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Obbligo dell'accusa di indagare a favore dell'indagato non ha nessuna sanzione (Cass. 10061/13)

4 marzo 2013, Cassazione penale

La disposizione che prevede che il PM svolga indagini ia favore della persona sottoposta ad indagini è meramente precettiva dell'attività propria dell'organo dell'accusa; la norma non è sorretta da alcun apparato sanzionatorio processuale per il caso di sua eventuale violazione. D'altro canto, il sistema processuale non preclude alle altre parti processuali e all'imputato in particolare, di esercitare i propri diritti difensivi, in modo autonomo ed indipendente rispetto alle iniziative svolte dal Pubblico Ministero.

La stessa difesa ha la possibilità di svolgere le c.d. "indagini difensive", e ha la possibilità, comunque di formulare richieste istruttorie tanto in giudizio ordinario, quanto in giudizio abbreviato, eventualmente "condizionato".

L’inattività della pubblica accusa può esser sopperita dallo svolgimento delle attività di investigazione difensive previste dagli articoli 391 bis e segg. del codice di procedura penale.

La circostanza che il Pubblico Ministero non ritenga opportuno procedere all'audizione di testi a favore dell'indagato è scelta non sindacabile.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Sent., (ud. 20/11/2012) 04-03-2013, n. 10061

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Antonio - Presidente -

Dott. GALLO Domeni - rel. Consigliere -

Dott. DE CRESCIENZO Ugo - Consigliere -

Dott. BELTRANI Sergio - Consigliere -

Dott. CARRELLI P.D.M. Roberto Mar - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

1) P.A. N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 5013/2011 CORTE APPELLO di TORINO, del 15/02/2012;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/11/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. UGO DE CRESCIENZO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Roberto Aniello, che ha concluso il rigetto;

Udito il difensore Avv.to Giovanni Correnti del foro di Novara che si richiama ai motivi di ricorso.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione
P.A. è stato sottoposto a procedimento penale con la accusa del "delitto di cui all'art. 81 c.p., art. 640 c.p., commi 1 e 2, n. 1, perchè in qualità di medico ginecologo, in servizio prima presso la Azienda ospedaliero - universitaria (OMISSIS) e, a partire dal novembre del 2004, presso l'Azienda Sanitaria Locale n. (OMISSIS), con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso ed in tempi diversi, svolgendo attività libero-professionale intramuraria autorizzata dalle predette aziende ospedaliere, con artifici e raggiri consistiti nell'omettere di fatturare ai pazienti il corrispettivo delle prestazioni professionali erogate presso il proprio studio privato, ovvero presso altri ambulatori, ed in tal modo inducendo in errore i predetti enti datori di lavoro circa l'effettivo ammontare dei corrispettivi incassati, sui quali dovevano essere calcolate le somme spettanti agli enti stessi in forza delle convenzioni stipulate, conseguiva l'ingiusto profitto pari allo importo delle predette somme non versate, con paritetico danno per gli enti pubblici indicati.

In particolare:

- ometteva di fatturare, per le sole visite ginecologiche, per l'anno 2004 Euro 145.190,00, non versando all'Azienda Ospedaliera (OMISSIS), la somma di Euro 5.800,00 pari al 5% dei corrispettivi incassati e all'Azienda Sanitaria Locale n. (OMISSIS), la somma di circa 2.700,00 E pari al 596 più il 7,796 dei corrispettivi incassati (percentuali concordate nelle rispettive convenzioni con i predetti enti);

- Ometteva di fatturare, per le sole visite ginecologiche, per l'anno 2005 Euro 135.800,00 non versando all'Azienda Sanitaria Locale di (OMISSIS) la somma di Euro 17.000,00 pari al 596 + il 7,796 dei corrispettivi incassati (percentuali concordate con il predetto ente).

Con l'aggravante di avere commesso il fatto in danno di Ente Pubblico. In (OMISSIS)".

L'imputato, a seguito di giudizio celebrato con il rito abbreviato, veniva giudicato e condannato dal Tribunale di Novara alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione e 800,00 Euro di multa, oltre al pagamento delle spese processuali, dichiarata la pena estinta per indulto. Avverso la suddetta decisione la difesa proponeva appello richiedendo la assoluzione dell'imputato dal reato ascritto per insussistenza del fatto e in subordine, il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche da ritenersi prevalenti alle aggravanti contestate, con contestuale riduzione della pena. Con sentenza del 15.2.2012 la Corte d'Appello di Torino in parziale riforma della decisione 24.3.2011 del Tribunale di Novara, dichiarati estinti i fatti commessi fino al 15.8.2004 per intervenuta prescrizione, concedendo le attenuanti generiche ritenute prevalenti rispetto alle aggravanti contestate condannava il P. alla pena di mesi quattro di reclusione e 400,00 Euro di multa (pena estinta per applicazione dell'indulto).

La difesa dell'imputato, impugnando la decisione della Corte d'Appello, ne richiede l'annullamento deducendo:

p.1.) ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e d), la violazione art. 358 c.p.p., perchè il Pubblico Ministero, benchè espressamente richiesto dall'imputato, nel corso delle indagini preliminari non aveva proceduto all'escussione testimoniale delle pazienti che avrebbero smentito la testimone PA.. La difesa sostiene che la carenza di istruttoria segnalata non ha consentito una corretta valutazione del numero delle visite ambulatoriali effettuate dall'imputato in regime "extra moenia", nè tantomeno il numero delle pazienti che avevano effettivamente "retribuito" la prestazione professionale, con conseguente incidenza sull'accertamento della consistenza dell'illecito ascritto.

p.2.) ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), d) ed e), in relazione all'art. 111 Cost., e art. 533 c.p.p.. La difesa sostiene che la decisione viola il principio dello "oltre ragionevole dubbio", poichè l'affermazione della responsabilità penale si fonda esclusivamente sulle dichiarazioni rese dalla testimone PA., dipendente dell'imputato la cui credibilità doveva essere valutata con particolare rigore essendo fra le parti un contenzioso civile, avanti il giudice del Lavoro del Tribunale di Novara, conclusosi sfavorevolmente per la stessa testimone. La difesa pone altresì in evidenza che la dipendente PA., nel tempo, è stata sostituita da altra impiegata la quale ha escluso di avere avuto dall'imputato indicazioni a porre in essere pratiche amministrative elusive delle leggi in materia tributaria. Da ultimo la difesa dell'imputato sostiene che le agende sequestrate nel corso delle indagini presentano i caratteri della sommarietà e della incompletezza, sì da essere inidonee sul piano probatorio a fornire indicazioni sulla colpevolezza dell'imputato.

Con memoria depositata il 2.10.2012, la difesa ha prodotto copia della sentenza 5.1.2011, depositata il 30.1.2012 (esecutiva il 20.3.2012) con la quale il Giudice del Lavoro ha definito il contenzioso civile intercorrente tra la PA. e l'imputato, avente ad oggetto il rapporto di lavoro intercorrente tra le suddette persone.

RITENUTO IN DIRITTO Va necessariamente premesso che nel sindacare il vizio della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il compito del giudice di legittimità non è di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma solo di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre v. Cass. SU 13.12.1995 n. 930; Cass. Sez. 6^ 5.11.1996 n. 10751; Cass. Sez. 1^ 6.6.1997 n. 7113; Cass. 10.2.1998 n. 803; Cass. Sez. 1^ 17.12.1998 n. 1507; Cass. Sez. 6^ 10.3.1999 n. 863. Dall'affermazione di questo principio, ormai costante nel panorama giurisprudenziale, discende che: esula dai poteri della Cassazione, nell'ambito del controllo della motivazione del provvedimento impugnato, la formulazione di una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacchè tale attività è riservata esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare il giudizio di legittimità solo la verifica dell'"iter" argomentativo di tale giudice, accertando se quest'ultimo abbia o meno dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione Cass. Sez. 6^ 14.4.1998 n. 1354.

Dall'analisi dei motivi proposti si evince che la difesa da un lato lamenta una carenza di attività investigativa da parte dell'Ufficio del Pubblico Ministero, dall'altro un'omessa acquisizione di prove ulteriori rispetto a quelle prodotte dalla pubblica accusa e dall'altro, ancora, un erroneo o insufficiente apprezzamento dell'attendibilità della testimone PA., con la quale l'imputato ha avuto, nel corso del tempo, un contenzioso civile, del quale la Corte territoriale non avrebbe formulato più attenta analisi e considerazione.

Il primo ordine di censure, racchiuse nel primo motivo di impugnazione è manifestamente infondato. Il richiamo all'art. 358 c.p., è inappropriato, posto che la disposizione, meramente precettiva dell'attività propria dell'organo dell'accusa, non è sorretta da alcun apparato sanzionano processuale per il caso di sua eventuale violazione. D'altro canto, il sistema processuale non preclude alle altre parti processuali e all'imputato in particolare, di esercitare i propri diritti difensivi, in modo autonomo ed indipendente rispetto alle iniziative svolte dal Pubblico Ministero.

La stessa difesa ha la possibilità di svolgere le c.d. "indagini difensive", e ha la possibilità, comunque di formulare richieste istruttorie tanto in giudizio ordinario, quanto in giudizio abbreviato, eventualmente "condizionato". La circostanza pertanto che il Pubblico Ministero non abbia ritenuto opportuno procedere all'audizione delle pazienti dell'imputato è scelta non sindacabile in questa sede.

La censura, per la sua manifesta infondatezza è pertanto inammissibile.

Ad analoga considerazione si deve pervenire riguardando la doglianza sotto il profilo dell'art. 606 c.p.p., lett. d).

L'imputato ha richiesto definizione del proprio procedimento con rito abbreviato, conseguentemente nessuna censura può essere formulata circa il mancato esercizio di istanze istruttorie. La scelta del "rito abbreviato" comporta in linea generale la opzione per un processo a c.d. "prova bloccata", fatte le eventuali deroghe rappresentate: 1) dalla richiesta di ammissione al rito abbreviato, condizionata alla acquisizione di ben specifiche e determinate prove, specificatamente individuate, pertinenti con i fatti di reato, e compatibili con il rito prescelto; 2) dalla facoltà demandata esclusivamente al giudice di integrare il materiale probatorio sottoposto al suo vaglio, nella maniera più opportuna e al solo fine di supplire alle esigenze derivanti dall'impossibilità di decidere allo stato degli atti. Il fatto che la difesa abbia optato per il rito abbreviato, pertanto non le conferisce alcun diritto in ordine alla richiesta di mezzi di prova, fuori dagli ambiti e dalle cadenze processuali fissate dal codice e nello stesso tempo l'eventuale richiesta di integrazione probatoria non può essere considerata che mera sollecitazione dell'attenzione del giudice la cui valutazione non è sottoposta ad alcun vincolo, obbligo o dovere di motivazione in caso di reiezione. Pertanto la censura mossa con il primo motivo è manifestamente infondata sia se riguardata sotto il profilo dell'art. 606 c.p.p., lett. d), sia se riguardata sotto il diverso profilo del vizio della motivazione.

Con riferimento al secondo motivo va osservato che la doglianza è generica, involge aspetti di valutazione della testimone PA. la cui credibilità è stata oggetto di specifico apprezzamento da parte del giudice dell'appello il cui merito non è qui sindacabile, siccome non illogico o contraddittorio.

In particolare va osservato che la Corte d'Appello ha effettuato un vaglio complessivo della testimone PA. prendendo in considerazione anche lo aspetto riguardante il contezioso giuslavoristico intercorso con lo imputato; la Corte territoriale inoltre ha preso in considerazione la credibilità della testimone, anche con riferimento alle sue presenze successivamente agli anni 2003 e 2004, alla luce delle dichiarazioni rese dalla testimone B. M.A.. Da ultimo la Corte Torinese ha preso in considerazione le dichiarazioni della testimone sotto il profilo della congruenza con quanto riportato nelle agende sequestrate dalla Polizia Giudiziaria, la cui redazione (stando alla deposizione della B.) è riconducibile alla stessa PA.. Il giudizio di attendibilità della testimone e di sufficienza della prova appare corretto ed adeguato e la motivazione non presenta vizi che la difesa neppure ha denunciato in modo specifico e puntuale.

La difesa lamenta la insufficienza e la sommarietà del contenuto delle agende sequestrate. La doglianza si traduce in un "apprezzamento" della prova, come tale sottratto al giudizio di legittimità; la doglianza è pertanto inammissibile siccome il suo contenuto è eccentrico rispetto al dettato dell'art. 606 c.p.p..

Infine la difesa propone la insufficienza del dato probatorio rappresentato dalla circostanza che la PA. non sarebbe stata alle dipendenze dell'imputato negli anni successivi al 2004, fatto quest'ultimo che troverebbe conferma nella sentenza prodotta nel corso del presente giudizio e con diretta incidenza sulla completezza e la esaustività del contenuto del dichiarato. Anche questa doglianza è inammissibile per il contenuto e per la genericità. Va in primo luogo osservato che la censura attiene ad una rivalutazione nel merito della prova, attività preclusa in questa sede; in secondo luogo dalla sentenza di appello risulta che la PA. ha prestato la propria attività professionale anche successivamente all'anno 2004, come si evince dalla richiamata deposizione della B.M.A.. La sentenza del Giudice del Lavoro, di per sè stessa non ha incidenza sull'accertamento in fatto compiuto dal Tribunale penale e dalla Corte d'Appello, alla luce anche del contenuto della deposizione della B.M.A. e riferito dalla stessa Corte d'Appello in sentenza. La valutazione della Corte d'Appello non si pone in condizione di contrasto logico con quanto accertato dal Giudice del lavoro Novarese, attesa la diversità di contenuto dei giudizi e dei criteri di apprezzamento del materiale probatorio, peraltro eterogeneo, avuto a disposizione da parte del giudice penale e di quello del lavoro. Pertanto anche questo aspetto di censura è inammissibile. Per tutte le suddette ragioni il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende, attesa la condotta processuale del ricorrente denotativa di aspetti di responsabilità rilevante ex art. 616 c.p.p..

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 20 novembre 2012.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2013