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Nessuna cooperazione giudiziaria senza rispetti dei diritti di difesa (Cass. 8320/19)

25 febbraio 2019, Cassazione penale

L'intera dinamica applicativa dei meccanismi di funzionamento della forma di cooperazione giudiziaria che deve essere reciprocamente offerta e richiesta in tema di circolazione della prova nello spazio territoriale Europeo è connotata dal rispetto dei principi dell'ordinamento costituzionale e della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea in tema di diritti fondamentali, nonchè in tema di diritti di libertà e di giusto processo.

In tema di esecuzione di un ordine Europeo di indagine passivo avente ad oggetto la richiesta di atti di perquisizione e sequestro a fini di prova, integra una violazione del diritto di difesa ai sensi dell'art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), la tardiva comunicazione del decreto di riconoscimento dell'o.i.e. oltre i termini previsti dal D.Lgs. n. 108 del 2017, art. 4, comma 4, che impedisca all'indagato e al suo difensore di proporre tempestiva opposizione al G.i.p. nei modi e nei termini previsti dall'art. 13, D.Lgs. cit..

 

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Sent., (ud. 31/01/2019) 25-02-2019, n. 8320

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAOLONI Giacomo - Presidente -

Dott. CRISCUOLO Anna - Consigliere -

Dott. VILLONI Orlando - Consigliere -

Dott. DE AMICIS Gaetano - rel. Consigliere -

Dott. AMOROSO Riccardo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI L'AQUILA;

nei confronti di:

C.E., nato a (OMISSIS);

avverso l'ordinanza del 24/09/2018 del GIP TRIBUNALE di L'AQUILA;

Udita la relazione svolta dal Consigliere GAETANO DE AMICIS;

sentite le conclusioni del PG MARCO DALL'OLIO che chiede l'annullamento con rinvio dell'ordinanza;

udito il difensore avvocato MC, difensore di fiducia di C.E., che chiede il rigetto del ricorso del PM.

Svolgimento del processo


1. Con ordinanza del 24 settembre 2018 il G.i.p. presso il Tribunale di L'Aquila ha accolto l'opposizione, proposta nell'interesse di C.E. ai sensi del D.Lgs. 21 giugno 2017, n. 108, art. 13, avverso il decreto di riconoscimento, adottato dal P.M. in data 16 aprile 2018 e notificato al difensore del C. in data 28 giugno 2018, dell'ordine di indagine Europeo emesso dall'Autorità giudiziaria tedesca (Procura di HOF) in data 13 marzo 2018, annullandolo per la violazione del disposto di cui all'art. 4, comma 4, D.Lgs. cit. e in ragione del conseguente pregiudizio recato al diritto di difesa.

Con l'ordine Europeo d'indagine l'autorità di emissione aveva chiesto, fra l'altro, l'adozione di atti di perquisizione, sequestro di documentazione e audizioni di testimoni in relazione alla commissione di gravi fattispecie di reato in materia di evasione dell'IVA, per le quali il C. risultava indagato in Germania.

2. Avverso la su indicata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il P.M. presso il Tribunale di L'Aquila, che ha dedotto la violazione del D.Lgs. n. 108 del 2017, artt. 4 e 13, sul duplice rilievo che nessun avviso doveva esser dato alla parte prima e durante lo svolgimento di atti cd. "a sorpresa" e che, nelle more, era intervenuto l'avviso ex art. 360 c.p.p., per il compimento di atti irripetibili, con la conseguenza che il difensore e l'indagato erano stati messi in condizione di esercitare il diritto di difesa. Nel decreto di perquisizione e sequestro, peraltro, era riportato "quasi integralmente" il contenuto dell'ordine Europeo di indagine emesso dalle autorità tedesche, mentre il lasso di tempo intercorso - dalla esecuzione dei decreti di perquisizione e sequestro, in data 24 maggio 2018, sino alla notifica del decreto di riconoscimento, avvenuta il 28 giugno 2018 - era ristretto a circa un mese.

Si deduce, inoltre, il carattere arbitrario della pronuncia impugnata, poichè resa in violazione del principio di tassatività delle sanzioni processuali - non essendo prevista alcuna sanzione per l'inosservanza dell'immediatezza della comunicazione - e al di fuori dello "spazio di sindacato" riconosciuto al G.i.p. dall'art. 13 della legge di attuazione dell'O.I.E., che inerisce alla legittimità del decreto di riconoscimento e, di conseguenza, alla rispondenza delle attività investigative richieste dalle autorità dello Stato di emissione ai principii dell'ordinamento interno.

3. Con memoria depositata nella Cancelleria di questa Suprema Corte in data 21 gennaio 2019 il difensore di C.E. ha illustrato un'articolata serie di argomentazioni critiche volte a confutare la fondatezza dei motivi di ricorso proposti dal P.M., chiedendone la declaratoria di rigetto con la conseguente conferma del provvedimento impugnato.

Si lamenta, in particolare, l'omessa notifica del decreto di riconoscimento, emesso il 16 aprile 2018 ma notificato solo il 28 giugno 2018, dopo l'esecuzione degli atti di indagine, in violazione dell'art. 4, comma 4, e art. 13, comma 7, del su citato D.Lgs., così rendendo del tutto inutile l'esperibilità del rimedio dell'opposizione dinanzi al G.i.p..

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e va rigettato per le ragioni qui di seguito indicate.

2. Con il D.Lgs. 21 giugno 2017, n. 108, il Governo italiano ha recepito la direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 41/2014/UE del 3 aprile 2014 in tema di ordine Europeo di indagine penale (European Investigation Order - EIO), esercitando la delega conferitagli dal Parlamento con l'art. 1 della legge di delegazione Europea 2014 (L. 9 luglio 2015, n. 114).

La direttiva si prefigge l'obiettivo di dar vita, attraverso il superamento del tradizionale meccanismo rogatoriale, ad "un sistema generale di acquisizione delle prove nelle cause aventi dimensione transfrontaliera", fondato sulla estensione del principio del reciproco riconoscimento anche alle decisioni giudiziarie in materia di prova, in linea con le previsioni di cui al punto 3.1.1 del Programma di Stoccolma del 2009.

L'ordine Europeo di indagine è "una decisione giudiziaria" (art. 1, par. 1, della direttiva n. 41/2014/UE) emessa da un'autorità giudiziaria nazionale, ovvero da questa convalidata, e diretta all'autorità giudiziaria di altro Stato utilizzando un modulo uniforme appositamente predisposto al fine del compimento di uno o più atti di indagine specificatamente disciplinati dalla direttiva e recepiti dalla normativa interna.

L'esecuzione dell'ordine di indagine avviene in base al principio del reciproco riconoscimento e in conformità alle disposizioni della direttiva (ex art. 1, par. 2, direttiva cit.).

Principale finalità dell'ordine Europeo di indagine è quella di snellire e velocizzare le modalità e i tempi di ricerca, acquisizione e trasferimento delle fonti di prova nello spazio territoriale dell'Unione, sostituendo le corrispondenti previsioni degli strumenti che sinora hanno regolato le forme e i meccanismi dell'assistenza giudiziaria (in particolare, la convenzione di assistenza giudiziaria penale firmata a Strasburgo nel 1959, la convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen del 1990 e la decisione-quadro 2003/577/GAI sul blocco dei beni ed il sequestro con finalità probatorie).

Nella procedura cd. "passiva", disciplinata nel Titolo II del D.Lgs. n. 108 del 2017, un ruolo particolarmente incisivo è attribuito al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto ove gli atti richiesti devono essere compiuti: egli, infatti, deve dare anzitutto comunicazione della ricezione dell'ordine di indagine all'autorità di emissione entro sette giorni dal ricevimento (con la trasmissione dello specifico modulo riportato nell'allegato B) alla direttiva sull'ordine Europeo di indagine), inviando copia dell'ordine al Ministro della giustizia ed informandone, ai fini del coordinamento investigativo, il Procuratore antimafia ed antiterrorismo, qualora si tratti di indagini relative ai delitti di cui all'art. 51 c.p.p., commi 3 bis e 3 quater.

Espletati siffatti obblighi informativi, il Procuratore distrettuale deve provvedere, entro il termine di trenta giorni dalla ricezione (ovvero entro il diverso termine indicato dall'autorità di emissione, ma comunque non oltre i sessanta giorni), al riconoscimento dell'ordine di indagine Europeo sulla stregua dei criteri previsti dall'art. 10, D.Lgs. cit., procedendo successivamente alla sua esecuzione.

2.1. Si tratta di una disciplina che riflette la scelta del legislatore di sottrarre alla Corte d'appello, in questo specifico settore della cooperazione giudiziaria penale, il vaglio delibativo tradizionalmente attribuitole nell'ambito delle rogatorie internazionali (come avviene ancora, del resto, per altri strumenti della cooperazione, quali l'estradizione, il m.a.e., il riconoscimento delle sentenze straniere ecc.), conferendolo al Procuratore distrettuale in linea sia con le previsioni contenute nel D.Lgs. 5 aprile 2017, n. 52, art. 8, comma 1 e ss., che ha attuato nel nostro ordinamento la Convenzione Europea di assistenza giudiziaria del 29 maggio 2000, sia con la successiva riforma del Libro XI del codice di procedura penale ad opera del D.Lgs. 3 ottobre 2017, n. 149, che in materia di rogatorie internazionali ha individuato nel Procuratore distrettuale l'autorità giudiziaria competente a ricevere, valutare ed eseguire la richiesta di assistenza (ex art. 724 c.p.p.).

Ai fini della adozione di un motivato decreto di riconoscimento, la valutazione del Procuratore distrettuale si concentra sulla presenza di eventuali situazioni ostative al riconoscimento - e quindi alla successiva esecuzione dell'ordine Europeo d'indagine - previste dall'art. 10, del D.Lgs. cit., verificando la legittimazione dell'autorità emittente (ex art. 10, comma 3), l'incompletezza dell'ordine, l'erroneità delle informazioni ivi racchiuse o la non corrispondenza di queste al tipo di atto richiesto.

Nella medesima prospettiva costituiscono, inoltre, motivi di rifiuto ricompresi nell'oggetto del vaglio delibativo in sede giudiziaria l'eventuale presenza di una condizione di immunità riconosciuta dallo Stato italiano alla persona nei cui confronti si procede, il pregiudizio alla sicurezza nazionale, la violazione del divieto di bis in idem, l'incompatibilità con gli obblighi sanciti dall'art. 6 TUE e dalla Carta dei diritti fondamentali e il rispetto del principio della doppia incriminazione (ex art. 10, comma 1, lett. f)), fatto salvo l'ampio catalogo di ipotesi derogatorie contemplato dall'art. 11, analogamente a quanto previsto in tema di mandato di arresto Europeo dalla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 8.

Alle situazioni ora descritte si aggiunge, ex art. 9, comma 3, la valutazione in ordine alla eventuale impossibilità di eseguire l'ordine in quanto l'atto richiesto non è previsto dalla legge italiana o non ricorrono i presupposti che la legge italiana impone per il suo compimento, salvo che possa farsi ricorso ad uno o più atti diversi e comunque idonei al raggiungimento del medesimo scopo.

A norma dell'art. 14 comma 1, inoltre, il Procuratore distrettuale può disporre il rinvio del riconoscimento, per il periodo strettamente necessario, qualora dalla successiva esecuzione possa derivare pregiudizio alle indagini preliminari o ad un processo già in corso, ovvero quando le cose o i documenti o i dati oggetto della richiesta siano già sottoposti a vincolo fino alla revoca del relativo provvedimento.

Occorre peraltro considerare che, nel caso di atti d'indagine la cui esecuzione richieda, secondo la legge italiana, l'intervento del giudice ai sensi dell'art. 5, comma 1, D.Lgs. cit., il controllo sulla legittimità del decreto di riconoscimento emesso dal P.M. viene esercitato dallo stesso giudice, che in tale ipotesi potrà disporre, anche su richiesta delle parti presenti all'udienza camerale ex art. 127 c.p.p., (richiamata dall'art. 5, comma 3, D.Lgs. cit.), l'annullamento del decreto emesso dal P.M. ed impedire, in tal modo, l'esecuzione dell'o.i.e. sulla stregua dei medesimi parametri di valutazione sopra indicati, secondo quanto espressamente stabilito dall'art. 13, comma 5, D.Lgs. cit. (nella cui formulazione v'è un formale rinvio proprio al su menzionato art. 5).

2.2. Sia in sede di esecuzione ("procedura passiva") che in sede di emissione ("procedura attiva") l'autorità giudiziaria, come emerge anche dalla relazione illustrativa, non è chiamata a svolgere un ruolo meramente passivo, ma deve esercitare il suo sindacato sull'atto richiesto anche attraverso il test di proporzionalità (ex art. 7, D.Lgs. cit., e art. 6, comma 1, lett. a), direttiva cit.), ad eccezione delle specifiche ipotesi di cui all'art. 9, comma 5, del decreto legislativo, ove, ferme le condizioni ostative in linea generale contemplate nell'art. 10, comma 1, il legislatore ha stabilito che "si provvede in ogni caso all'esecuzione" per determinate categorie di atti d'indagine o di assunzione della prova (acquisizione dei verbali di prove e di informazioni contenute in banche dati accessibili all'autorità giudiziaria, atti d'indagine privi di incidenza sulla libertà personale, audizioni di testimoni o consulenti, dell'imputato o dell'indagato ecc.).

Il vaglio di proporzionalità non è calibrato esclusivamente sui diritti propri dell'indagato, ma viene esteso dal legislatore anche alle "persone coinvolte dal compimento degli atti richiesti": l'o.i.e. è infatti proporzionato se il sacrificio alla sfera giuridica dei soggetti coinvolti può ritenersi "giustificato dalle esigenze investigative o probatorie del caso concreto", avuto riguardo sia alla gravità del reato per il quale si procede che alla pena per esso prevista.

Il principio di proporzionalità impone che l'attività da compiere debba essere adeguata e funzionale sia rispetto al suo presupposto (il reato), sia rispetto all'obiettivo che intende perseguire ("le esigenze investigative o probatorie"), in modo che la sua esecuzione comporti il minor sacrificio possibile per i diritti e le libertà dell'imputato o dell'indagato.

Nella relazione illustrativa si afferma espressamente che all'autorità giudiziaria è affidato il vaglio circa ".....la capacità del mezzo richiesto di raggiungere l'obiettivo prefissato, secondo il criterio per il quale, a parità di efficacia, è da preferire sempre il mezzo che abbia conseguenze meno gravose. La proporzionalità-adeguatezza impone di porre in bilanciamento, da un lato, la restrizione imposta al singolo e, dall'altro, il valore del fine perseguito dal pubblico potere nell'esercizio della funzione. In questa valutazione, l'interprete sarà necessariamente guidato dalla natura del fatto per cui si procede".

Se l'atto risulta sproporzionato, infatti, "si dà luogo" ad un atto "equipollente", ossia meno intrusivo, ma in grado di raggiungere comunque le medesime finalità: come rilevato nella relazione illustrativa, se l'atto d'indagine appaia "sproporzionato" nel senso ora indicato, "è data comunicazione onde consentire all'autorità di emissione di valutare se insistere nella richiesta o piuttosto di avanzarne diversa sulla base dell'eventuale prospettazione dell'autorità interna".

A tal fine, dunque, la norma deve leggersi in collegamento con quanto stabilito dal successivo art. 9, commi 1 e 2, D.Lgs. cit. circa la possibilità, all'uopo comunicata all'autorità emittente, di procedere con un atto diverso parimenti idoneo al raggiungimento del medesimo scopo e in ipotesi meno invasivo.

Come rilevato nel passaggio esplicativo concernente la disposizione di cui all'art. 9, significativamente si afferma, nella richiamata relazione illustrativa, che "l'adozione di una via probatoria alternativa è sempre dovuta quando comporti una minore intrusività nella sfera dei diritti individuali".

2.3. Il decreto di riconoscimento dell'o.i.e., una volta emesso dal Procuratore distrettuale, deve essere comunicato a cura della segreteria al difensore della persona sottoposta alle indagini (art. 4, comma 4).

Modalità e termini di tale avviso devono ricavarsi dalle regole dettate dal sistema processuale in relazione allo specifico atto probatorio oggetto della richiesta, con la conseguenza che, nell'ipotesi - verificatasi, giustappunto, nel caso in esame - in cui le norme processuali interne prevedano soltanto il diritto del difensore di assistere al compimento dell'atto a sorpresa, dunque senza preavviso, il decreto di riconoscimento va comunicato al momento in cui l'atto viene compiuto o immediatamente dopo (art. 4, comma 4, secondo inciso).

Tale comunicazione al difensore assume particolare rilievo al fine di stabilire il dies a quo per presentare, entro il termine di cinque giorni, un'eventuale impugnazione nei confronti del decreto di riconoscimento, attraverso un'opposizione rivolta direttamente al G.i.p. (ex art. 13, comma 1). Il G.i.p., a sua volta, deve decidere con ordinanza dopo aver sentito il P.M., e in caso di accoglimento dell'opposizione il decreto di riconoscimento sarà annullato e non si farà luogo all'esecuzione dell'o.i.e. (art. 13, commi 3 e 6).

L'annullamento del decreto di riconoscimento, come pure la decisione di rifiuto, devono essere oggetto di un'immediata comunicazione all'autorità di emissione.

Nel caso in cui il decreto di riconoscimento riguardi, come avvenuto nel caso in esame, un ordine d'indagine avente ad oggetto il sequestro probatorio, l'opposizione può essere presentata non solo dall'indagato o dall'imputato e dal suo difensore, ma anche dalla persona alla quale la prova o il bene sono stati sequestrati, nonchè da quella che avrebbe diritto alla loro restituzione: avverso la decisione del giudice, emessa nella forma dell'ordinanza all'esito di una procedura camerale instaurata ex art. 127 c.p.p., è ammesso il ricorso in cassazione, per la sola ipotesi della violazione di legge, da parte del P.M. e degli interessati, entro il termine di dieci giorni dalla sua comunicazione o notificazione (art. 13, comma 7).

Ferma la preclusione del sindacato sulle "ragioni di merito" sottese alla emissione dell'o.i.e. (impugnabili solo dinanzi allo Stato di emissione ex art. 14, par. 2, direttiva cit. e art. 696 quinquies c.p.p.), alla proposizione dell'impugnazione non è ricollegato alcun effetto sospensivo dell'esecuzione dell'o.i.e. (art. 13, commi 4 e 7), ma l'attività di trasferimento dei risultati delle attività compiute potrà di fatto essere sospesa qualora il P.M. ritenga che, in concreto, possa derivarne un "grave e irreparabile danno" all'indagato, all'imputato, ovvero alla persona "comunque interessata" dal compimento dell'atto (art. 13, comma 4, secondo inciso).

La fase dell'esecuzione dell'o.i.e., pertanto, consegue al provvedimento di riconoscimento entro i successivi novanta giorni (art. 4, comma 2), senza che all'opposizione e all'eventuale ricorso per cassazione si ricolleghi alcun effetto sospensivo dell'esecuzione (ex art. 13, commi 4 e 7).

Nondimeno, se il decreto di riconoscimento, a seguito dell'opposizione, viene annullato, l'esecuzione dell'ordine di indagine non può avvenire, e se la stessa è iniziata, deve cessare (art. 13, comma 6).

2.4. I compiti affidati all'autorità giudiziaria - sia essa italiana o estera - che agisce in sede di esecuzione sono chiaramente scolpiti nell'art. 2, comma 1, lett. c), d.lgs. cit., oltre che nell'art. 2, lett. d) e art. 9, parr. 1, 2 e 3 della su citata direttiva, e si riassumono, pertanto, negli atti rispettivamente volti a "ricevere", "riconoscere" e "dare esecuzione" ad un o.i.e..

Le fasi della ricezione e del riconoscimento sono autonomamente regolate dall'art. 4, commi 1 e 3, e art. 6, comma 1, D.Lgs. cit., mentre quella dell'esecuzione è disciplinata nell'art. 4, commi 2 e 3.

Si tratta - come risulta con evidenza sia dalle citate disposizioni che da una, pur sommaria, disamina delle norme generali che nel nostro sistema definiscono la cornice entro cui si inseriscono i diversi strumenti del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie tra gli Stati membri dell'Unione Europea (ex art. 696 bis, comma 2, art. 696 ter, comma 1, art. 696 quater, comma 1, art. 696 quinquies, comma 1, art. 696 octies, commi 1 e 2, art. 696 nonies, comma 1, art. 696 decies, comma 1) - di fasi temporalmente e logicamente connesse, ma fra loro ben distinte sul piano strutturale e funzionale, e in nessun modo sovrapponibili, poichè rispondenti a diversi presupposti giustificativi ed orientate a soddisfare diverse finalità, alla cui realizzazione o meno si ricollegano effetti diversi, anche sul piano della concreta operatività della procedura di cooperazione attivata dall'autorità di emissione (ad es. negli esiti delle procedure di impugnazione previste nell'art. 13, D.Lgs. cit.).

2.5. Particolare rilievo assume - nel quadro delle valutazioni affidate sia all'autorità di esecuzione, sia, secondo una, del tutto analoga e simmetrica, impostazione ricostruttiva del sistema, all'autorità di emissione - la linea di indirizzo ermeneutico tracciata nella norma di esordio (art. 1) del D.Lgs. n. 108 del 2017, che impone il "rispetto dei principi dell'ordinamento costituzionale e della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea in tema di diritti fondamentali, nonchè in tema di diritti di libertà e di giusto processo": norma che, in virtù della sua collocazione e del suo contenuto di principio generale, connota l'intera dinamica applicativa dei meccanismi di funzionamento della forma di cooperazione giudiziaria che deve essere reciprocamente offerta e richiesta in tema di circolazione della prova nello spazio territoriale Europeo, come si evince dal richiamo - esplicitamente o implicitamente - operato a quegli stessi principii nelle successive disposizioni di cui all'art. 4 comma 2, art. 10, comma 1, lett. e) (per la fase cd. "passiva") e 33 (per la fase cd. "attiva").

Linea di indirizzo, quella ora indicata, che trova ulteriore conferma nelle generali disposizioni del nuovo Titolo I-bis del Libro XI del codice di rito, così come inseritovi dal D.Lgs. 3 ottobre 2017, n. 149, art. 3, comma 1, lett. a).

Le esigenze di tutela dei diritti fondamentali dei soggetti coinvolti nelle procedure di cooperazione giudiziaria hanno ottenuto, infatti, un preciso riconoscimento nella disposizione di cui all'art. 696 ter c.p.p., là dove si prevede che è possibile procedere al riconoscimento o all'esecuzione della misura purchè non sussistano "fondate ragioni" per ritenere che il soggetto possa subire "una grave violazione dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato, dei diritti fondamentali della persona riconosciuti dall'articolo 6 del Trattato sull'Unione Europea o dei diritti, delle libertà e dei principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea".

In forza della sedes materiae - la disposizione è infatti inserita tra i principi generali del mutuo riconoscimento di cui al titolo I-bis, a sua volta appendice delle disposizioni di principio di cui al Titolo I del Libro XI - e del suo ampio contenuto di garanzia dei diritti fondamentali, l'art. 696 ter, è in grado di irradiare i suoi effetti sull'insieme degli strumenti normativi di mutuo riconoscimento che costituiscono oggetto dei nuovi rapporti intergiurisdizionali fra le competenti autorità degli Stati membri dell'Unione Europea, ivi compresa, dunque, la nuova procedura di cooperazione basata sull'o.i.e..

3. Ciò posto, deve rilevarsi come, nel caso in esame, emerga dagli atti che il P.M., ricevuto l'ordine Europeo d'indagine dalla omologa autorità estera, ha adottato il decreto di riconoscimento ai sensi dell'art. 4, D.Lgs. cit. in data 16 aprile 2018, disponendone la comunicazione al difensore di fiducia dell'indagato in data 28 giugno 2018, sebbene un decreto di perquisizione personale, locale e telematica, con un contestuale sequestro probatorio, fossero stati nel frattempo eseguiti dagli organi investigativi in data 24 maggio 2018, dando altresì luogo, il successivo 5 giugno, alla emissione e contestuale notifica dell'avviso di svolgimento degli accertamenti tecnici irripetibili ex art. 360 c.p.p., con l'inizio delle operazioni di duplicazione dei supporti e materiali informatici sequestrati nel corso delle perquisizioni del 24 maggio 2018.

Sulla base delle su esposte considerazioni il P.M., a norma del D.Lgs. n. 108 del 2017, art. 4, comma 4, secondo inciso, doveva comunicare al difensore il decreto di riconoscimento dell'o.i.e. al momento in cui erano stati compiuti gli atti di perquisizione e sequestro, o "immediatamente dopo", proprio al fine di consentire all'indagato e al suo difensore di proporvi opposizione dinanzi al G.i.p. ai sensi dell'art. 13, comma 7, D.Lgs. cit.

La comunicazione è stata invece disposta tardivamente, quando gli atti di indagine richiesti dallo Stato di emissione erano stati eseguiti.

La comunicazione tempestiva del decreto di riconoscimento dell'o.i.e. è finalizzata, come dianzi osservato, a consentire alla parte interessata la possibilità di tutelarsi eccependo immediatamente la presenza di eventuali motivi di rifiuto del riconoscimento o dell'esecuzione, ovvero l'assenza di proporzionalità dell'attività richiesta, ed ottenere di conseguenza, in caso di annullamento del decreto, il blocco stesso della esecuzione dell'ordine di indagine (ex art. 13, comma 6), o comunque della ulteriore trasmissione dei risultati di prova acquisiti, se l'esecuzione è ancora in corso.

Il decorso della procedura di esecuzione dell'o.i.e. in assenza di una rituale comunicazione del decreto di riconoscimento ai sensi dell'art. 4, comma 4, D.Lgs. cit. ha determinato, di contro, un duplice effetto negativo, in violazione dei diritti della difesa: non ha consentito alla parte di contestare, attraverso l'unico rimedio impugnatorio esperibile con l'atto di opposizione (seguito, se del caso, dal ricorso in cassazione per violazione di legge), la presenza di eventuali ragioni ostative all'esecuzione degli atti richiesti con l'o.i.e., nè le ha consentito di impedire, nell'ipotesi in cui la procedura di impugnazione fosse stata prontamente definita con l'accoglimento dell'opposizione, la trasmissione di tutta o di buona parte dei risultati di prova in tal modo acquisiti sul territorio dello Stato dalla richiedente autorità dello Stato membro di emissione.

Correttamente, dunque, l'ordinanza impugnata ha annullato il decreto di riconoscimento emesso dal P.M. in data 16 aprile 2018, ravvisando nel caso di specie una violazione della richiamata norma dell'art. 4, comma 4, con il conseguente pregiudizio del diritto di difesa.

Al riguardo, invero, l'art. 14, comma 4, della direttiva 2014/41/UE stabilisce in linea generale che i termini di impugnazione devono essere applicati dagli Stati membri in modo da garantire che il diritto all'impugnazione possa essere esercitato efficacemente dalle persone interessate, secondo una regola di equivalenza dei termini previsti in casi interni analoghi.

Se è vero, inoltre, che le modalità di riconoscimento ed esecuzione dei provvedimenti giudiziari e delle decisioni di altri Stati membri UE devono essere "idonee ad assicurane la tempestività e l'efficacia" (art. 696 octies c.p.p.), è pur vero, sotto altro ma connesso profilo, che il sindacato al riguardo esperibile dalle autorità di esecuzione deve "in ogni caso" assicurare il rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato (art. 696 quinquies c.p.p.).

Nè, sulla base delle su esposte considerazioni, è possibile ritenere, diversamente da quanto in ricorso prospettato, una condizione di equipollenza fra la comunicazione del decreto di riconoscimento e la eventuale trasposizione dell'o.i.e. emesso dall'autorità estera, sia essa in forma parziale o addirittura integrale, nel "corpo" del decreto di perquisizione e sequestro adottato dall'autorità che provvede all'esecuzione: si confonderebbero, in tal modo, atti governati da presupposti, funzioni, finalità e rimedi impugnatori del tutto diversi, sovrapponendo il controllo - non meramente formale, ma sostanziale - che l'autorità di esecuzione deve svolgere sulla legittima circolazione della cd. "Eurordinanza", dunque sulla stessa condizione giustificativa dell'impulso dato alla procedura di cooperazione, con la legittima esecuzione degli atti di indagine o di assunzione probatoria che costituiscono, propriamente, l'oggetto della richiesta ivi formulata.

Il decreto di riconoscimento dell'o.i.e. avente ad oggetto il sequestro a fini di prova può essere impugnato, come si è visto, attraverso un'opposizione presentata al G.i.p. a norma dell'art. 13, comma 7, D.Lgs. cit., mentre i verbali degli atti d'indagine specificamente compiuti, ed ai quali il difensore dell'indagato ha il diritto di assistere, secondo quanto previsto dalla disposizione di cui all'art. 4, comma 8, d.lgs. cit., sono depositati nella segreteria del P.M. ai sensi dell'art. 366 c.p.p., comma 1, cui lo stesso art. 4, comma 8, formalmente rinvia, in tal guisa consentendo, per gli atti richiesti nell'o.i.e., la esperibilità di mezzi di impugnazione "equivalenti a quelli disponibili in un caso interno analogo", sì come espressamente stabilito dall'art. 14, par. 1, direttiva cit..

E' dunque evidente che solo il mezzo di impugnazione previsto dall'art. 13 integra lo strumento riconosciuto dall'ordinamento all'indagato per sindacare la legittimità del decreto di cui all'art. 4, comma 1, D.Lgs. cit., non anche la eventuale richiesta di riesame proponibile avverso il decreto di perquisizione e sequestro, ossia nei confronti di un atto del tutto diverso, l'atto di indagine propriamente inteso, in ordine al quale ben differenti sono i parametri di censura e di valutazione da parte del Tribunale in tal modo adito (cfr. Sez. 3, n. 04244 del 29 novembre 2018, non mass.).

Nella stessa circolare diramata il 26 ottobre 2017 dal Ministero della giustizia in tema di attuazione della direttiva relativa all'o.i.e. si pone in evidenza, al riguardo, che la coppia concettuale riconoscimento/esecuzione segnala, nella norma interna di attuazione, la persistenza della funzione di controllo da parte dell'autorità giudiziaria di esecuzione e che l'eliminazione dell'exequatur non ha affatto comportato "l'abolizione della verifica di una serie di requisiti formali e sostanziali la cui insussistenza dovrà dar luogo in prima battuta a interlocuzioni intese all'emenda o all'integrazione dell'OEI da parte dell'autorità emittente; e in caso di mancata integrazione/rettifica, al rifiuto del riconoscimento e dell'esecuzione ai sensi del D.Lgs. n. 108 del 2017, art. 10".

Ne discende, conclusivamente, che, in tema di esecuzione di un ordine Europeo di indagine passivo avente ad oggetto la richiesta di atti di perquisizione e sequestro a fini di prova, integra una violazione del diritto di difesa ai sensi dell'art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), la tardiva comunicazione del decreto di riconoscimento dell'o.i.e. oltre i termini previsti dal D.Lgs. n. 108 del 2017, art. 4, comma 4, che impedisca all'indagato e al suo difensore di proporre tempestiva opposizione al G.i.p. nei modi e nei termini previsti dall'art. 13, D.Lgs. cit..

P.Q.M.
Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2019