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Nessun obbligo di antifurto se si detengono armi (Cass. 13570/17)

20 marzo 2017, Cassazione penale

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Il dovere di detenere le armi con ogni diligenza nell'interesse della sicurezza pubblica è adempiuto a condizione che siano in concreto adottate le cautele, proporzionate al pericolo che la norma intende scongiurare, che, nelle specifiche situazioni di fatto, possono esigersi da una persona di normale prudenza.

Non sussiste per il privato cittadino alcun obbligo di adottare particolari sistemi ed efficienti misure di difesa contro i furti in abitazione.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I PENALE
Sentenza 1° febbraio - 20 marzo 2017, n. 13570
 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CORTESE Arturo - Presidente -

Dott. VANNUCCI Marco - rel. Consigliere -

Dott. TALERICO Palma - Consigliere -

Dott. APRILE Stefano - Consigliere -

Dott. MINCHELLA Antonio - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

R.S.G., N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 1685/2014 TRIBUNALE di FOGGIA, del 15/04/2015;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 01/02/2017 la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARCO VANNUCCI;

Udito il Procuratore generale, in persona del dott. Luigi Birritteri, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso;

Udito, per il ricorrente, l'avvocato DG che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

Con sentenza emessa il 15 aprile 2015 il Tribunale di Foggia condannò R.S.G. alla pena di duecento Euro di ammenda avendolo ritenuto responsabile della commissione, in (OMISSIS), della contravvenzione di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 20, commi 1 e 2, consistita nel non avere custodito, con la doverosa diligenza, nell'interesse della sicurezza pubblica, all'interno della propria abitazione, la pistola, il relativo caricatore e cinquanta cartucce, da tale persona legalmente detenuti.

A fondamento di tale decisione il Tribunale: accertò che R., che viveva da solo all'interno della propria abitazione, deteneva la pistola sotto il materasso del proprio letto, custodiva cinquanta cartucce per tale pistola all'interno di un cassetto del mobile collocato nella veranda di tale abitazione e il caricatore dell'arma all'interno di una cassapanca in muratura collocata accanto al camino di una sala; ritenne che tali modalità di detenzione costituivano la contestata contravvenzione sul rilievo che all'interno dell'abitazione "potevano comunque accedere delle persone anche senza risiedervi, ed essere le stesse parimenti esposte al pericolo di un facile rintraccio dell'arma ed al contestuale rischio che della stessa qualcuno potesse farne uso improprio".

Per la cassazione di tale sentenza il Signor R. ha proposto ricorso, dallo stesso personalmente sottoscritto, deducendo violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione.

In primo luogo il ricorrente evidenzia che le due parti dell'arma (corpo della pistola e relativo caricatore) e le munizioni erano da lui custodite in tre luoghi diversi (quelli descritti nella sentenza) della propria abitazione, collocata fuori del centro abitato e assicurata da cancelli di protezione blindati, ove esso ricorrente abitava da solo: da ciò deriverebbe l'insussistenza del reato nel caso concreto, avendo esso ricorrente adottato tutte le cautele esigibili da persona di normale prudenza.

Il Tribunale, inoltre, non aveva indicato per quale ragione avesse ritenuto sussistente il reato nonostante le cautele da esso ricorrente in concreto adottate.

Motivi della decisione

La L. n. 110 del 1975, art. 20, dispone che la custodia delle armi deve essere assicurata "con ogni diligenza nell'interesse della sicurezza pubblica".

Tale obbligo - quando il relativo titolare non sia soggetto che eserciti professionalmente attività in materia di armi ed esplosivi - è adempiuto a condizione che siano in concreto adottate le cautele, proporzionate al pericolo che la norma intende scongiurare, che, nelle specifiche situazioni di fatto, possono esigersi da una persona di normale prudenza, secondo il criterio dell'id quod plerumque accidit (in questo senso, cfr., fra le molte, Cass. Sez. 1, n. 6827 del 13 dicembre 2012, dep. 2013, Arconte, Rv. 254703; Cass. Sez. 1, n. 47299 del 29 novembre 2011, Gennari, Rv. 251407; Cass. Sez. 1, n. 1868 del 21 gennaio 2000, Romeo, Rv. 215211).

Nel caso di specie, è stato accertato che: l'imputato viveva, da solo, all'interno della propria abitazione in (OMISSIS); in tale luogo egli deteneva legittimamente la pistola e le relative munizioni di cui era proprietario; la pistola, senza colpo in canna, e priva del relativo caricatore, era nascosta sotto il materasso del letto collocato all'interno della camera da letto della casa; cinquanta cartucce per tale pistola erano collocate all'interno di un cassetto del mobile collocato nella veranda di tale abitazione; infine, il caricatore dell'arma era occultato all'interno di una cassapanca in muratura collocata accanto al camino di una sala.

Non risulta che la casa di abitazione del Signor R. fosse frequentata da minorenni (ricorrendo tale caso l'obbligo di custodia delle armi è rafforzato e la omessa custodia è autonomamente sanzionata dall'art. 20 bis, della citata legge, la cui violazione non è stata contestata).

In considerazione delle modalità di custodia sopra descritte (la pistola, separata dal relativo caricatore, era occultata sotto un materasso, con la conseguenza che occorreva intenzionalmente sollevare quest'ultimo per rinvenire l'arma, di per sé inefficiente; il caricatore era custodito all'interno di cassapanca collocata in altra stanza dell'edificio), deve ritenersi che l'imputato abbia prestato adempimento all'obbligo in questione, anche tenuto conto del fatto che l'abitazione è dotata di normali sistemi di chiusura delle porte con serrature; non sussistendo, come detto, per il privato cittadino alcun obbligo, derivante dalla norma di legge in questione, di adottare particolari sistemi ed efficienti misure di difesa contro i furti in abitazione.

Modalità di custodia sostanzialmente non dissimili da quelle adottate dall'odierno ricorrente sono state, del resto, dalla giurisprudenza di legittimità più volte ritenute idonee ad escludere la configurabilità del reato in discussione (cfr., oltre alle decisioni sopra citate, Cass. Sez. 3, n. 76 del 12 gennaio 1996, Depetro, Rv. 203840; Cass. Sez. 1, n. 7154 del 14 dicembre 1999, dep. 2000, Cariello, Rv. 214960; Cass. Sez. 1, n. 12295 del 3 dicembre 2003, dep. 2004, P.G. in proc. Melillo, Rv. 227624; Cass. Sez. 1, n. 46265 del 6 ottobre 2004, Aiello, Rv. 230153).

La sentenza impugnata non ha correttamente interpretato la norma di legge rilevante in funzione della relativa applicazione al caso concreto con essa accertato e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, essa è quindi da annullare senza rinvio perché il fatto contestato all'imputato non sussiste ( art. 620 c.p.p. , lett. f)).

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

Così deciso in Roma, il 1° febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2017.