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Notifica al difensore invece che al domicilio eletto: nullità (Cass. 15507/19)

9 aprile 2019, Cassazione penale

E' priva di qualsiasi base legale la presunzione di conoscenza dell’atto, da parte dell’imputato, solo perché la notifica sia stata eseguita presso il difensore; neppure può ritenersi sanata la notificazione dell’atto effettuata al difensore di fiducia, anche in difetto di allegazioni sull’impedimento in concreto all’esercizio del diritto di difesa.

La dichiarazione o elezione di domicilio - pure in presenza di un rapporto fiduciario ancora in atto tra l’imputato ed il proprio difensore - impone comunque che la notifica venga effettuata nel domicilio indicato dall’imputato; e alla violazione di tale obbligo consegue - in assenza peraltro di alcuna manifestazione patologica - il verificarsi di una nullità di ordine generale, soggetta ai termini di deduzione di cui all’art. 182 c.p.p., comma 2: non è consentito aggiungere un’ulteriore presunzione legale di conoscenza.

Corte di Cassazione

sez. III Penale, sentenza 15 febbraio – 9 aprile 2019, n. 15507
Presidente Cervadoro – Relatore Di Nicola

Ritenuto in fatto

1. N.A. ricorre per cassazione impugnando la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Bologna ha confermato quella emessa dal locale Tribunale che aveva condannato il ricorrente alla pena di anni uno mesi otto di reclusione in ordine al reato (capo a) di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 4, per avere, nella sua qualità di legale rappresentante della ditta individuale "N. D. Eurometalli di N.A. ", al fine di evadere le imposte sui redditi, indicato nella dichiarazione annuale per l’anno 2007 elementi attivi inferiori a quelli reali, ovvero omesso la contabilizzazione di tre fatture attive per un totale di Euro 612.003,00 ovvero sottratto all’imposizione elementi attivi superiori al 10% del volume di affari (pari ad Euro 1.385.942,00), con imposta evasa ai soli fini reddituali di Euro 261.483,93 e, quindi, con superamento delle soglie di legge nonché in ordine al reato (capo b) di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, comma 3, (comma 3 all’epoca vigente) per avere, nella suddetta qualità e sempre al fine di evadere le imposte sui redditi, indicato nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2007, fatture emesse per operazioni oggettivamente inesistenti, con indicazione di elementi passivi fittizi pari ad un imponibile di Euro 14.435,87 relative a false operazioni di acquisto di materiale ferroso; fatti commessi il 30 ottobre 2008, alla data della presentazione/trasmissione telematica della dichiarazione dei redditi.

2. Per l’annullamento dell’impugnata sentenza il ricorrente, per mezzo del difensore di fiducia, articola tre motivi di impugnazione, qui enunciati, ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce l’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità per omessa notifica del decreto di citazione per il giudizio d’appello presso il domicilio dichiarato dallo stesso (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), in relazione agli artt. 601, 178, 180, 182, 185 stesso codice), con conseguente nullità della sentenza impugnata.
Rileva il ricorrente che - pur a fronte di una specifica dichiarazione di domicilio effettuata presso la propria residenza, ubicata in (omissis) , come risultante sia dal verbale d’identificazione, nomina del difensore ed elezione del domicilio redatto in data 25 marzo 2009, sia dal verbale di interrogatorio redatto in data 2 novembre 2009 - la citazione gli fu notificata, ai sensi dell’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, presso lo studio del difensore. Si tratta di un dato che, del resto, sarebbe corroborato dall’incontroversa indicazione di tale dichiarazione di domicilio contenuta sia nell’intestazione della sentenza di prime cure, sia nella stessa intestazione della sentenza impugnata che riporta la dichiarazione di domicilio dell’imputato in via (omissis) . Ne consegue che, indefettibilmente, la notifica della citazione per il giudizio d’appello andava effettuata presso quel domicilio dichiarato e non presso il difensore come, invece, ha opinato la Corte territoriale. In conseguenza di ciò, la difesa aveva tempestivamente eccepito e sottoposto alla cognizione del Giudice di seconde cure la nullità della notifica mediante specifica eccezione difensiva formulata all’esordio della prima udienza.
Tuttavia, la Corte felsinea ha ritenuto di rigettare la suddetta eccezione, rilevando che il difensore di fiducia aveva accettato la notifica presso di sè, ai sensi dell’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, non offrendo alcun elemento contrario all’attualità ed effettività del rapporto fiduciario con l’imputato, di talché non risultava che la notifica, così effettuata, avesse impedito la conoscenza effettiva del procedimento da parte dell’imputato e l’esercizio del suo diritto di difesa.
Obietta il ricorrente, citando numerosi precedenti giurisprudenziali, come si tratti di una statuizione errata in diritto e che andrebbe pertanto annullata, con le conseguenze che ne derivano soprattutto in termini di prescrizione dei reati, essendo, medio tempore, maturata la causa estintiva.

2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta l’erronea applicazione della legge penale nonché l’illogicità e la manifesta contraddittorietà della motivazione (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, artt. 2 e 4).
Osserva come nessun callido contegno, da ricondursi alla dolosa evasione d’imposta, sia emerso all’esito dell’istruttoria dibattimentale in merito all’operazione di riduzione dei ricavi e della base imponibile.
Infatti, non sarebbe stato in alcun modo provato che le fatture non fossero state contabilizzate con la finalità di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto.
In altri termini, conclude affermando che, per i reati contestati, il fine di evasione delle imposte, che doveva costituire l’obiettivo perseguito dall’imputato nello svolgimento delle operazioni incriminate, non è stato affatto accertato.

2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia l’erronea applicazione della legge penale, nonché l’illogicità e la manifesta contraddittorietà della motivazione rispetto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all’art. 133 c.p.).
Afferma che la Corte d’appello, al pari del Tribunale, ha negato al ricorrente le attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p., evidenziando l’assenza di elementi suscettibili di positivo apprezzamento ed enfatizzando il fatto che l’imputato fosse recidivo.
In proposito, sostiene che certamente contraddittoria sarebbe la motivazione offerta dalla Corte territoriale laddove, sul piano del comportamento processuale, l’atteggiamento dell’imputato è stato ritenuto menzognero e, quindi, sintomatico di una mancanza di resipiscenza.
Assume il ricorrente che la vicenda in esame presenta elementi che meritavano una lettura diversa ai fini del riconoscimento e della concessione delle attenuanti generiche, in quanto la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare l’autore ed il fatto attribuitogli alla luce dei parametri di cui all’art. 133 c.p., disposizione che, nella specie, sarebbe stata completamente elusa.

3. Il ricorrente, con memoria datata 22 maggio 2017, ha ulteriormente ribadito, citando copiosa giurisprudenza, le ragioni poste a fondamento delle censure articolate con il primo ed il secondo motivo di ricorso, aggiungendo, quanto a quest’ultima doglianza, l’errore di diritto nel quale sarebbe incorsa la sentenza impugnata laddove ha ritenuto, pur in presenza di una espressa clausola di riserva enunciata nel D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, il concorso materiale dei reati di infedele dichiarazione dei redditi e di utilizzazione di false fatture in relazione a condotte aventi come oggetto materiale del reato la medesima dichiarazione, ossia quella presentata nell’anno 2007.
Con ulteriore memoria del 30 gennaio 2019 sono state ribadite le ragioni poste a fondamento del primo motivo di ricorso mediante la citazione dei più recenti indirizzi giurisprudenziali intervenuti a proposito dell’ampiezza dell’eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato sulla base del primo motivo, che assorbe gli altri.

2. Non è controverso il fatto che la citazione per il giudizio d’appello fu notificata presso lo studio del difensore di fiducia anziché presso il domicilio eletto dall’imputato.

2.1. Nel pervenire alla decisione censurata, la Corte d’appello ha affermato, sulla base di una pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di cassazione (Sez. U, n. 19602 del 27/03/2008, Micciullo), che il difensore di fiducia, il quale eccepisce la nullità della citazione dell’appellante fatta nelle forme dell’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, dovesse farsi contestualmente carico di dedurre (e possibilmente allegare elementi concreti a supporto) che alla perdurante esistenza del rapporto fiduciario si era affiancata la (eccezionale) patologia della perdita di contatto, di rapporto, di collegamento effettivo tra il cliente ed il difensore: solo in tale caso infatti, poteva dirsi certo che alla omissione della notificazione della citazione dell’appellante presso il domicilio validamente dichiarato corrispondesse anche l’impedimento dell’imputato di conoscere l’esistenza dell’atto e di esercitare il diritto di difesa.
Tale interpretazione ha consentito alla Corte felsinea di ritenere che eccezioni, come quella in esame, dovessero essere respinte, per l’argomento appena svolto, tutte le volte in cui il difensore non avesse ad essa affiancato la deduzione di avere perduto il contatto con l’assistito, deduzione dalla quale (sola) poteva desumersi la concreta lesione del diritto di difesa dell’imputato, atteso che, in difetto, doveva ritenersi sussistente la presunzione sulla base della quale il rapporto defensionale fiduciario fosse di per sé idoneo - per necessità logica - a comprovare che certamente il difensore avesse informato l’assistito del contenuto sostanziale della citazione notificata presso il suo studio ex art. 157 c.p.p., comma 8 bis.
Con la conseguenza che, in caso di nomina di un difensore di fiducia, la notificazione presso quest’ultimo è equiparabile, ai fini della conoscenza effettiva dell’atto, alla notifica all’imputato personalmente, in difetto di qualsivoglia riferimento, da parte del difensore che solleva l’eccezione, a circostanze particolari che, nel caso concreto, abbiano impedito l’effettiva conoscenza.
Siccome, nel caso di specie, il difensore di fiducia aveva accettato la notifica presso di sé ai sensi dell’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, e, successivamente, non aveva offerto alcun elemento contrario alla attualità ed effettività del rapporto fiduciario con l’imputato, la Corte distrettuale ha ritenuto che la notifica, così effettuata, non avesse impedito o non avesse consentito la conoscenza effettiva del procedimento da parte dell’imputato e dell’esercizio del suo diritto di difesa.

2.2. Le conclusioni, cui è giunta la Corte d’appello in questa materia sebbene conformi ad un controverso indirizzo giurisprudenziale di legittimità che aveva interpretato, nei medesimi sensi, il precedente arresto delle Sezioni Unite Micciullo - sono state precisate e capovolte dalla Corte di cassazione con una successiva pronuncia con la quale, sempre a Sezioni Unite, è stato espresso il principio di diritto in forza del quale, in caso di dichiarazione o di elezione di domicilio dell’imputato, la notificazione della citazione a giudizio mediante consegna al difensore di fiducia anziché presso il domicilio idoneamente e validamente dichiarato o eletto, produce una nullità a regime intermedio, che non è sanata dalla mancata allegazione da parte del difensore di circostanze impeditive della conoscenza dell’atto da parte dell’imputato (Sez. U, n. 58120 del 22/06/2017, Tuppi, Rv. 271771).

Nel pervenire a tale approdo, le Sezioni Unite Tuppi hanno precisato che il contrasto giurisprudenziale, insorto a seguito della sentenza Micciullo, nasceva da un’evidente confusione tra le modalità di notificazione di cui all’art. 157 c.p.p., e quelle di cui all’art. 161 stesso codice, chiarendo che, con tali disposizioni, il legislatore ha previsto, per le notificazioni all’imputato non detenuto, un doppio binario, nel senso che le modalità di notificazione previste dai primi otto commi dell’art. 157, inclusa quella del deposito nella casa comunale, devono ritenersi tutte applicabili anche per le notificazioni nel domicilio dichiarato o eletto o determinato a norma dell’art. 161, sempre che tale domicilio risulti idoneamente e validamente individuato. La notifica, invece, può avvenire a mani del difensore, come previsto dall’art. 161, comma 4, solo se essa risulti "impossibile" nel domicilio dichiarato o eletto o determinato a norma dei primi tre commi dello stesso art. 161.

Ne consegue che, quando si deve effettuare la prima notificazione all’imputato non detenuto, che non abbia eletto o dichiarato domicilio, si deve procedere in uno dei modi consecutivi previsti dai primi otto commi dell’art. 157 c.p.p.; una volta effettuata regolarmente la prima notificazione, se l’imputato provvede a nominare il difensore di fiducia, tutte le successive notificazioni si effettuano, a condizioni esatte, mediante consegna al difensore.
Se, invece, vi è stata dichiarazione o elezione di domicilio, le notifiche all’imputato devono essere eseguite con le forme dettate dall’art. 161 del codice di rito.

Logico corollario di tale impostazione è che l’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, non è applicabile quando il luogo della notificazione sia stato dichiarato o eletto a norma dell’art. 161, con l’ulteriore conseguenza che, in tale ultimo caso, prevale l’esigenza di notificare l’atto presso i luoghi di dichiarazione o di elezione del domicilio, e, solo in caso di inidoneità della dichiarazione o dell’elezione, di inerzia dell’imputato nel comunicare il mutamento del domicilio dichiarato o eletto oppure nel caso di assenza, non meramente temporanea, dello stesso imputato, la notifica può essere eseguita presso il difensore, anche se nominato d’ufficio, ma ai sensi dell’art. 161, comma 4.

Pertanto, fuori da questi casi "patologici", quando l’imputato abbia validamente e in modo idoneo manifestato la propria volontà ed abbia chiesto espressamente la consegna degli atti presso il suo domicilio o presso altro soggetto indicato come domiciliatario, la presunzione di conoscenza dell’atto, da parte dell’imputato, solo perché la notifica sia stata eseguita presso il difensore, sarebbe priva di qualsiasi base legale e, di conseguenza, neppure può ritenersi sanata la notificazione dell’atto effettuata al difensore di fiducia, in difetto di allegazioni sull’impedimento in concreto all’esercizio del diritto di difesa.

A tale proposito, le Sezioni Unite hanno precisato che "la dichiarazione o elezione di domicilio - pure in presenza di un rapporto fiduciario ancora in atto tra l’imputato ed il proprio difensore - impone comunque che la notifica venga effettuata nel domicilio indicato dall’imputato; e alla violazione di tale obbligo consegue - in assenza peraltro di alcuna manifestazione patologica - il verificarsi di una nullità di ordine generale (...), soggetta ai termini di deduzione di cui all’art. 182 c.p.p., comma 2", con la conseguenza che, "seppure la conoscenza effettiva dell’atto può concretamente dedursi da una notifica siffatta, la nullità rimane configurabile e ritualmente deducibile (...)", sicché "non è consentito aggiungere un’ulteriore presunzione legale di conoscenza; ciò significherebbe diminuire - e senza giustificazione alcuna - il grado di effettività della conoscenza stessa da parte dell’imputato. In assenza di una sanatoria codificata, lo stesso rapporto fiduciario non può quindi portare alla generalizzata conclusione che la notifica di un atto presso il difensore di fiducia, seppur irrituale, sia comunque sanata in assenza di deduzione da parte del difensore o dell’imputato circa la conoscenza dell’atto medesimo.
Assegnando alla parte interessata un onere di allegare, si giungerebbe infatti al risultato paradossale di "sterilizzare" automaticamente un vizio, che si ammette integrare una nullità di ordine generale (a regime intermedio proprio in ragione del rapporto fiduciario), ogniqualvolta la notifica pur irregolare sia compiuta a mani del difensore di fiducia" (Sez. U, n. 58120 del 22/06/2017, cit., in motiv.).

3. Nel caso in esame, non è controverso che la citazione per il giudizio d’appello non è stata notificata presso il domicilio validamente ed idoneamente dichiarato dall’imputato ma presso il suo difensore di fiducia ai sensi dell’art. 157 c.p.p., comma 8 bis; risulta, poi, che la nullità sia stata ritualmente eccepita dal difensore e che la Corte territoriale l’ha disattesa sul rilievo che l’invalidità fosse stata sanata sulla base della considerazione che il difensore non avesse allegato alcuna circostanza idonea a ritenere che l’irritualità della notifica avesse prodotto una compressione del diritto di difesa dell’imputato.

Siccome al difensore dell’imputato non incombeva alcun obbligo di allegazione in proposito e siccome alcuna altra sanatoria della nullità è stata rilevata, la Corte territoriale avrebbe dovuto procedere, previa declaratoria di nullità della notificazione della citazione a giudizio dell’imputato, a rinnovare l’atto nullo, con la conseguenza che, in mancanza di ciò, anche la sentenza conclusiva del giudizio d’appello è affetta, per propagazione, dal vizio processuale denunciato.

Il quale non può essere più rimosso, essendo maturata una causa estintiva (prescrizione) dei reati.

La Corte ha infatti affermato che il principio - secondo il quale, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva - trova applicazione anche in presenza, come nella specie, di una nullità di ordine generale (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275 01).
La sentenza impugnata va pertanto annullata senza rinvio essendo i reati estinti per prescrizione.
In mancanza di cause di proscioglimento, nel merito, di immediata evidenza, i restanti motivi di ricorso restano assorbiti.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché i reati sono estinti per prescrizione.