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Marito cornuto, ma niente risarcimento del danno (Cass. 26383/20)

19 novembre 2020, Cassazione civile

La violazione del dovere di fedeltà derivante dal matrimonio implica non solo il possibile addebito della separazione, ma può dar luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali ex art. 2059 c.c., senza che la mancanza di pronuncia di addebito in sede di separazione sia a ciò preclusiva, sempre che  la condizione di afflizione indotta nel coniuge superi la soglia della tollerabilità e si traduca, per le sue modalità o per la gravità dello sconvolgimento che provoca, nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto, quale, in ipotesi, quello alla salute o all'onore o alla dignità personale.

 

Corte di Cassazione

sez. VI Civile – 1, ordinanza 14 ottobre – 19 novembre 2020, n. 26383
Presidente Acierno – Relatore Lamorgese

Rilevato che

La Corte d'appello di Salerno, con sentenza del 15 maggio 2018, in parziale accoglimento del gravame di Gr. Lu., per quanto ancora interessa in questa sede, ha dichiarato la separazione personale del Gr. con addebito al coniuge Ca. Re. ed ha confermato la sentenza impugnata nella parte in cui aveva rigettato la sua domanda di risarcimento del danno non patrimoniale nei confronti della moglie. La Corte ha motivato l'addebito per l'infedeltà coniugale della Ca., quale causa determinante della intollerabilità della convivenza matrimoniale, e il rigetto della domanda risarcitoria per non avere il Gr. provato il danno ingiusto e il nesso causale con una condotta illecita della moglie, non riscontrabile nella sola infedeltà coniugale, essendo la dedotta depressione di cui egli soffriva riferibile alla separazione in sé piuttosto che al tradimento della moglie.
Avverso questa sentenza il Gr. ha proposto ricorso per cassazione, illustrato da memoria, resistito dalla Ca..

Considerato che

Con il primo motivo il Gr. denuncia violazione di legge, vizi motivazionali, travisamento delle prove e delle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio, in ordine all'esame, che assume erroneamente svolta, della domanda di risarcimento del danno da illecito endofamiliare, in conseguenza della violazione da parte della moglie dei doveri coniugali, che avrebbe determinato in lui uno stato depressivo dopo l'allontanamento della moglie dalla casa familiare.
Il motivo è inammissibile, essendo diretto a sollecitare una impropria rivisitazione di un apprezzamento di fatto incensurabilmente operato dai giudici di merito, il cui esito decisorio contestato dal ricorrente è applicazione di un principio di diritto acquisito nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui la natura giuridica del dovere di fedeltà derivante dal matrimonio implica che la sua violazione non sia sanzionata unicamente con le misure tipiche del diritto di famiglia, quale l'addebito della separazione, ma possa dar luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali ex art. 2059 c.c., senza che la mancanza di pronuncia di addebito in sede di separazione sia a ciò preclusiva, «sempre che [tuttavia] la condizione di afflizione indotta nel coniuge superi la soglia della tollerabilità e si traduca, per le sue modalità o per la gravità dello sconvolgimento che provoca, nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto, quale, in ipotesi, quello alla salute o all'onore o alla dignità personale» (vd. Cass. n. 6598 del 2019; anche n. 18853 del 2011). La sussistenza di tale condizione in concreto costituisce oggetto di accertamenti e valutazioni di fatto riservate al giudice di merito, censurabili alle ristrette condizioni, non ricorrenti nella specie, di cui al novellato art. 360 n. 5 c.p.c.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la disposta compensazione delle spese con statuizione, tuttavia, incensurabile in questa sede, avendola la Corte territoriale motivata in ragione della reciproca soccombenza, in conseguenza dell'accoglimento del motivo di gravame riguardante l'addebito e del rigetto del gravame sulla domanda risarcitoria. Ed infatti, la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell'art. 92, secondo comma, cod. c.c., rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un'esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (vd. Cass. n. 30592 del 2017).
Il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 3100,00, oltre accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.