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Omosessualità è reato del paese di provenienza? (Cass. 9581/20)

25 maggio 2020, Cassazione civile

Qualora un ordinamento giuridico punisca l'omosessualità come un reato, questo costituisce una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini, che ne compromette la libertà personale e li pone in una situazione di oggettivo pericolo. 

L'orientamento sessuale costituisce fattore di individuazione del «particolare gruppo sociale» la cui appartenenza, ai sensi dell'art. 8, comma 1, lett. d), D.Lgs. n. 251 del 2007, costituisce ragione di persecuzione idonea a fondare il riconoscimento dello status di rifugiato, pur se dedotta per la prima volta solo davanti al tribunale.

Per persecuzione deve intendersi una forma di lotta radicale contro una minoranza che può anche essere attuata sul piano giuridico e specificamente con la semplice previsione del comportamento che si intende contrastare come reato punibile con la reclusione; tale situazione si concretizza allorché le persone di orientamento omosessuale sono costrette a violare la legge penale di questo paese e a esporsi a gravi sanzioni per poter vivere liberamente la propria sessualità, si che ben si può ritenere che ciò costituisca una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini omosessuali che compromette grandemente la loro libertà personale.

Al fine di escludere il diritto di conseguire la protezione internazionale, o sussidiaria, da parte dello straniero che si dichiara omosessuale, non è sufficiente neppure verificare che nello Stato di provenienza l'omosessualità non sia considerata alla stregua di un reato, dovendo altresì essere accertata la sussistenza, in tale Paese, di un'adeguata protezione da parte dello Stato, a fronte di gravissime minacce provenienti da soggetti privati.

 

Corte di Cassazione

sez. I Civile, ordinanza 31 ottobre 2019 – 25 maggio 2020, n. 9581
Presidente Petitti – Relatore Scotti

Fatti di causa

1. Con ricorso ex art.35 bis D.Lgs.25/2008 Al. Di., cittadino della Guinea Conakry, ha adito il Tribunale di Campobasso - Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il richiedente, nato in Guinea, a Conacry, di etnia wolof e di religione musulmana, aveva raccontato di aver frequentato un corso per elettricista; di avere la madre e due fratelli più piccoli, avendo perduto il padre e il fratello maggiore, uccisi durante le manifestazioni di protesta del 2007; che in data 2/9/2011 un suo zio e i suoi figli lo avevano picchiato a casa sua e legato a una sedia; che il giorno successivo lo zio lo aveva denunciato alla polizia come omosessuale; che la madre lo aveva incoraggiato a lasciare il paese; di aver sentito alla radio di essere ricercato; di essere omosessuale e di aver sempre avuto amici gay; che la cosa non creava problemi alla madre e ai fratelli, che pure erano musulmani; di aver avuto anche relazioni omosessuali a pagamento con il provento delle quali era riuscito a pagarsi il viaggio.

Con decreto del 31/8/2018, il Tribunale di Campobasso -Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE ha rigettato il ricorso, ritenendo la non sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

2. Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso Al. Di., con atto notificato il 29 /9/2018, svolgendo formalmente due motivi di ricorso. L'intimata Amministrazione dell'Interno non si è costituita.

Ragioni della decisione

1. Nella parte espositiva del ricorso, prima di formalizzare gli apparenti due mezzi di ricorso, il ricorrente articola una ulteriore critica preliminare al provvedimento impugnato, tale da configurare un vero e proprio motivo, e lamenta la mancata considerazione da parte del Tribunale dei motivi prospettati nel ricorso come atti persecutori ex art.7 D.Lgs.251/2007.
Inspiegabilmente il Tribunale aveva sostenuto che nell'ultimo rapporto sul Paese non si parlava di carcerazioni o persecuzioni di omosessuali, pur dando atto a pagina 4 dell'incriminazione prevista dall'art.325 del locale codice penale (come del resto riconosciuto anche dalla Commissione territoriale) e di recenti arresti e irrogazioni di sanzioni penali.
Il ricorrente in sede di audizione aveva riferito nel dettaglio del proprio orientamento e delle proprie relazioni omossessuali, anche a pagamento, così accreditando il pericolo rappresentato dopo essere stato denunciato dallo zio.
Vi era quindi il rischio di sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti, a cui sarebbe esposto il ricorrente per la sua condizione di omosessuale e la sua giovane età.
Il ricorrente inoltre osserva che, contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale, la Guinea presentava una particolare situazione di tensione socio-politica, co/me emergeva dallo stesso rapporto di Amnesty International 2017-2018 citato dal Tribunale, in cui si parlava dell'azione di gruppi armati, di scontri armati e atti intimidatori, nonché di violazione dei diritti umani.
Ciò emergeva dalla stessa fonte citata dal Tribunale a pagina 4 del decreto, ossia il sito viaggiare sicuri del Ministero degli Esteri.
Era mancata poi, ai fini della richiesta protezione umanitaria, la necessaria comparazione fra il contesto di vita del richiedente asilo nel Paese di origine e quello in Italia, sotto il profilo della vulnerabilità scaturente da una incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti umani fondamentali.

2. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art.360, n.3 e n.4, cod.proc.civ., il ricorrente denuncia violazione dell'art.8 del D.Lgs. 25/2008 per il mancato esercizio del dovere di cooperazione istruttoria che incombe sul Giudice e lamenta inoltre omessa pronuncia sulla richiesta di protezione sussidiaria.
L'asserita inverosimiglianza del racconto non costituisce ragione di esclusione della protezione sussidiaria in caso di rischio di danni gravi scaturenti da situazioni di violenza indiscriminata da conflitto armato interno.
La carenza di indagine e la conseguente violazione dell'art.8 si poteva cogliere dalla genericità delle informazioni relative alla condizione generale della Guinea, indicate nel decreto.
Il Giudice aveva mal valutato il contenuto del rapporto 2017-2018 di Amnesty International, come pure non aveva completamente considerato quanto indicato nel sito viaggiaresicuri.it del Ministero degli Esteri.

3. Con il secondo motivo, proposto ex art.360, n.5 e n.4, cod.proc.civ. il ricorrente deduce omesso esame di fatto decisivo perché il Tribunale non aveva valutato la situazione personale del richiedente (e in particolare il suo orientamento sessuale in relazione ai dettami religiosi e giuridici esistenti nel suo Paese) e la documentazione prodotta in atti e aveva omesso di pronunciare sulla richiesta protezione umanitaria.

4. Il ricorso merita accoglimento con riferimento al motivo preliminare di cui al § 1.

4.1. Il Tribunale non ha affatto escluso -e per vero neppure valutato - l'allegato orientamento omosessuale e i riferiti comportamenti omosessuali del ricorrente, limitandosi a ritenere molto genericamente non credibile il suo racconto della vicenda, ma senza prender posizione sull'elemento fondamentale, ossia l'omosessualità del ricorrente.
Nell'ultimo capoverso di pagina 2 e nel primo paragrafo di pag.3 il Tribunale si esprime solo sulla attendibilità, contraddittorietà e incoerenza del racconto, senza prender posizione sull'orientamento sessuale del ricorrente, come avrebbe dovuto.
Un giudizio non implica l'altro e ben potrebbe rispondere al vero l'omosessualità del ricorrente, pur avendo egli raccontato una vicenda personale implausibile.

4.2. In secondo luogo, il Tribunale ha inspiegabilmente affermato a pagina 2, penultimo capoverso, che i motivi prospettati nel ricorso non erano riconducibili ad atti di persecuzione rilevanti ex art.7 D.Lgs.251/2007.
La nozione di «rifugiato», di cui all'art.2, comma 1, lett.e), D.Lgs.251/2007, quale «cittadino straniero il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese» ricomprende grazie al riferimento al «determinato gruppo sociale» anche i timori di persecuzione collegati all'orientamento sessuale.
Inoltre il primo comma dell'art.19, D.Lgs.286/1998 vieta l'espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione anche per motivi di orientamento sessuale.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l'orientamento sessuale del richiedente (nella specie, l'omosessualità) costituisce fattore di individuazione del «particolare gruppo sociale» la cui appartenenza, ai sensi dell'art. 8, comma 1, lett. d), D.Lgs. n. 251 del 2007, costituisce ragione di persecuzione idonea a fondare il riconoscimento dello status di rifugiato, pur se dedotta per la prima volta solo davanti al tribunale. (Sez. 6 - 1, n. 27437 del 29/12/2016, Rv. 641909 - 01; Sez.1, n.13083 del 15/5/2019).
Questa Corte ha inoltre affermato che per persecuzione deve intendersi una forma di lotta radicale contro una minoranza che può anche essere attuata sul piano giuridico e specificamente con la semplice previsione del comportamento che si intende contrastare come reato punibile con la reclusione; tale situazione si concretizza allorché le persone di orientamento omosessuale sono costrette a violare la legge penale di questo paese e a esporsi a gravi sanzioni per poter vivere liberamente la propria sessualità, si che ben si può ritenere che ciò costituisca una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini omosessuali che compromette grandemente la loro libertà personale (Sez. 6 - 1, n. 15981 del 20/09/2012, Rv. 624006 - 01)
Al fine di escludere il diritto di conseguire la protezione internazionale, o sussidiaria, da parte dello straniero che si dichiara omosessuale, non è sufficiente neppure verificare che nello Stato di provenienza l'omosessualità non sia considerata alla stregua di un reato, dovendo altresì essere accertata la sussistenza, in tale Paese, di un'adeguata protezione da parte dello Stato, a fronte di gravissime minacce provenienti da soggetti privati (Sez. 1, n. 11176 del 23/04/2019, Rv. 653880 - 01)
In tema di protezione internazionale del cittadino straniero, la dichiarazione del richiedente di avere intrattenuto una relazione omosessuale, ove la valutazione circa la credibilità del dichiarante, secondo i parametri indicati nell'art. 3 del d. Igs. n. 251 del 2007, si sia fondata esclusivamente sull'omessa conoscenza delle conseguenze penali del comportamento, impone al giudice del merito la verifica, anche officiosa, delle conseguenze che la scoperta di una tale relazione determina secondo la legislazione del Paese di provenienza dello straniero, perché qualora un ordinamento giuridico punisca l'omosessualità come un reato, questo costituisce una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini, che ne compromette la libertà personale e li pone in una situazione di oggettivo pericolo. (Sez. 6 - 1, n. 26969 del 24/10/2018, Rv. 651511 - 01).

4.3. Il Tribunale non solo non ha revocato in dubbio che la Guinea Conakry reprima penalmente l'omosessualità, ma ha espressamente riconosciuto, richiamando il più recente rapporto di Amnesty International, che l'art.325 del vigente codice penale incrimina come reato gli atti sessuali consenzienti fra persone dello stesso sesso, ha segnalato che la Guinea non ha accettato le raccomandazioni riguardanti la depenalizzazione e ha dato atto di recenti incriminazioni e condanne per questo genere di reato.
L'unico punto da chiarire atteneva alla valutazione della veridicità delle dichiarazioni del ricorrente circa il suo orientamento e i suoi comportamenti sessuali, accertamento questo totalmente omesso.
5. Il ricorso deve quindi essere accolto con riferimento al primo motivo non numerato preliminare (come individuato nel § 1), assorbiti gli altri, con rinvio al Tribunale di Campobasso, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte
accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, e rinvia al Tribunale di Campobasso, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.