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Marchio contraffatto, reato solo se viene utilizzato (Cass. 25036/20)

3 settembre 2020, Cassazione penale

L’uso di marchi e segni distintivi punito penalmente in alternativa alla contraffazione o alterazione deve identificarsi con l’attività diretta a determinare un collegamento tra il marchio contraffatto e un certo prodotto, non la semplice detenzione. 

 

Corte di Cassazione

sez. V Penale, sentenza 15 luglio – 3 settembre 2020, n. 25036
Presidente Pezzullo – Relatore Borrelli

Ritenuto in fatto

1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 22 maggio 2019 dalla Corte di appello di Genova, che ha confermato la pronunzia del Tribunale della stessa città - emessa con le forme del rito abbreviato - che aveva condannato S.E.H. per i reati di cui agli artt. 473 e 648 c.p. per avere ricevuto e poi fatto uso di clips, tiretti ed etichette recanti i marchi contraffatti Colmar, K-Way, Peuterey e Moncler.

2. Ricorre avverso detta sentenza l’imputato a mezzo del difensore di fiducia, affidando l’impugnativa ad un unico motivo, che denunzia erronea applicazione dell’art. 473 c.p. e manifesta illogicità della motivazione. Sostiene in particolare il ricorrente che, a dispetto della contestazione di uso dei marchi contraffatti, l’imputato stava solo trasportando i beni da una parte all’altra. Sarebbe quindi configurabile solo la ricettazione e non anche il reato di cui all’art. 473 c.p., che punisce chi utilizza i marchi e non chi semplicemente li detiene. La sentenza impugnata sarebbe illogica laddove aveva tratto la prova dell’uso dei marchi dalla tipologia e dalla quantità della merce sequestrata.

3. Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte D.L. 17 marzo 2020, n. 18, ex art. 83, comma 12-ter, conv. con modifiche con L. 24 aprile 2020, n. 27, ha sostenuto l’inammissibilità del ricorso, ritenendo corretta la riconduzione al concetto di uso rilevante ai sensi dell’art. 473 c.p. del possesso di un numero spropositato di segni distintivi contraffatti.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato e, per l’effetto, la sentenza impugnata, quanto al reato di cui all’art. 473 c.p., va annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste, con conseguente eliminazione della porzione di pena a detta fattispecie riferibile.
Ed invero, la risposta della Corte territoriale alla corrispondente doglianza formulata nell’atto di appello appare manifestamente illogica oltre che errata in diritto.

1.1. L’imputato - come si evince dalla sentenza di primo grado - era stato sorpreso a trasportare in uno zainetto, nei pressi della Stazione ferroviaria di Genova principe, mille tiretti e trecento clips marca Moncler, cinquecento tiretti marca K-Way e quattrocento tiretti marca Peuterey; era stato, pertanto, riconosciuto responsabile del reato di cui all’art. 473 c.p. non perché avesse contraffatto o alterato i marchi incorporati negli elementi di cui sopra (condotta peraltro non contestata), ma "perché faceva uso al momento del sequestro degli accessori riportanti i marchi contraffatti" (così la sentenza di primo grado, pag. 4).

1.2. I Giudici di appello, in risposta ad una questione dell’appellante analoga a quella oggi sub iudice, hanno ritenuto accertato un "uso" penalmente rilevante ex art. 473 c.p. dei marchi incorporati negli accessori, stante la notorietà del fatto che, nel centro storico di Genova, operano cittadini senegalesi dediti al confezionamento di prodotti con marchi contraffatti; donde la prova dell’utilizzo dei segni distintivi deriverebbe dal numero, nonché dalla varietà dei segni e dei marchi, oltre che dal silenzio serbato dall’imputato (che è rimasto assente nel corso del giudizio); l’uso penalmente rilevante di cui deve rispondere l’imputato, dunque, sarebbe già configurato dalla detenzione e dal porto di detti materiali, condotte in tesi propedeutiche all’apposizione sul prodotto finito e, quindi, sinonimo di utilizzo del bene.

1.3. Ebbene, se questo è l’ordito argomentativo della sentenza impugnata, il Collegio ritiene che la Corte di merito abbia dilatato oltre misura il concetto di "uso" penalmente rilevante di cui all’art. 473 c.p., comma 1. Secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte, infatti, l’uso di marchi e segni distintivi punito da detta disposizione (condotta prevista dalla norma in discorso in alternativa alla contraffazione o alterazione) deve identificarsi con l’attività diretta a determinare un collegamento tra il marchio contraffatto e un certo prodotto (Sez. 5, n. 26398 del 05/04/2019, De Gregorio; Rv. 276893; Sez. 2, n. 26263 del 22/06/2010, Portarapillo, Rv. 247684; Sez. 5, n. 4305 del 02/04/1996, Vollero, Rv. 204837, sentenze intervenute sul tema del distinguo tra i reati di cui agli artt. 473 e 474 c.p.); tale uso si sostanzia nell’attività squisitamente ma unicamente funzionale a determinare detto collegamento, tale non potendo ritenersi il mero trasporto di uno zaino contenente i marchi incorporati negli accessori, attività obiettivamente neutra rispetto alla strumentalizzazione dei medesimi per contrassegnare falsamente dei prodotti non autentici.

2. La condotta accertata a carico dell’imputato, pertanto, non rientra nel paradigma punitivo di cui all’art. 473 c.p. e la sentenza deve essere, in parte qua, annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste; ne consegue che il Collegio deve eliminare la porzione di pena che è stata inflitta ex art. 81 c.p., comma 2, per la fattispecie in discorso (mesi due di reclusione ed Euro 200,00 di multa) che, tenuto conto che essa ha poi subito la diminuente per il rito abbreviato, deve essere quantificata in giorni quaranta di reclusione ed Euro 134,00 di multa.

P.Q.M.

annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’art. 473 c.p. perché il fatto non sussiste ed elimina la relativa pena di giorni quaranta di reclusione ed Euro 134,00 di multa.