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Maltrattamenti anche per convivenza breve, non aggravati se figlio piccolo (Cass. 21087/22)

3 giugno 2022, Cassazione penale

Tanto più è ridotto il periodo della convivenza, tanto maggiore deve essere la ripetitività ed offensività delle condotte maltrattanti, affinché si ritenga instaurato quel clima di abituale vessazione della persona offesa che costituisce l'elemento tipico del reato in esame.

L'abitualità nel reato di maltrattamenti in famiglia può essere integrato anche nel caso in cui il compimento di più atti, delittuosi o meno, che determinino sofferenze fisiche o morali, vengano posti in essere in lasso temporale non necessariamente prolungato, a condizione che la protrazione della condotta sia comunque idonea dar luogo ad uno stato di vessazione e soggezione dei familiari conviventi vittima del reato.

La durata complessiva dell'arco temporale entro il quale si manifestano le condotte maltrattanti è un dato tendenzialmente neutro ai fini della configurabilità del reato, salvo restando che, se la convivenza si è protratta per un periodo, limitato occorrerà che i maltrattamenti siano posti in essere in maniera continuativa e ravvicinata.

 E' configurabile il reato di maltrattamenti nei confronti di un infante che assista alle condotte maltrattanti poste in essere in danno di altri componenti della sua famiglia, a condizione che tali condotte siano idonee ad incidere sull'equilibrio psicofisico dello stesso.

Cassazione penale

sez. V,

ud. 10 maggio 2022 (dep. 31 maggio 2022), n. 21087
Presidente Di Stefano – Relatore Di Geronimo

Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Messina, in parziale riforma della sentenza di primo grado, confermava la condanna di C.A. per i reati di maltrattamenti in famiglia e lesioni personali, riconoscendo le circostanze generiche equivalenti alle contestate aggravanti e, per l'effetto, rideterminava la pena in anni due e mesi due di reclusione.

2. Avverso la suddetta sentenza, sono stati formulati due motivi di ricorso.

2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge in relazione all'art. 572 c.p., sostenendo che la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto sussistente l'abitualità della condotta di maltrattamenti, senza considerare che i fatti si erano svolti nell'arco di un ridotto periodo di convivenza. In particolare, l'imputato si era trasferito presso l'abitazione della madre, ove risiedeva anche la sorella, da circa un mese prima della commissione del reato di lesioni personali ai danni della sorella, dal quale scaturiva la presentazione della denuncia. L'unico fatto realmente lesivo dell'integrità fisica dei conviventi, si sarebbe verificato il (omissis), mentre nel periodo antecedente vi sarebbero stati esclusivamente litigi e discussioni, inidonei a determinare quello stato di vessazione richiesto dall'art. 572 c.p..

2.2. Con il secondo motivo, deduce violazione di legge in relazione all'errato riconoscimento dell'aggravante di cui all'art. 572 c.p., comma 2.

Il ricorrente dà atto che ai fini della configurazione del reato di maltrattamenti nei confronti di un minore occorre che questi abbia la capacità di percepire il clima di oppressione indotto dalla condotta illecita. Sostiene il ricorrente che il figlio della sorella avrebbe assistito esclusivamente all'episodio verificatosi il (omissis) e, comunque, questi, avendo all'epoca dei fatti solo tre mesi di vita, non era in condizione di subire conseguenze traumatizzanti.

3. Il procedimento è stato trattato in forma cartolare, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, e D.L.n. 105 del 23 luglio 2021, art. 7.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato nei limiti di cui in motivazione.

2. Il primo motivo è infondato. Nelle sentenze di primo e secondo grado è stato compiutamente ricostruito il clima familiare instauratosi a seguito del trasferimento dell'imputato presso l'abitazione materna, nella quale già conviveva anche la sorella dello stesso.

La madre e la sorella dell'imputato hanno concordemente fornito un quadro connotato dall'abitualità di offese e minacce che l'imputato rivolgeva con cadenza sostanzialmente quotidiana nei confronti delle predette. Le persone offese hanno specificato che C. aveva instaurato un clima vessatorio all'interno della famiglia, tale da ingenerare fondati timori anche per la propria incolumità fisica.

Il contesto che descrivono le sentenze di merito, pertanto, rientra appieno nella nozione di maltrattamenti in famiglia, dovendosi unicamente esaminare se nonostante la brevità della convivenza - circa un mese - si possa configurare il presupposto dell'abitualità.

2.1. Ritiene la Corte che al suddetto quesito va data risposta positiva, dovendosi affermare il principio secondo cui l'abitualità nel reato di maltrattamenti in famiglia può essere integrato anche nel caso in cui il compimento di più atti, delittuosi o meno, che determinino sofferenze fisiche o morali, vengano posti in essere in lasso temporale non necessariamente prolungato, a condizione che la protrazione della condotta sia comunque idonea dar luogo ad uno stato di vessazione e soggezione dei familiari conviventi vittima del reato (in tal senso Sez. 6, n. 25183 del 19/12/2012, Rv.253041; si veda anche Sez.3, n. 6724 del 22/11/2017, dep. 2018, Rv. 272452).

La durata complessiva dell'arco temporale entro il quale si manifestano le condotte maltrattanti è un dato tendenzialmente neutro ai fini della configurabilità del reato, salvo restando che, se la convivenza si è protratta per un periodo, limitato occorrerà che i maltrattamenti siano posti in essere in maniera continuativa e ravvicinata.

In definitiva, tanto più è ridotto il periodo della convivenza, tanto maggiore deve essere la ripetitività ed offensività delle condotte maltrattanti, affinché si ritenga instaurato quel clima di abituale vessazione della persona offesa che costituisce l'elemento tipico del reato in esame.

Nel caso di specie, tale condizione deve ritenersi verificata, posto che - a prescindere dall'episodio in cui l'imputato ha cagionato lesioni personali alla sorella - le condotte maltrattanti avvenivano con una frequenza, sostanzialmente quotidiana, il che le rende idonee ad integrare il reato di cui all'art. 572 c.p. nonostante la breve durata della convivenza.

3. Il secondo motivo di ricorso è fondato. Occorre premettere che alle condotte maltrattanti ed, in particolare, all'episodio verificatosi il (omissis) avrebbe assistito il figlio di C.D. , sorella dell'imputato, che all'epoca aveva solo tre mesi.

Sostiene il ricorrente che la tenera età del bambino era tale da non consentirgli di poter consapevolmente percepire l'accaduto, il che determinerebbe il venir meno dell'ipotesi aggravata.

Sul tema questa Sezione si è già pronunciata con una recente sentenza secondo cui è configurabile il reato di maltrattamenti nei confronti di un infante che assista alle condotte maltrattanti poste in essere in danno di altri componenti della sua famiglia, a condizione che tali condotte siano idonee ad incidere sull'equilibrio psicofisico dello stesso (Sez.6, n. 27901 del 22/09/2020, Rv. 279620).

Nel caso di specie, deve ritenersi che la tenera età del minore (di soli tre mesi) sia tale da consentire di escludere che questi possa aver in qualche modo percepito il contesto ambientale e le condotte maltrattanti, pertanto l'aggravante va esclusa.

4. L'annullamento limitato all'aggravante comporta la trasmissione degli atti alla Corte di appello per la rideterminazione della pena, fermo restando l'intervenuta irrevocabilità del giudizio di responsabilità sul reato di maltrattamenti.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al riconoscimento dell'aggravante di cui all'art. 572 c.p., comma 2, e rinvia per la rideterminazione della pena ad altra sezione della Corte di appello di Messina.