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Misura cautelare per indagato alloglotta: va tradotta solo se ..(Cass. 33802/17)

11 luglio 2017, Cassazoine penale

Qualora sia applicata una misura cautelare personale nei confronti di un cittadino straniero che non è in grado di comprendere la lingua italiana, l'omessa traduzione del provvedimento determina la sua nullità (a regime intermedio) solo se la predetta circostanza era già nota al momento dell'emissione del titolo cautelare.

 
 Corte di Cassazione

Sezione IV

sentenza n. 33802/2017

udienza 18 maggio 2017 - deposito  11 luglio 2017
 
 
SENTENZA

sul ricorso proposto da: O.A. nato 11 16/06/1986 a BENIN CITY(NIGERIA) avverso l'ordinanza del 28/02/2017 del TRIB. LIBERTA di TRENTO

sentita la relazione svolta dal Consigliere SALVATORE DOVERE;

lette/sentite le conclusioni del PG ANTONIO BALSAMO Il Proc. Gen. BALSAMO ANTONIO conclude per il rigetto

Udito il difensore Avv. Nicola Canestrini

RITENUTO IN FATTO

1. O.A. ricorre per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia Nicola Canestrini, avverso l'ordinanza pronunciata dal Tribunale di Trento, sezione per il riesame, con la quale è stata confermata l'ordinanza emessa nei suoi confronti dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trento il 21- 24.1.2017, con applicazione dell'obbligo di dimora nel Comune di Ala.

2. Il Tribunale ha rigettato il solo motivo posto a sostegno dell'istanza, concernente la violazione dell'art. 143 cod. proc. pen., dedotta in relazione alla mancata traduzione all'imputato alloglotta dell'ordinanza di custodia cautelare; censura fondata sull'assunto che era già nota al momento dell'emissione dell'ordinanza cautelare la mancata conoscenza della lingua italiana da parte dell'indagato.

A fondamento del rigetto il Tribunale ha posto un giudizio di inidoneità probatoria delle circostanze accampate dalla difesa.

3. Il ricorrente asserisce che tale giudizio fonda per un verso su un errato presupposto di fatto, ovvero che le comunicazioni telefoniche del prevenuto, intercettate durante le indagini, fossero anche in lingua italiana (evidenzia che ciò è dipeso dal modo in cui sono stati redatti i brogliacci, mentre l'ascolto dei files audio dimostra che l'indagato si esprimeva in lingua inglese); rammenta al riguardo che l'accertamento della conoscenza della lingua italiana è attività dell'autorità giudiziaria (sottintendendo che non può essere lasciato alle valutazioni della p.g.). Per altro verso segnala gli elementi che sono stati portati a conoscenza del G.i.p. dopo l'adozione dell'ordinanza e dai quali si ricavava che l'indagato non parlava la lingua italiana: richiesta di ricevere il testo in lingua inglese; richiesta di essere assistito da interprete nel corso dell'interrogatorio di garanzia; verbale dell'udienza di altro procedimento in cui si nominava all'odierno ricorrente interprete di lingua inglese; disposizione del P.M. alla p.g., resa nell'ambito di altro procedimento, di procedere all'interrogatorio dell'indagato in presenza di interprete di lingua inglese; istanza di gratuito patrocinio sottoscritta previa traduzione. La conclusiva censura del ricorrente è che il Tribunale non ha valutato tali elementi ed ha reso motivazione contraddittoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è fondato, nei termini di seguito precisati.

3.1. Il provvedimento impugnato ha preso in considerazione la richiesta di annullamento dell'ordinanza di custodia cautelare, perché non tradotta all'indagato, odierno ricorrente, nonostante egli non avesse conoscenza della lingua italiana.

Orbene, in relazione alla mancata traduzione del provvedimento primigenio, la giurisprudenza di legittimità afferma che, qualora sia applicata una misura cautelare personale nei confronti di un cittadino straniero che non è in grado di comprendere la lingua italiana, l'omessa traduzione del provvedimento determina la sua nullità (a regime intermedio) solo se la predetta circostanza era già nota al momento dell'emissione del titolo cautelare (Sez. 3, n. 14990 del 18/02/2015 - dep. 13/04/2015, Vervaeren, Rv. 263236).

In altri termini, da un canto è riconosciuto l'obbligo di tradurre l'ordinanza cautelare; dall'altro si indica quale presupposto di tale obbligo che l'ignoranza della lingua italiana sia già nota al giudice che adotta il provvedimento.

Pertanto la premessa dalla quale ha reso le mosse il Tribunale, ovvero che l'obbligo di traduzione sussiste solo ove sia stata acquisita certezza che l'indagato non parla la lingua italiana, pur dopo la modifica intervenuta nel 2014, è del tutto corretta.

Parimenti corretta è l'affermazione del Collegio distrettuale secondo la quale l'accertamento della conoscenza della lingua italiana costituisce un'indagine di fatto (in ordine al quale il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della non manifesta illogicità della motivazione e alla sua consonanza con gli elementi fattuali disponibili). Si tratta di un principio che, formulato con riferimento all'assetto disciplinare precedente alla riformulazione dell'art. 143, cod. proc. pen., ad opera dell'art. 1, comma primo, lett. b, del D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 32 (cfr. Sez. 6, n. 28697 del 17/04/2012 - dep. 17/07/2012, Wu, Rv. 253250), è stato ribadito anche dopo la menzionata novella (Sez. F, n. 44016 del 04/09/2014 - dep. 22/10/2014, Vjerdha, Rv. 260997).

3.2. E tuttavia, il ricorso risulta fondato proprio in relazione all'apparato motivazionale con il quale il Tribunale ha inteso sostenere il proprio giudizio di fatto.

Infatti, le affermazioni compiute dal Tribunale sono meramente assertive, non espongono i dati fattuali e i criteri inferenziali che ne sono la base, con l'effetto di non permettere alcuna verifica critica.

Asserisce il Tribunale che la circostanza che all'imputato fosse stato nominato un interprete nel giudizio abbreviato e che in altro procedimento pendente presso diversa A.G. il P.M. avesse richiesto la nomina dell'interprete "non assume valore decisivo".

Quale sia la ragione di tale insufficiente rilevanza non è esplicato. Né può ritenersi che l'indicazione sia stata offerta quando si precisa che nel rito abbreviato l'interprete è stato nominato su richiesta del difensore; ove così fosse occorrerebbe ipotizzare che per il Tribunale il giudice di quel rito non abbia svolto alcuna indagine in ordine all'effettiva necessità dell'assistenza dell'interprete, violando i propri doveri.

Sicché, per motivi che non sono resi intellegibili al lettore, il Collegio distrettuale appunta la propria attenzione sul fatto che nel verbale di identificazione del 7.2.2017 si dà atto della conoscenza da parte dell'indagato della lingua italiana "con informazioni provenienti dall'interessato da cui si desume l'effettiva conoscenza" e che le intercettazioni danno conto dell'utilizzazione, da parte dell'indagato, di una pluralità di lingue, tra cui l'italiano "sia pure nel linguaggio criptico e contratto proprio del mondo del narcotraffico".

Infine, si sostiene che l'aver dedotto la mancata conoscenza della lingua all'interrogatorio di garanzia non inficia l'ordinanza cautelare in quanto atto successivo all'emissione di questa e che comunque il g.i.p. aveva respinto l'eccezione ritenendo sostanzialmente menzognera l'affermazione di ignoranza.

Orbene, una simile motivazione è puramente apparente e per un particolare aspetto giuridicamente non corretta.

Rammentando che è apparente la motivazione del tutto avulsa dalle risultanze processuali o si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa; cioè quella motivazione nella quale il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 9677 del 14/07/2014 - dep. 05/03/2015, P.G. in proc. Vassallo, Rv. 263100), nel caso che occupa si succedono affermazioni prive di ancoraggio a specifiche circostanze di fatto e per quelle che vengono richiamate non si espone il percorso logico che ne ha distillato la portata dimostrativa.

E non vi è segno dell'esame delle deduzioni difensive che attribuivano agli operanti la trascrizione in italiano delle comunicazioni captate; di un vaglio critico del giudizio compiuto dal G.i.p. in sede di interrogatorio di garanzia.

In conclusione, la motivazione impugnata non indica elementi specifici e correlati alla comune esperienza in ordine all'acquisita conoscenza della lingua italiana da parte di chi non l'ha avuta come madrelingua e, a fronte di circostanze non certo deponenti a favore della conoscenza da parte dell'indagato della lingua italiana (ritenuti tali da questa Corte ad esempio nel caso esaminato da Sez. 3, n. 16794 del 25/03/2015 - dep. 22/04/2015, Peleckiene e altri, Rv. 263392), replica con mere asserzioni apodittiche, senza attestare di aver effettuato alcun accertamento.

3.3. Quanto al profilo della corretta applicazione della legge, va osservato che anche a ritenere che dalla stessa prospettazione difensiva emerga la condizione del Giudice per le indagini preliminari, precedente l'emissione dell'ordinanza cautelare, di non conoscenza del fatto che l'indagato ignorasse la lingua italiana (infatti viene evidenziato che siffatto giudice ebbe ad utilizzare i brogliacci delle conversazioni, nei quali si riportavano i contenuti di queste come se fossero state tenute - nella più parte - in lingua italiana e che egli non ascoltò le conversazioni), il giudice dell'impugnazione cautelare non può omettere di considerare che secondo l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità, nel caso di intangibilità dell'ordinanza genetica, ove la mancata conoscenza della lingua italiana sia emersa nel corso dell'interrogatorio di garanzia, tale situazione va equiparata a quella di assoluto impedimento regolata dall'art. 294, secondo comma, cod. proc. pen., sicché il giudice deve disporre la traduzione del provvedimento coercitivo in un termine congruo, ed il termine per l'interrogatorio decorre nuovamente dalla data di deposito della traduzione, con la conseguente perdita di efficacia della misura in caso di omesso interrogatorio entro il termine predetto, ovvero di traduzione disposta o effettuata in un termine "incongruo" (Sez. 3, n. 14990 del 18/02/2015 - dep. 13/04/2015, Vervaeren, Rv. 263236).

4. Ne consegue l'annullamento dell'ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di Trento per nuovo esame.

P.Q.M. Annulla il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale del riesame di Trento.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18/5/2017. Il Presidente Rocco Marco Blaiotta