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Pandemia non legittima parti private ad usare PEC per atti (Cass. 28540/20)

14 ottobre 2020, Cassazione penale

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L'atto di ricorso, sottoscritto dai difensori, è inammissibile se  trasmesso a mezzo di posta elettronica certificata: tale modalità di presentazione del ricorso di legittimità non è ammessa nella materia penale, nemmeno a tenore della legislazione emanata per fronteggiare l'emergenza sanitaria in corso. Nessuna deroga, dunque, è stata istituita rispetto al generale principio, per cui nel processo penale non è consentito alla parte privata l'uso della posta elettronica certificata nè per la trasmissione dei propri atti alle altre parti, nè per il deposito presso gli uffici, essendo l'utilizzo di tale mezzo informatico - ai sensi della D.L. n. 179 del 2012, art. 16, comma 4, convertito dalla L. n. 221 del 2012 - riservato alla sola cancelleria.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

(ud. 15/09/2020) 14-10-2020, n. 28540

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IASILLO Adriano - Presidente -

Dott. SARACENO Rosa Anna - Consigliere -

Dott. BONI Monica - Consigliere -

Dott. CENTOFANTI Francesco - rel. Consigliere -

Dott. DI GIURO Gaetano - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

S.V., nato a (OMISSIS);

avverso l'ordinanza del 13/05/2020 del Tribunale di Catania;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Francesco Centofanti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Birritteri Luigi Giuseppe, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, sotto il profilo formale e sostanziale;

udito, per il ricorrente, l'avvocato CV, che ha chiesto ammettersi il ricorso sotto il profilo formale ed accogliersi il ricorso stesso.

Svolgimento del processo

1. Con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale di Catania, decidendo ai sensi dell'art. 309 c.p.p., confermava l'anteriore ordinanza del locale G.i.p., con la quale S.V. era stato sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere, quale mandante dell'omicidio di B.V. (risalente al (OMISSIS), capo Q della rubrica), maturato nel contesto di una cruenta guerra di mafia tra gruppi criminali contrapposti. L'uomo era stato raggiunto, all'interno di un bar di (OMISSIS), da più sicari, che lo avevano ucciso, sparando al suo indirizzo piurimi colpi di arma da fuoco.

In relazione all'omicidio era già intervenuta la definitiva condanna di Z.M., quale concorrente morale.

Il compendio indiziario, a carico dell'odierno indagato, risaliva alle dichiarazioni dei medesimi collaboratori di giustizia già considerati ai fini della condanna testè menzionata (pronunciata dalla Corte di assise di Catania il 6 dicembre 2016, ribadita in appello e divenuta definitiva il 13 settembre 2019), tra cui quelle, fondamentali, di L.C.S.; dichiarazioni corroborate dall'apporto narrativo dell'ulteriore collaboratore S.F., che aveva reso il suo interrogatorio nel luglio 2018.

Il giudice del riesame - valutata la bontà e la convergenza delle propalazioni accusatorie - ne confermava la gravità e concludenza.

In punto di esigenze cautelari, il Tribunale richiamava l'esistente presunzione, di natura relativa, legata al titolo di reato, e l'assenza di elementi idonei a superarla, alla luce dell'estrema gravità del fatto e della negativa personalità del suo autore.

2. L'indagato ricorre per cassazione, personalmente (con atto privo di motivi) e per il tramite dei suoi difensori di fiducia.

Nei due connessi motivi, da questi ultimi formulati, il ricorrente deduce la violazione degli artt. 192 e 238-bis c.p.p. e art. 292 c.p.p., comma 1, lett. c), nonchè vizio della motivazione.

Il Tribunale del riesame avrebbe accordato rilievo decisivo, in punto di gravi indizi di colpevolezza, alla sentenza irrevocabile pronunciata a carico di Z., acquisita nel procedimento cautelare, alle cui valutazioni, in punto di credibilità e attendibilità dei collaboratori, si sarebbe supinamente piegato, senza operare il necessario autonomo vaglio, e senza ricercare, con la dovuta cura, i dovuti riscontri esterni.

Adeguato riscontro non potrebbe essere ritenuto il narrato di S., il quale rimanderebbe, per la conoscenza dei fatti, allo stesso L.C., onde il verificarsi di un corto circuito logico-argomentativo.

Le dichiarazioni di S. non sarebbero nè precise, nè coerenti e circostanziate, nè ulteriormente corroborate da riscontri, anche solo di natura logica.

Con riferimento alla causale dell'omicidio, le versioni rese dai collaboratori sarebbero contrastanti e la motivazione giudiziale lacunosa.

In punto di esigenze cautelari, infine, l'art. 273 c.p.p. richiederebbe la ricorrenza di specifici presupposti, tra i quali non rientrerebbe la valutazione della personalità dell'indagato, mentre non si sarebbe tenuto conto del decorso del tempo, capace nella specie di elidere ogni concreto e attuale pericolo di reiterazione del reato.

Motivi della decisione

1. L'atto di ricorso, proposto direttamente da S., è inammissibile, giacchè, con l'entrata in vigore della L. n. 103 del 2017, si è esclusa la facoltà dell'imputato (o indagato) di presentare personalmente ricorso per cassazione, prevedendosi che il ricorso debba essere in ogni caso sottoscritto da difensori iscritti nell'albo speciale della Corte di cassazione (art. 571 c.p.p., comma 1 e art. 613 c.p.p., comma 1, nuovo testo).

2. L'atto di ricorso, sottoscritto dai difensori, è inammissibile perchè trasmesso a mezzo di posta elettronica certificata.

Come anche di recente ribadito (Sez. 1, n. 20296 del 25/06/2020, Puglisi), tale modalità di presentazione del ricorso di legittimità non è ammessa, nemmeno a tenore della legislazione emanata per fronteggiare l'emergenza sanitaria in corso, in quanto il D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 11, conv. dalla L. n. 27 del 2020, prevede la relativa possibilità solo per i ricorsi nella materia civile.

Nessuna deroga, dunque, è stata istituita rispetto al generale principio, per cui nel processo penale non è consentito alla parte privata l'uso della posta elettronica certificata nè per la trasmissione dei propri atti alle altre parti, nè per il deposito presso gli uffici, essendo l'utilizzo di tale mezzo informatico - ai sensi della D.L. n. 179 del 2012, art. 16, comma 4, convertito dalla L. n. 221 del 2012 - riservato alla sola cancelleria (Sez. 4, n. 21056 del 23/01/2018, D'Angelo, Rv. 272741; Sez. E, n. 41283 dei 11/09/2019, Di Nolfo, Rv. 277369).

3. Alla declaratoria d'inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della congrua somma indicata in dispositivo alla Cassa delle Ammende, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., non risultando l'assenza di profili di colpa nella determinazione della causa d'inammissibilità, a tenore della sentenza della Corte Costituzionale n. 186 del 2000.

La cancelleria curerà gli adempimenti di cui all'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma ai Euro tremila in favore della cassa per le ammende.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

Così deciso in Roma, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2020