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Memorie e consulenze tecniche senza limiti nel processo penale? (Cass. 21018/15)

21 maggio 2015, Cassazione penale

La memoria di una parte processuale, avente carattere e funzione illustrativa delle tesi prospettate dal singolo soggetto processuale è  connotata dalla più ampia libertà contenutistica in quanto  espressione di un diritto alla prova delle stesse inteso come diritto soggettivo costituzionalmente garantito, in quanto espressione del diritto di azione e di difesa di cui all'art. 24 Cost., commi 1 e 2.

I pareri espressi dai consulenti di parte a mezzo di memoria scritta  possono essere letti in udienza e possono essere utilizzati ai fini della decisione, anche in mancanza del previo esame del consulente qualora le parti non ne abbiano contestato il contenuto ed il giudice abbia ritenuto superfluo di disporre una perizia.

Il fatto che la memoria riporti, per estratto o per intero, atti di indagine contenuti nel fascicolo di parte e mai acquisiti in sede di giudizio non è di per sè ostativo alla sua produzione, nè alla valutazione del suo contenuto, potendo il giudice sterilizzare le considerazioni tecniche che traggono alimento esclusivamente da atti inutilizzabili ai fini della decisione.

L'immotivato rigetto dell'istanza di acquisizione di una memoria difensiva o l'omessa valutazione del suo contenuto determinano la nullità di ordine generale prevista dall'art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), in quanto si impedisce all'imputato di intervenire concretamente nel processo ricostruttivo e valutativo effettuato dal giudice in ordine al fatto-reato, comportando la lesione dei diritti di intervento o assistenza difensiva dell'imputato stesso, oltre a configurare una violazione delle regole che presiedono alla motivazione delle decisioni giudiziarie, in relazione al necessario vaglio delibativo delle questioni devolute con l'atto di impugnazione

La credibilità di un testimone non deve essere accertata con modalità scientifiche: la testimonianza della persona offesa, perchè possa essere legittimamente utilizzata come fonte ricostruttiva del fatto per il quale si procede non necessita di altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Sent., (ud. 30/09/2014) 21-05-2015, n. 21018

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SQUASSONI Claudia - Presidente -

Dott. ANDREAZZA Gastone - Consigliere -

Dott. ACETO Aldo - rel. Consigliere -

Dott. GENTILI Andrea - Consigliere -

Dott. SCARCELLA Alessio - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.G., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 17/06/2013 della Corte di appello di Napoli;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. SPINACI Sante che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

uditi per l'imputato gli avv.ti Negri Elena e Fabio Lattanzi, che hanno concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo
1. il 17/06/2013 la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del 15/12/2008 del Tribunale di quella stessa città che aveva dichiarato il sig. C.G. colpevole del reato di cui all'art. 81 cpv. c.p., art. 61 c.p., n. 11, art. 609-quater c.p., commi 1 e 4, commesso dal mese di (OMISSIS) a quello di (OMISSIS) ai danni di L.A. (n. (OMISSIS)), figlia della donna con cui in quel periodo aveva una relazione, e lo aveva condannato, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata aggravante, alla pena di cinque anni e quattro mesi di reclusione, nonchè al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, oltre pene accessorie.

Si contesta all'imputato di aver computo atti sessuali con la L. consistiti nel toccarle le partì intime, nell'accarezzarle il corpo, nel baciarla sulle labbra e sul seno, nel farsi masturbare.

In particolare:

a) una prima volta, nell'estate del (OMISSIS), in occasione di una vacanza a (OMISSIS), approfittando del fatto che la madre si stava facendo la doccia, aveva invitato la bambina ad andare nel letto "per giocare un pò" (il cd. gioco del solletico) ed in quella occasione le aveva insistentemente toccato il seno, soffermandosi una prima, una seconda ed una terza volta, per poi fermarsi non appena si era accorto che la madre aveva chiuso l'acqua, invitando la bambina a non dir nulla;

b) una seconda volta, a (OMISSIS), aveva ripetuto lo stesso gioco, di nuovo interrotto dall'arrivo della madre di A., impegnata in cucina a preparare la cena;

c) una terza volta, approfittando dell'assenza della donna, fuori per lavoro, aveva portato a letto la bambina e l'aveva spogliata, spogliandosi anche lui, restando entrambi in mutande; in quell'occasione aveva cominciato a toccarle le parti intime, a baciarla sul collo, sulla pancia, sul seno, dicendole, per tranquillizzarla, che era un gioco che si fa con i maschi, le aveva fatto sentire con mano la durezza del suo pene quale segno di gioia, poi si era strusciato su di lei e questa volta senza mutande (che aveva tolto anche alla bambina) facendole sentire il pene in erezione; alla fine le aveva chiesto di masturbarlo fino all'eiaculazione;

d) in successive occasioni l'aveva toccata in casa mentre la madre era impegnata in faccende domestiche, ed in una circostanza le aveva preannunciato che le avrebbe insegnato a prendere tra le labbra il pene;

e) in altre ancora si era fatto masturbare.

La Corte territoriale ha ritenuto attendibile la persona offesa (maggiorenne al momento della testimonianza) in considerazione delle modalità con cui la vicenda era emersa (in conseguenza di una confessione religiosa) e perchè non animata da secondi fini (la vendetta o l'interesse economico ipotizzati dalla difesa); la sua testimonianza era stata confermata dalle dichiarazioni di chi aveva intercettato con immediatezza il suo malessere e aveva raccolto il suo sfogo (madre compresa), nonchè dalle dichiarazioni rese dalla psicoterapeuta che l'aveva seguita nel percorso di sostegno annotando i suoi racconti in relazioni acquisite dai Giudici di merito.

2. Per l'annullamento della sentenza ricorre il C. articolando, per il tramite dei difensori di fiducia, i seguenti motivi di ricorso.

2.1. Con il primo eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), violazione del diritto di difesa per inosservanza dell'art. 121 c.p.p..

Deduce, al riguardo, l'illegittimo rigetto, da parte della Corte di appello, della richiesta di acquisizione della memoria difensiva depositata il 08/04/2013 e di quella presentata il successivo 17/06/2013, ritenuta sostanzialmente ripropositiva della prima.

Precisa che con entrambe le memorie erano stati riproposti e meglio illustrati, con l'apporto di letteratura scientifica e l'ausilio di un docente di neuropsicologia forense, gli argomenti a sostegno della inattendibilità della persona offesa già contenuti nell'atto di appello.

2.2. Con il secondo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e) inosservanza dell'art. 125 c.p.p., comma 3.

Il cuore dell'affermazione di responsabilità risiede, deduce, nella ribadita valutazione di credibilità della persona offesa. Tale valutazione, già espressa dal giudice di prime cure, era stata fortemente stigmatizzata con l'atto di appello che proponeva ai giudici distrettuali precisi aspetti critici della personalità istrionica della testimone e una possibile lettura alternativa della vicenda; aspetti ulteriormente approfonditi con le memorie non acquisite e tuttavia elegantemente superati dalla Corte territoriale con vere e proprie formule di stile utilizzate come scorciatoie per dissimulare, sul piano formale, la violazione dell'onere di motivare adeguatamente la condanna.

2.3. Con l'ultimo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), inosservanza dell'art. 609-bis c.p., 609-quater, commi 1 e 4, e difetto di motivazione in ordine alla penale rilevanza del "gioco del solletico" condotto con la persona offesa nell'estate del (OMISSIS) quando, insieme con la madre della stessa, si trovavano a (OMISSIS).

Deduce al riguardo che la Corte territoriale non ha debitamente scrutinato la natura del gioco in questione sulla cui valenza sessuale i giudici di merito non hanno motivato.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

4. I primi due motivi, comuni per l'oggetto e gli argomenti difensivi, devono essere esaminati congiuntamente.

4.1. Con le due ordinanze indicate in premessa la Corte di appello ha respinto la richiesta di acquisizione delle memorie difensive spiegando la decisione con il pericolo di introdurre elementi idonei ad alterare il quadro probatorio, con conseguente immediata violazione del principio del contraddittorio.

4.2. La prima memoria difensiva era stata depositata alla prima udienza dopo le spontanee dichiarazioni rese dall'imputato ma non era stata acquisita perchè incentrata su una consulenza tecnica. La seconda era stata prodotta dopo che la difesa aveva rassegnato le conclusioni ed era stata anch'essa restituita alla parte privata perchè sostanzialmente identica, nel contenuto, alla prima.

4.3. I Giudici distrettuali hanno, in buona sostanza, ritenuto che attraverso la produzione delle due memorie si introducesse una consulenza tecnica al di fuori dello schema procedurale di cui all'art. 603 cod. proc. pen..

4.4. La difesa contesta l'assunto e, citando giurisprudenza di questa Corte, deduce che, in realtà, "attraverso le memorie (...) la difesa del C. non aveva fatto altro che riproporre, sia pure con maggior dovizia di particolari e di argomentazioni critiche i medesimi profili di criticità - inattendibilità soggettiva della L." (pag. 4). Argomenti che in effetti vengono ripresi e sviluppati per illustrare il secondo motivo di ricorso.

4.5. La memoria, allegata in copia al ricorso, risulta sottoscritta congiuntamente dai difensori e da un neuropsicologo forense e contiene anche stralci di dichiarazioni assunte nel corso delle indagini preliminari.

4.6. Tanto premesso, osserva il Collegio che le ordinanze della Corte di appello non sono corrette.

4.7. In termini generali, si richiamo le articolate e condivisibili considerazioni contenute nella motivazione della sentenza di questa Suprema Corte, Sez. 1, n. 23789 del 06/05/2005, Maronese, Rv. 232518, citata anche dalla difesa a sostegno della propria eccezione, secondo la quale "l'art. 121 c.p.p. rientra tra le disposizioni volte a dare attuazione alla direttiva della L. n. 81 del 1987, dell'art. 2, n. 3 che afferma il principio della parità tra accusa e difesa, attribuisce al pubblico ministero, alle altre parti, ai difensori, alla persona offesa la facoltà di indicare elementi dì prova e di presentare memorie in ogni stato e grado del procedimento e sancisce l'obbligo del giudice di provvedere senza ritardo e, comunque, entro termini stabiliti sulle richieste formulate in ogni stato e grado del procedimento dal pubblico ministero, dalle altri parti private e dai difensori. La disciplina della memoria, avente carattere e funzione illustrativa delle tesi prospettate dal singolo soggetto processuale e, in quanto tale, connotata dalla più ampia libertà contenutistica, s'inquadra con piena coerenza nell'attuale assetto costituzionale e nel vigente sistema processuale penale, ispirato tendenzialmente allo schema dialogico del metodo accusatorio e al principio di parità dialettica tra le parti, espressione di un diritto alla prova delle stesse inteso come diritto soggettivo costituzionalmente garantito, in quanto espressione del diritto di azione e di difesa di cui all'art. 24 Cost., commi 1 e 2. La facoltà delle parti di presentare al giudice memorie o richieste scritte in ogni stato e grado del procedimento, riferendosi al procedimento e non al processo, concerne non solo la fase delle indagini preliminari, ma anche l'udienza preliminare, come si desume dall'art. 421 c.p.p., comma 3. La disposizione, infatti, prevede che la discussione, all'udienza preliminare, si svolga anche sulla base di atti e documenti preventivamente ammessi dal giudice, diversi da quello contenuto nel fascicolo trasmesso a norma dell'art. 416 c.p.p., comma 2, il che implica che, nel corso della stessa, documenti pertinenti e memorie ben possano essere prodotti dalle partì e formare oggetto del contraddittorio (Corte Cost. 30.5.1991 n. 238). In piena sintonia con la sua funzione dialogico- argomentativa, la facoltà di presentare memorie può essere legittimamente esercitata anche nelle successive fasi processuali e non può subire compressioni o limitazioni in conseguenza del tipo di rito prescelto (...). Il giudice al quale viene presentata una memoria difensiva deve, pertanto, prendere in considerazione il contenuto della stessa e assumerlo a tema dell'indagine, facendolo quindi (direttamente o indirettamente) oggetto della formulazione del proprio giudizio. Una conclusione del genere deriva dal principio generale secondo cui le esigenze di giustizia impongono il vaglio di tutte le ragioni delle parti e di tutti i fatti e le circostanze adotti e riferiti dall'imputato. La peculiarità dell'art. 121 c.p.p., comma 2 consiste, quindi, nello stabilire come immediata l'insorgenza del dovere di provvedere da parte del giudice e nel definire l'ampiezza dello "spatium deliberandi" concesso, prima di far scattare il meccanismo che tramuti tale dovere in obbligo di pronunciarsi su domande determinate delle parti. Il rigetto immotivato dell'istanza di acquisizione e valutazione di una memoria o istanza difensiva determina una nullità dì ordine generale ai sensi dell'art. 178 c.p.p., lett. c). L'omesso e ingiustificato esame delle deduzioni difensive impedisce, infatti, all'imputato di intervenire concretamente nel processo ricostruttivo e valutativo effettuato dal giudice in ordine al fatto - reato e comporta la lesione dei diritti di intervento o assistenza difensiva dell'imputato, oltre a configurare una violazione delle regole che presiedono alla motivazione delle decisioni giudiziarie (Cass. 4.4.1990, ric. Cianciaruso). Negare tali conseguenze, invero, significherebbe ridurre le parti alla situazione di comparse eventuali, disconoscendone la funzione di protagoniste della dialettica processuale.

4.8.Altre pronunce di questa Corte di cassazione hanno ribadito che l'immotivato rigetto dell'istanza di acquisizione di una memoria difensiva o l'omessa valutazione del suo contenuto determinano la nullità di ordine generale prevista dall'art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), in quanto si impedisce all'imputato di intervenire concretamente nel processo ricostruttivo e valutativo effettuato dal giudice in ordine al fatto-reato, comportando la lesione dei diritti di intervento o assistenza difensiva dell'imputato stesso, oltre a configurare una violazione delle regole che presiedono alla motivazione delle decisioni giudiziarie, in relazione al necessario vaglio delibativo delle questioni devolute con l'atto di impugnazione (Sez. 6, n. 13085 del 03/10/2013, Rv. 259488; Sez, 1, n. 31245 del 07/07/2009, Rv. 244321).

4.9. Il caso in esame non ha ad oggetto un'ipotesi di immotivato rigetto dell'istanza di acquisizione delle due memorie, poichè la Corte di appello ne ha spiegato le ragioni nei termini sopra già indicati.

4.10.Si tratta però di ragioni non condivisibili, considerato quanto specificamente dispone l'art. 233 c.p.p., comma 1, che consente ai consulenti di "esporre al giudice il proprio parere, anche presentando memorie a norma dell'art. 121 cod. proc. pen.".

4.11.Questa Suprema Corte ha costantemente affermato che i pareri espressi dai consulenti di parte a mezzo di memoria scritta presentata a norma degli artt. 233 e 121 cod. pen. possono essere letti in udienza e possono essere utilizzati ai fini della decisione anche in mancanza del previo esame del consulente qualora le parti non ne abbiano contestato il contenuto ed il giudice abbia ritenuto superfluo di disporre una perizia (Sez. 6, n. 10918 del 17/09/1992, Moussa, Rv. 192881; cfr. anche Sez. 4, n. 7663 del 16/12/2004, Giordano, Rv. 230824; Sez. 6, n. 3500 del 23/09/2008, Rossini, Rv.242522; Sez. 4, n. 3986 del 01/12/2011, Bauzulli, Rv. 251746; Sez. 1, n, 43021 del 02/10/2012, Panuccio, Rv. 253802).

4.12.Ne consegue che la decisione di non acquisire le memorie prodotte dalla parte sol perchè sostanzialmente incentrate su una consulenza tecnica non è conforme alla regola ricavabile dal combinato disposto di cui all'art. 121 c.p.p. e art. 233 c.p.p., comma 1, come interpretata da questa Suprema Corte.

4.13. Il fatto che la memoria riporti, per estratto o per intero, atti di indagine contenuti nel fascicolo di parte e mai acquisiti in sede di giudizio non è di per sè ostativo alla sua produzione, nè alla valutazione del suo contenuto, potendo il giudice sterilizzare le considerazioni tecniche che traggono alimento esclusivamente da atti inutilizzabili ai fini della decisione (cfr., sul punto, art. 228 c.p.p., comma 3; si veda anche Sez. 3, n. 43723 del 23/05/2013, Rv. 258325).

4.14.Si tratta, in conclusione, di omessa ed ingiustificata valutazione del contenuto delle due memorie difensive che è causa di nullità delle ordinanze per violazione dell'art. 178 c.p.p., lett. c).

4.15.Si tratta di violazione che, secondo la tesi difensiva, comporta l'automatica nullità dell'intera sentenza.

4.16. Il rilievo, nei termini assoluti con i quali è espresso, non è fondato perchè è necessario valutare in che modo da tale nullità sia derivato alla difesa un effettivo e concreto pregiudizio.

4.17.E' necessario richiamare, ancora una volta, il contenuto della già citata sentenza Sez. 1, n. 23789 del 06/05/2005: "Alla stregua di queste considerazioni, è indubbio che, nel caso in esame, la sentenza è affetta da violazione di legge nella parte in cui ha erroneamente interpretato in senso restrittivo il possibile contenuto della memoria difensiva, escludendo che la stessa possa proporre esclusivamente considerazioni tecniche, mutuate da altre discipline, pur se fatte proprie dal difensore, e ha ritenuto che l'accesso al rito abbreviato incondizionato e la mancata richiesta, con i motivi di gravame, della riapertura dell'istruttoria dibattimentale costituiscano un ostacolo e un limite alla facoltà dell'imputato di presentare memorie, ai sensi dell'art. 121 c.p.p., nell'ambito del giudizio d'appello. Tanto premesso, peraltro, in concreto non si è verificata alcuna lesione del diritto di difesa sotto il profilo dell'art. 178 c.p.p., lett. c), in quanto, nonostante la mancata acquisizione della memoria difensiva, la motivazione del provvedimento impugnato affronta, con ampiezza di argomentazioni dialettiche, i rilievi difensivi già formulati nel giudizio di primo grado e riproposti sotto profili sostanzialmente immutati con il documento non ammesso" (cfr. anche Sez. 6, n. 269 del 05/11/2013, Rv.258456, per la quale l'omessa valutazione di memorie difensive non può essere fatta valere in sede di gravame come causa di nullità del provvedimento impugnato, ma può influire sulla congruità e correttezza logico - giuridica della motivazione che definisce la fase o il grado nel cui ambito siano state espresse le ragioni difensive; nonchè Sez. 1, n. 37531 del 07/10/2010, Rv. 248551 che ha affermato l'omessa valutazione di memorie difensive può essere fatta valere in sede di gravame come causa di nullità del provvedimento impugnato quando la motivazione risulti indirettamente viziata per la mancata considerazione di quanto illustrato con la memoria, in relazione alle questioni devolute con l'impugnazione).

4.18. Sarebbe sufficiente, a questo punto, rimarcare come lo stesso ricorrente si sia limitato a dedurre che con le memorie erano stati riproposti gli argomenti difensivi in ordine alla credibilità della persona offesa già sollecitati con l'atto di appello e affrontati dalla Corte distrettuale. L'esame del secondo motivo di ricorso, che ha ad oggetto proprio la attendibilità della persona offesa, renderà più chiare le ragioni dell'infondatezza delle doglianze difensive.

5. Il Tribunale di Napoli, dopo una lunga ed articolata illustrazione del contenuto delle fonti di prova dichiarative e documentali, aveva indicato il criterio di giudizio cui si era attenuto nel valutare l'attendibilità della persona offesa (già maggiorenne quando aveva reso la propria testimonianza) e spiegato le ragioni del proprio convincimento con i seguenti argomenti: a) la incontestata capacità della persona offesa di percepire e ricordare le situazioni vissute;

b) l'assenza di suggestioni e induzioni da parte della madre e, correlativamente, di un qualsiasi interesse ad accusare falsamente l'imputato di cose mai commesse, interesse peraltro smentito dal fatto che le aspettative che la vittima nutriva sulla relazione che la madre aveva con l'imputato erano state frustrate proprio a causa dell'emersione di queste vicende; c) l'assenza, inoltre, di un "movente economico" della madre, posto che la denunzia aveva comportato la rottura dei rapporti con l'imputato e con essi di ogni possibile aiuto economico, movente ulteriormente smentito dalle modalità stesse con cui la madre aveva appreso i fatti, a lei riferiti per la prima volta dalla preside della scuola; d) le modalità con cui A. aveva per la prima volta raccontato i fatti (in sede di confessione religiosa) ed erano poi stati casualmente scoperti dalla sua insegnante, che aveva intercettato un bigliettino che la ragazza si stata scambiando con una compagna di classe che, avendo notato il suo forte turbamento, gliene aveva chiesto il motivo; e) la forte compatibilità del suo disagio psicologico con esperienze da stress da abuso sessuale; f) la mancanza di prove incompatibili con il racconto della persona offesa circa le modalità di tempo e di luogo con cui erano state tenute le condotte dell'imputato.

5.1. Con l'appello la difesa aveva stigmatizzato: a) la mancanza di un accertamento tecnico "volto a verificare l'attendibilità del racconto della minore", accertamento che si rendeva ancor più necessario in considerazione sia del lungo lasso di tempo intercorso tra la consumazione del primi episodi ((OMISSIS)) e l'assunzione della testimonianza della persona offesa (27/11/2006), sia per valutare le reali capacità cognitive e la reale maturazione della L. al momento in cui avrebbe subito gli abusi, trattandosi di bambina predisposta all'elaborazione fantasiosa e alla suggestione; b) l'assenza di indagini sul vissuto di abbandono della minore da parte del padre naturale, sulle difficoltà di relazionarsi con i compagni di classe, sugli episodi di enuresi notturna, sui rapporti astiosi con la madre, tutte circostanze che, secondo la difesa, rendono incerta la asserita capacità della L. di capire e recepire compiutamente gli accadimenti; c) l'omessa considerazione delle testimonianze che descrivevano la persona offesa come una persona bugiarda, ambigua ed egocentrica, capace di raccontare le bugie in modo convincente ben prima che nella sua vita entrasse l'imputato; d) la svalutazione del possibile movente delle false accuse, individuabile nella volontà di punire l'imputato quando A. aveva perso la speranza di un rapporto stabile e continuativo con la madre; e) il contrasto tra la precisione del racconto oggetto di testimonianza dibattimentale e la genericità della prima denunzia e dei resoconti fatti alla psicologa nel corso della terapia di sostegno, contrasto che conferma l'attitudine della ragazza alla mistificazione della realtà; f) le contraddizioni, pur esistenti in alcuni punti, tra la testimonianza della madre e quella della figlia; g) la sopravvalutazione del giudizio tecnico della psicoterapeuta sganciato da qualsiasi riferimento o indicatore scientifico perchè non aveva il compito di accertare se la L. avesse subito abusi sessuali, ma partiva dal presupposto - accettato come tale - che li avesse subiti; h) la conseguente svalutazione delle consulenze tecniche prodotte dalla difesa fornite di ben altra attendibilità scientifica e tecnica.

5.2. In questo contesto si inserisce la richiesta di produzione delle memorie difensive che, stando al contenuto di quella allegata al ricorso, proponevano ulteriori argomenti, anche di carattere scientifico, a supporto della eccepita inattendibilità della persona offesa.

5.3. La Corte di appello ha ribadito il giudizio di credibilità della L. argomentando come segue: a) è certo, dalle modalità con le quali la vicenda era stata scoperta, che la persona offesa non avesse alcuna intenzione di far conoscere ad altri, nemmeno alla madre, le proprie vicissitudini con l'imputato; b) i due consulenti della difesa si erano limitati a giudicare unicamente le relazioni della psicoterapeuta ma non avevano considerato che la psicoterapeuta era stata testimone diretta del forte disagio vissuto dalla ragazza e che la rottura del rapporto tra la madre e l'imputato (evento che i CT avevano affermato non voluto dalla persona offesa) era stato causato proprio dalle rivelazioni di quest'ultima; c) lo stesso imputato aveva sminuito il suo rapporto di frequentazione con la madre di A.; d) A., anche a seguito del serrato contro-esame della difesa, non era mai caduta in contraddizione, non potendosi attribuire valenza significativa della sua inattendibilità alle inevitabili incertezze narrative dovute alla notevole distanza temporale dei fatti; e) la testimonianza della persona offesa costituisce prova storica del fatto che non necessita riscontri ulteriori per la sua validazione.

5.4. Il ricorrente ribadisce la necessità che il giudizio di attendibilità della persona minorenne vittima di abuso sessuale debba essere necessariamente supportato da una valutazione di carattere scientifico e critica la sentenza impugnata che, senza fornire risposta sul punto, si sarebbe rifugiata dietro vacue formule di stile volte ad occultare l'omessa motivazione su aspetti critici contenuti nell'atto di appello.

5.5. Osserva preliminarmente il Collegio che la difesa inammissibilmente riproduce e richiama (pagg. 7 e 8) stralci di testimonianze nemmeno indicate nell'atto di appello.

5.6. Mai, per esempio, il ricorrente aveva stigmatizzato che la L.A. avesse sminuito il contenuto del biglietto casualmente intercettato dall'insegnante o che avesse espresso timori per la propria verginità o, ancora, che la madre l'avesse indotta con "le botte" a confermare quel che aveva appreso dalla scuola (argomento, quest'ultimo, ripreso in sede di odierna discussione pubblica).

5.7. Del tutto infondata è perciò la censura relativa al vizio di motivazione che poggia su questi specifici temi difensivi.

5.8. Nel resto, rileva il Collegio che la Corte di appello, in realtà, ha chiaramente indicato, nei termini sopra già illustrati, le ragioni per le quali ha ritenuto credibile il racconto della persona offesa evidenziando, a tal proposito, due aspetti che nella logica della motivazione assumono un peso preponderante: a) la totale mancanza dell'interesse ad una falsa incolpazione dell'imputato; b) le modalità con cui la vicenda era stata scoperta.

5.9. Circostanze che nell'economia del ragionamento della Corte di appello (ma anche del Tribunale) consentono di ritenere veritiero il racconto anche se proveniente da una persona ritenuta adusa alla menzogna, come i Giudici distrettuali fanno mostra di ben sapere.

5.10. Non è un caso, del resto, che proprio su questi temi, ed in particolare, su quello relativo alle modalità con cui la vicenda era stata scoperta, l'odierno ricorso prende posizione come non aveva fatto in sede di appello.

5.11. E' inoltre del tutto infondata l'eccezione secondo la quale la credibilità della testimone dovesse essere accertata con modalità scientifiche.

5.12. Il tema si salda con quello relativo all'omessa valutazione della memoria difensiva.

5.13. Il Collegio ritiene infondato l'assunto che, al pari degli argomenti che lo sorreggono, trae alimento da giurisprudenza di questa Suprema Corte in tema di testimonianze rese da minorenni vittime di abuso niente affatto sovrapponibile al caso di specie (cfr. Sez. 3, n. 26692 del 23/02/2011, Rv. 250629; Sez. 3, n. 1234 del 02/10/2012, Rv. 254464, entrambe in tema di esame di un bambino), o addirittura di segno contrario (Sez. 3, n 38211 del 07/07/2011, Rv.251381, secondo la quale in tema di reati sessuali nei confronti di minori, il mancato espletamento della perizia in ordine alla capacità a testimoniare non rende per ciò stesso inattendibile la testimonianza della persona offesa, giacchè un tale accertamento, seppure utile laddove si tratti di minori di età assai ridotta, non è tuttavia un presupposto indispensabile per la valutazione dell'attendibilità, ove non emergano elementi patologici che possano far dubitare della predetta capacità; Sez. 3, n. 3258 del 04712/2012, Rv. 254138, in ipotesi di testimonianza resa da bambino dopo che il trattamento psicologico aveva influito sulle sue capacità evocative).

5.14. Nel caso in esame si tratta di testimonianza resa da una persona adulta, incontestabilmente non affetta da patologie che ne alterano le capacità mnemoniche, non intaccate nemmeno dal successivo sostegno psicoterapeutico.

5.15. Occorre peraltro evidenziare che la testimonianza della psicoterapeuta è stata valorizzata dalla Corte di appello (e prima ancora dal Tribunale) non come prova scientifica dell'attendibilità della L., ma come semplice riscontro fattuale della situazione di autentica sofferenza sofferta da quest'ultima e vissuta in prima persona dalla testimone.

5.16. Va in ogni caso radicalmente esclusa la possibilità che il giudice demandi ad un perito valutazioni sull'attendibilità del testimone, anche se minorenne all'epoca dell'assunzione della prova o all'epoca dei fatti, che costituiscono suo esclusivo appannaggio (Sez. 4, n. 44644 del 18/10/2011, Rv. 251662; Sez. 3, n. 24264 del 27/05/2010).

5.17. Sicchè non ha fondamento la doglianza che "la mancanza di motivazione ha altresì riguardato la critica mossa in ordine alla mancanza di qualsivoglia accertamento tecnico volto a verificare l'attendibilità del racconto e che costituiva una profonda lacuna per l'intero impianto accusatorio".

5.18. Di qui la irrilevanza, ai fini dell'eventuale violazione del diritto di difesa lamentato con il primo motivo di ricorso, della mancata acquisizione della memoria volta proprio a supportare la valutazione scientifica della inattendibilità della testimone, sorretta, come detto, dall'esame del contenuto delle testimonianze assunte nel corso del processo e delle indagini preliminari.

5.19. Va invece ribadita la correttezza del criterio di giudizio espressamente richiamato da entrambi i giudici di merito.

5.20.Il Collegio deve ribadire il costante insegnamento di questa Suprema Corte secondo il quale, in generale, la testimonianza della persona offesa, perchè possa essere legittimamente utilizzata come fonte ricostruttiva del fatto per il quale si procede non necessita di altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte, Rv. 253214) ma, anzi, al pari di qualsiasi altra testimonianza, è sorretta da una presunzione di veridicità secondo la quale il giudice, pur essendo tenuto a valutarne criticamente il contenuto, verificandone l'attendibilità, non può assumere come base del proprio convincimento l'ipotesi che il teste riferisca scientemente il falso (salvo che sussistano specifici e riconoscibili elementi atti a rendere fondato un sospetto di tal genere, in assenza dei quali egli deve presumere che il dichiarante, fino a prova contraria, riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza) (così, da ultimo, Sez. 4, n. 6777 del 24/01/2013, Grassidonio, Rv. 255104; cfr. anche Sez. 6, n. 7180 del 12/12/2003, Mellini, Rv. 228013 e Sez. 4, n. 35984 del 10/10/2006, Montefusco, Rv. 234830, secondo le quali "in assenza di siffatti elementi, il giudice deve presumere che il teste, fino a prova contraria, riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza e deve perciò limitarsi a verificare se sussista o meno incompatibilità fra quello che il teste riporta come vero, per sua diretta conoscenza, e quello che emerge da altre fonti di prova di eguale valenza").

5.21.La testimonianza della persona offesa, sopratutto quando portatrice di un personale interesse all'accertamento del fatto, deve essere certamente soggetta ad un più penetrante e rigoroso controllo circa la sua credibilità soggettiva e l'attendibilità intrinseca del racconto (Sez. u, 41461 del 2012, cit.), ma ciò non legittima un aprioristico giudizio di inaffidabilità della testimonianza stessa (espressamente vietata come regola di giudizio) e non consente di collocarla, di fatto, sullo stesso piano delle dichiarazioni provenienti dai soggetti indicati dall'art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, (con violazione del canone di giudizio imposto dall'art. 192 c.p.p., comma 1).

5.22. In tema di reati sessuali, peraltro, tale valutazione risente della particolare dinamica delle condotte il cui accertamento, spesso, deve essere svolto senza l'apporto conoscitivo di testimoni diretti diversi dalla stessa vittima.

5.23. In questi casi, dunque, la deposizione della persona offesa può essere assunta anche da sola come fonte di prova della colpevolezza, ove venga sottoposta ad un'indagine positiva sulla credibilità soggettiva ed oggettiva di chi l'ha resa, dato che in tale contesto processuale il più delle volte l'accertamento dei fatti dipende necessariamente dalla valutazione del contrasto delle opposte versioni di imputato e parte offesa, soli protagonisti dei fatti, in assenza, non di rado, anche di riscontri oggettivi o di altri elementi atti ad attribuire maggiore credibilità, dall'esterno, all'una o all'altra tesi (Sez. 4, n. 30422 del 21/06/2005, Rv. 232018; Sez. 4, n. 44644 del 18/10/2011, Rv. 251661).

5.24.Non è pertanto giuridicamente corretto fondare il giudizio di inattendibilità della testimonianza della persona offesa sul solo dato dell'oggettivo contrasto con le altre prove testimoniali, sopratutto se provenienti da persone che non hanno assistito al fatto. Ciò equivarrebbe a introdurre, in modo surrettizio, una gerarchia tra fonti di prova testimoniali che non solo è esclusa dal codice di rito ma che sottende una valutazione di aprioristica inattendibilità della testimonianza della persona offesa che, come detto, non è ammissibile.

5.25. Nel caso di specie, esclusa, come detto, ogni patologia che possa aver influito sulla capacità della persona offesa di rendere testimonianza, valutate in modo niente affatto illogico le ragioni per le quali è stato esclusa la tesi della falsa incolpazione, il giudizio di attendibilità della persona offesa è stato espresso dai giudici di primo e secondo grado in base ai corretti canoni di giudizio sopra indicati ed all'esito di un percorso motivazionale che non è contraddistinto nè da atti di fede a favore della vittima, nè da alchimie argomentative, salti logici o travisamenti di sorta, ma costituisce, piuttosto, il fisiologico approdo di un esame doveroso, coordinato e complessivo di tutto il compendio probatorio sollecitato anche dalle considerazioni critiche della difesa in ordine alla eccepita tendenza naturale della bambina dell'epoca di raccontare bugie.

5.26. I primi due motivi di ricorso sono perciò infondati.

6. Anche il terzo motivo di ricorso è infondato.

6.1. Il ricorrente eccepisce il travisamento della testimonianza della L. che, con riferimento all'episodio del gioco del solletico posto in essere a (OMISSIS) nell'estate del (OMISSIS), non aveva mai parlato di toccamenti delle parti intime, tanto meno del seno.

6.2. L'argomento era stato oggetto del quarto motivo di appello con il quale l'imputato, pur ammettendo di aver toccato il seno della (allora) bambina, aveva escluso la valenza sessuale del gesto perchè la L.A. aveva affermato di non aver all'epoca dato peso al gesto.

6.3.In questa sede l'argomento viene riproposto sotto la diversa veste del vizio di motivazione (travisamento della prova) e della violazione di legge.

6.4.Osserva il Collegio che non v'è alcun travisamento della prova, avendo dato atto la Corte di appello, di toccamenti (ripetuti) del seno già richiamati dal Tribunale di Napoli e inammissibilmente smentiti dall'imputato solo con l'odierno ricorso.

6.5.La valenza sessuale di tali toccamenti è indubbia sotto ogni profilo, avendo l'imputato attinto una zona erogena a fine di concupiscenza che gli sviluppi successivi (a tal fine valorizzati in sede di merito) avrebbero inequivocabilmente dimostrato.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 30 settembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2015