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Palpeggiata per scherzo? Violenza sessuale (Cass. 46218/18)

12 ottobre 2018, Cassazione penale

Nella nozione di atti sessuali,  debbono farsi rientrare tutti quelli che siano idonei a compromettere la libera determinazione della sessualità della persona e ad invadere la sua sfera sessuale (in questa facendo rientrare anche le zone erogene) con modalità connotate dalla costrizione (violenza, minaccia o abuso di autorità), sostituzione ingannevole di persona, ovvero abuso di inferiorità fisica o psichica.

Tra gli atti idonei ad integrare il delitto di violenza sessuale vanno ricompresi anche quelli insidiosi e rapidi, purché ovviamente riguardino zone erogene su persona non consenziente- come ad es. palpamenti, sfregamenti, baci, ..

La nozione di violenza nel delitto di violenza sessuale non è limitata alla esplicazione di energia fisica direttamente posta in essere verso la persona offesa, ma comprende qualsiasi atto o fatto cui consegua la limitazione della libertà del soggetto passivo, così costretto a subire atti sessuali contro la propria volontà.

Ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale, non è, dunque, necessaria una violenza che ponga il soggetto passivo nell'impossibilità di opporre una resistenza, essendo sufficiente che l'azione si compia in modo insidiosamente rapido, tanto da superare la volontà contraria del soggetto passivo.

La molestia sessuale, che è una forma particolare di molestia prevista e punita dall'articolo 660 cod.pen., prescinde da contatti fisici a sfondo sessuale e si estrinseca o con petulanti corteggiamenti non graditi o con altrettante petulanti telefonate o con espressioni volgari nelle quali lo sfondo sessuale costituisce un motivo e non un momento della condotta. Essa coincide con tutte quelle condotte, sessualmente connotate, diverse dall'abuso sessuale, che vanno oltre il semplice complimento o la mera proposta di instaurazione di un rapporto interpersonale.

L'intrusione violenta nella sfera sessuale di un soggetto, anche se avvenuta "per scherzo" o con finalità di irrisione della vittima, travalica il mero atto di violenza privata e si qualifica come atto sessuale punibile.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 4 luglio – 12 ottobre 2018, n. 46218
Presidente Sarno – Relatore Di Stasi

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 14/03/2017, la Corte di appello di Bari confermava la sentenza del 22/1/2015 del Tribunale di Lucera, con la quale Co. An. era stato dichiarato responsabile del reato di cui all'art. 609 bis cod.pen.- per aver costretto Pe. De. a subire atti sessuali consistiti nel repentino e ripetuto palpeggiamento del sedere- e, ritenuta l'ipotesi attenuata di cui all'ult. comma dell'art. 609 bis cod.pen. e concesse le circostanze attenuanti generiche, lo aveva condannato alla pena di anni uno, mesi uno e giorni dieci di reclusione nonché al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Co. An., a mezzo del difensore di fiducia, articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
Con il primo motivo deduce vizio di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilità, lamentando che la stessa era stata basata sulle dichiarazioni della persona offesa, di contenuto contraddittorio ed in contrasto con le dichiarazioni resa dalla teste Pe. Si., e sulle riprese inconferenti delle telecamere di videosorveglianza.
Con il secondo motivo deduce violazione degli artt. 609 bis, 660 e 610 cod.pen., lamentando l'errata qualificazione giuridica della fattispecie concreta, che, tenuto conto che la persona offesa aveva dichiarato che l'imputato durante il fatto "rideva, quasi in un atteggiamento di sfida, a sfottò", doveva qualificarsi come molestia o violenza privata.
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.

Considerato in diritto

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Va ricordato che le dichiarazioni della persona offesa possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell'affermazione di responsabilità penale dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n.41461 del 19/07/2012, Rv.253214).
A tal fine è necessario che il giudice indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del suo convincimento, consentendo così l'individuazione dell'iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata; mentre non ha rilievo, al riguardo, il silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame qualora si tratti di deduzione disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, non essendo necessaria l'esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive disattese ed essendo, invece, sufficiente una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione senza lasciare spazio ad una valida alternativa.
Il giudice, quindi, può trarre il proprio convincimento circa la responsabilità penale anche dalle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa, sempre che sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità, senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all'art. 192, commi 3 e 4, cod.proc.pen., che richiedono la presenza di riscontri esterni (cfr, Sez. 1, n. 29372 del 27/7/2010, Stefanini, Rv. 248016, Sez.5, n. 1666 del 08/07/2014).
Va, poi, ribadito che la valutazione circa l'attendibilità della persona offesa si connota quale giudizio di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene al modo di essere della persona escussa; tale giudizio può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria (cfr., Sez. 3, n. 41282 del 05/10/2006, Agnelli e altro, Rv. 235578). Invero, l'attendibilità di un teste è una questione di fatto, che ha la sua chiave di lettura nell'insieme di una motivazione logica, che non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni.
Nella specie, la Corte territoriale ha motivato ampiamente in ordine alla attendibilità della persona offesa, non solo richiamando, dichiarando di condividerle, le valutazioni del giudice di primo grado, ma esponendo ulteriori ed autonome valutazioni non solo sull'analisi della prospettata ricostruzione del fatto ma anche sull'esame di specifici riscontri al narrato della persona offesa, rispondendo specificamente alle censure difensive tese ad evidenziare contraddizioni ed illogicità nel narrato accusatorio.
La Corte territoriale ha argomentato in ordine alla coerenza e costanza del racconto, rimarcando l'assenza di divergenza tra quanto esposto in sede di querela e quanto dichiarato in sede di dibattimento; ha, quindi, chiarito che la parziale divergenza tra quanto dichiarato dalla persona offesa e quanto dichiarato dalla teste Pe. Si. (sorella della persona offesa, presente ma poco distante dal luogo dei fatti), trovava plausibile giustificazione nel fatto che la predetta era rimasta in auto e non aveva potuto vedere direttamente l'azione dell'imputato, parzialmente celato dalla conformazione dei luoghi (ingresso del bar, in una rientranza non visibile dall'area di parcheggio della stazione di servizio); ha, poi, rimarcato come la dinamica dei fatti narrata dalla persona offesa trovasse anche un riscontro esterno nelle videoriprese dell'impianto di sorveglianza della stazione di servizio, (cfr 1, 2 e 3 della sentenza impugnata).
La motivazione è congrua ed esente da vizi logici e, pertanto, si sottrae al sindacato di legittimità.
Il ricorrente, peraltro, si limita sostanzialmente a proporre una lettura alternativa del materiale probatorio posto a fondamento della affermazione di responsabilità penale, dilungandosi in considerazioni in punto di fatto, che non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità, non essendo demandato alla Corte di cassazione un riesame critico delle risultanze istruttorie.
2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
2.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte di legittimità la molestia sessuale, che è una forma particolare di molestia prevista e punita dall'articolo 660 cod.pen., prescinde da contatti fisici a sfondo sessuale e si estrinseca o con petulanti corteggiamenti non graditi o con altrettante petulanti telefonate o con espressioni volgari nelle quali lo sfondo sessuale costituisce un motivo e non un momento della condotta. Essa coincide con tutte quelle condotte, sessualmente connotate, diverse dall'abuso sessuale, che vanno oltre il semplice complimento o la mera proposta di instaurazione di un rapporto interpersonale (Sez.3, n.27762 del 06/06/2008,Rv.240829; Sez.3, n.27042 del 12/05/2010, Rv.248064.
2.2. Nella nozione di atti sessuali, poi, debbono farsi rientrare tutti quelli che siano idonei a compromettere la libera determinazione della sessualità della persona e ad invadere la sua sfera sessuale (in questa facendo rientrare anche le zone erogene) con modalità connotate dalla costrizione (violenza, minaccia o abuso di autorità), sostituzione ingannevole di persona, ovvero abuso di inferiorità fisica o psichica.
Tra gli atti idonei ad integrare il delitto di cui all'art. 609 bis cod.pen.. vanno ricompresi anche quelli insidiosi e rapidi, purché ovviamente riguardino zone erogene su persona non consenziente- come ad es. palpamenti, sfregamenti, baci (Sez.3,n.42871del 26/09/2013, Rv.256915); la nozione di violenza nel delitto di violenza sessuale non è limitata alla esplicazione di energia fisica direttamente posta in essere verso la persona offesa, ma comprende qualsiasi atto o fatto cui consegua la limitazione della libertà del soggetto passivo, così costretto a subire atti sessuali contro la propria volontà (Sez.3,n.6643dell2/01/2010,Rv.246186); ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 609 bis cod. pen., violenza sessuale, non è, dunque, necessaria una violenza che ponga il soggetto passivo nell'impossibilità di opporre una resistenza, essendo sufficiente che l'azione si compia in modo insidiosamente rapido, tanto da superare la volontà contraria del soggetto passivo (Sez.3,n.6340 del 01/02/2006,Rv.233315).
2.3.L'intrusione violenta nella sfera sessuale di un soggetto, anche se avvenuta "ioci causa" o con finalità di irrisione della vittima, travalica il mero atto di violenza privata e si qualifica come atto sessuale punibile ai sensi dell'art. 609 bis cod. pen; pertanto, anche laddove il gesto sia stato compiuto joci causa ovvero con finalità di irrisione della vittima, non può lo stesso concretizzarsi nel meno grave reato di violenza privata, dovendosi invece qualificare come violenza sessuale attese le caratteristiche intrinseche dell'azione rappresentata dalla intrusione violenza nella sfera sessuale di un soggetto (Sez.3, n.20927 del 04/03/2009, Rv.244075; Sez.3,n.1709 del 01/07/2014, dep.15/01/2015, Rv.261779).
2.4. Nella specie, i Giudici del merito, facendo buon governo dei suesposto principi di diritto, hanno correttamente valutato come la condotta dell'imputato, tenuto conto del contesto e delle modalità in cui l'azione si era svolta, fosse volontariamente diretta ad invadere e a compromettere la libertà sessuale della vittima, con la conseguenza gli atti posti in essere dovevano chiaramente ritenersi ricompresi nel novero degli atti sessuali idonei ad integrare l'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 609 bis cod.pen.
3. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.