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Madre lavora, padre può chiedere scarcerazione? (Cass, 23268/19)

28 maggio 2019, Cassazione penale

In tema di divieto di applicare la custodia cautelare carceraria per donna incinta o madre di prole di età non superiore a sei anni con lei convivente (ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole), non può essere disposta nè mantenuta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza: affinché però possa dirsi integrata l’assoluta impossibilità  richiesta  dunque, deve prospettarsi una situazione nella quale si palesi un difetto assistenziale non altrimenti colmabile, tale da compromettere il processo evolutivo-educativo del figlio, quale, per esempio, la malattia, la detenzione o l’impegno lavorativo che comporti una tale alternanza fra presenza ed assenza del genitore da compromettere la sussistenza di uno stabile e continuativo rapporto di cura del minore.

 

Corte di Cassazione

sez. IV Penale, sentenza 19 aprile – 28 maggio 2019, n. 23268
Presidente Menichetti – Relatore Nardin

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale del riesame di Palermo, con ordinanza resa in data 20 dicembre 2018, ha rigettato l’appello avverso l’ordinanza del G.I.P. presso il medesimo Tribunale con cui è stata applicata a R.G. la misura della custodia cautelare in carcere, in quanto indiziato del delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, commi 1, 2 e 3, escludendo la sussistenza dei presupposti di applicazione dell’art. 275 c.p.p., comma 4.

2. Avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame propone ricorso per cassazione R.G. , a mezzo del suo difensore, formulando un unico motivo.

3. Con la doglianza lamenta la violazione dell’art. 275 c.p.p., comma 4, in forza del quale laddove il genitore non sottoposto a custodia cautelare in carcere sia impossibilitato a dare assistenza alla prole, l’altro non può essere assoggettato alla misura più restrittiva, fatta salva l’ipotesi della sussistenza delle esigenze cautelari di eccezionale gravità. Rileva che: in assenza di cespiti da destinare al mantenimento dei figli minori, la moglie dell’indagato G.G. ha reperito attività lavorativa, a tempo indeterminato, quale dipendente dell’esercizio commerciale (omissis) , in qualità di cameriera, con orario dalle 18:00 alle 22:00; nondimeno, detta attività, in assenza di altre figure familiari di riferimento, stante l’invalidità di entrambe le nonne, impedisce alla moglie dell’interessato l’accudimento dei figli, ed in particolare del figlio minore di sei anni di età; ciò comporta che, se non coadiuvata dal marito nella cura della prole, ella dovrà abbandonare il lavoro non potendo attendere contemporaneamente agli obblighi di madre e a quelli del mantenimento del nucleo familiare. Sostiene che l’ordinanza impugnata abbia omesso un’adeguata valutazione dell’appello cautelare, sovrapponendo l’ipotesi dell’attività lavorativa diurna, a quella dell’attività lavorativa notturna, nonostante la palese differenza, posto che durante il giorno i bambini svolgono attività scolastica, compatibile con l’assenza della madre dalla dimora, allorquando l’attività serale e notturna, in assenza di altro sostegno, non consente di assicurare ai figli la cura genitoriale. Conclude per l’annullamento della sentenza impugnata.

Considerato in diritto

1. Il ricorso deve essere rigettato.

2. Va preliminarmente osservato, in via generale, che il disposto dell’art. 275 c.p.p., comma 4 introducendo una norma di favore per il caso della necessità di accudimento dei figli con età inferiore a sei anni, nelle ristrette ipotesi di morte del genitore non sottoposto a misura custodiale o di assoluta impossibilità di prestare assistenza alla prole, ha inteso assicurare una tutela ai minori, entro il suddetto limite di età, che prevale sulle esigenze cautelari, ancorché la misura sia applicata per uno dei reati di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, fatto salvo il caso della sussistenza di “esigenze cautelari di eccezionale rilevanza”.

La giurisprudenza di legittimità, infatti, ha ritenuto che "La presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 4, che esclude l’applicabilità della custodia in carcere nei confronti di determinate persone che versino in particolari condizioni salvo che ricorrano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, prevale rispetto alla presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere di cui al comma 3 del medesimo articolo prevista ove si proceda per determinati reati. (Fattispecie nella quale la ricorrente era madre di prole in tenera età; la Suprema Corte ha anche precisato che la contestazione della circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, in difetto delle predette condizioni personali, avrebbe attratto i reati ascritti alla ricorrente - D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 74 - nella sfera delle criminalità mafiosa, giustificando il mantenimento della presunzione assoluta di adeguatezza della sola misura cautelare della custodia in carcere). (Sez. 2, n. 11714 del 16/03/2012 - dep. 28/03/2012, Ruoppolo, Rv. 25253401; ed ancora: Sez. 1, n. 15911 del 19/03/2015 - dep. 16/04/2015, Caporrimo, Rv. 26308801)

6. Non può, dunque, in via generale escludersi l’applicabilità della disposizione solo perché la custodia in carcere sia disposta in relazione al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, rilevando in tale ipotesi la valutazione concreta e non presuntiva delle esigenze cautelari, che cederanno il passo alla cura della prole solo quando non eccezionalmente gravi.

Ciò posto, tuttavia, va rilevato che la prova della sussistenza del presupposto dell’impossibilità dell’altro genitore ad attendere all’efficace cura della prole incombe sul soggetto che chiede l’applicazione della misura attenuata.

7. Nel caso in esame il Tribunale della libertà di Palermo ha escluso la sostituzione della custodia cautelare in carcere con misura meno grave, sulla base della valutazione della non acclarata impossibilità della madre di assicurare al figlio della coppia, di età minore dei sei anni un adeguato sostegno genitoriale.

Con ciò intendendo non la presenza fisica lungo il corso della giornata, ma la possibilità di far fronte allo sviluppo psicofisico del minore, potendo le altre incombenze materiali essere diversamente risolte.

Ciò significa, dunque, che non integra “l’assoluta impossibilità” il non poter seguire il minore di sei anni per tutto il corso della giornata. È chiaro, infatti, che l’attività lavorativa del genitore non detenuto è di per sé compatibile con la possibilità di attendere alla cura del figlio, così come lo è nelle ipotesi di genitore “solo”, per le più varie ragioni.

Affinché possa dirsi integrata l’assoluta impossibilità di cui all’art. 275 c.p.p., comma 4, dunque, deve prospettarsi una situazione nella quale si palesi un difetto assistenziale non altrimenti colmabile, tale da compromettere il processo evolutivo-educativo del figlio (cfr. anche Sez. 6, n. 35806 del 23/06/2015 - dep. 01/09/2015, Pepe, Rv. 26472501), quale, per esempio, la malattia, la detenzione o l’impegno lavorativo che comporti una tale alternanza fra presenza ed assenza del genitore da compromettere la sussistenza di uno stabile e continuativo rapporto di cura del minore.

Una simile evenienza non appare essere stata neppure prospettata nè al Tribunale del riesame, nè in questa sede ove si è insistito sulla difficoltà di trovare qualcuno che accudisse il figlio in luogo della madre fra le ore 18 e le ore 22, quando la medesima è impegnata al lavoro. È chiaro che siffatto problema rappresenta un’importante complicazione materiale da risolvere, ma non integra l’assoluta impossibilità di cui all’art. 275 c.p.p., comma 4.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.