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Ordine di indagine europeo, quale motivazione per un sequestro probatorio? (Cass.14413/19)

2 aprile 2019, Cassazione penale

L’ordine Europeo di indagine è "una decisione giudiziaria" emessa da un’autorità giudiziaria nazionale, ovvero da questa convalidata, e diretta all’autorità giudiziaria di altro Stato utilizzando un modulo uniforme appositamente predisposto al fine del compimento di uno o più atti di indagine specificatamente disciplinati dalla direttiva e recepiti dalla normativa interna.

In tema di esecuzione di un ordine Europeo di indagine "passivo" avente ad oggetto la richiesta di atti di perquisizione e sequestro a fini di prova, il decreto di riconoscimento che il P.M. deve emettere non può ritenersi equipollente a un decreto di sequestro probatorio nella cui motivazione si faccia riferimento al contenuto dell’ordine di indagine Europeo emesso dall’Autorità giudiziaria estera.

In tema di ordine di indagine europeo, la persistenza della funzione di controllo da parte dell’autorità giudiziaria di esecuzione e che l’eliminazione dell’exequatur non ha affatto comportato l’abolizione della verifica di una serie di requisiti formali e sostanziali la cui insussistenza dovrà dar luogo in prima battuta a interlocuzioni intese all’emenda o all’integrazione dell’OEI da parte dell’autorità emittente; e in caso di mancata integrazione/rettifica, al rifiuto del riconoscimento e dell’esecuzione.

L'autorità giudiziaria in sede di riconoscimento / esecuzione di un ordine di indagine europeo non è chiamata a svolgere un ruolo meramente passivo, ma deve esercitare un attento sindacato, esteso finanche sulla tipologia e le conseguenze dell'atto richiesto attraverso il test di proporzionalità.

Ai fini della adozione di un motivato decreto di riconoscimento dell'OIE, la valutazione del Procuratore distrettuale si concentra sulla presenza di eventuali situazioni ostative al riconoscimento - e quindi alla successiva esecuzione dell'ordine europeo d'indagine -, verificando anzitutto la legittimazione dell'autorità emittente, l'incompletezza dell'ordine, l'erroneità delle informazioni ivi racchiuse o la non corrispondenza di queste al tipo di atto richiesto.

Le esigenze di tutela dei diritti fondamentali dei soggetti coinvolti nelle procedure di cooperazione giudiziaria hanno ottenuto un preciso riconoscimento nella disposizione di cui all'art. 696-ter cod. proc. pen., là dove si prevede che è possibile procedere al riconoscimento o all'esecuzione della misura purché non sussistano «fondate ragioni» per ritenere che il soggetto possa subire «una grave violazione dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato, dei diritti fondamentali della persona riconosciuti dall'articolo 6 del Trattato sull'Unione europea o dei diritti, delle libertà e dei principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea».

In forza della sedes materiae - la disposizione è infatti inserita tra i principi generali del mutuo riconoscimento di cui al titolo I-bis, a sua volta appendice delle disposizioni di principio di cui al Titolo I del Libro XI - e del suo ampio contenuto di garanzia dei diritti fondamentali, l'art. 696-ter è in grado di irradiare i suoi effetti sull'insieme degli strumenti normativi di mutuo riconoscimento che costituiscono oggetto dei nuovi rapporti inter-giurisdizionali fra le competenti autorità degli Stati membri dell'Unione europea, ivi compresa, dunque, la nuova procedura di cooperazione basata sull'o.i.e.

Sono nulli per difetto di motivazione gli atti di indagine richiesti dallo Stato di emissione, eseguiti in assenza di un motivato decreto di riconoscimento.

 

Corte di Cassazione

sez. VI Penale, sentenza 7 febbraio – 2 aprile 2019, n. 14413
Presidente Petruzzellis - Relatore De Amicis

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza del 3 luglio 2018 il G.i.p. presso il Tribunale di Torino ha rigettato l’opposizione proposta da B.P. D.Lgs. n. 21 giugno 2017, n. 108, ex art. 13, avverso il decreto di riconoscimento adottato il 28 marzo 2018 dal P.M. presso il Tribunale di Torino in relazione ad un ordine Europeo di indagine (O.I.E.) emesso dalla Procura della Repubblica di Bielefeld (Germania) per reati in materia di evasione fiscale previsti dal codice tributario tedesco (art. 369, art. 370, commi 1 e 3, n. 1, ritenuti corrispondenti alle fattispecie di reato intere di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2 e 8), che il B. avrebbe commesso, in concorso con altri indagati e nel periodo ricompreso fra il settembre 2014 e l’ottobre 2016, nella sua qualità di collaboratore di una società tedesca ("** Distribution Gmbh") avente ad oggetto il commercio di prodotti e supporti di memorizzazione elettronici, occupandosi a tal fine della gestione della maggior parte degli affari realizzati con imprese italiane.

2. Avverso la su indicata decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore del B. , deducendo violazioni di legge e mancanza della motivazione ex art. 4 D.Lgs. cit., art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 125 c.p.p., comma 3, con riferimento alle modalità di riconoscimento, avvenuto in via di fatto anziché mediante decreto motivato, dell’O.I.E. emesso dall’A.G. tedesca, sì come dall’odierno ricorrente già evidenziato in sede di opposizione.

2.1. Si censura, in particolare, il fatto che il decreto di riconoscimento dell’O.I.E. è privo della motivazione e non è stato notificato né in occasione del compimento dell’atto richiesto dall’Autorità straniera (perquisizione, ricerca di oggetti e documentazione ecc.), né immediatamente dopo, costituendo tale recepimento "di fatto" dell’O.I.E., ossia senza l’emissione di un decreto motivato ai sensi dell’art. 125 c.p.p., comma 3, un atto nullo se non abnorme, tale da rendere invalidi tutti gli atti consecutivi, tra i quali v’è anche il decreto di perquisizione e sequestro emesso dal P.M. su richiesta dell’A.G. estera.

2.2. Assume inoltre il ricorrente che, pur avendo l’ordinanza impugnata correttamente riconosciuto che nel caso in esame, diversamente da quanto affermato dal P.M. in sede di gravame, non era possibile rinvenire nel corpo del decreto di perquisizione e sequestro la motivazione del giudizio di riconoscimento sotto il profilo della insussistenza dei motivi di rifiuto di cui all’art. 10 D.Lgs. cit., la stessa, di contro, si rivela erronea nella parte in cui si afferma che tale carenza, definita quale "evenienza formale", non costituisca una ipotesi di nullità dell’atto interno di recepimento dell’O.I.E. emesso dal P.M..

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato e va accolto per le ragioni di seguito illustrate.

2. Deve preliminarmente richiamarsi quanto già affermato da questa Suprema Corte in ordine alla ratio, alle forme ed alle modalità di funzionamento che caratterizzano, anche in relazione ai compiti del Procuratore distrettuale e degli altri soggetti che a vario titolo vi prendono parte, lo svolgimento della procedura cd. "passiva" di riconoscimento ed esecuzione dell’ordine investigativo Europeo nello Stato (Sez. 6, n. 8320 del 31/01/2019, Creo, non mass.).

Al riguardo si è già avuto modo di osservare, in linea generale, che con il D.Lgs. n. 21 giugno 2017, n. 108, il Governo italiano ha recepito la direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 41/2014/UE del 3 aprile 2014 in tema di ordine Europeo di indagine penale (European Investigation Order - EIO), esercitando la delega conferitagli dal Parlamento con l’art. 1 della legge di delegazione Europea 2014 (L. 9 luglio 2015, n. 114).

La direttiva si prefigge l’obiettivo di dar vita, attraverso il superamento del tradizionale meccanismo rogatoriale, ad "un sistema generale di acquisizione delle prove nelle cause aventi dimensione transfrontaliera", fondato sulla estensione del principio del reciproco riconoscimento anche alle decisioni giudiziarie in materia di prova, in linea con le previsioni di cui al punto 3.1.1 del Programma di Stoccolma del 2009.
L’ordine Europeo di indagine è "una decisione giudiziaria" (art. 1, par. 1, della direttiva n. 41/2014/UE) emessa da un’autorità giudiziaria nazionale, ovvero da questa convalidata, e diretta all’autorità giudiziaria di altro Stato utilizzando un modulo uniforme appositamente predisposto al fine del compimento di uno o più atti di indagine specificatamente disciplinati dalla direttiva e recepiti dalla normativa interna.

2.1. L’esecuzione dell’ordine di indagine, in particolare, avviene in base al principio del reciproco riconoscimento e in conformità alle disposizioni della direttiva (ex art. 1, par. 2, direttiva cit.).
La decisione è assunta dal Procuratore distrettuale (art. 4, comma 1, D.Lgs. cit.) con un decreto motivato, applicandosi al riguardo la regola generale prevista dall’art. 125 c.p.p., comma 3, ai sensi del quale i decreti sono nulli se manca la motivazione nei casi previsti dalla legge.
Ai fini della adozione di un motivato decreto di riconoscimento, la valutazione del Procuratore distrettuale si concentra sulla presenza di eventuali situazioni ostative al riconoscimento - e quindi alla successiva esecuzione dell’ordine Europeo d’indagine - previste dall’art. 10 del D.Lgs. cit., verificando anzitutto la legittimazione dell’autorità emittente (ex art. 10, comma 3), l’incompletezza dell’ordine, l’erroneità delle informazioni ivi racchiuse o la non corrispondenza di queste al tipo di atto richiesto.
Ne discende che l’autorità giudiziaria, come emerge anche dalla relazione illustrativa, non è chiamata a svolgere un ruolo meramente passivo, ma deve esercitare un attento sindacato, esteso finanche sulla tipologia e le conseguenze dell’atto richiesto attraverso il test di proporzionalità (ex art. 7, D.Lgs. cit. e art. 6, comma 1, lett. a), direttiva cit.), ad eccezione delle specifiche ipotesi delineate dall’art. 9, comma 5, del decreto legislativo, ove, ferme le condizioni ostative in linea generale contemplate nell’art. 10, comma 1, il legislatore ha stabilito che "si provvede in ogni caso all’esecuzione" per determinate categorie di atti d’indagine o di assunzione della prova (acquisizione dei verbali di prove e di informazioni contenute in banche dati accessibili all’autorità giudiziaria, atti d’indagine privi di incidenza sulla libertà personale, audizioni di testimoni o consulenti, dell’imputato o dell’indagato ecc.) (cfr par.2.2. del Considerato in diritto di Sez. 6 n. 8320 del 31/01/2019, Creo, cit.).
2.2. Il decreto di riconoscimento dell’o.i.e., una volta emesso dal Procuratore distrettuale, deve essere comunicato a cura della segreteria al difensore della persona sottoposta alle indagini (art. 4, comma 4, D.Lgs. cit.).
Modalità e termini di tale avviso devono ricavarsi dalle regole dettate dal sistema processuale in relazione allo specifico atto probatorio oggetto della richiesta, con la conseguenza che, nell’ipotesi - verificatasi, giustappunto, nel caso in esame - in cui le norme processuali interne prevedano soltanto il diritto del difensore di assistere al compimento dell’atto a sorpresa, dunque senza preavviso, il decreto di riconoscimento va comunicato al momento in cui l’atto viene compiuto o immediatamente dopo (art. 4, comma 4, secondo inciso).
Tale comunicazione al difensore assume particolare rilievo al fine di stabilire il dies a quo per presentare, entro il termine di cinque giorni, un’eventuale impugnazione nei confronti del decreto di riconoscimento, attraverso un’opposizione rivolta direttamente al G.i.p. (ex art. 13, comma 1). Il G.i.p., a sua volta, deve decidere con ordinanza dopo aver sentito il P.M., e in caso di accoglimento dell’opposizione il decreto di riconoscimento sarà annullato e non si farà luogo all’esecuzione dell’o.i.e. (art. 13, commi 3 e 6).
L’annullamento del decreto di riconoscimento, come pure la decisione di rifiuto, devono essere oggetto di un’immediata comunicazione all’autorità di emissione.
Nella specifica ipotesi in cui il decreto di riconoscimento riguardi, come avvenuto nel caso in esame, un ordine d’indagine avente ad oggetto il sequestro probatorio, il legislatore prevede un regime parzialmente diverso, poiché l’opposizione può essere presentata non solo dall’indagato o dall’imputato e dal suo difensore, ma anche dalla persona alla quale la prova o il bene sono stati sequestrati, nonché da quella che avrebbe diritto alla loro restituzione: avverso la decisione del giudice, emessa nella forma dell’ordinanza all’esito di una procedura camerale instaurata ex art. 127 c.p.p., è ammesso il ricorso in cassazione, per la sola ipotesi della violazione di legge, da parte del P.M. e degli interessati, entro il termine di dieci giorni dalla sua comunicazione o notificazione (art. 13, comma 7).
Con riferimento al sequestro probatorio, dunque, il legislatore ha inteso garantire ai vari soggetti interessati una procedura partecipata, in luogo di quella de plano prevista per tutti gli altri casi (Sez. 6, n. 11491 del 14/02/2019, Bonanno, non mass.).
Ferma la preclusione del sindacato sulle "ragioni di merito" sottese alla emissione dell’o.i.e. (impugnabili solo dinanzi allo Stato di emissione ex artt. 14, par. 2, direttiva cit. e 696-quinquies c.p.p.), alla proposizione dell’impugnazione non è ricollegato alcun effetto sospensivo dell’esecuzione dell’o.i.e. (art. 13, commi 4 e 7), ma l’attività di trasferimento dei risultati delle attività compiute potrà di fatto essere sospesa qualora il P.M. ritenga che, in concreto, possa derivarne un "grave e irreparabile danno" all’indagato, all’imputato, ovvero alla persona "comunque interessata" dal compimento dell’atto (art. 13, comma 4, secondo inciso).
A norma dell’art. 14, comma 1, D.Lgs. cit., inoltre, il Procuratore distrettuale può disporre il rinvio della stessa operazione di riconoscimento, per il periodo strettamente necessario, qualora dalla successiva esecuzione possa derivare pregiudizio alle indagini preliminari o ad un processo già in corso, ovvero quando le cose o i documenti o i dati oggetto della richiesta siano già sottoposti a vincolo fino alla revoca del relativo provvedimento. Possono venire in considerazione, in questa prospettiva, anche esigenze di riservatezza delle indagini o comunque di salvaguardia delle esigenze legate alla programmazione dell’attività investigativa, come pure, all’interno del processo, di salvaguardia dell’acquisizione genuina della prova. La decisione, tuttavia, dovrà essere motivata in ordine alle ragioni del rinvio e fornire precise indicazioni circa i suoi effetti sul piano temporale.
La fase dell’esecuzione dell’o.i.e., pertanto, consegue al provvedimento di riconoscimento entro i successivi novanta giorni (art. 4, comma 2), senza che all’opposizione e all’eventuale ricorso per cassazione si ricolleghi alcun effetto sospensivo dell’esecuzione (ex art. 13, commi 4 e 7).
Nondimeno, se il decreto di riconoscimento, a seguito dell’opposizione, viene annullato, l’esecuzione dell’ordine di indagine non può avvenire, e se la stessa è iniziata, deve cessare (art. 13, comma 6).
2.3. I compiti affidati all’autorità giudiziaria - sia essa italiana o estera - che agisce in sede di esecuzione sono chiaramente scolpiti nell’art. 2, comma 1, lett. c), D.Lgs. cit., oltre che nell’art. 2, lett. d), e art. 9, parr. 1, 2 e 3 della su citata direttiva, e si riassumono, pertanto, negli atti rispettivamente volti a "ricevere", "riconoscere" e "dare esecuzione" ad un o.i.e..
Le fasi della ricezione e del riconoscimento sono autonomamente regolate dall’art. 4, commi 1 e 3, e art. 6, comma 1 D.Lgs. cit., mentre quella dell’esecuzione è disciplinata nell’art. 4, commi 2 e 3.
Si tratta - come risulta con evidenza sia dalle citate disposizioni che da una, pur sommaria, disamina delle norme generali che nel nostro sistema definiscono la cornice entro cui si inseriscono i diversi strumenti del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie tra gli Stati membri dell’Unione Europea (ex art. 696 bis, comma 2, art. 696 ter, comma 1, art. 696 quater, comma 1, art. 696 quinquies, comma 1, art. 696 octies, commi 1 e 2, art. 696 nonies comma 1, art. 696 decies, comma 1) - di fasi temporalmente e logicamente connesse, ma fra loro ben distinte sul piano strutturale e funzionale, e in nessun modo sovrapponibili, poiché rispondenti a diversi presupposti giustificativi ed orientate a soddisfare diverse finalità, alla cui realizzazione o meno si ricollegano effetti diversi, anche sul piano della concreta operatività della procedura di cooperazione attivata dall’autorità di emissione (ad es. con riferimento agli esiti delle procedure di impugnazione previste nell’art. 13 D.Lgs. cit.).
Diversa, dunque, la prospettiva seguita da tale strumento del mutuo riconoscimento rispetto alle connotazioni proprie del suo "antecedente storico" rappresentato dalla procedura di consegna basata sul m.a.e., dove infatti non si distingue (neanche nella collegata ipotesi del sequestro e della consegna di beni a fini di prova o confisca ex art. 29, della decisione quadro 2002/584/GAI e 35 della L. n. 69 del 2005) fra i diversi momenti del riconoscimento e dell’esecuzione, ma, semmai, fra la decisione che dispone sulla richiesta di esecuzione della decisione giudiziaria veicolata nell’Eurordinanza in vista dell’arresto e consegna della persona ricercata e i successivi adempimenti legati alla sua materiale consegna.
2.4. Al riguardo, inoltre, un particolare rilievo assume - nel quadro delle valutazioni affidate sia all’autorità di esecuzione, sia, secondo una, del tutto analoga e simmetrica, impostazione ricostruttiva del sistema, all’autorità di emissione - la linea di indirizzo ermeneutico tracciata nella norma di esordio (art. 1) del D.Lgs. n. 108 del 2017, là dove si impone il "rispetto dei principi dell’ordinamento costituzionale e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea in tema di diritti fondamentali, nonché in tema di diritti di libertà e di giusto processo": norma che, in virtù della sua collocazione e del suo contenuto di principio generale, connota l’intera dinamica applicativa dei meccanismi di funzionamento della forma di cooperazione giudiziaria che deve essere reciprocamente offerta e richiesta in tema di circolazione della prova nello spazio territoriale Europeo, come si evince dal richiamo - esplicitamente o implicitamente - operato a quegli stessi principii nelle successive disposizioni di cui all’art. 4 comma 2, art. 10, comma 1, lett. e) (per la fase cd. "passiva") e 33 (per la fase cd. "attiva").
Linea di indirizzo, quella ora indicata, che trova ulteriore conferma nelle generali disposizioni del nuovo Titolo I-bis del Libro XI del codice di rito, così come inseritovi dal D.Lgs. 3 ottobre 2017, n. 149, art. 3, comma 1, lett. a).
Le esigenze di tutela dei diritti fondamentali dei soggetti coinvolti nelle procedure di cooperazione giudiziaria hanno ottenuto, infatti, un preciso riconoscimento nella disposizione di cui all’art. 696 ter c.p.p., là dove si prevede che è possibile procedere al riconoscimento o all’esecuzione della misura purché non sussistano "fondate ragioni" per ritenere che il soggetto possa subire "una grave violazione dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato, dei diritti fondamentali della persona riconosciuti dall’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea o dei diritti, delle libertà e dei principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea".
In forza della sedes materiae - la disposizione è infatti inserita tra i principi generali del mutuo riconoscimento di cui al titolo I-bis, a sua volta appendice delle disposizioni di principio di cui al Titolo I del Libro XI - e del suo ampio contenuto di garanzia dei diritti fondamentali, l’art. 696 ter, è in grado di irradiare i suoi effetti sull’insieme degli strumenti normativi di mutuo riconoscimento che costituiscono oggetto dei nuovi rapporti inter-giurisdizionali fra le competenti autorità degli Stati membri dell’Unione Europea, ivi compresa, dunque, la nuova procedura di cooperazione basata sull’o.i.e. (Sez. 6, n. 8320 del 31/01/2019, Creo, cit.).
3. Ciò posto, deve rilevarsi come, nel caso in esame, non vi sia traccia in atti di un decreto motivato di riconoscimento emesso dal P.M. secondo le forme disciplinate dalle richiamate disposizioni normative.
È infatti rinvenibile unicamente la conferma della ricezione dell’o.i.e emesso dall’Autorità richiedente, della quale il P.M. richiesto dell’esecuzione ha dato comunicazione in data 28 marzo 2018 nell’apposito modulo (Allegato B del decreto legislativo citato) che l’Autorità competente dello Stato di esecuzione è tenuta a compilare e trasmettere ai sensi dell’art. 6, comma 1, D.Lgs. cit..
Adempimento materiale, questo, che si concreta nella redazione di un atto dal contenuto prefissato e con finalità meramente informativa in ordine ai dati indicativi dell’o.i.e. e dell’Autorità emittente e ricevente, ivi accompagnati dalla data di ricezione dell’ordine Europeo e dalla sottoscrizione dell’organo ricevente, oltre che, se del caso, da eventuali elementi informativi utili all’Autorità di emissione.
Atto, quello or ora richiamato, che per le ragioni dianzi esposte deve ritenersi del tutto autonomo e distinto dal decreto motivato di riconoscimento che il P.M. avrebbe dovuto invece adottare, ai sensi dell’art. 4, comma 1, D.Lgs. cit., entro il termine di trenta giorni dalla ricezione dell’ordine di indagine.
È di contro rinvenibile, in atti, unicamente un decreto di perquisizione e contestuale sequestro emesso dal P.M. in data 19 aprile 2018 in esecuzione dell’o.i.e. emesso dall’Autorità tedesca. Nella motivazione di tale decreto è riportata la contestazione dei delitti ipotizzati a carico del ricorrente nell’ambito dell’indagine estera e si dà conto del fatto che lo stesso è stato adottato in esecuzione dell’ordine ivi emesso, con l’indicazione della natura e dell’oggetto delle relative attività di acquisizione probatoria ai sensi degli artt. 252 e 253 c.p.p..
Al riguardo, per vero, l’ordinanza impugnata pone in evidenza il fatto che nel corpo del decreto emesso dal P.M. non sia ricavabile, anche solo in termini negativi, "la parte motivazionale ad hoc afferente il giudizio di "riconoscimento"" richiesto dall’art. 4 cit. ai fini della verifica dei requisiti formali e sostanziali dell’o.i.e., non risultando sufficiente, a tal fine, per la sua genericità ed onnicomprensività, un "succinto" richiamo all’ordine ed ai suoi allegati.
Al contempo osserva, tuttavia, che la rilevata evenienza formale di per sé non costituisca un motivo di rifiuto o di restituzione dell’o.i.e. ai sensi dell’art. 10, "né un’ipotesi di nullità dell’atto interno del P.M. di recepimento ed esecuzione dell’OEI", muovendo dall’assunto che il D.Lgs. n. 108 del 2017, non avrebbe introdotto alcuna "speciale" ipotesi di invalidità, anche in relazione al principio di tassatività previsto dall’art. 177 c.p.p..
Siffatta impostazione ricostruttiva, secondo quanto correttamente dedotto dal ricorrente, si pone in contrasto insanabile, come già sopra rilevato, con le implicazioni sottese al chiaro ambito di operatività del principio generale stabilito, per le forme e gli effetti dei provvedimenti giudiziari, dall’art. 125 c.p.p., comma 3.
Essa, inoltre, confonde il decreto di riconoscimento con gli atti di indagine e di assunzione della prova che costituiscono l’oggetto della richiesta avanzata dall’Autorità di emissione con l’o.i.e., ed alla cui esecuzione solo successivamente si provvede, ex art. 4, comma 2, D.Lgs. cit., proprio in forza della motivata valutazione positiva precedentemente espressa dal P.M..
Sulla base delle su esposte considerazioni, dunque, il P.M., a norma dell’art. 4, comma 4, secondo inciso, del D.Lgs. n. 108 del 2017, doveva comunicare al difensore il decreto di riconoscimento dell’o.i.e. al momento in cui erano stati compiuti gli atti di perquisizione e sequestro, o "immediatamente dopo", proprio al fine di consentire all’indagato e al suo difensore di proporvi opposizione dinanzi al G.i.p. ai sensi dell’art. 13, comma 7, D.Lgs. cit.
Gli atti di indagine richiesti dallo Stato di emissione, di contro, sono stati eseguiti in assenza di un motivato decreto di riconoscimento.
La comunicazione tempestiva del decreto di riconoscimento dell’o.i.e. è finalizzata, come dianzi osservato, a consentire alla parte interessata la possibilità di tutelarsi eccependo immediatamente la presenza di eventuali motivi di rifiuto del riconoscimento o dell’esecuzione, ovvero l’assenza di proporzionalità dell’attività richiesta, ed ottenere di conseguenza, in caso di annullamento del decreto, il blocco stesso della esecuzione dell’ordine di indagine (ex art. 13, comma 6), o comunque della ulteriore trasmissione dei risultati di prova acquisiti, se l’esecuzione è ancora in corso.
Il decorso della procedura di esecuzione dell’o.i.e. in assenza di una rituale comunicazione del decreto di riconoscimento ai sensi dell’art. 4, comma 4, D.Lgs. cit. determina un duplice effetto negativo in violazione dei diritti della difesa: non consente alla parte interessata di contestare, attraverso l’unico rimedio impugnatorio esperibile con l’atto di opposizione (seguito, se del caso, dal ricorso in cassazione per violazione di legge), la presenza di eventuali ragioni ostative all’esecuzione degli atti richiesti con l’o.i.e., né le consente di impedire, nell’ipotesi in cui la procedura di impugnazione sia prontamente definita con l’accoglimento dell’opposizione, la trasmissione di tutta o di buona parte dei risultati di prova in tal modo acquisiti sul territorio dello Stato dalla richiedente autorità dello Stato membro di emissione.
Al riguardo, invero, l’art. 14, comma 4, della direttiva 2014/41/UE stabilisce in linea generale che i termini di impugnazione devono essere applicati dagli Stati membri in modo da garantire che il diritto all’impugnazione possa essere esercitato efficacemente dalle persone interessate, secondo una regola di equivalenza dei termini previsti in casi interni analoghi.
Se è vero, inoltre, che le modalità di riconoscimento ed esecuzione dei provvedimenti giudiziari e delle decisioni di altri Stati membri UE devono essere "idonee ad assicurane la tempestività e l’efficacia" (art. 696 octies c.p.p.), è pur vero, sotto altro ma connesso profilo, che il sindacato al riguardo esperibile dalle autorità di esecuzione deve "in ogni caso" assicurare il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato (art. 696 quinquies c.p.p.).
Né, sulla base delle su esposte considerazioni, è possibile ritenere, diversamente da quanto prospettato nell’impugnata ordinanza, una condizione di sostanziale equipollenza fra le attività legate all’adozione e alla successiva comunicazione del decreto di riconoscimento, da un lato, e gli effetti ricollegabili, dall’altro, ad una eventuale trasposizione dell’o.i.e. emesso dall’autorità estera, sia che essa avvenga in forma parziale, o addirittura integrale, nel "corpo" del decreto di perquisizione e sequestro adottato dall’autorità che provvede all’esecuzione: si confonderebbero, in tal modo, atti governati da presupposti, funzioni, finalità e rimedi impugnatori del tutto diversi, sovrapponendo il controllo - non meramente formale, ma sostanziale - che l’autorità di esecuzione deve svolgere sulla legittima circolazione della cd. "Eurordinanza", dunque sulla stessa condizione giustificativa dell’impulso dato alla procedura di cooperazione, con la legittima esecuzione degli atti di indagine o di assunzione probatoria che costituiscono, propriamente, l’oggetto della richiesta ivi formulata e previamente "riconosciuta".
Il decreto di riconoscimento dell’o.i.e. avente ad oggetto il sequestro a fini di prova può essere impugnato, come si è visto, attraverso un’opposizione presentata al G.i.p. a norma dell’art. 13, comma 7, D.Lgs. cit., mentre i verbali degli atti d’indagine specificamente compiuti, ed ai quali il difensore dell’indagato ha il diritto di assistere, secondo quanto previsto dalla disposizione di cui all’art. 4, comma 8, D.Lgs. cit., sono depositati nella segreteria del P.M. ai sensi dell’art. 366 c.p.p., comma 1, cui lo stesso art. 4, comma 8, formalmente rinvia, in tal guisa consentendo, per gli atti richiesti nell’o.i.e., la esperibilità di mezzi di impugnazione "equivalenti a quelli disponibili in un caso interno analogo", sì come espressamente stabilito dall’art. 14, par. 1, direttiva cit..
È dunque evidente che solo il mezzo di impugnazione previsto dall’art. 13 D.Lgs. cit. integra lo strumento riconosciuto dall’ordinamento all’indagato per sindacare la legittimità del decreto di cui all’art. 4, comma 1, D.Lgs. cit., non anche la eventuale richiesta di riesame proponibile avverso il decreto di perquisizione e sequestro, ossia nei confronti di un atto del tutto diverso, l’atto di indagine propriamente inteso, in ordine al quale ben differenti sono i parametri di censura e di valutazione da parte del Tribunale in tal modo adito (cfr. Sez. 3, n. 04244 del 29 novembre 2018, non mass.).
Nella stessa circolare diramata il 26 ottobre 2017 dal Ministero della giustizia in tema di attuazione della direttiva relativa all’o.i.e. si pone in evidenza, al riguardo, che la coppia concettuale riconoscimento/esecuzione segnala, nella norma interna di attuazione, la persistenza della funzione di controllo da parte dell’autorità giudiziaria di esecuzione e che l’eliminazione dell’exequatur non ha affatto comportato "l’abolizione della verifica di una serie di requisiti formali e sostanziali la cui insussistenza dovrà dar luogo in prima battuta a interlocuzioni intese all’emenda o all’integrazione dell’OEI da parte dell’autorità emittente; e in caso di mancata integrazione/rettifica, al rifiuto del riconoscimento e dell’esecuzione ai sensi del D.Lgs. n. 108 del 2017, art. 10".
Ne discende, conclusivamente, che, in tema di esecuzione di un ordine Europeo di indagine "passivo" avente ad oggetto la richiesta di atti di perquisizione e sequestro a fini di prova, il decreto di riconoscimento che il P.M. deve emettere ai sensi dell’art. 4, commi 1 e 4, D.Lgs. cit. non può ritenersi equipollente a un decreto di sequestro probatorio nella cui motivazione si faccia riferimento al contenuto dell’ordine di indagine Europeo emesso dall’Autorità giudiziaria estera.

4. Sulla base delle su esposte considerazioni s’impone, conclusivamente, l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata.