651 c.p.p., comma 2, art. 651-bis c.p.p., comma 2, art. 652 c.p.p., comma 2) che sottraggono la parte civile dissenziente all'efficacia della decisione penale.

1.10. In particolare, quanto all'efficacia extra-penale del giudicato, l'art. 651 c.p.p., comma 2, (con disposizione puntualmente riprodotta dall'art. 651 bis, comma 2, quanto alla sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto), in tema di efficacia della sentenza penale di condanna nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno, promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile, citato o intervenuto nel processo penale, attribuisce efficacia di giudicato, quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo alla sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nel giudizio abbreviato a norma dell'art. 442, salvo che vi si opponga la parte civile che non abbia accettato il rito abbreviato.

In altri termini, la parte civile dissenziente, non revocata, ha titolo a sottrarsi in sede civilistica, opponendosi, all'efficacia del giudicato. Se è vero che normalmente la parte civile dovrebbe trarre vantaggio dall'efficacia vincolante della sentenza penale di condanna, la riconosciuta facoltà di opposizione è stata spiegata con il rilievo che il riconoscimento nei reati colposi di un concorso di colpa della persona offesa, costituitasi parte civile e non posta in condizione di difendersi adeguatamente sul punto sarebbe pregiudizievole dei suoi legittimi interessi.

Analoga disciplina è prevista per il caso opposto dall'art. 652, comma 2, che prevede l'efficacia della sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata a norma dell'art. 442 nel giudizio civile o amministrativo di danno, quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima solo se la parte civile ha accettato il rito abbreviato.

1.11. Il ricorrente cita, invero appropriatamente, in avallo alle proprie tesi, un passo della sentenza n.443 del 12/10/1990, della Corte costituzionale, dedicata alle sorti della costituzione di parte civile nel caso di applicazione concordata della pena ex art. 444 c.p.p..

In tale occasione il Giudice delle leggi ha operato il raffronto di tale disciplina con quella del giudizio abbreviato, affermando che "nel giudizio abbreviato il giudice può pronunciare sulla domanda della parte civile solamente se questa abbia "accettato" il rito speciale (cfr. art. 441, comma 3). Ma ciò dipende, prima ancora che da qualsiasi altra considerazione circa l'ambito dei poteri rispettivamente spettanti al giudice, dalla differenza strutturale fra i due riti: la scelta del giudizio abbreviato comporta, se condivisa dal giudice, la trasformazione del rito ordinario in rito speciale (non a caso, la costituzione di parte civile può intervenire anche dopo l'ordinanza con la quale sia stato disposto il giudizio abbreviato), mentre la concorde richiesta di applicazione della pena si risolve, se condivisa dal giudice, in un epilogo del processo. Orbene, la possibilità per la parte civile di optare tra l'accettazione e la non accettazione del rito speciale, con antitetiche conseguenze sui poteri decisori del giudice in ordine all'azione civile, se può trovar posto in un giudizio che continua, non può certamente trovar posto in un giudizio che si chiude".

L'autorevole opinione della Consulta, secondo cui nel giudizio abbreviato il giudice può pronunciare sulla domanda della parte civile solamente se questa abbia "accettato" il rito speciale, che si colloca in senso favorevole alla tesi sostenuta dal ricorrente, non può essere condivisa, quanto all'interpretazione del diritto positivo per le ragioni sopra esposte.

E' comunque il caso di sottolineare che la Corte Costituzionale nella pronuncia ricordata ha sostenuto l'assunto nell'ambito di una argomentazione volta a giustificare la diversa disciplina dei poteri di manifestazione della volontà della parte civile di accettazione del rito speciale nel caso di applicazione concordata della pena e di giudizio di abbreviato.

L'argomentazione, meramente rafforzativa, proposta dalla Corte Costituzionale mantiene integralmente tutta la sua forza anche nel contesto della diversa ricostruzione interpretativa qui accolta, vista la sua esclusiva finalità di giustificare la ratio del potere della parte civile di pronunciarsi sul rito, individuata nella prosecuzione del processo (nel rito abbreviato) e nella chiusura del processo (nel c.d. "patteggiamento").

In altri termini, l'opinione incidentalmente espressa dalla Consulta non attiene nè all'oggetto, nè ai presupposti del giudizio di costituzionalità.

1.12. Alla luce delle considerazioni esposte il motivo di ricorso deve essere rigettato.

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione della legge penale in relazione alla valutazione delle deposizioni delle persone offese, costituitesi parti civili, nonchè della deposizione di C.A., nonchè mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.

2.1. La teste C.A., presente all'episodio di cui aveva avuto diretta percezione, sentita il 6/6/2011 (atti pag.21-22) aveva indicato quale responsabile delle lesioni subite dal suo compagno O.G. un altro soggetto, descritto in modo incompatibile per età, capigliature e corporatura dall'imputato G., pur avendo detto di aver ricevuto una spinta dall'imputato.

La Corte di appello aveva ritenuto che la C. non avesse riferito del colpo vibrato del G. al proprio compagno, non avendolo vista. Invece la donna, profondamente coinvolta nella lite al punto da essere stata spinta anch'essa, aveva dichiarato di essere stata presente sul posto a breve distanza dai protagonisti e ha attribuito la condotta lesiva ad un ragazzo di circa 27 anni, che aveva estratto preventivamente un qualche arnese metallico dalla tasca, e cioè non all'imputato G.F., ma a suo figlio.

Quand'anche in precedenza l'imputato avesse colpito O.G., certamente le gravi lesioni al naso erano state provocate dal successivo colpo sferrato dall'altra persona, ossia il figlio del G., indicata dalla C..

2.2. Tali recriminazioni del ricorrente mirano a sollecitare inammissibilmente dalla Corte di Cassazione una non consentita rivalutazione del fatto motivatamente ricostruito dal Giudice del merito, senza passare, come impone l'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), attraverso la dimostrazione di vizi logici intrinseci della motivazione (mancanza, contraddittorietà, illogicità manifesta) o denunciarne in modo puntuale e specifico la contraddittorietà estrinseca con "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame".

I limiti che presenta nel giudizio di legittimità il sindacato sulla motivazione, si riflettono anche sul controllo in ordine alla valutazione della prova, giacchè altrimenti anzichè verificare la correttezza del percorso decisionale adottato dai Giudici del merito, alla Corte di Cassazione sarebbe riservato un compito di rivalutazione delle acquisizioni probatorie, sostituendo, in ipotesi, all'apprezzamento motivatamente svolto nella sentenza impugnata, una nuova e alternativa valutazione delle risultanze processuali che ineluttabilmente sconfinerebbe in un eccentrico terzo grado di giudizio. Da qui, il ripetuto e costante insegnamento (Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006, Casula, Rv. 233708; Sez. 5, n. 44914 del 06/10/2009, Basile e altri, Rv. 245103) in forza del quale, alla luce dei precisi confini che circoscrivono, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo del vizio di motivazione, la Corte non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare, sulla base del testo del provvedimento impugnato, se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento.

Non è quindi sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti. (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D'Ippedico e altro, Rv. 271623; Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, Cammarata e altro, Rv. 270519).

Il sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che quest'ultima: a) sia "effettiva", ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", perchè sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente "contraddittoria", ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.

Non sono quindi deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria.

2.3. La Corte territoriale non ha affatto trascurato la deposizione della sig.ra C., e non ha affatto negato che anche il diverso soggetto da essa indicato, ossia il figlio del G., abbia colpito, da dietro e con un oggetto metallico, al volto O.G., ma ha fatto leva sulla dichiarazione resa dalla parte civile O.G., che, pur menzionando anche il secondo episodio, aveva sostenuto di essere stato colpito prima proprio da G.F. con un violento pugno in faccia.

La decisione della Corte di appello di privilegiare ai fini della ricostruzione del fatto la dichiarazione del diretto protagonista, che aveva ricevuto entrambi i colpi, non è nè illogica, per giunta manifestamente, nè contraddittoria, tanto più che l'apparente contrasto è stato affrontato e spiegato razionalmente nell'ambito di un contesto aggressivo dinamico in cui i due, C.A. e O.G. si sono trovati coinvolti e che la ricostruzione privilegiata, di cui il ricorrente mostra di dubitare, ha ricomposto logicamente le modeste differenze dei due racconti, senza escludere affatto che anche il figlio del G. abbia colpito O.G..

3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione della legge penale processuale in relazione al riconoscimento della responsabilità concorsuale, che non era stata contestata ex art. 110 c.p. e si duole altresì della mancata corrispondenza fra capo di imputazione e sentenza con la conseguente violazione degli artt. 521 e 522 c.p. e nullità della sentenza impugnata.

3.1. Il ricorrente osserva che tutte e due le sentenze di merito, ben diversamente dal contenuto del capo di imputazione (mai modificato dal Pubblico Ministero) che addebita al G. entrambi i colpi produttivi delle lesioni personali patite dai due O., hanno attribuito all'imputato una responsabilità concorsuale (sentenza di primo grado, pag. 4 e pag. 6, ultimo rigo; sentenza di appello, pag.7, rigo 12).

Secondo il ricorrente per giustificare la deroga alla corrispondenza fra accusa e sentenza non poteva essere invocato il carattere abbreviato del giudizio e la conoscenza degli atti contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero, dovendosi aver comunque riguardo al tenore del capo di imputazione effettivamente contestato.

3.2. L'art. 521 c.p.p., rubricato "Correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza", enuncia al primo comma il principio riassumibile nel brocardo latino iura novit curia, in base al quale il giudice, nella sentenza, può dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione, purchè il reato non ecceda la propria competenza o non sia affidato alla cognizione del Tribunale in composizione collegiale anzichè monocratica.

Al fine di tutelare il diritto di difesa dell'imputato, però, il secondo comma dell'art. 521 impone al giudice che accerti che il fatto è diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio (ovvero nella contestazione effettuata a norma degli artt. 516 e 517 c.p.p. e art. 518 c.p.p., comma 2) di pronunciare un'ordinanza con cui dispone trasmettersi gli atti al Pubblico Ministero.

L'art. 518 c.p.p. invece considera l'ipotesi dell'emersione nel corso del processo di un fatto nuovo a carico dell'imputato, non enunciato nel decreto che dispone il giudizio e perseguibile d'ufficio, prevedendo che in tal caso si proceda nelle forme ordinarie, salva l'autorizzazione alla contestazione suppletiva con il consenso dell'imputato e purchè non ne derivi pregiudizio per la speditezza dei procedimenti.

3.3. La giurisprudenza di questa Corte è costante nell'affermare che per "fatto nuovo", regolato dall'art. 518 c.p.p., si intende un fatto ulteriore ed autonomo rispetto a quello contestato, ossia un episodio storico che non si sostituisce ad esso, ma che eventualmente vi si aggiunge, affiancandolo quale autonomo thema decidendum, trattandosi di un accadimento naturalisticamente e giuridicamente autonomo.

Invece, per "fatto diverso", considerato dal comma 2 dell'art. 521, deve intendersi non solo un fatto che integri una imputazione diversa, restando esso invariato, ma anche un fatto che presenti connotati materiali difformi da quelli descritti nella contestazione originaria, rendendo necessaria una correlativa puntualizzazione nella ricostruzione degli elementi essenziali del reato (Sez. 6, n. 26284 del 26/03/2013, Tonietti, Rv. 256861; Sez. 5, n. 2295 del 03/07/2015 - dep. 2016, p.c. in proc. Marafioti, Rv. 266019; Sez. 5, n. 10310 del 25/08/1998, Capano, Rv. 211477).

3.4. Sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza solo se il fatto contestato sia mutato nei suoi elementi essenziali, così da provocare una situazione di incertezza e di cambiamento sostanziale della fisionomia dell'ipotesi accusatoria capace di impedire o menomare il diritto di difesa dell'imputato (Sez. 6, n. 6346 del 09/11/2012,2013, Domizi e altri, Rv. 254888); occorre quindi una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; l'indagine volta ad accertare la violazione del principio non si esaurisce nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco Rv. 205619).

La giurisprudenza della Corte Edu con riferimento all'art.6 della Convenzione afferma che il giudice deve procedere ad un triplice accertamento per valutare se sia stato rispettato il diritto di informazione preventiva sull'accusa: a) deve, innanzitutto, verificare, in concreto se fosse sufficientemente prevedibile per il ricorrente che l'accusa inizialmente formulata nei suoi confronti fosse riqualificata; b) la fondatezza dei mezzi di difesa che il ricorrente avrebbe potuto invocare se avesse avuto la possibilità di discutere della nuova accusa formulata nei suoi confronti; c) quali siano state le ripercussioni della nuova accusa sulla determinazione della pena del ricorrente.

3.5. La ratio così individuata del principio di correlazione tra contestazione e sentenza, e il criterio teleologico di valutazione che ne consegue, impone alla Corte di verificare la sussistenza nel caso concreto di un effettivo pregiudizio per la difesa dell'imputato.

3.6. Siffatto pregiudizio evidentemente non sussiste, quanto all'accusa di lesioni in danno di O.G., poichè, al di là della diversità della tipologia del colpo sferrato (in rubrica testata, in sentenza pugno), neppur contestata dal ricorrente, perchè il fatto materialmente attribuito a G.F. è stato accertato in sentenza e semplicemente si è ritenuto che anche un altro colpo fosse stato sferrato, successivamente, dal suo volto da altra persona (a quanto pare, il figlio del G. stesso), peraltro nello stesso contesto spazio-temporale.

A rigore non vi è stata quindi neppur riqualificazione, tantomeno pregiudizio difensivo e ancor meno conseguenze sanzionatorie.

3.7. Quanto all'accusa di lesioni in danno di O.L., la diversità effettivamente sussiste.

Il capo di imputazione si riferisce ad una diretta azione lesiva esercitata da G.F. sul capo del ragazzo sospingendo con forza il volto con un pilastro, sì da provocargli le lesioni descritte.

Invece in sentenza è stato accertato che l'azione aggressiva era stata portata avanti congiuntamente dal G. e da tal Gr.Do., giudicato separatamente ex art. 444 c.p.p., che entrambi ( G. e Gr.) avevano spintonato e colpito la vittima e che mentre il G. aveva afferrato O.L. al collo, il Gr. lo aveva percosso sul volto.

Anche in questo caso, tuttavia, non vi è immutazione del contesto spazio temporale, nè modifica strutturale dell'azione lesiva, e varia solamente la tipologia della tecnica di aggressione fisica utilizzata, senza che possa apprezzarsi una significativa lesione delle possibilità difensive dell'imputato, che poteva ragionevolmente prevedere siffatto sviluppo anche solo alla luce del contenuto della querela.

Il ricorrente neppure indica le possibilità difensive che sarebbero state pregiudicate.

L'entità delle sanzioni irrogate non ha subito significative variazioni in ragione della condotta accertata rispetto a quella contestata, stante la sostanziale equivalenza causale delle azioni del G. e del Gr., dovendosi semmai rilevare che il processo ha portato ad ascrivere al ricorrente un'azione potenzialmente meno grave di quella contestata.

3.8. A sostegno della conclusione raggiunta, appare opportuno rammentare che questa Corte ha più volte escluso la violazione del principio di necessaria correlazione tra accusa e sentenza quando, contestato a taluno un reato commesso uti singulus, se ne affermi la responsabilità in concorso con altri, giacchè tale modifica non comporta una trasformazione essenziale del fatto addebitato, nè può provocare menomazioni del diritto di difesa, ponendosi in rapporto di continenza e non di eterogeneità rispetto alla originaria contestazione (Sez. 3, n. 35851 del 11/05/2016, G, Rv. 2676380; Sez. 2, n. 12207 del 17/03/2015, Abruzzese, Rv. 263017;Sez. 5, n. 18770 del 22/12/2014 - dep. 2015, Runca, Rv. 264073 in tema di concorso esterno nel reato di bancarotta; Sez. 6, n. 49820 del 05/12/2013, Billizzi e altri, Rv. 258138, in tema di concorso esterno in associazione mafiosa; Sez. 6, n. 21358 del 05/05/2011, Cella, Rv. 250072; Sez. 5, n. 15556 del 09/03/2011, Bruzzese, Rv. 250180, in tema di concorso morale).

4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta violazione della legge penale in relazione alla subordinazione della concessa sospensione condizionale della pena al pagamento delle somme liquidate a titolo di provvisionale immediatamente esecutiva entro un termine decorrente dalla pronuncia della sentenza di primo grado, anzichè dal passaggio in giudicato della sentenza.

4.1. Tale disposizione, secondo il ricorrente, era palesemente illegittima e in contrasto con consolidata giurisprudenza che esclude l'esecuzione ante judicatum dei capi penali della sentenza, incluso quello sulla sospensione condizionale; inoltre - aggiunge il ricorrente - la Corte territoriale aveva equivocato la censura proposta con il gravame, ritenendo erroneamente che l'appellante si dolesse della sospensione condizionale e non già della sua illegittima subordinazione.

4.2. Per la precisione, la Corte di appello ha osservato che l'appellante non poteva dolersi della disposizione denunciata perchè la condanna al pagamento della provvisionale era provvisoriamente esecutiva per legge e quindi la disposizione risultava più favorevole all'imputato perchè ne posticipava il pagamento entro trenta giorni.

4.3. L'equivoco è evidente.

L'appellante non si lamentava dell'esecutività della provvisionale, peraltro sancita dalla legge, ma del vincolo di condizionamento apposto alla concessione della sospensione condizionale della pena, collegato al pagamento della provvisionale entro trenta giorni dalla sentenza di primo grado e non già a decorrere dall'irrevocabilità della decisione.

Per altro verso, la Corte toscana ha evidentemente confuso due concetti giuridicamente ben distinti: ossia l'esecutività della provvisionale (ex art. 540 c.p.p., comma 2), che non era stata affatto posticipata per effetto della condizione (sospensiva) apposta alla sospensione condizionale della pena, e il pagamento (effettivo) della somma liquidata a titolo di provvisionale entro trenta giorni dal deposito della sentenza di primo grado.

Una cosa è l'esecutorietà di una condanna, altra l'adempimento della pronuncia esecutiva.

4.4. La giurisprudenza di questa Corte ritiene, in linea generale, che in caso di sospensione condizionale della pena subordinata al pagamento di una somma liquidata a titolo di risarcimento del danno, il termine entro il quale l'imputato deve provvedere all'adempimento dell'obbligo risarcitorio, qualora non sia stato fissato in sentenza, coincide con quello del passaggio in giudicato della stessa, trattandosi di obbligazione pecuniaria immediatamente esigibile (Sez. 1, n. 47862 del 28/06/2017, P.M. in proc. Gentiluomo e altro, Rv. 271418, Sez. 4, n. 21583 del 06/05/2016, Giancane, Rv. 267280).

Pertanto, in linea di principio, quando la sospensione condizionale della pena sia stata subordinata al risarcimento del danno o alla eliminazione delle conseguenze del reato, il termine per la esecuzione decorre dal passaggio in giudicato della sentenza, dal momento che non è possibile una esecuzione ante iudicatum dei capi penali della pronuncia, tra i quali sono comprese le statuizioni sulla sospensione condizionale della pena (Sez. 3, n. 19316 del 15/01/2015, Cavalieri, Rv. 263512).

La giurisprudenza è tuttavia divisa quanto alla possibilità di subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena al pagamento della somma liquidata a titolo di provvisionale.

Secondo un orientamento, nel condizionare la sospensione condizionale della pena al pagamento di una provvisionale in favore della parte civile, il giudice può legittimamente subordinare il beneficio al versamento della somma entro un termine anteriore al passaggio in giudicato della sentenza, in quanto la condanna, nella parte concernente la provvisionale, è immediatamente esecutiva per legge (Sez. 3, n. 22259 del 28/04/2016, M, Rv. 267351, Sez. 5, n. 4014 del 27/10/2015 - dep. 2016, Cucchiella, Rv. 267557; Sez. 3, n. 16893 del 30/10/2014 - dep. 2015, Ortolani, Rv. 263230; Sez. 3, n. 126 del 19/11/2008 -dep. 2009, D'Angelo, Rv. 242260) Pare orientata implicitamente nello stesso anche quella giurisprudenza che, in applicazione dei principi di legalità e tassatività, che escludono la sottoposizione del beneficio ad obblighi diversi da quelli previsti dall'art. 165 cod. pen., afferma l'illegittimità della subordinazione della sospensione condizionale della pena all'obbligo del risarcimento dei danni entro un termine predefinito nella sentenza, nel caso in cui il giudice penale abbia pronunciato condanna generica e demandato al giudice civile la liquidazione del predetto danno, giacchè la disposizione di cui all'art. 165 cod. pen. attribuisce al giudice di merito l'esercizio di tale facoltà solo ove abbia proceduto direttamente alla quantificazione dell'obbligo risarcitorio del condannato, ovvero abbia assegnato una provvisionale (Sez. 6, n. 29163 del 09/06/2016, Tondi, Rv. 267526; Sez. 5, n. 48517 del 06/10/2011, Cuoghi, Rv. 251708).

L'opposto orientamento ritiene invece che il beneficio della sospensione condizionale della pena non possa essere subordinato al pagamento della provvisionale, riconosciuta alla parte civile, anteriormente al passaggio in giudicato della sentenza, determinandosi, altrimenti, una esecuzione ante iudicatum delle statuizioni penali della pronuncia (Sez. 5, n. 26811 del 10/02/2016, S, Rv. 267887, Sez. 4, n. 29889 del 05/04/2013, De Florentis, Rv. 257074; Sez. 6, n. 5914 del 31/01/2012, Frino e altri, Rv. 251789; Sez. 6, n. 42179 del 16/10/2012, S., Rv. 254002) ovvero che il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato al pagamento della provvisionale riconosciuta alla parte civile da effettuarsi dopo il passaggio in giudicato della sentenza. (Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014, C e altro, Rv. 260408).

Il Collegio reputa corretta tale seconda soluzione proprio perchè, altrimenti ragionando, verrebbe a realizzarsi una esecuzione ante iudicatum delle statuizioni penali della pronuncia: il punto essenziale è che l'immediata esecutorietà della condanna provvisionale vale solo nella prospettiva civilistica e non può assumere rilievo ai fini delle statuizioni penali.

L'annullamento sul punto della sentenza impugnata, come ritenuto da Sez. 5, n. 26811 del 10/02/2016, può avvenire senza rinvio, ben potendo questa Corte ex art. 620 c.p.p. introdurre la statuizione corretta, che subordina la sospensione condizionale della pena al passaggio in giudicato della sentenza.

5. La sentenza impugnata deve quindi essere annullata senza rinvio limitatamente alla subordinazione della sospensione condizionale al pagamento della provvisionale entro trenta giorni dalla motivazione, termine sostituito dal passaggio in giudicato della sentenza.

Il ricorso deve essere rigettato nel resto.

Il ricorrente deve essere infine condannato alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, nei cui confronti risulta soccombente, liquidate in complessivi Euro 1.755,00=, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente alla subordinazione della sospensione condizionale al pagamento della provvisionale entro trenta giorni dalla motivazione, termine che stabilisce dal passaggio in giudicato della sentenza.

Rigetta nel resto il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate in Euro 1.755,00 oltre accessori di legge.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 23 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2018