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Lista testimoniale via fax? Ammissibile purchè .. (Cass. 23343/16)

6 giugno 2016, Cassazione penale

Il deposito materiale della lista in cancelleria - ove non contenga anche la richiesta al giudice di autorizzazione alla citazione di testimoni, periti, consulenti tecnici e soggetti di cui all'art. 210 c.p.p., - può avvenire anche a mezzo dei mezzi tecnici di trasmissione di cui all'art. 150 (ad esempio, il telefax), che bene assolvono, in ipotesi di corretta e completa ricezione, alla funzione di comunicazione, all'ufficio ed agli altri interessati, del contenuto di un atto; il soggetto trasmittente ha, tuttavia, l'onere di assicurarsi della corretta ricezione del messaggio da parte del destinatario, in quanto su di lui incombe la responsabilità dell'eventuale carenza della comunicazione effettuata senza la consegna materiale diretta alla cancelleria.

Non è causa di nullità dell'ordinanza ammissiva della prova testimoniale nè, pertanto, della sentenza che sull'esito di detta prova abbia fondato la decisione, l'irrituale presentazione della lista testi effettuata a mezzo telefax, anzichè nella prescritta forma del deposito in cancelleria, rientrando, tra i poteri del giudice, quello di assumere le prove anche d'ufficio.

Il deposito in cancelleria della lista testimoniale di cui all'art. 468 c.p.p., comma 1, - ove non contenga anche la richiesta al giudice di autorizzazione alla citazione di testimoni, periti e consulenti tecnici di cui al cit. art. 468, comma 2, per la quale è d'obbligo la forma rituale dell'istanza - può avvenire anche a mezzo di trasmissione con i mezzi tecnici quale il fax. Posto, infatti, che detto adempimento ha la funzione di far conoscere, prima del dibattimento, le prove che l'interessato vorrà far acquisire e di consentire così alle parti di preparare la propria linea difensiva e richiedere eventualmente la prova contraria, e considerato che nessuna espressa sanzione d'inammissibilità è collegata all'irritualità del deposito comunque realizzato, non può non condividersi l'osservazione che anche l'invio mediante fax o altro strumento telematico pienamente assolve, in ipotesi di corretto inoltro alla cancelleria del giudice che procede e di completa ricezione, alla funzione di comunicazione all'ufficio ed agli interessati di quanto trasmesso, incidendo comunque sul trasmittente, che ha l'onere di assicurarsi della corretta ricezione del messaggio da parte del destinatario, ogni responsabilità dell'eventuale carenza della comunicazione effettuata non a mezzo della consegna materiale diretta alla cancelleria.

Ammissibile invio per fax della lista testi, a pato che l'atto sia correttamente indirizzato all'autorità giudiziaria che procede e risulti colà effettivamente pervenuto e allegato agli atti: ciò anche pere l'esigenza di una interpretazione sistematica meno legata a schemi formalistici e più rispondente alla evoluzione della disciplina delle comunicazioni e delle notifiche, oltre che a evidenti esigenze di semplificazione e celerità richieste dal principio della ragionevole durata del processo.

Quanto al controllo della provenienza e della ricezione della comunicazione a mezzo fax basterà ricordare, da un lato, che le indicazioni automaticamente impresse sul documento ricevuto dall'ufficio sono idonee ad assicurare l'autenticità della provenienza dal difensore, peraltro facilmente controllabile dall'ufficio, almeno quanto l'indicazione del mittente su missiva raccomandata (che pure è sufficiente per l'espletamento di formalità ben più significativa quale la presentazione dell'atto d'impugnazione); dall'altro che il telefax è "strumento tecnico che da assicurazioni in ordine alla ricezione dell'atto da parte del destinatario, attestata dallo stesso apparecchio di trasmissione mediante il cosiddetto OK o altro simbolo equivalente".

Nel corpo del medesimo documento-lista testi, possano coesistere l'indicazione dei testimoni dei quali si intende chiedere l'ammissione e delle relative circostanze di prova, che ben può essere inviata a mezzo telefax, e quella di autorizzazione alla citazione, per la quale in passato è stato richiesto il formale deposito in cancelleria, pur se detto onere non appare più attuale, a seguito di Sez. un., n. 40187 del 27/3/2014, rv. 259928, la quale, nel ritenere che la dichiarazione di adesione del difensore all'astensione proclamata dagli organismi rappresentativi della categoria può essere trasmessa a mezzo telefax alla cancelleria del giudice procedente, in conformità a quanto dispone la norma speciale contenuta nell'art. 3, comma 2, del vigente codice di autoregolamentazione (secondo la quale l'atto contenente la dichiarazione di astensione può essere "trasmesso o depositato nella cancelleria del giudice o nella segreteria del pubblico ministero"), ha evidenziato che "tale soluzione appare imposta (...) anche da un'interpretazione adeguatrice e sistematica, più rispondente all'evoluzione del sistema di comunicazioni e notifiche, oltre che alle esigenze di semplificazione e celerità richieste dal principio della ragionevole durata del processo", che appare certamente esperibile anche in subiecta materia.

Non è causa di nullità dell'ordinanza ammissiva della prova testimoniale nè, pertanto, della sentenza che sull'esito di detta prova abbia fondato la decisione, l'irrituale presentazione della lista testi effettuata a mezzo fax, anzichè nella prescritta forma del deposito in cancelleria, proprio perchè rientra tra i poteri del giudice quello di assumere le prove anche d'ufficio.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

(ud. 01/03/2016) 06-06-2016, n. 23343

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMMINO Matilde - Presidente -

Dott. VERGA Giovanna - Consigliere -

Dott. BELTRANI Sergio - rel. Consigliere -

Dott. PARDO Ignazio - Consigliere -

Dott. AIELLI Lucia - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.A., nato il (OMISSIS);

B.S., nato il (OMISSIS);

C.A., nato il (OMISSIS);

CI.GI., nato il (OMISSIS);

D.S., nato il (OMISSIS);

D.L.G., nato il (OMISSIS);

I.V., nato il (OMISSIS);

L.E., nato il (OMISSIS);

M.V., nato il (OMISSIS);

MO.MA., nato il (OMISSIS);

MO.PA., nato il (OMISSIS);

P.C., nato il (OMISSIS);

S.S., nato il (OMISSIS);

T.M., nato il (OMISSIS);

V.S., nato il (OMISSIS);

M.P., nato il (OMISSIS);

F.P., nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 29/10/2014 della CORTE APPELLO di NAPOLI;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udito in PUBBLICA UDIENZA del 01/03/2016, la relazione svolta dal Consigliere Dr. SERGIO BELTRANI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dr. FULVIO BALDI, che ha concluso chiedendo:

- in parziale accoglimento del ricorso di I.V., l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente all'aggravamento della pena, con rigetto nel resto;

- il rigetto del ricorso di S.S.;

- dichiararsi inammissibili i ricorsi di tutti gli altri imputati;

uditi gli avv. (..) i quali si sono tutti riportati ai rispettivi motivi di ricorso, chiedendone l'accoglimento;

- rilevata la regolarità della citazione degli imputati D.L. G., M.V., MO.MA., T. M., i cui difensori non sono comparsi.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione


Gli odierni 17 imputati ricorrono contro la sentenza con la quale, in data 29 ottobre 2014, la Corte di appello di Napoli ha parzialmente confermato la sentenza emessa dal Tribunale della stessa città in data 14 febbraio 2013.

Le numerose imputazioni e le singole statuizioni, in ampia parte oggetto di censura, saranno riepilogate in sede di disamina dei motivi di ricorso di ciascuno.

Questi ultimi, fondati su argomentazioni nel complesso ampiamente sviluppate (in totale, in varie centinaia di pagine di deduzioni), potranno inevitabilmente essere enunciati soltanto nei limiti strettamente necessari alla comprensione delle ragioni poste a fondamento delle singole doglianze (come, peraltro, disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1, in riferimento alla successiva motivazione).

1. A.A..

In primo grado è stato riconosciuto colpevole dei reati di cui ai capi D) partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata al traffico di droghe "leggere" e "pesanti" ed F) partecipazione ad altra associazione per delinquere finalizzata al traffico di droghe "leggere" e "pesanti", unificati dal vincolo della continuazione, esclusa l'aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, riconosciute le attenuanti generiche, e condannato alla pena di anni nove di reclusione.

La Corte di appello ha ridotto la pena ad anni sette e mesi otto di reclusione, confermando nel resto la sentenza del Tribunale.

L'imputato, con l'ausilio dell'avv. FRANCESCO CAPASSO, denuncia:

1) mancanza e manifesta illogicità della motivazione quanto alle affermazioni di responsabilità.

1.1. Il ricorso è inammissibile, perchè proposto per motivi non consentiti in sede di legittimità, poichè il ricorrente si è limitato a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio acquisito e valutato conformemente dai due giudici del merito, e comunque privi della necessaria specificità (ex art. 581 c.p.p., comma 1, lett. C), poichè il ricorrente reitera più o meno pedissequamente doglianze già esaminate ed incensurabilmente disattese dalla Corte di appello.

1.2. Questa Corte, con orientamento (Sez. 4, n. 19710 del 3/2/2009, rv. 243636, e n. 4060 del 12/12/2013, dep. 2014, rv. 258438), che il collegio condivide e ribadisce, ha osservato che, in presenza di una c.d. "doppia conforme", ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie, riguardante l'affermazione di responsabilità), il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l'argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado ("Invero, sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006, è ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un'informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell'ipotesi in cui l'impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite del devolutum con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d'appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice").

Nel caso di specie, al contrario, la Corte di appello ha riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio già sottoposto al vaglio del Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell'appellante, è giunto, alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilità dell'imputato.

1.3. Il ricorso risulta, inoltre, assolutamente privo di specificità in tutte le sue articolazioni (reiterando, più o meno pedissequamente, censure già dedotte in appello e già non accolte:

Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, rv. 221693; Sez. 6, n. 34521 del 27/6/2013, rv. 256133), del tutto assertivo e, comunque, manifestamente infondato, a fronte dei rilievi con i quali la Corte di appello - con argomentazioni giuridicamente corrette, nonchè esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede - ha motivato l'affermazione di responsabilità, valorizzando capo D): f. 165 ss.; capo F): f. 176 ss. elementi desunti da plurime conversazioni oggetto di intercettazioni legittime, sicuramente utilizzabili, ed in difetto di documentati travisamenti.

1.4. In proposito, questa Corte, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, è ormai ferma nel ritenere che l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa all'apprezzamento del giudice di merito, la cui valutazione si sottrae al sindacato di legittimità se - come nel caso di specie - risulti logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate e non inficiata da travisamenti (per tutte, Sez. Un., n. 22471 del 26/2/2015, rv. 263715, che ha ribadito un orientamento consolidato, in ordine al quale non erano emersi contrasti).

1.5. A fronte di tali rilievi, in concreto, il ricorrente si è limitato a reiterare le doglianze già sconfessate dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa "lettura" delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture.

2. B.S..

In primo grado è stato assolto dal reato di cui al capo A) partecipazione ad associazione per delinquere di stampo mafioso, per non aver commesso il fatto.

La Corte di appello, in accoglimento dell'appello del P.M., lo ha dichiarato colpevole del reato di cui al capo A), riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti concorrenti, e lo ha condannato alla pena di anni cinque di reclusione.

L'imputato con due distinti ricorsi denuncia:

(ricorso avv. GRAVANTE e PAOLO TROFINO) 1) violazione dell'art. 192 c.p.p., comma 3, e art. 416-bis c.p., quanto all'affermazione di responsabilità (lamentando l'inadeguatezza della valutazione di attendibilità e consistenza delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia valorizzate ai fini dell'affermazione di responsabilità, ed in difetto dei necessari riscontri, oltre che l'irrilevanza della conversazione intercorsa tra SA.MA. e la nuora SA. L.C.; le dichiarazioni dei "pentiti" M., ST. e MA. riguarderebbero un periodo diverso da quello in contestazione, e sarebbero del tutto prive di specificità; lo ST. sarebbe intrinsecamente inattendibile; il soprannome (OMISSIS) attribuito all'imputato quale interlocutore di una conversazione intercettata di interesse investigativo, sarebbe al contrario molto diffuso e non riferibile con certezza all'imputato;

nulla dimostra in realtà la partecipazione dell'imputato all'enucleato sodalizio criminoso):

(ricorso avv. GRAVANTE) 1) Violazione dell'art. 192 c.p.p. e vizio di motivazione quanto all'affermazione di responsabilità (in virtù di rilievi in sostanza analoghi).

2.1. Il ricorso è inammissibile.

2.2. Deve premettersi che, secondo il consolidato orientamento anche di questa Sezione, deve ritenersi illegittima la sentenza d'appello che, in riforma di quella assolutoria, affermi la responsabilità dell'imputato sulla base di una interpretazione alternativa, ma non maggiormente persuasiva, del medesimo compendio probatorio utilizzato nel primo grado di giudizio (Sez. 2, n. 27018 del 27/3/2012, rv.

253407; Sez. 6, n. 20656 del 22/11/2011, dep. 2012, in motivazione).

La radicale riforma, in appello, di una sentenza di assoluzione non può essere basata su valutazioni semplicemente diverse dello stesso compendio probatorio, qualificate da pari o persino minore razionalità e plausibilità rispetto a quelle sviluppate dalla sentenza di primo grado, ma deve fondare su elementi dotati di effettiva e scardinante efficacia persuasiva, in grado di vanificare ogni ragionevole dubbio immanente nella delineatasi situazione conflitto valutativo delle prove: ciò in quanto il giudizio di condanna presuppone la certezza processuale della colpevolezza, mentre l'assoluzione non presuppone la certezza dell'innocenza, bensì la semplice non certezza - e, dunque, anche il dubbio ragionevole -della colpevolezza.

Invero, il principio secondo il quale la sentenza di condanna deve essere pronunciata soltanto "se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio", formalmente introdotto nell'art. 533 c.p.p., comma 1, dalla L. n. 46 del 2006, "presuppone comunque che, in mancanza di elementi sopravvenuti, l'eventuale rivisitazione in senso peggiorativo compiuta in appello sullo stesso materiale probatorio già acquisito in primo grado e ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, sia sorretta da argomenti dirimenti e tali da evidenziare oggettive carenze o insufficienze della decisione assolutoria, che deve, quindi, rivelarsi, a fronte di quella riformatrice, non più sostenibile, neppure nel senso di lasciare in piedi residui ragionevoli dubbi sull'affermazione di colpevolezza" (Sez. 6, n. 40159 del 3/11/2011, rv. 251066; Sez. 6, n. 4996 del 26/10/2011, dep. 2012, rv. 251782; Sez. II, n. 27018 del 27/3/2012 cit.).

Ai fini della riforma in appello di una assoluzione deliberata in primo grado non può, quindi, ritenersi sufficiente la possibilità di addivenire ad una ricostruzione dei fatti connotata da uguale plausibilità rispetto a quella operata dal primo giudice, occorrendo, invece, che la ricostruzione in ipotesi destinata a legittimare - in riforma della precedente assoluzione - la sentenza di condanna sia dotata di "una forza persuasiva superiore, tale da far cadere ogni ragionevole dubbio, in qualche modo intrinseco alla stessa situazione di contrasto. La condanna, invero, presuppone la certezza della colpevolezza, mentre l'assoluzione non presuppone la certezza dell'innocenza ma la mera non certezza della colpevolezza".

Dovrebbe, pertanto, ritenersi illegittima la sentenza d'appello che, in riforma di quella assolutoria, abbia affermato la responsabilità dell'imputato unicamente sulla base di una interpretazione alternativa, ma non maggiormente persuasiva, del medesimo compendio probatorio utilizzato nel primo grado di giudizio.

2.3. Ciò premesso, il ricorso risulta assolutamente privo di specificità in tutte le sue articolazioni (reiterando, più o meno pedissequamente, censure già dedotte in appello e già non accolte:

Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, rv. 221693; Sez. 6, n. 34521 del 27/6/2013, rv. 256133), del tutto assertivo e, comunque, manifestamente infondato, a fronte dei rilievi con i quali la Corte di appello - con argomentazioni giuridicamente corrette, nonchè esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede - ha motivato l'affermazione di responsabilità, valorizzando capo A): f. 43 ss. elementi desunti da plurime dichiarazioni di collaboratori di giustizia, motivatamente ritenute intrinsecamente attendibili, oltre che reciprocamente concordanti, che - a differenza di quanto immotivatamente ritenuto dal giudice di primo grado - consentivano di chiarire con certezza la riferibilità all'imputato della conversazione intercettata nella quale egli veniva indicato con il soprannome di "(OMISSIS)".

2.4. Tali considerazioni rendono la motivazione posta a fondamento dell'affermazione di responsabilità più persuasiva di quella posta a fondamento dell'originario verdetto assolutorio.

2.5. In ordine all'interpretazione della citata conversazione, valgono i principi già affermati nel 1.4.

2.6. A fronte di tali rilievi, in concreto, il ricorrente si è limitato a riproporre la propria diversa "lettura" delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture, invocando i precedenti verdetti del Tribunale del riesame e del giudice di primo grado, quasi come fossero vincolanti, il che, all'evidenza, non è, senza compiutamente esaminare alcuna dichiarazione nè alcuna argomentazione tra quelle valorizzate dalla Corte di appello.

2.7. Il ricorso non pone alcuna questione in ordine alle modalità procedimentali attraverso le quali deve ritenersi consentito (a seguito delle sentenze della Corte EDU Dan vs. Moldavia del 5 luglio 2011 ed Hanu vs. Romania del 4 giugno 2013) pervenire in appello ad una reformatio in pejus dell'originario verdetto assolutorio: la totale inammissibilità del ricorso esonera il collegio dal valutare se eventuali violazioni potrebbero essere rilevabili d'ufficio.

3. C.A..

In primo grado è stato riconosciuto colpevole del reato di cui al capo B) partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata al traffico di droghe "leggere" e "pesanti", escluse le aggravanti di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 ed al cit. D.P.R., art. 74, comma 4, con la recidiva contestata, unificati dal vincolo della continuazione con reati separatamente giudicati, e condannato complessivamente alla pena di anni undici di reclusione.

La Corte di appello ha confermato la sentenza del Tribunale;

L'imputato (con ricorso personale) denuncia:

1 - violazione dell'art. 192 c.p.p., commi 1, 3 e 4, e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. E), nonchè mancanza, contraddittorietà, e manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia valorizzate ai fini dell'affermazione di responsabilità (lamentando erronea valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia valorizzate ai fini dell'affermazione di responsabilità, quelle dibattimentali del M. considerate solo parzialmente, quelle del MA. travisate, avendo lo stesso in sede di esame dichiarato soltanto di conoscere l'imputato come "spacciatore al dettaglio", "contraddicendosi, poi, manifestamente, nel corso del controesame" - f. 4 del ricorso);

2 - violazione dell'art. 192 c.p.p., commi 1, 3 e 4, art. 533 c.p.p. e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. E), nonchè D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, con mancanza, contraddittorietà, e manifesta illogicità della motivazione, in riferimento agli elementi probatori che connotano la partecipazione dell'imputato al sodalizio criminoso in oggetto, in relazione alla contestazione (lamentando inadeguata dimostrazione della condotta di partecipazione ascritta all'imputato;

sarebbe apodittica l'affermazione che l'imputato fosse uno spacciatore abituale; la Corte di appello avrebbe enunciato "esplicitamente premesse insufficienti e contraddittorie ed addiviene (...) a conclusioni contraddittorie ed errate"; nè sarebbe configurabile il dolo di partecipazione.

3.1. Il ricorso è inammissibile per una pluralità di ragioni.

3.2. Questa Corte ha già chiarito che non sono deducibili in sede di legittimità le violazioni degli artt. 533 e 546 c.p.p.: è stato, infatti, già ritenuto inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione dell'art. 192 c.p.p., anche se in relazione agli artt. 125 e 533 c.p.p. e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), per censurare l'omessa od erronea valutazione di ogni elemento di prova acquisito o acquisibile, in una prospettiva atomistica ed indipendentemente da un raffronto con il complessivo quadro istruttorio, in quanto i limiti all'ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), nella parte in cui consente di dolersi dell'inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (Sez. 6, n. 45249 dell'8/11/2012, rv. 254274).

3.3. Per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione "oltre ogni ragionevole dubbio", presente nel testo novellato dell'art. 533 c.p.p. quale parametro cui conformare la valutazione inerente all'affermazione di responsabilità dell'imputato, è opportuno evidenziare che ne costituiscono fondamento il principio costituzionale della presunzione di innocenza e la cultura della prova e della sua valutazione, di cui è permeato il nostro sistema processuale.

Si è, in proposito, esattamente osservato che detta espressione ha una funzione meramente descrittiva più che sostanziale, giacchè, in precedenza, il "ragionevole dubbio" sulla colpevolezza dell'imputato ne comportava pur sempre il proscioglimento a norma dell'art. 530 c.p.p., comma 2, sicchè non si è in presenza di un diverso e più rigoroso criterio di valutazione della prova rispetto a quello precedentemente adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito il principio, già in precedenza immanente nel nostro ordinamento costituzionale ed ordinario (tanto da essere già stata adoperata dalla giurisprudenza di questa Corte - per tutte, Sez. un., n. 30328 del 10/07/2002, rv. 222139 -, e solo successivamente recepita nel testo novellato dell'art. 533 c.p.p.), secondo cui la condanna è possibile soltanto quando vi sia la certezza processuale assoluta della responsabilità dell'imputato (Sez. 2, n. 19575 del 21/04/2006, rv. 233785; Sez. 2, n. 16357 del 2/04/2008, rv. 239795).

In argomento, si è successivamente affermato (Sez. 2, n. 7035 del 9/11/2012, dep. 2013, rv. 254025) che "La previsione normativa della regola di giudizio dell'"al di là di ogni ragionevole dubbio", che trova fondamento nel principio costituzionale della presunzione di innocenza, non ha introdotto un diverso e più restrittivo criterio di valutazione della prova ma ha codificato il principio giurisprudenziale secondo cui la pronuncia di condanna deve fondarsi sulla certezza processuale della responsabilità dell'imputato".

3.4. Il ricorso è inammissibile anche perchè i due motivi deducono promiscuamente violazioni di legge e vizi di motivazione, nonchè più vizi di motivazione.

Questa Corte ha già chiarito, in proposito, con orientamenti che il collegio condivide e ribadisce, che il ricorrente che intenda denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, più violazioni della legge processuale, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c, ha l'onere (a pena di aspecificità e quindi di inammissibilità del ricorso) di indicare per ciascuna norma che si assume violata in cosa si sia concretizzata la presunta violazione costituente oggetto di doglianza (Sez. 2, n. 25741 del 20/03/2015, rv. 264132), e che il ricorrente che intenda denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimità ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), ha l'onere - sanzionato a pena di aspecificità, e quindi di inammissibilità, del ricorso - di indicare su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica (Sez. 2, n. 19712 del 06/02/2015, rv. 263541).

3.5. Il ricorso è inammissibile anche nella parte in cui si duole dell'inutilizzabilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia per violazione dell'art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, senza l'indicazione specifica delle ragioni, riferite ai singoli collaboratori esaminati ed ai relativi punti della motivazione della sentenza impugnata, per le quali detto vizio sarebbe sussistente (Sez. 2, n. 19712 del 06/02/2015, rv. 263542).

3.6. Il ricorso è, ancora, inammissibile perchè proposto per motivi non consentiti in sede di legittimità, e comunque privi della necessaria specificità (ex art. 581 c.p.p., comma 1, lett. C), poichè il ricorrente si è limitato a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio acquisito e valutato conformemente dai due giudici del merito, peraltro reiterando più o meno pedissequamente doglianze già esaminate ed incensurabilmente disattese dalla Corte di appello (cfr. 1.2. ss.).

3.7. Nel caso di specie, la Corte di appello ha, infatti, riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio già sottoposto al vaglio del Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell'appellante, è giunta alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilità dell'imputato.

3.8. Il ricorso risulta, infine, assolutamente privo di specificità in tutte le sue articolazioni (reiterando, più o meno pedissequamente, censure già dedotte in appello e già non accolte:

Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, rv. 221693; Sez. 6, n. 34521 del 27/6/2013, rv. 256133), del tutto assertivo e, comunque, manifestamente infondato, a fronte dei rilievi con i quali la Corte di appello - con argomentazioni giuridicamente corrette, nonchè esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede - ha motivato l'affermazione di responsabilità, valorizzando f. 94 ss.; f. 159 ss., ed in particolare f. 163, quanto alla configurabilità dell'associazione de qua elementi desunti da plurime conversazioni oggetto di intercettazioni legittime, sicuramente utilizzabili, ed in difetto di documentati travisamenti (cfr. 1.4.), arricchiti, quanto al personale coinvolgimento dell'imputato, dalle plurime dichiarazioni di collaboratori di giustizia, puntualmente riepilogate, ed incensurabilmente ritenute attendibili, dalla Corte di appello.

3.9. A fronte di tali rilievi, in concreto, il ricorrente si è limitato a reiterare le doglianze già sconfessate dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa "lettura" delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture, lamentando una presunta, ma inesistente, valutazione frazionata delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, pur trascurando, in realtà, la rilevanza di quanto valorizzato dalla Corte di appello, per soffermare la sua attenzione su segmenti marginali delle dichiarazioni degli stessi collaboratori, e non indicando specificamente le premesse "esplicitamente insufficienti e contraddittorie" asseritamente enunciate dalla Corte di appello, nè le conclusioni asseritamente "contraddittorie ed errate" cui essa sarebbe addivenuta, nonchè, infine, contestando - ancora una volta genericamente - la ritenuta sussistenza del dolo di partecipazione all'associazione de qua senza esaminare alcuna risultanza od argomentazione.

4. CI.GI..

In primo grado è stato riconosciuto colpevole dei reati di cui ai capi A19) per aver detenuto e posto in vendita sostanza stupefacente ed A20) per aver detenuto e posto in vendita sostanza stupefacente, unificati dal vincolo della continuazione, e condannato alla pena di anni otto e mesi sei di reclusione ed Euro 27.000 di multa.

La Corte di appello ha ridotto la pena ad anni sei e mesi sei di reclusione ed Euro 27.000 di multa, confermando nel resto la sentenza del Tribunale;

L'imputato (con due ricorsi) denuncia:

(ricorso avv. SABATO GRAZIANO).

1) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione e violazione del cit. D.P.R., art. 73 (lamentando omessa considerazione della mancata individuazione degli acquirenti e delle fonti di approvvigionamento della droga in oggetto, peraltro in assenza di accertati movimenti di denaro e di sequestri: ciò inficierebbe la bontà della lettura delle acquisite intercettazioni operata dalla Corte di appello);

2) vizio di motivazione in ordine all'interpretazione delle conversazioni, alla luce dell'attività dell'imputato (l'imputato lavorava per la UNILEVER, e pertanto il riferimento ritenuto criptico ad un gelato poteva essere in realtà riferito all'attività lavorativa dell'imputato);

3) omessa motivazione in ordine alla mancata sussunzione dei fatti addebitati all'imputato nell'ambito del cit. D.P.R., art. 73, comma 5, (dalle intercettazioni emerge sempre il riferimento a piccole somme di denaro consegnate dagli acquirenti);

4) erronea applicazione della legge penale alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014 (si trattava di droghe leggere);

(Ricorso personale).

1) illegittimità delle affermazioni di responsabilità;

2) illegittimità del diniego di qualificazione dei fatti ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, ovvero di ritenere accertate condotte aventi ad oggetto unicamente droghe c.d. "leggere".

4.1. I ricorsi sono in toto inammissibili, per una pluralità di ragioni.

4.2. Il primo motivo del primo ricorso deduce promiscuamente più vizi di motivazione (3.4.).

4.3. I primi due motivi del primo ricorso ed il primo motivo del secondo ricorso non sono consentiti in sede di legittimità, poichè il ricorrente si è limitato a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio acquisito e valutato conformemente dai due giudici del merito, e sono comunque privi della necessaria specificità (ex art. 581 c.p.p., comma 1, lett. C), reiterando più o meno pedissequamente doglianze già esaminate ed incensurabilmente disattese dalla Corte di appello (cfr. 1.2. ss.).

4.4. Nel caso di specie, la Corte di appello ha, infatti, riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio già sottoposto al vaglio del Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell'appellante, è giunto.,. alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilità dell'imputato.

4.5. I predetti motivi risultano, inoltre, assolutamente privi di specificità in tutte le loro articolazioni (reiterando, più o meno pedissequamente, censure già dedotte in appello e già non accolte:

Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, rv. 221693; Sez. 6, n. 34521 del 27/6/2013, rv. 256133), del tutto assertivi e, comunque, manifestamente infondati, a fronte dei rilievi con i quali la Corte di appello - con argomentazioni giuridicamente corrette, nonchè esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede - ha motivato l'affermazione di responsabilità, valorizzando f. 212 ss., ed in particolare f. 240, elementi desunti da plurime conversazioni oggetto di intercettazioni legittime, sicuramente utilizzabili, ed in difetto di documentati travisamenti (cfr. 1.4.), arricchiti dall'intervenuto arresto in flagranza dell'imputato (per condotte illecite aventi ad oggetto anche cocaina) in data 10.12.2004.

4.6. A fronte di tali rilievi, in concreto, il ricorrente si è limitato a reiterare le doglianze già sconfessate dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa "lettura" delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture, lamentando l'inesistenza di dichiarazioni di collaboratori di giustizia in danno dell'imputato (peraltro non necessarie, in considerazione dei residui ed inequivocabili elementi raccolti, e considerato che, come già chiarito da questa Corte, con orientamento che il collegio condivide e ribadisce, la prova dei reati di traffico e di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti può essere desunta non soltanto dal sequestro o dal rinvenimento delle sostanze, ma anche da altre fonti probatorie, quali - come nel caso di specie - il contenuto di intercettazioni: Sez. 2, n. 19712 del 06/02/2015, rv. 263544).

4.7. Le censure costituenti oggetto del primo motivo del primo ricorso e del secondo ricorso sono, inoltre, inficiate dal mancato esame delle conversazioni incensurabilmente interpretate e valorizzate dalla Corte di appello.

Le censure oggetto del secondo motivo del primo ricorso sono, a loro volta, inficiate dalla mancata considerazione del complessivo ragionamento probatorio della Corte di appello, che ha valorizzato contestualmente il riferimento ritenuto criptico non soltanto ai "gelati" (in direzione del quale si indirizzano le censure difensive, ed in relazione al quale, peraltro, nulla documenta in atti che l'imputato fosse addetto a consegne a domicilio) ma anche alle "stoffe bianche" (il bianco è appunto il colore della polvere di cocaina) ed all'intervenuto arresto in flagranza per traffico di cocaina.

4.8. Questi ultimi riferimenti - non adeguatamente considerati nè, a fortiori, decisivamente contestati - evidenziano, ad un tempo, la aspecificità e, comunque, la manifesta infondatezza, del quarto motivo del primo ricorso e del secondo motivo del secondo ricorso, quanto alla ritenuta riferibilità delle condotte accertate a droghe cc.dd. "pesanti", e non leggere.

4.8.1. Al riguardo, appare opportuno precisare che le doglianze difensive formalizzate nei citati motivi di ricorso riguardano unicamente l'opzione della Corte di appello per il più severo trattamento sanzionatorio riservato alle droghe cc.dd. "pesanti", non anche una presunta genericità della contestazione, evocata - sembrerebbe - nel corso della discussione dal difensore presente, senz'altro tardivamente (poichè la questione - a prescindere dal merito - in ipotesi, avrebbe potuto, e quindi dovuto, essere posta a seguito della sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale, pubblicata in G.U. n. 11 del 5/3/2014, e quindi già in corso del giudizio di appello).

4.9. Aspecifici, perchè reiterativi, e comunque manifestamente infondati sono, infine, il terzo motivo del primo ricorso ed il secondo motivo del secondo ricorso, quanto alla omessa qualificazione dei fatti accertati ex cit. D.P.R., art. 73, comma 5: a fronte di un atto di appello in parte qua del tutto generico ed assertivo, privo della compiuta indicazione degli elementi in ipotesi da valorizzare a sostegno della più favorevole qualificazione giuridica dei fatti accertati invocata, la Corte di appello ha incensurabilmente valorizzato, a sostegno della contestata statuizione, la costante e bene avviata attività di traffico emergente dalle conversazioni intercettate e coinvolgente più ampi ambienti criminosi, "che non consente di riportare i fatti nell'ambito della lieve offensività" (f. 240).

5. D.S..

In primo grado è stato riconosciuto colpevole dei reati di cui ai capi A) partecipazione ad associazione per delinquere di stampo mafioso, A21 favoreggiamento personale aggravato ex L. n. 203 del 1991, art. 7, S6) partecipazione ad associazione per delinquere armata finalizzata al traffico di cocaina, aggravata ex L. n. 203 del 1991, art. 7, S7) per aver venduto o comunque ceduto illegalmente sostanza stupefacente del tipo cocaina, aggravata ex L. n. 203 del 1991, art. 7, unificati dal vincolo della continuazione anche con reati separatamente giudicati, e condannato complessivamente alla pena di anni 14 di reclusione.

La Corte di appello ha confermato la sentenza del Tribunale.

L'imputato (con ricorso personale) denuncia:

1 - violazione dei criteri di valutazione della prova liberatoria;

2 - violazione del criterio di frazionabilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia;

3 - violazione di legge, carenza di motivazione, contraddittorietà ed illogicità della motivazione quanto alla sussistenza del reato di cui al cit. D.P.R., art. 74;

4 - violazione di legge, carenza di motivazione, contraddittorietà ed illogicità della motivazione quanto al trattamento sanzionatorio ed all'esclusione delle attenuanti generiche.

5.1. Il ricorso è in toto inammissibile, per una pluralità di ragioni.

5.2. I primi due motivi del ricorso non sono consentiti in sede di legittimità, poichè il ricorrente si è limitato a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio acquisito e valutato conformemente dai due giudici del merito, e sono comunque privi della necessaria specificità (ex art. 581 c.p.p., comma 1, lett. C), reiterando più o meno pedissequamente doglianze già esaminate ed incensurabilmente disattese dalla Corte di appello (cfr. 1.2. ss.).

5.3. Nel caso di specie, la Corte di appello ha, infatti, riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio già sottoposto al vaglio del Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell'appellante, è giunta alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilità dell'imputato.

5.4. I predetti motivi risultano, inoltre, assolutamente privi di specificità in tutte le loro articolazioni (reiterando, più o meno pedissequamente, censure già dedotte in appello e già non accolte:

Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, rv. 221693; Sez. 6, n. 34521 del 27/6/2013, rv. 256133), del tutto assertivi e, comunque, manifestamente infondati, a fronte dei rilievi con i quali la Corte di appello - con argomentazioni giuridicamente corrette, nonchè esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede - ha motivato l'affermazione di responsabilità, valorizzando f. 67 ss., f. 185 ss., ed in particolare f. 75 e f. 198 ss., sempre con puntuale disamina e confutazione delle doglianze difensive, elementi desunti da plurime conversazioni oggetto di intercettazioni legittime, sicuramente utilizzabili, ed in difetto di documentati travisamenti (cfr. 1.4.), arricchiti da plurime dichiarazioni di collaboratori di giustizia, motivatamente ritenute attendibili.

5.5. A fronte di tali rilievi, in concreto, il ricorrente si è limitato a reiterare le doglianze già sconfessate dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa "lettura" delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture, e:

- facendo generico riferimento a dichiarazioni di collaboratori di giustizia che contrasterebbero con quelle rese dal M., ampiamente valorizzate dalla Corte di appello (peraltro unitamente a quelle di altri tre collaboratori di giustizia, P.R., D.B. e MA.), senza peraltro esaminare e confutare con la dovuta specificità l'insieme delle diffuse argomentazioni in virtù delle quali la Corte di appello ha conclusivamente ritenuto la complessiva attendibilità delle dichiarazioni rese dal predetto collaboratore di giustizia;

- lamentando nel corso della discussione l'inesistenza di conversazioni intercettate a riscontro delle dichiarazioni di collaboratori di giustizia in danno dell'imputato (senza considerare, peraltro, quelle riportate a f. 73 ss. ed a f. 192 ss. della sentenza impugnata, incensurabilmente interpretate, e risultate di rilievo decisivo).

5.6. Il terzo ed il quarto motivo sono privi della necessaria specificità perchè deducono promiscuamente violazioni di legge e vizi di motivazione, nonchè più vizi di motivazione (3.4.).

5.7. Il terzo motivo - riguardante la configurabilità del reato di cui al cit. D.P.R., art. 74 è privo della necessaria specificità anche per una diversa ragione: il ricorrente, dopo aver riportato numerose massime giurisprudenziali, lamenta il difetto di prova della partecipazione dell'imputato, e comunque l'assenza del necessario dolo, ma del tutto genericamente, senza considerare in dettaglio quanto osservato in argomento dalla Corte di appello (in particolare, riepilogando, a f. 200 s. della sentenza impugnata).

5.8. Il quarto motivo - riguardante la sussistenza dell'aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 ed il diniego delle attenuanti generiche - è, a sua volta, del tutto generico poichè non considera quanto incensurabilmente osservato dalla Corte di appello quanto alla configurabilità della prima (cfr. f. 75 e f. 203 della sentenza impugnata), e resta del tutto silente sulle ragioni per le quali doveva in ipotesi essere riconosciuta l'invocata circostanza attenuante, peraltro incensurabilmente ritenuta non configurabile dalla Corte di appello (f. 246 della sentenza impugnata), valorizzando la negativa personalità e l'elevata capacità criminale dell'imputato, desumibile dal rilevante contributo fornito alle associazioni criminose delle quali faceva parte.

5.9. Deve, in conclusione, evidenziarsi la non corrispondenza al vero delle insistite doglianze, rappresentate con decisione anche nel corso della discussione, riguardanti l'asseritamente intervenuta esclusione dell'aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 in primo grado: sul punto, si rinvia a quanto sarà più ampiamente osservato sub 10.12. SS. 5.10. Insussistenti sono, infine, i presunti errori di calcolo nei quali sarebbe incorsa la Corte di appello, essendo stata riconosciuta - su istanza della stessa difesa - la sussistenza del vincolo della continuazione tra i quattro reati giudicandi e reati separatamente giudicati.

6. D.L.G..

In primo grado è stato riconosciuto colpevole dei reati di cui ai capi A) partecipazione ad associazione per delinquere di stampo mafioso, N detenzione e porto illegale in luogo pubblico di una pistola, aggravati ex L. n. 203 del 1991, art. 7, R) estorsione aggravata anche ex L. n. 203 del 1991, art. 7, U) estorsione aggravata anche ex L. n. 203 del 1991, art. 7, U1) tentata estorsione aggravata anche ex L. n. 203 del 1991, art. 7, unificati dal vincolo della continuazione, e condannato alla pena di anni 13 di reclusione ed Euro 2.400 di multa.

La Corte di appello, in accoglimento dell'appello del P.M., ha dichiarato l'imputato colpevole anche del reato di cui al capo B) partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata al traffico di droghe "leggere" e "pesanti", in continuazione con i reati già ritenuti, aumentando la pena ad anni sedici di reclusione, e confermando nel resto la sentenza del Tribunale.

L'imputato, con l'ausilio dell'avv. MASSIMO TORRE, denuncia:

1) - violazione dell'art. 192 c.p.p. per violazione dei criteri di valutazione della prova, con contraddittorietà e genericità della motivazione e vizi logici (lamentando mancata disamina dell'attendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia valorizzate ai fini delle affermazioni di responsabilità;

censura inoltre l'interpretazione delle conversazioni).

6.1. Il ricorso è inammissibile per una pluralità di ragioni.

6.2. Non sono deducibili in sede di legittimità le violazioni dell'art. 192 c.p.p. per censurare l'omessa od erronea valutazione di ogni elemento di prova acquisito o acquisibile, in una prospettiva atomistica ed indipendentemente da un raffronto con il complessivo quadro istruttorio (3.2.).

6.3. Il ricorso è inammissibile anche perchè il motivo deduce promiscuamente violazioni di legge e vizi di motivazione, nonchè più vizi di motivazione (3.4.).

6.4. Il ricorso è inammissibile anche nella parte in cui il ricorrente si duole dell'inattendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, senza l'indicazione specifica delle ragioni, riferite ai singoli collaboratori esaminati ed ai relativi punti della motivazione della sentenza impugnata, per le quali detto vizio sarebbe sussistente (3.5): il ricorso non menziona neanche uno dei collaboratori di giustizia le cui dichiarazioni sarebbero inattendibili, non esamina alcuna delle relative dichiarazioni che assume inattendibili, nè esamina alcuna delle argomentazioni in senso contrario profuse dalla Corte di appello (f. 76 ss. della sentenza impugnata, con puntuale disamina delle doglianze difensive).

6.5. Il ricorso è, ancora, inammissibile perchè proposto per motivi non consentiti in sede di legittimità, e comunque privi della necessaria specificità (ex art. 581 c.p.p., comma 1, lett. C), poichè il ricorrente si è limitato a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio acquisito e valutato conformemente dai due giudici del merito, peraltro reiterando più o meno pedissequamente doglianze già esaminate ed incensurabilmente disattese dalla Corte di appello (cfr. 1.2. ss.).

6.6. Nel caso di specie, la Corte di appello ha, infatti, riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio già sottoposto al vaglio del Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell'appellante, è giunte., alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilità dell'imputato.

6.7. Il ricorso risulta, infine, assolutamente privo di specificità in tutte le sue articolazioni (reiterando, più o meno pedissequamente, censure già dedotte in appello e già non accolte:

Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, rv. 221693; Sez. 6, n. 34521 del 27/6/2013, rv. 256133), del tutto assertivo e, comunque, manifestamente infondato, a fronte dei rilievi con i quali la Corte di appello - con argomentazioni giuridicamente corrette, nonchè esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede - ha motivato l'affermazione di responsabilità, valorizzando f. 76 ss., a fondamento delle contestate affermazioni di responsabilità, elementi desunti da plurime conversazioni oggetto di intercettazioni legittime, sicuramente utilizzabili, ed in difetto di documentati travisamenti (cfr. 1.4.), arricchiti, quanto al personale coinvolgimento dell'imputato, dalle plurime dichiarazioni di collaboratori di giustizia, puntualmente riepilogate, ed incensurabilmente ritenute attendibili, dalla Corte di appello.

6.8. A fronte di tali rilievi, in concreto, il ricorrente si è limitato a reiterare le doglianze già sconfessate dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa "lettura" delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture.

6.9. Il ricorso non pone alcuna questione in ordine alla necessità della c.d. "motivazione rafforzata", relativamente al reato di cui al capo B), in ordine al quale è intervenuta reformatio in appello dell'originario verdetto assolutorio: la totale inammissibilità del ricorso esonera il collegio dal valutare se la questione possa eventualmente essere rilevabile d'ufficio.

7. F.P. e V.S..

Gli imputati in primo grado sono stati riconosciuti colpevoli del reato di cui al capo F) partecipazione ad associazione per delinquere armata finalizzata al traffico di droghe, tra cui cocaina, esclusa l'aggravante ex L. n. 203 del 1991, art. 7, e, riconosciute ad entrambi le attenuanti generiche, condannati ciascuno alla pena di anni 7 di reclusione.

La Corte di appello ha confermato nei confronti di entrambi la sentenza del Tribunale; Gli imputati, con l'ausilio dell'avv. MAURIZIO CAPASSO, denunciano congiuntamente:

I - che le intercettazioni valorizzate ai fini dell'affermazione di responsabilità sono del tutto prive della necessaria valenza indiziaria, che il breve periodo di durata delle intercettazione in difetto di contrarie risultanze consentiva la qualificazione dei fatti ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 6, che andava operata una più ampia riduzione della pena per le concesse attenuanti generiche.

7.1. Il ricorso è inammissibile per una pluralità di ragioni.

7.2. Il ricorso è inammissibile perchè proposto per motivi non consentiti in sede di legittimità, e comunque privi della necessaria specificità (ex art. 581 c.p.p., comma 1, lett. C), poichè i ricorrenti si sono limitati a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio acquisito e valutato conformemente dai due giudici del merito, peraltro reiterando più o meno pedissequamente doglianze già esaminate ed incensurabilmente disattese dalla Corte di appello (cfr. 1.2. ss.).

7.3. Nel caso di specie, la Corte di appello ha, infatti, riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio già sottoposto al vaglio del Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure degli appellanti, è giunta alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilità dell'imputato.

7.4. Il ricorso risulta, infine, assolutamente privo di specificità in tutte le sue articolazioni (reiterando, più o meno pedissequamente, censure già dedotte in appello e già non accolte:

Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, rv. 221693; Sez. 6, n. 34521 del 27/6/2013, rv. 256133), del tutto assertivo e, comunque, manifestamente infondato, a fronte dei rilievi con i quali la Corte di appello - con argomentazioni giuridicamente corrette, nonchè esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede - ha motivato le rispettive affermazioni di responsabilità, valorizzando f. 176 ss., ed in particolare f. 181 elementi desunti da plurime conversazioni oggetto di intercettazioni legittime, sicuramente utilizzabili, ed in difetto di documentati travisamenti (cfr. 1.4.).

7.5. A fronte di tali rilievi, in concreto, i ricorrenti si sono limitati a reiterare le doglianze già sconfessate dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa "lettura" delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture.

7.6. Prive della necessaria specificità, perchè del tutto generiche (non indicando elementi in ipotesi non considerati o mal considerati) e, comunque, meramente reiterative, sono anche le doglianze riguardanti:

- la qualificazione dei fatti ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 6, incensurabilmente esclusa dalla Corte di appello in considerazione del rilievo che "l'attività avente ad oggetto il trasporto di stupefacente dall'estero non avveniva per quantitativi irrilevanti (ciò che non avrebbe neanche giustificato la spesa ed il rischio delle operazioni). D'altro canto, se si fosse trattato di piccole cose, ciò non avrebbe giustificato l'ira di coloro che erano in affari col gruppo tale da determinare, una inadempienza degli imputati, addirittura un pericolo di morte per gli stessi (conversazione n. 320)" (f. 182 della sentenza impugnata);

- la complessiva determinazione del trattamento sanzionatorio (per entrambi operata partendo da una pena base rapportata al minimo edittale, con successiva riduzione per le attenuanti generiche, giungendo a pena per entrambi incensurabilmente ritenuta congrua in relazione all'entità dei fatti accertati). E', infatti, da ritenere adempiuto l'obbligo della motivazione in ordine alla misura della pena allorchè sia indicato l'elemento, tra quelli di cui all'art. 133 c.p., ritenuto prevalente e di dominante rilievo (Sez. un., n. 5519 del 21/4/1979, rv. 142252): invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, in tutte le sue componenti, appare necessaria soltanto nel caso in cui la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti risultare sufficienti a dare conto del corretto impiego dei criteri di cui all'art. 133 c.p. espressioni del tipo "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure il richiamo alla gravità del reato oppure alla capacità a delinquere (Sez. 2, n. 36245 del 26/6/2009, rv. 245596; Sez. 4, n. 46412 del 5/11/2015, rv. 265283).

8. I.V..

In primo grado è stato riconosciuto colpevole del reato di cui al capo A) partecipazione ad associazione per delinquere di stampo mafioso, con la contestata recidiva, e condannato alla pena di anni 6 e mesi 8 di reclusione.

La Corte di appello ha ridotto la pena ad anni 5 e mesi 4 di reclusione, confermando nel resto la sentenza del Tribunale;

L'imputato, con l'ausilio dell'avv. SERGIO COLA, denuncia:

1 - violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, per avere illogicamente, contraddittoriamente e lacunosamente ritenuto le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia M.V., rispetto alla specifica posizione dell'imputato, rispondenti ai canoni di affidabilità intrinseca dettati dalla costante giurisprudenza in tema di dichiarazioni dei collaboratori di giustizia: vizi rilevabili dal testo del provvedimento impugnato, oltre che da f. 49, 50 e 51 del verbale di udienza 25.2.2012, rese in sede di controesame difensivo, non attenendo le dichiarazioni del M. al periodo di tempo compreso nell'imputazione;

2 - violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, e art. 416-bis c.p., per avere illogicamente, contraddittoriamente e lacunosamente ritenuto riscontrate le dichiarazioni del collaboratore di giustizia M. V. rispetto all'assunta partecipazione dello I. al sodalizio di cui al capo A) della rubrica dal contenuto di intercettazioni telefoniche ed ambientali di cui alla sentenza, vizio rilevabile dal testo del provvedimento impugnato (l'imputato non figura come interlocutore, e nulla dimostra che sia proprio lui il soggetto soprannominato (OMISSIS); gli elementi valorizzati non sarebbero idonei a fornire prova della intraneità dell'imputato all'enucleato sodalizio, e ad integrare valida e congrua prova della contestata condotta di consapevole partecipazione); accompagna la doglianza con plurimi riferimenti giurisprudenziali asseritamente attinenti alla questione in esame;

3- violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 62-bis c.p. - art. 63 c.p., comma 4 - art. 99 c.p., commi 4 e 5 - art. 416-bis c.p., per avere erroneamente applicato la legge penale e comunque motivato in modo illogico e contraddittorio, nel momento in cui, nonostante non vengano individuati in sentenza elementi dimostrativi della prosecuzione della partecipazione dell'imputato al sodalizio in questione, non è stata dichiarata la cessazione della permanenza della sua partecipazione alla data di entrata in vigore della L. n. 251 del 2005, comportando un prolungamento della consumazione del tutto illegittimo, nonchè per avere applicato un aumento di pena per la recidiva pur in assenza di adeguata motivazione, con l'esclusione delle attenuanti generiche in un caso in cui, non solo in applicazione della legge previgente alla L. n. 251 del 2005 cit., ma anche in applicazione dell'art. 63 c.p., comma 4, l'aumento di pena era facoltativo.

8.1. Il ricorso è fondato limitatamente alla complessiva determinazione del trattamento sanzionatorio, nei sensi che saranno di seguito precisati, ed è, nel resto, inammissibile.

8.2. I primi due motivi, riguardanti l'affermazione di responsabilità, possono essere esaminati congiuntamente; essi sono non consentiti in sede di legittimità, e comunque privi della necessaria specificità (ex art. 581 c.p.p., comma 1, lett. C), poichè con essi il ricorrente si è limitato a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio acquisito e valutato conformemente dai due giudici del merito, peraltro reiterando più o meno pedissequamente doglianze già esaminate ed incensurabilmente disattese dalla Corte di appello (cfr. 1.2. ss.).

8.3. Nel caso di specie, la Corte di appello ha, infatti, riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio già sottoposto al vaglio del Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell'appellante, è giunta alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilità dell'imputato.

8.4. I predetti motivi risultano, inoltre, assolutamente privo di specificità in tutte le sue articolazioni (reiterando, più o meno pedissequamente, censure già dedotte in appello e già non accolte:

Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, rv. 221693; Sez. 6, n. 34521 del 27/6/2013, rv. 256133), del tutto assertivi e, comunque, manifestamente infondati, a fronte dei rilievi con i quali la Corte di appello - con argomentazioni giuridicamente corrette, nonchè esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede - ha incensurabilmente motivato l'affermazione di responsabilità, valorizzando f. 145 ss.

essenzialmente elementi desunti da alcune conversazioni intercettate (in data 28.10.2003 e 21.11.2003), sicuramente utilizzabili, ed incensurabilmente interpretate, in difetto di documentati travisamenti (cfr. 1.4.), nonchè ritenute assorbenti quanto all'inserimento dell'imputato nella fila dell'enucleato sodalizio di matrice camorristica, concludendo (f. 156 della sentenza impugnata) che "dagli elementi probatori richiamati, ed in particolare dalla conversazione n. 8 del 28.10.2003, risulta evidente la cosciente volontà del prevenuto di far parte del clan (OMISSIS) con il fine di riscuotere per conto di detta associazione le quote di denaro provenienti dal traffico di droga, realizzandone quindi il particolare programma. Pertanto, in merito alla asserita insufficienza delle dichiarazioni di M. a fondare la responsabilità del prevenuto per il reato di cui al capo A), la Corte rileva che, a completare il quadro probatorio e, dunque, a riscontrare tali dichiarazioni, sono proprio le intercettazioni telefoniche ed ambientali appena richiamate". Quanto all'individuazione dello I. nell'"(OMISSIS)" di cui si discorre, la Corte di appello ha, inoltre, esaurientemente valorizzato non soltanto quanto dichiarato dal collaboratore di giustizia M. all'udienza 19.10.2012, ma anche e soprattutto le dichiarazioni rese dal m.llo IA. all'ud. 1.12.2011 (da pregressi esiti investigativi, puntualmente riepilogati, risultava che I.V. era così soprannominato: f. 156 della sentenza impugnata). Risulta, pertanto, evidente la mera accessorietà, nell'ambito del quadro probatorio posto a fondamento dell'affermazione di responsabilità, delle dichiarazioni del M..

8.5. In riferimento a tale profilo, emerge una ulteriore causa di inammissibilità, per genericità, delle doglianze difensive riguardanti le dichiarazioni del M.: questa Corte, con orientamento che il collegio condivide e ribadisce (Sez. 3, n. 2/10/2014, dep. 2015, rv. 262011), è, infatti, ferma nel ritenere che, nel caso in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l'inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l'incidenza dell'eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta "prova di resistenza", in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento.

8.6. A fronte di tali rilievi, considerata l'incensurabilità dell'interpretazione delle conversazioni valorizzate (in modo assorbente) dalla Corte di appello a fondamento della contestata affermazione di responsabilità, deve rilevarsi che, in concreto, il ricorrente si è limitato a reiterare le doglianze già sconfessate dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa "lettura" delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture, in difetto di documentati e decisivi travisamenti.

8.7. Il terzo motivo è fondato. Non appare seriamente dubitabile (Sez. 5, n. 25578 del 15/5/2007, rv. 237707; Sez. 1, n. 39221 del 26/2/2014, rv. 260511) che, soprattutto in presenza di un fenomeno di successione di leggi nel tempo che abbia comportato, sotto più profili, modifiche in pejus influenti sulla complessiva determinazione del trattamento sanzionatorio, costituisca onere della pubblica accusa dimostrare la permanenza della condotta di partecipazione dell'imputato anche dopo l'entrata in vigore della legge che abbia introdotto le modifiche peggiorative (nel caso in esame, L. 5 dicembre 2005, n. 251, c.d. ex-Cirielli).

Invero, in tema di reato permanente, la regola per la quale, nel caso di contestazione c.d. aperta (cioè senza l'indicazione della data di cessazione della condotta illecita), la permanenza si considera cessata con la pronuncia della sentenza di primo grado, ha valore esclusivamente processuale, e non sostanziale, nel senso che non ricade sull'imputato l'onere di dimostrare, a fronte di una presunzione contraria, la cessazione dell'illecito prima della data della condanna di primo grado.

Ne consegue che, qualora dalla data di cessazione della permanenza debba farsi derivare un qualsiasi effetto giuridico, non è sufficiente il riferimento alla data della sentenza di primo grado, ma occorre verificare se il giudice di merito abbia, o meno, ritenuto, esplicitamente od implicitamente, provata la permanenza della condotta illecita oltre la data dell'accertamento ed, eventualmente, se tale permanenza risulti effettivamente accertata fino alla sentenza.

In particolare, con specifico riferimento al caso di specie, occorreva verificare le date in cui dovevano ritenersi concluse, se effettivamente cessate, le condotte di partecipazione attribuite all'imputato: spettava, infatti, all'accusa l'onere di fornire la prova a carico dell'imputato in ordine all'eventuale protrarsi della condotta criminosa fino all'ultimo limite processuale, costituito dalla sentenza di primo grado.

8.8. A fronte delle censure difensive, riguardanti, in particolare, la pena edittale e la disciplina della contestata recidiva, la Corte di appello ha osservato che "alcun elemento consente di affermare che in epoca antecedente alla entrata in vigore della ex Cirielli si sia avuta una dissociazione del prevenuto dal gruppo. Quanto sopra consente di ritenere correttamente applicata la più gravosa disciplina nel calcolo dell'aumento per la recidiva", con implicita, quanto evidente ed indebita, inversione del relativo onere probatorio.

In realtà, le risultanze probatorie acquisite documentavano la costanza del contributo fornito dall'imputato al sodalizio de quo fino al 2003 (data della captazioni decisivamente valorizzate ai fini dell'affermazione di responsabilità); il solo collaboratore di giustizia M. ha riferito in ordine al successivo protrarsi della partecipazione dell'imputato al sodalizio, ma le sue dichiarazioni, come è noto, necessitavano di elementi di riscontro c.d. individualizzante, per la verità neanche cercati dalla Corte di appello.

8.8.1. Deve aggiungersi che il predetto vizio è risultato irrilevante ai fini della determinazione della pena base, individuata dalla Corte di appello erroneamente, ma in melius: avendo ritenuto la recidiva contestata, il minimo pena sarebbe stato pari ad anni 5 di reclusione prima dell'entrata in vigore della L. n. 251 del 2005, ovvero ad anni 8 e mesi 4 di reclusione dopo l'entrata in vigore della predetta legge; la Corte di appello è, invece, partita dalla pena di anni 4 di reclusione, costituente minimo edittale prima dell'entrata in vigore della L. n. 251 del 2005 per la associazione armata, aggravante meno grave della ritenuta recidiva.

La relativa statuizione, in difetto di impugnazione del PG distrettuale, non è più modificabile.

Di conseguenza, essendo stata la pena base commisurata all'aggravante di cui all'art. 416-bis c.p., comma 4, e considerata l'impossibilità di escludere la recidiva (all'epoca obbligatoria), occorreva motivare sulla entità dell'aumento facoltativo operato per il concorso della predetta recidiva, secondo quanto stabilito ex art. 63 c.p., comma 4:

nella specie, la Corte di appello si è limitata assertivamente ad affermare che stimava equo un aumento pur operato nella misura massima consentita, il che comportava, al contrario, un evidente onere di più accurata motivazione.

8.8.2. Deve aggiungersi che nelle more è sopravvenuta la declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 99 c.p., comma 5, come sostituito dalla L. n. 251 del 2005, art. 4, limitatamente alle parole "è obbligatorio e" in quanto dispone l'applicazione della recidiva obbligatoria per i delitti indicati all'art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a) sulla base di una presunzione assoluta di più accentuata colpevolezza o di maggiore pericolosità del reo legata al titolo del nuovo reato (Corte cost. n. 185/2015).

Di tale decisione, che rende tout court facoltativa la recidiva de qua, la Corte di appello, in sede di rinvio, dovrà necessariamente tenere conto.

8.9. Generiche, perchè meramente reiterative, e comunque manifestamente infondate, sono, al contrario, le doglianze riguardanti il diniego delle attenuanti generiche, incensurabilmente motivato dalla Corte di appello valorizzando la negativa personalità dell'imputato desunta dai plurimi, gravi e specifici precedenti penali, peraltro in difetto di elementi di segno contrario, seriamente sintomatici della necessaria meritevolezza.

8.10. In conclusione, la sentenza impugnata va annullata limitatamente all'accertamento della data di cessazione della permanenza del reato, e conseguentemente in riferimento alla disciplina della contestata recidiva, nonchè in ordine alla complessiva determinazione del trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio sul punto, che andrà svolto conformandosi ai principi di diritto affermati nei 8.7. ss., e tenendo, altresì, conto della sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale in parte qua dell'art. 99 c.p., comma 5, innanzi menzionata.

8.10.1. Il ricorso è, nel resto, inammissibile.

In primo grado è stata riconosciuta colpevole del reato di cui al capo A) partecipazione ad associazione per delinquere di stampo mafioso, e condannata alla pena di anni 4 di reclusione.

La Corte di appello ha confermato la sentenza del Tribunale.

L'imputata, con l'ausilio dell'avv. GENNARO LEPRE, denuncia:

1 - violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. C) ed E), in relazione all'art. 192 c.p.p., in riferimento al reato di cui all'art. 416 bis c.p., in difetto di adeguato vaglio critico circa l'attendibilità dei collaboratori di giustizia le cui dichiarazioni sono state valorizzate ai fini della conclusiva affermazione di responsabilità, in difetto dei necessari riscontri esterni, ed in difetto di adeguata disamina delle censure mosse in proposito dalla difesa con l'atto di appello; in particolare, a carico dell'imputata sono state valorizzate le dichiarazioni di due coniugi, P. R. e M.V., divenuti collaboratori di giustizia soltanto nell'imminenza della chiusura del dibattimento di primo grado, in ipotesi reciprocamente riscontrantesi, "senza avvedersi dell'assoluta unicità della fonte, riferendo un coniuge ciò che aveva appreso dall'altro, fornendo in tal guisa un reciproco riscontro solo apparente delle rispettive dichiarazioni"; lamenta inoltre carenza ed illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza della materialità del reato associativo contestato, e violazione dell'art. 416 bis per carenza dei relativi elementi costitutivi, ripercorrendo criticamente tutti gli episodi valorizzati (7 dal Tribunale, più 2 dalla Corte di appello) ai fini dell'affermazione di responsabilità, desunti anche da intercettazioni telefoniche (dalle quali non emerge l'apporto dell'imputata alle attività delittuose del clan; inesistente sarebbe comunque la telefonata n. 775, e sul punto la Corte di appello nulla avrebbe risposto allo specifico motivo di gravame), che o non sono dotati di idonea valenza indiziaria, o non sono idonei ad integrare il fatto tipico sanzionato dall'art. 416 bis c.p.; non altrimenti riscontrate sarebbero le dichiarazioni rese da altri collaboratori di giustizia ( D., MA., M.), pure valorizzate dalla Corte di appello;

2 - violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. D), in riferimento all'ordinanza dibattimentale con la quale in data 24.9.2014, la Corte di appello ha rigettato la richiesta di rinnovazione della istruzione dibattimentale per escutere i soggetti che, secondo i collaboratori di giustizia innanzi indicati, avrebbero versato il denaro frutto di estorsione nelle mani dell'imputata, richiesta a suo tempo formulata ex art. 493 c.p.p., comma 2, art. 468 c.p.p., comma 4, art. 495 c.p.p., comma 2 e 507 c.p.p., ma rigettata con ordinanza già impugnata unitamente alla sentenza di primo grado, sul presupposto della non necessità delle prove indicate, in difetto di ulteriori argomentazioni;

3 - violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. C) ed E), in relazione all'art. 468 c.p.p., "avendo la Corte di appello di Napoli ritenuto ammissibile l'istanza, ex art. 468 c.p.p., di ammissione dei testi del P.M. presentata a mezzo fax e priva del timbro di deposito in cancelleria, in quanto non contenente la richiesta di autorizzazione alla citazione, senza avvedersi che tale istanza, compiutamente allegata dalla difesa, conteneva proprio la richiesta di autorizzazione alla citazione dei testimoni".

In data 16 febbraio 2016 sono state depositate note difensive riepilogative con allegati in vista dell'odierna udienza 1.3.2016.

9.1. Il ricorso è, nel suo complesso, infondato.

9.2. Deve premettersi che le note difensive riepilogative sono state depositate tardivamente, in violazione del prescritto termine di gg.

15 (il deposito è intervenuto in data 16 febbraio 2016 per l'udienza 1 marzo 2016, ovvero soltanto 13 giorni liberi prima dell'udienza), e non può, pertanto, tenersene conto.

Questa Corte (Sez. 1^, n. 19925 del 4/4/2014, rv. 259618; Sez. 6^, n. 18453 del 28/2/2012, rv. 252711), con orientamento che il collegio condivide e ribadisce, è, infatti, ormai ferma nel ritenere che il termine di quindici giorni per il deposito di memorie difensive, previsto dall'art. 611 c.p.p., è da ritenersi applicabile anche ai procedimenti in udienza pubblica, e che la sua inosservanza esime la Corte di cassazione dall'obbligo di prenderle in esame.

9.2.1. Ugualmente inammissibile - tenuto conto delle peculiarità del giudizio di legittimità - è la produzione di tre verbali contenenti dichiarazioni testimoniali e di collaboratori di giustizia sopravvenute: questa Corte (Sez. 2^, n. 1417 dell'11/10/2012, dep. 2013, rv. 254302; Sez. 3^, n. 5722 del 7/1/2016, rv. 266390) ha già chiarito, con orientamento che il collegio condivide e ribadisce, che, nel giudizio di legittimità, possono essere prodotti esclusivamente i documenti che l'interessato non sia stato in grado di esibire nei precedenti gradi di giudizio, sempre che essi non costituiscano - come nel caso di specie - nuova prova, e non comportino - come nel caso di specie - un'attività di apprezzamento circa la loro validità formale e la loro efficacia nel contesto degli elementi di prova già raccolti e valutati dai giudici di merito.

9.3. Il primo motivo non è consentito in sede di legittimità, ed è comunque privo della necessaria specificità (ex art. 581 c.p.p., comma 1, lett. C), poichè la ricorrente si è limitata a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio acquisito e valutato conformemente dai due giudici del merito, peraltro reiterando più o meno pedissequamente doglianze già esaminate ed incensurabilmente disattese dalla Corte di appello (cfr. 1.2. ss.).

9.4. Nel caso di specie, la Corte di appello ha, infatti, riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio già sottoposto al vaglio del Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell'appellante, è giunta. alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilità dell'imputato.

9.5. Il motivo risulta, inoltre, assolutamente privo di specificità in tutte le sue articolazioni (reiterando, più o meno pedissequamente, censure già dedotte in appello e già non accolte, come all'evidenza desumibile dallo "specchietto" inserito a f. 19 dell'atto di appello, più o meno pedissequamente riproposto a f. 6 del ricorso: Sez. 4^, n. 15497 del 22/2/2002, rv. 221693; Sez. 6^, n. 34521 del 27/6/2013, rv. 256133), del tutto assertivo e, comunque, manifestamente infondato, a fronte dei rilievi con i quali la Corte di appello - con argomentazioni giuridicamente corrette, nonchè esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede - ha motivato l'affermazione di responsabilità, valorizzando f. 139 ss. incensurabilmente elementi desunti da plurime conversazioni oggetto di intercettazioni legittime, sicuramente utilizzabili, ed in difetto di documentati travisamenti (cfr. 1.4.) e da dichiarazioni acquisite in dibattimento, ed in particolare:

- le dichiarazioni del collaboratore di giustizia M. (cfr.

inequivocabilmente f. 143: "l'uomo di casa era E.", non il marito - e coimputato - S.S.), con riferimento alle quali la Corte di appello ha anche convincentemente spiegato - per superare una censura difensiva - le ragioni del tardivo coinvolgimento della donna in un omicidio (in precedenza coperto da segreto istruttorio: f. 140 della sentenza impugnata);

- le conversazioni n. 115 e n. 120 (puntualmente riportate a f. 142 della sentenza impugnata, ed incensurabilmente interpretate e valorizzate), ritenute significative per confermare la disponibilità della donna non soltanto a raccogliere dai soggetti materialmente incaricati delle riscossioni somme di denaro consegnate dai negozianti sottoposti ad estorsione, poi "girate" al M., ma anche a recarsi in prima persona a ricevere le consegne (nel caso di cui alle citate conversazioni, da soggetto non meglio identificato, individuato in "quello del forno");

- le dichiarazioni di P.R. (riguardanti anche circostanze a lei note in prima persona, e non soltanto per esserle state riferite dal marito M.), D.B. e M. G. (f. 142 s. della sentenza impugnata), tutte motivatamente ritenute attendibili ed ampiamente riscontranti quelle rese dal collaboratore di giustizia M., quanto alla disponibilità dell'imputata a soddisfare le disponibilità del sodalizio enucleato, ed in particolare accondiscendere alle disposizioni che, nel comune interesse, le venivano impartite dal M. stesso, soggetto in quell'ambito in posizione indiscutibilmente verticistica;

- le conversazioni n. 774, riportata a f. 143 (non 775, come al contrario lamenta la ricorrente: il ricorso è, sul punto, generico, e, d'altro canto, la Corte di appello non ha valorizzato nessuna fantomatica conversazione n. 775, e forse per questo ha ritenuto inutile sottolineare l'errore materiale nel quale era verosimilmente incorsa l'appellante), estremamente chiara quanto all'intraneità della donna, e n. 37, riportata a f. 144, quanto all'utilizzo di telefoni cellulari "dedicati" per le comunicazioni relative alle attività del gruppo. Entrambe sono state, anche in questo caso, incensurabilmente interpretate e valorizzate;

- le concordi dichiarazioni dei coniugi M.- P. (f.

144), quanto alla circostanza che la L. spesso era ricompensata in denaro, confermata dall'accertata consegna, in una occasione, alla donna di 500 Euro che lo stesso M. aveva prelevato da somme costituenti provento del reato di cui al capo S6 (cessione di cocaina), in precedenza consegnatigli dal S. e dal D..

9.6. Quanto alla censura che, a carico dell'imputata, sarebbero state valorizzate le dichiarazioni dei coniugi P./ M., divenuti collaboratori di giustizia soltanto nell'imminenza della chiusura del dibattimento di primo grado, in ipotesi reciprocamente riscontrantesi, "senza avvedersi dell'assoluta unicità della fonte, riferendo un coniuge ciò che aveva appreso dall'altro, fornendo in tal guisa un reciproco riscontro solo apparente delle rispettive dichiarazioni", deve rilevarsi che la ricorrente non indica specificamente quale dichiarazione sarebbe frutto di notizie comunicate da quale dei due dichiaranti all'altro: la doglianza risulta, pertanto, anche irrimediabilmente generica.

9.6.1. Ugualmente generica è la censura riguardante l'asserita inesistenza in atti della conversazione n. 775 - in ordine alla quale si rinvia a quanto osservato nel p. 9.5. -, meramente enunciata a f.

21 del ricorso, in difetto dell'indicazione degli elementi in ipotesi indebitamente valorizzati.

9.6.2. In entrambi i casi, manca, inoltre, la necessaria "prova di resistenza" (p. 8.5.).

9.7. A fronte di tali complessivi rilievi, in concreto la ricorrente si è limitata a reiterare le doglianze già sconfessate dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa "lettura" delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture.

9.8. Il secondo motivo è, a sua volta, generico, perchè meramente reiterativo, e, comunque manifestamente infondato: la Corte di appello ha, incensurabilmente e condivisibilmente, motivato la contestata statuizione evidenziando (f. 141 della sentenza impugnata) che le pp.oo. delle estorsioni - che si chiedeva di esaminare - nulla sapevano della L., e che, per tale ragione, le richieste difensive risultavano all'evidenza inaccoglibili, perchè superflue.

Nè, con riguardo all'affermazione che costituisce premessa della successiva, e logicamente consequenziale, statuizione, la ricorrente documenta, nei modi di rito, travisamenti, limitandosi unicamente a reiterare la proprie istanze.

9.9. Il terzo motivo è infondato.

9.9.1. Questa Corte ha già osservato che il deposito materiale della lista in cancelleria - ove non contenga anche la richiesta al giudice di autorizzazione alla citazione di testimoni, periti, consulenti tecnici e soggetti di cui all'art. 210 c.p.p., - può avvenire anche a mezzo dei mezzi tecnici di trasmissione di cui all'art. 150 (ad esempio, il telefax), che bene assolvono, in ipotesi di corretta e completa ricezione, alla funzione di comunicazione, all'ufficio ed agli altri interessati, del contenuto di un atto; il soggetto trasmittente ha, tuttavia, l'onere di assicurarsi della corretta ricezione del messaggio da parte del destinatario, in quanto su di lui incombe la responsabilità dell'eventuale carenza della comunicazione effettuata senza la consegna materiale diretta alla cancelleria (Sez. 6^, n. 3 del 10/7/1996, dep. 1997, rv. 206504).

9.9.2. Alle medesime conclusioni, ma seguendo un percorso argomentativo nettamente distinto (fondato non sulla legittimità della prescelta forma di deposito, sostenuta dal precedente orientamento, bensì sulla mancanza di conseguenze processuali della pur riscontrata illegittimità), sono successivamente giunte altre pronunce (Sez. 1^, n. 38161 del 24/9/2008, rv. 241135, e Sez. 5^, n. 32742 del 3/6/2010, rv. 248418), per le quali non è causa di nullità dell'ordinanza ammissiva della prova testimoniale nè, pertanto, della sentenza che sull'esito di detta prova abbia fondato la decisione, l'irrituale presentazione della lista testi effettuata a mezzo telefax, anzichè nella prescritta forma del deposito in cancelleria, rientrando, tra i poteri del giudice, quello di assumere le prove anche d'ufficio.

9.9.3. Nel senso dell'ammissibilità della presentazione della lista testi a mezzo telefax (e, conseguentemente, dell'illegittimità del provvedimento del giudice del dibattimento che dichiari l'inammissibilità della richiesta di audizione dei testimoni in essa indicati) si è, successivamente, pronunciata Sez. 1^, n. 44978 del 19/9/2014, rv. 261125, per la quale, in particolare, "il deposito in cancelleria della lista testimoniale di cui all'art. 468 c.p.p., comma 1, - ove non contenga anche la richiesta al giudice di autorizzazione alla citazione di testimoni, periti e consulenti tecnici di cui al cit. art. 468, comma 2, per la quale è d'obbligo la forma rituale dell'istanza - può avvenire anche a mezzo di trasmissione con i mezzi tecnici quale il fax. Posto, infatti, che detto adempimento ha la funzione di far conoscere, prima del dibattimento, le prove che l'interessato vorrà far acquisire e di consentire così alle parti di preparare la propria linea difensiva e richiedere eventualmente la prova contraria, e considerato che nessuna espressa sanzione d'inammissibilità è collegata all'irritualità del deposito comunque realizzato, non può non condividersi l'osservazione che anche l'invio mediante fax o altro strumento telematico pienamente assolve, in ipotesi di corretto inoltro alla cancelleria del giudice che procede e di completa ricezione, alla funzione di comunicazione all'ufficio ed agli interessati di quanto trasmesso, incidendo comunque sul trasmittente, che ha l'onere di assicurarsi della corretta ricezione del messaggio da parte del destinatario, ogni responsabilità dell'eventuale carenza della comunicazione effettuata non a mezzo della consegna materiale diretta alla cancelleria (così, tra le altre: Sez. 6, n. 3 del 10/07/1996, Rover, Rv. 206504; Sez. 4, n. 2789 del 12/12/2012, Giordano, dep. 2013).

2.2. D'altra parte questa soluzione, non solo non trova ostacoli in alcuna specifica previsione d'inammissibilità della lista diversamente inoltrata, ma appare conforme purchè, si ripete, l'atto sia correttamente indirizzato all'autorità giudiziaria che procede e risulti colà effettivamente pervenuto e allegato agli atti - all'esigenza di una interpretazione sistematica meno legata a schemi formalistici e più rispondente alla evoluzione della disciplina delle comunicazioni e delle notifiche (di cui sono espressione l'art. 148 c.p.p., comma 2 bis, e il D.L. 29 dicembre 2009, n. 193, art. 4, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 febbraio 2010, n. 24), oltre che a evidenti esigenze di semplificazione e celerità richieste dal principio della ragionevole durata del processo.

Quanto, poi, al controllo della provenienza e della ricezione della comunicazione a mezzo fax basterà ricordare, da un lato, che le indicazioni automaticamente impresse sul documento ricevuto dall'ufficio sono idonee ad assicurare l'autenticità della provenienza dal difensore, peraltro facilmente controllabile dall'ufficio, almeno quanto l'indicazione del mittente su missiva raccomandata (che pure è sufficiente per l'espletamento di formalità ben più significativa quale la presentazione dell'atto d'impugnazione); dall'altro che il telefax è "strumento tecnico che da assicurazioni in ordine alla ricezione dell'atto da parte del destinatario, attestata dallo stesso apparecchio di trasmissione mediante il cosiddetto OK o altro simbolo equivalente" (cfr. Sez. U, n. 28451 del 28/04/2011, Pedicone, Rv. 250121, a proposito dell'art. 148 c.p.p., comma 2 bis, nonchè, più in generale, Sez. U, 40187 del 27/03/2014, Lattanzio, avviso di decisione)".

9.9.4. In realtà, appare, a parere del collegio, evidente che, nel corpo del medesimo documento-lista testi, possano coesistere l'indicazione dei testimoni dei quali si intende chiedere l'ammissione e delle relative circostanze di prova, che ben può essere inviata a mezzo telefax, e quella di autorizzazione alla citazione, per la quale in passato è stato richiesto il formale deposito in cancelleria, pur se detto onere non appare più attuale, a seguito di Sez. un., n. 40187 del 27/3/2014, rv. 259928, la quale, nel ritenere che la dichiarazione di adesione del difensore all'astensione proclamata dagli organismi rappresentativi della categoria può essere trasmessa a mezzo telefax alla cancelleria del giudice procedente, in conformità a quanto dispone la norma speciale contenuta nell'art. 3, comma 2, del vigente codice di autoregolamentazione (secondo la quale l'atto contenente la dichiarazione di astensione può essere "trasmesso o depositato nella cancelleria del giudice o nella segreteria del pubblico ministero"), ha evidenziato che "tale soluzione appare imposta (...) anche da un'interpretazione adeguatrice e sistematica, più rispondente all'evoluzione del sistema di comunicazioni e notifiche, oltre che alle esigenze di semplificazione e celerità richieste dal principio della ragionevole durata del processo", che appare certamente esperibile anche in subiecta materia.

9.9.5. D'altro canto, nessun vulnus sostanziale deriva al diritto di difesa dell'imputata dalla - in ipotesi - irrituale autorizzazione alla citazione dei testi del P.M., che - in difetto - avrebbero potuto essere citati anche per udienze successive, dopo essere stati ammessi, ed addirittura essere ammessi anche di ufficio.

9.9.6. Questa Corte (Sez. 5, n. 32742 del 3/6/2010, rv. 248418), con orientamento che il collegio condivide e ribadisce, ha, infatti, già chiarito che non è causa di nullità dell'ordinanza ammissiva della prova testimoniale nè, pertanto, della sentenza che sull'esito di detta prova abbia fondato la decisione, l'irrituale presentazione della lista testi effettuata a mezzo fax, anzichè nella prescritta forma del deposito in cancelleria, proprio perchè rientra tra i poteri del giudice quello di assumere le prove anche d'ufficio.

10. S.S..

In primo grado è stato riconosciuto colpevole dei reati di cui ai capi S6) partecipazione ad associazione per delinquere armata finalizzata al traffico di cocaina, aggravata ex L. n. 203 del 1991, art. 7, S7) per aver venduto o comunque ceduto illegalmente sostanza stupefacente del tipo cocaina, aggravata ex L. n. 203 del 1991, art. 7, unificati dal vincolo della continuazione, e condannato alla pena di anni 13 e mesi 6 di reclusione.

La Corte di appello ha confermato la sentenza del Tribunale.

L'imputato, con l'ausilio dell'avv. Gennaro Lepre, denuncia:

1 - violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. C) ed E), in relazione all'art. 468 c.p.p., "avendo la Corte di appello di Napoli ritenuto ammissibile l'istanza, ex art. 468 c.p.p., di ammissione dei testi del P.M. presentata a mezzo fax e priva del timbro di deposito in cancelleria, in quanto non contenente la richiesta di autorizzazione alla citazione, senza avvedersi che tale istanza, compiutamente allegata dalla difesa, conteneva proprio la richiesta di autorizzazione alla citazione dei testimoni";

2 - violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. C) ed E), in relazione al D.L. n. 8 del 1991, art. 16 - quater, comma 9, disposizione processuale stabilita a pena di inutilizzabilità, "in quanto, pur essendo stato acclarato che le dichiarazioni del collaboratore di giustizia D.B. nei confronti del ricorrente fossero state rese oltre il termine di 180 giorni, la Corte di merito ha ritenuto comunque utilizzabili in sede dibattimentale tali dichiarazioni, senza neppure tenere conto in motivazione della loro tardività ai fini della complessiva valutazione di attendibilità del collaborante";

3 - violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E), "per carenza di motivazione, mancando un adeguato vaglio di attendibilità del collaboratore di giustizia M.V., sollecitato dalla Difesa in quanto il predetto ha maturato la propria scelta collaborativa solo nell'imminenza della fine del dibattimento di primo grado ed ha reso dichiarazioni intrinsecamente incostanti, contraddittorie e reticenti";

4^ - violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. B), C) ed E), in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, con "carenza di motivazione e violazione di norma processuale stabilita a pena di inutilizzabilità, art. 192 c.p.p., comma 3, in ordine alla prova della sussistenza dei requisiti minimi per la configurabilità dell'elemento oggettivo del delitto in contestazione sub S6)";

5 - violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. C) ed E), in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, con "carenza di motivazione e violazione di norma processuale stabilita a pena di inutilizzabilità, art. 192 c.p.p., comma 3, in ordine alla prova della sussistenza del delitto contestato sub S7)";

6^ - violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. D) ed E), "avendo la Corte di merito disatteso la richiesta difensiva di rinnovazione parziale dell'istruzione dibattimentale, mediante confronto, ai sensi dell'art. 211 c.p.p., tra i collaboratori M. e D., D. e P., D. e SI., nonostante la Difesa, nell'atto di appello, avesse debitamente evidenziato le divergenze delle dichiarazioni rese dai predetti collaboranti in ordine alle imputazioni per le quali il ricorrente è stato condannato";

7 - violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. B), C) ed E), in relazione al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, "avendo la Corte di merito affermato la sussistenza di tale aggravante esplicitamente esclusa dalla sentenza di primo grado, in assenza del correlativo aumento di pena".

10.1. Il ricorso è, nel suo complesso, infondato.

10.2. E' opportuno premettere che il vizio di motivazione con riferimento a questioni di diritto non è denunciabile.

Invero, come più volte chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 2, n. 3706 del 21/1/2009, rv. 242634, e n. 19696 del 20/5/2010, rv. 247123), anche sotto la vigenza dell'abrogato codice di rito (Sez. 4, n. 6243 del 7/3/1988, rv. 178442), il vizio di motivazione denunciabile nel giudizio di legittimità è solo quello attinente alle questioni di fatto e non anche di diritto, giacchè ove queste ultime, anche se in maniera immotivata o contraddittoriamente od illogicamente motivata, siano comunque esattamente risolte, non può sussistere ragione alcuna di doglianza, mentre, viceversa, ove tale soluzione non sia giuridicamente corretta, poco importa se e quali argomenti la sorreggano.

E, d'altro canto, l'interesse all'impugnazione potrebbe nascere solo dall'errata soluzione di una questione giuridica, non dall'eventuale erroneità degli argomenti posti a fondamento giustificativo della soluzione comunque corretta di una siffatta questione (Sez. 4, n. 4173 del 22/2/1994, rv. 197993).

Va, pertanto, ribadito il seguente principio di diritto:

"nel giudizio di legittimità il vizio di motivazione non è denunciabile con riferimento alle questioni di diritto decise dal giudice di merito, allorquando la soluzione di esse sia giuridicamente corretta. D'altro canto, l'interesse all'impugnazione potrebbe nascere soltanto dall'errata soluzione delle suddette questioni, non dall'indicazione di ragioni errate a sostegno di una soluzione comunque giuridicamente corretta).

10.2.1. Ne consegue che le plurime doglianze del ricorrente evocanti vizi di motivazione in riferimento alla contestata soluzione di questioni di natura giuridica non sono consentite.

10.3. Il primo motivo è infondato, per le ragioni già esposte a confutazione delle analoghe doglianze della coimputata (e moglie) L.E. (9.9. ss.).

10.4. Il secondo motivo è generico (il ricorrente non effettua la necessaria "prova di resistenza": cfr. 8.5.), e comunque manifestamente infondato: questa Corte (Sez. 2, n. 21352 del 16/4/2015, rv. 264039), con orientamento che il collegio condivide e ribadisce, ha già chiarito che la sanzione di inutilizzabilità che, a norma del D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, art. 16 - quater, comma 9, conv. nella L. 15 marzo 1991, n. 82 come modificata dalla L. 13 febbraio 2001, n. 45, art. 14, colpisce le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia oltre il termine di centottanta giorni, previsto per la redazione del verbale informativo dei contenuti della collaborazione, trova applicazione solo con riferimento alle dichiarazioni rese fuori del contraddittorio, e non a quelle rese nel corso del dibattimento.

10.5. Il terzo, il quarto, il quinto motivo, riguardanti, nel complesso, le affermazioni di responsabilità, possono essere esaminati congiuntamente.

Essi sono tutti non consentiti in sede di legittimità, e comunque privi della necessaria specificità (ex art. 581 c.p.p., comma 1, lett. C), poichè il ricorrente si è limitato a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio acquisito e valutato conformemente dai due giudici del merito, peraltro reiterando più o meno pedissequamente doglianze già esaminate ed incensurabilmente disattese dalla Corte di appello (cfr. 1.2. ss.).

10.6. Anche nel caso di specie, la Corte di appello ha, infatti, riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio già sottoposto al vaglio del Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell'appellante, è giunta, alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilità dell'imputato.

10.7. I motivi risultano, inoltre, assolutamente privi di specificità in tutte le loro articolazioni (reiterando, più o meno pedissequamente, censure già dedotte in appello e già non accolte:

Sez. 4^, n. 15497 del 22/2/2002, rv. 221693; Sez. 6^, n. 34521 del 27/6/2013, rv. 256133), del tutto assertivi e, comunque, manifestamente infondati, a fronte dei rilievi con i quali la Corte di appello - con argomentazioni giuridicamente corrette, nonchè esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede - ha motivato le affermazioni di responsabilità, valorizzando incensurabilmente elementi desunti da:

- plurime dichiarazioni di collaboratori di giustizia ( M., D., P.), anche autoaccusatorie, dettagliatamente esaminate e motivatamente ritenute attendibili e riscontrate (f. 189 ss.);

- plurime conversazioni (n. 138 e n. 139, f. 192 ss.) oggetto di intercettazioni legittime, sicuramente utilizzabili, ed in difetto di documentati travisamenti (cfr. 1.4.). 10.8. Da tali elementi sono state incensurabilmente desunte:

- l'effettiva configurabilità del sodalizio criminoso enucleato sub S6 (f. 199), in considerazione dell'intervenuto accertamento di una attività associata di traffico di droga apprezzabilmente protratta nel tempo (per almeno due mesi, a partire dal marzo 2004, e quantomeno fino al maggio 2004) nonchè "la concreta sussistenza di una solida rete di contatti che legava tra loro i partecipi dell'associazione e li connetteva tanto alle fonti di approvvigionamento (cfr. dichiarazioni di P.R. a proposito delle forniture del non meglio identificato C. da (OMISSIS)) che ad un consolidato canale di smercio, attraverso il ricorso ad un acquirente abituale (circostanza più che evidente, alla luce del debito accumulato dal M.), sì da delineare senz'altro quel quadro di continuità e protrazione dei rapporti richiesto";

- l'intraneità dell'imputato S., che, insieme al coimputato D.S., aveva il compito di introdurre la cocaina in (OMISSIS), approvvigionandosene da terzi, nonchè di curare i rapporti con M.V. (f. 199);

- l'effettiva configurabilità del reato sub S7, in riferimento alle accertate cessioni al M., da parte del S. (e del coimputato D.), di "consistenti quantitativi di cocaina. Che originavano un debito, fonte di discussioni tra cedenti ed acquirente" (f. 199 s.).

10.9. D'altro canto, questa Corte ha già chiarito che la mancanza, l'illogicità e la contraddittorietà della motivazione, come vizi denunciabili in sede di legittimità, devono risultare di spessore tale da risultare percepibili ictu culi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (in tal senso, conservano validità, e meritano di essere tuttora condivisi, i principi affermati da questa Corte, Sez. un., n. 24 del 24/11/1999, rv. 214794; Sez. un., n. 12 del 31/5/2000, rv. 216260; Sez. un., n. 47289 del 24/9/2003, rv. 226074).

10.10. Analoga sorte processuale va riservata al sesto motivo.

10.10.1. Deve premettersi che anche il giudice d'appello non è tenuto a rispondere a tutte le argomentazioni svolte nell'impugnazione, giacchè le stesse possono essere disattese per implicito o per aver seguito un differehte iter motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione effettuata (per tutte, Sez. 6, n. 1307 del 26/9/2002, dep. 2003, rv. 223061).

10.10.2. Ciò premesso, pur in difetto della espressa esposizione delle ragioni per le quali non sono stati disposti i chiesti confronti, nondimeno le ragioni della loro non assoluta necessità ai fini della decisione sono agevolmente desumibili dal complessivo impianto argomentativo posto a fondamento delle contestate affermazioni di responsabilità, vivificato - a decisiva conferma di quanto sostanzialmente in maniera concorde, pur se con marginali discrasie, riferito, anche contra se, dai collaboratori di giustizia - dal contenuto di più conversazioni intercettate.

10.11. A fronte di tali complessivi rilievi, in concreto anche il ricorrente si è limitato a reiterare le doglianze già sconfessate dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa "lettura" delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture.

10.12. E' infondato il settimo ed ultimo motivo.

10.12.1. In primo grado, l'imputato - come da dispositivo in atti (f.

225 della sentenza di primo grado) - è stato riconosciuto colpevole dei reati di cui ai capi S6 ed S7, deve intendersi come contestati (e per entrambi era espressamente rubricata l'aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7: cfr. f. 17 della sentenza di primo grado).

Detta aggravante risulta in motivazione dapprima esclusa (f. 149 s.), poi espressamente ritenuta (f. 222 della sentenza di primo grado).

10.12.2. La Corte di appello (f. 203) ha pacificamente ritenuto l'aggravante de qua configurata in primo grado, e ne ha a sua volta confermato la configurabilità.

10.12.3. Nell'ambito delle plurime decisioni di questa Corte in argomento, non sempre riconducibili ad unum, ritiene il collegio di condividere l'orientamento (Sez. 5, n. 8363 del 17/1/2013, rv.

254820) per il quale, in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza, la regola della prevalenza del primo, quale immediata espressione della volontà decisoria del giudice non è assoluta ma va contemperata, tenendo conto del caso specifico, con la valutazione dell'eventuale pregnanza degli elementi, tratti dalla motivazione, se obiettivamente significativi di detta volontà.

10.12.4. Ciò premesso, ritiene, tuttavia, il collegio che, nel caso di specie, in presenza di indici (pur incredibilmente) contrastanti enucleabili in argomento dalla motivazione della sentenza di primo grado, non possa che privilegiarsi la volontà inequivocabilmente estrinsecata dal Tribunale in dispositivo, successivamente ratificata dalla Corte di appello.

10.12.5. Residuava, naturalmente, una evidente contraddittorietà della motivazione della sentenza di primo grado sul punto (per essere stata effettivamente esclusa in premessa una circostanza aggravante poi computata in sede di determinazione del trattamento sanzionatorio): ma il vizio, puntualmente dedotto dalla difesa come motivo di appello, è stato "superato" dalla Corte di appello in virtù della incensurabili argomentazioni cui si è già fatto rinvio.

11. M.V..

In primo grado è stato riconosciuto colpevole dei reati di cui ai capi A) (partecipazione ad associazione per delinquere di stampo mafioso), I (detenzione e porto illegale in luogo pubblico di più armi da sparo, comuni e da guerra o tipo guerra, aggravati ex L. n. 203 del 1991, art. 7), O (lesioni aggravate anche ex L. n. 203 del 1991, art. 7), O1 (detenzione e porto illegale in luogo pubblico di una pistola, aggravati ex L. n. 203 del 1991, art. 7), S (estorsione aggravata anche ex L. n. 203 del 1991, art. 7), S1 (estorsione aggravata anche ex L. n. 203 del 1991, art. 7), S2 (tentata estorsione aggravata anche ex L. n. 203 del 1991, art. 7), S3 (estorsione aggravata anche ex L. n. 203 del 1991, art. 7), S4 (estorsione aggravata anche ex L. n. 203 del 1991, art. 7), S6 (escluso il ruolo verticistico in origine ascrittogli, partecipazione ad associazione per delinquere armata finalizzata al traffico di cocaina, aggravata ex L. n. 203 del 1991, art. 7), unificati dal vincolo della continuazione, con le attenuanti di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 8 e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 7, e la contestata recidiva, e condannato complessivamente alla pena di anni 8 di reclusione.

La Corte di appello ha confermato la sentenza del Tribunale.

L'imputato con l'ausilio dell'avv. PATRIZIA SEBASTIANELLI denuncia:

1 - mancanza o manifesta illogicità della motivazione quanto alla determinazione della pena, anche con riferimento al diniego delle attenuanti generiche.

11.1. Il ricorso è inammissibile perchè assolutamente privo di specificità in tutte le sue articolazioni (reiterando, più o meno pedissequamente, censure già dedotte in appello e già non accolte Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, rv. 221693; Sez. 6, n. 34521 del 27/6/2013, rv. 256133), del tutto assertivo e, comunque, manifestamente infondato, a fronte dei rilievi con i quali la Corte di appello - con argomentazioni esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esente da vizi rilevabili in questa sede - ha incensurabilmente valorizzato (f. 242), a fondamento delle contestate statuizioni, la indiscutibilmente estrema gravità dei fatti accertati, a fronte della quale il ricorrente invoca un unico profilo di meritevolezza, la condotta collaborativa, peraltro già valorizzata a fondamento del riconoscimento della circostanza attenuante ad hoc di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 8.

12. M.P..

In primo grado è stato riconosciuto colpevole dei reati di cui ai capi S6) (partecipazione ad associazione per delinquere armata finalizzata al traffico di cocaina, aggravata ex L. n. 203 del 1991, art. 7), ed S7) (per aver venduto o comunque ceduto illegalmente sostanza stupefacente del tipo cocaina, aggravata ex L. n. 203 del 1991, art. 7), unificati dal vincolo della continuazione, e condannato alla pena di anni 13 e mesi 6 di reclusione.

La Corte di appello ha confermato la sentenza del Tribunale.

L'imputato (con ricorso personale) denuncia:

1 - violazione dell'art. 192 c.p.p., commi 1, 3 e 4 e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. E), nonchè mancanza, contraddittorietà, e manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia valorizzate ai fini dell'affermazione di responsabilità (lamentando erronea valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia valorizzate ai fini dell'affermazione di responsabilità, quelle dibattimentali del M. considerate solo parzialmente, quelle del MA. travisate);

2 - violazione dell'art. 192 c.p.p., commi 1, 3 e 4, art. 533 c.p.p. e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. E), nonchè D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, con mancanza, contraddittorietà, e manifesta illogicità della motivazione, in riferimento agli elementi probatori che connotano la partecipazione dell'imputato al sodalizio criminoso in oggetto, in relazione alla contestazione (lamentando inadeguata dimostrazione della condotta di partecipazione ascritta all'imputato;

sarebbe apodittica l'affermazione che l'imputato fosse uno spacciatore abituale; non sarebbe configurabile il dolo di partecipazione.

12.1. Il ricorso è inammissibile per una pluralità di ragioni.

12.2. Questa Corte ha già chiarito che non sono deducibili in sede di legittimità le violazioni degli artt. 192, 533 e 546 c.p.p..

(3.2.).

12.3. Per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione "oltre ogni ragionevole dubbio", si rinvia sub 3.3.

12.4. Il ricorso è inammissibile anche perchè i due motivi deducono promiscuamente violazioni di legge e vizi di motivazione, nonchè più vizi di motivazione (cfr. sub 3.4.).

12.5. Il ricorso è inammissibile anche nella parte in cui si duole dell'inutilizzabilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia per violazione dell'art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, senza l'indicazione specifica delle ragioni, riferite ai singoli collaboratori esaminati ed ai relativi punti della motivazione della sentenza impugnata, per le quali detto vizio sarebbe sussistente (cfr. sub 3.5.).

12.6. Il ricorso è, ancora, inammissibile perchè proposto per motivi non consentiti in sede di legittimità, e comunque privi della necessaria specificità (ex art. 581 c.p.p., comma 1, lett. C), poichè il ricorrente si è limitato a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio acquisito e valutato conformemente dai due giudici del merito, peraltro reiterando più o meno pedissequamente doglianze già esaminate ed incensurabilmente disattese dalla Corte di appello (cfr. 1.2. ss.).

12.7. Anche nel caso di specie, la Corte di appello ha, infatti, riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio già sottoposto al vaglio del Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell'appellante, è giunto.- alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilità dell'imputato.

12.8. Il ricorso risulta, infine, assolutamente privo di specificità in tutte le sue articolazioni (reiterando, più o meno pedissequamente, censure già dedotte in appello e già non accolte:

Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, rv. 221693; Sez. 6, n. 34521 del 27/6/2013, rv. 256133), del tutto assertivo e, comunque, manifestamente infondato, a fronte dei rilievi con i quali la Corte di appello - con argomentazioni giuridicamente corrette, nonchè esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede - ha motivato l'affermazione di responsabilità, valorizzando f. 94 ss.; f. 189 ss., ed in particolare f. 199 ss. elementi desunti da plurime conversazioni oggetto di intercettazioni legittime, sicuramente utilizzabili, ed in difetto di documentati travisamenti (cfr. 1.4.), arricchiti, quanto al personale coinvolgimento dell'imputato, dalle plurime dichiarazioni di collaboratori di giustizia, puntualmente riepilogate, ed incensurabilmente ritenute attendibili, dalla Corte di appello.

12.9. A fronte di tali rilievi, in concreto, il ricorrente si è limitato a reiterare le doglianze già sconfessate dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa "lettura" delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture, lamentando una presunta, ma inesistente, valutazione frazionata delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, pur trascurando, in realtà, la rilevanza di quanto valorizzato dalla Corte di appello, per soffermare la sua attenzione su segmenti marginali delle dichiarazioni degli stessi collaboratori, e non indicando specificamente le premesse "esplicitamente insufficienti e contraddittorie" asseritamente enunciate dalla Corte di appello, nè le conclusioni asseritamente "contraddittorie ed errate" cui essa sarebbe addivenuta, nonchè, infine, contestando - ancora una volta genericamente - la ritenuta sussistenza del dolo di partecipazione all'associazione de qua senza esaminare alcuna risultanza od argomentazione.

13. MO.MA..

In primo grado è stato riconosciuto colpevole del reato di cui al capo A11) (partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata alla commissione di estorsioni perpetrate con la tecnica del c.d.

"cavallo di ritorno") e condannato con la contestata recidiva alla pena di anni 3 di reclusione.

La Corte di appello ha confermato la sentenza del Tribunale.

L'imputato, con l'ausilio dell'avv. FABRIZIO IORIO, denuncia:

1 - violazione degli artt. 416-bis e 110 c.p. (ci sarebbe mero concorso di due persone nel reato, in difetto del numero minimo di tre persone, di una struttura idonea e dell'accordo);

2 - prescrizione del reato contestato ("voglia altresì... dichiarare estinto il reato per intervenuta prescrizione".

13.1. Il ricorso è integralmente inammissibile per una pluralità di ragioni.

13.2. Il primo motivo non è consentito in sede di legittimità, ed è comunque privo della necessaria specificità (ex art. 581 c.p.p., comma 1, lett. C), poichè il ricorrente si è limitato a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio acquisito e valutato conformemente dai due giudici del merito, peraltro reiterando più o meno pedissequamente doglianze già esaminate ed incensurabilmente disattese dalla Corte di appello (cfr. 1.2. ss.).

13.3. Anche nel caso di specie, la Corte di appello ha, infatti, riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio già sottoposto al vaglio del Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell'appellante, è giunta alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilità dell'imputato.

13.4. Il ricorso risulta, comunque, assolutamente privo di specificità in tutte le sue articolazioni (reiterando, più o meno pedissequamente, censure già dedotte in appello e già non accolte:

Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, rv. 221693; Sez. 6, n. 34521 del 27/6/2013, rv. 256133), del tutto assertivo e, comunque, manifestamente infondato, a fronte dei rilievi con i quali la Corte di appello - con argomentazioni giuridicamente corrette, nonchè esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede - ha motivato l'affermazione di responsabilità, valorizzando f. 203 ss., quanto alla configurabilità dell'associazione de qua elementi desunti da plurime conversazioni oggetto di intercettazioni legittime, sicuramente utilizzabili, ed in difetto di documentati travisamenti (cfr. 1.4.), inequivocabili quanto al personale coinvolgimento dell'imputato.

13.5. Del tutto sfornita di giuridico fondamento è la doglianza riguardante il difetto del numero minimo di associati indispensabile ai fini della configurazione della associazione de qua: basta leggere il capo di imputazione ("si associavano tra loro e con altre persone allo stato non identificate...").

13.6. A fronte di tali rilievi, in concreto, il ricorrente si è limitato a reiterare le doglianze già sconfessate dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa "lettura" delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture.

13.7. Generico, oltre che manifestamente infondato, è il secondo motivo, perchè il ricorrente:

- non considera le intervenute sospensioni, all'evidenza rilevabili ex actis; - non considera la contestata e ritenuta recidiva.

13.8. Il termine di prescrizione (pari a 12 anni e 6 mesi, oltre sospensioni, secondo la previgente, più favorevole disciplina), non è ancora scaduto.

14. MO.PA..

In primo grado è stato riconosciuto colpevole dei reati di cui ai capi D) escluso il ruolo verticistico in origine contestato, partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata al traffico di droghe "leggere" e "pesanti", F) partecipazione ad altra associazione per delinquere finalizzata al traffico di droghe "leggere" e "pesanti", F1) detenzione e messa in vendita, in più occasioni, di cocaina, unificati dal vincolo della continuazione, esclusa l'aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, con la contestata recidiva, e condannato alla pena di anni 14 di reclusione.

La Corte di appello ha confermato la sentenza del Tribunale.

L'imputato, con l'ausilio dell'avv. ROBERTO DI SANTO, denuncia:

1 - violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. B) ed E) in riferimento all'art. 192 c.p.p., commi 2 e 3, (e quindi 606/C) per carenza assoluta di indizi aventi la connotazione giuridico-processuale di gravità, precisione e concordanza, e dei criteri di valutazione della prova liberatoria): sarebbero generiche le dichiarazioni del collaboratore di giustizia MA.; non si sarebbe tenuto conto delle dichiarazioni liberatorie dell'altro collaboratore di giustizia R.D. (rif. verbale udienza 16.3.2012, f. 22) 2 - violazione dell'art. 606, lett. B) ed E) con mancanza di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza del reato associativo di cui al capo D), ed al riconoscimento dell'ipotesi lieve, in difetto del compiuto accertamento della qualità e quantità della droga de qua; omessa considerazione dello status detentionis dell'imputato fino al 23.11.2003 e dall'11.6.2004 ai fini dell'accertamento della permanenza del suo presunto contributo alla vita ed all'organizzazione del sodalizio;

3 - violazione dell'art. 606, lett. B) ed E) con mancanza di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza del reato associativo di cui al capo F), ed al riconoscimento dell'ipotesi lieve, in difetto del compiuto accertamento della qualità e quantità della droga de qua; omessa considerazione dell'assenza di conversazioni chiare o di facile interpretazione;

4 - violazione dell'art. 606, lett. B) ed E) in riferimento all'art. 192 c.p.p., comma 2, (e quindi 606/C) per carenza assoluta di indizi aventi la connotazione giuridico-processuale di gravità, precisione e concordanza, e dei criteri di valutazione della prova liberatoria) quanto al capo F1, in difetto del compiuto accertamento della qualità e quantità della droga de qua.

14.1. All'odierna udienza pubblica, il difensore presente ha espressamente dichiarato di rinunciare al rispetto dei termini a difesa (rectius, "a comparire"), nulla opponendo gli altri difensori presenti, ed il collegio ne ha preso atto.

14.2. Il ricorso è inammissibile per una pluralità di ragioni.

14.2.1. I motivi, tutti riguardanti le affermazioni di responsabilità e la qualificazione giuridica dei fatti accertati, possono essere esaminati congiuntamente.

14.3. Questa Corte ha già chiarito che non sono deducibili in sede di legittimità le violazioni degli artt. 192, 533 e 546 c.p.p. (3.2.).

14.4. Per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione "oltre ogni ragionevole dubbio", si rinvia sub 3.3.

14.5. Il ricorso è inammissibile anche perchè i quattro motivi deducono promiscuamente violazioni di legge e vizi di motivazione (cfr. sub 3.4.).

14.6. Il ricorso è, ancora, inammissibile perchè proposto per motivi non consentiti in sede di legittimità, e comunque privi della necessaria specificità (ex art. 581 c.p.p., comma 1, lett. C), poichè il ricorrente si è limitato a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio acquisito e valutato conformemente dai due giudici del merito, peraltro reiterando più o meno pedissequamente doglianze già esaminate ed incensurabilmente disattese dalla Corte di appello (cfr. 1.2. ss.).

14.7. Anche nel caso di specie, la Corte di appello ha, infatti, riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio già sottoposto al vaglio del Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell'appellante, è giunta alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilità dell'imputato.

14.8. Il ricorso risulta, infine, assolutamente privo di specificità in tutte le sue articolazioni (reiterando, più o meno pedissequamente, censure già dedotte in appello e già non accolte:

Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, rv. 221693; Sez. 6, n. 34521 del 27/6/2013, rv. 256133), del tutto assertivo e, comunque, manifestamente infondato, a fronte dei rilievi con i quali la Corte di appello - con argomentazioni giuridicamente corrette, nonchè esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede - ha motivato l'affermazione di responsabilità, valorizzando capo D): f. 165 ss.; capo F): f. 176 ss.; capo F1): f. 184, quanto alla configurabilità delle associazioni de quibus e del reato di cui al capo F1), elementi desunti da plurime conversazioni (f. 169 ss.) oggetto di intercettazioni legittime, sicuramente utilizzabili, ed in difetto di documentati travisamenti (cfr. 1.4.), arricchiti, quanto al personale coinvolgimento dell'imputato, dalle plurime dichiarazioni di collaboratori di giustizia, puntualmente riepilogate, ed incensurabilmente ritenute attendibili, dalla Corte di appello.

14.9. La Corte di appello ha anche osservato che le dichiarazioni del collaboratore di giustizia R.D. confermano quanto aliunde accertato: la frase cui il ricorrente ha ritenuto di attribuire decisiva valenza in suo vantaggio costituisce, in realtà, mero e non decisivo segmento di più ampie ed articolate dichiarazioni (sul suo effettivo significato, cfr. ampiamente a f. 167 della sentenza impugnata), motivatamente concludendo (f. 175) nel senso della configurabilità del sodalizio di cui al capo D), caratterizzato da stabilità dei rapporti che legavano il MO., il R. e l' A., dalla condivisione dei guadagni, con utilizzo di basi logistiche per la detenzione ed il confezionamento della droga "trattata".

14.10. Plurime conversazioni intercettate (dettagliatamente riportate a f. 176 ss. della sentenza impugnata) incensurabilmente interpretate sono state valorizzate a fondamento della configurabilità dell'ulteriore sodalizio - sempre dedito al traffico di droga - di cui al capo F).

14.11. La Corte di appello ha, inoltre, incensurabilmente valorizzato, ad escludere la possibilità di qualificare i fatti come ipotesi lieve, il rilievo che "l'attività avente ad 42 oggetto il trasporto di stupefacente dall'estero non avveniva per quantitativi irrilevanti (ciò che non avrebbe neanche giustificato la spesa ed il rischio delle operazioni).

D'altro canto, se si fosse trattato di piccole cose, ciò non avrebbe giustificato l'ira di coloro che erano in affari col gruppo tale da determinare, una inadempienza degli imputati, addirittura un pericolo di morte per gli stessi (conversazione n. 320)" (f. 182 della sentenza impugnata).

14.12. Sempre sulla base di plurime conversazioni intercettate incensurabilmente interpretate (f. 184 della sentenza impugnata) è stata motivata l'affermazione di responsabilità in ordine al reato di traffico di cocaina cui al capo F1). Che questa fosse, almeno in prevalenza, la sostanza oggetto di traffico è emerso, più che dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, dalla perquisizione effettuata in occasione dell'arresto del MO. presso il suo locale (che dalle effettuate intercettazioni risultava costituire la base logistica dei suoi traffici).

14.13. A fronte di tali rilievi, in concreto, il ricorrente si è limitato a reiterare le doglianze già sconfessate dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa "lettura" delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture.

15. P.C..

In primo grado è stato riconosciuto colpevole dei reati di cui ai capi A11) (partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata alla commissione di estorsioni perpetrate con la tecnica del c.d.

"cavallo di ritorno"), A13 (estorsione aggravata, riqualificata come tentata), A15) estorsione aggravata, riqualificata come tentata, unificati dal vincolo della continuazione, con la contestata recidiva, e condannato alla pena di anni 5 di reclusione ed Euro mille di multa.

La Corte di appello ha confermato la sentenza del Tribunale.

L'imputato (con ricorso personale) denuncia:

1 - mancanza o manifesta illogicità della motivazione quanto al reato di cui al capo A11) (non sussiste il concorso dei presunti correi, non può ritenersi certa l'individuazione dell'imputato come interlocutore chiamante nelle conversazioni valorizzate, manca il numero minimo di tre persone poichè CI.GI. è stato assolto in primo grado, vi è al più mero concorso di persone), A13) (le telefonate acquisite non documentano alcuna condotta di violenza o minaccia ed A15) le conversazioni documentano il nulla di fatto);

2 - prescrizione del reato di cui al capo A11);

3 - mancato computo delle attenuanti generiche nella massima estensione e mancata determinazione della pena nel minimo edittale.

15.1. All'odierna udienza pubblica, il difensore presente ha espressamente dichiarato di rinunciare al rispetto dei termini a difesa (rectius, "a comparire"), nulla opponendo gli altri difensori presenti, ed il collegio ne ha preso atto.

15.2. Il ricorso è inammissibile per una pluralità di ragioni.

15.3. Il ricorso è inammissibile perchè proposto per motivi non consentiti in sede di legittimità, e comunque privi della necessaria specificità (ex art. 581 c.p.p., comma 1, lett. C), poichè il ricorrente si è limitato a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio acquisito e valutato conformemente dai due giudici del merito, peraltro reiterando più o meno pedissequamente doglianze già esaminate ed incensurabilmente disattese dalla Corte di appello (cfr. 1.2. ss.).

15.4. Anche nel caso di specie, la Corte di appello ha, infatti, riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio già sottoposto al vaglio del Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell'appellante, è giunta alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilità dell'imputato.

15.5. Il ricorso risulta, inoltre, assolutamente privo di specificità in tutte le sue articolazioni (reiterando, più o meno pedissequamente, censure già dedotte in appello e già non accolte:

Sez. 4^, n. 15497 del 22/2/2002, rv. 221693; Sez. 6^, n. 34521 del 27/6/2013, rv. 256133), del tutto assertivo e, comunque, manifestamente infondato, a fronte dei rilievi con i quali la Corte di appello - con argomentazioni giuridicamente corrette, nonchè esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede - ha motivato le affermazioni di responsabilità, valorizzando f. 203 ss.; f. 207 ss. elementi desunti da plurime conversazioni oggetto di intercettazioni legittime, sicuramente utilizzabili, ed in difetto di documentati travisamenti (cfr. 1.4.), puntualmente esaminando, ed incensurabilmente confutando, le doglianze difensive.

15.6. A fronte di tali rilievi, in concreto, il ricorrente si è limitato a reiterare le doglianze già sconfessate dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa "lettura" delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture.

15.7. Prive di pregio sono, anche in questo caso, le censure riguardanti il presunto difetto del numero minimo di associati, che impedirebbe la configurazione del reato associativo (13.5.), e l'intervenuta prescrizione del reato di cui al capo A11) (13.7. s.).

15.8. Generica, perchè meramente reiterativa, e comunque manifestamente infondata è, infine, la doglianza riguardante il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, incensurabilmente motivato dalla Corte di appello valorizzando (f. 248) la negativa personalità dell'imputato, desunta dai numerosi e gravi precedenti per plurimi reati contro il patrimonio, peraltro in difetto di elementi sintomatici della necessaria meritevolezza.

16. T.M..

In primo grado è stato riconosciuto colpevole del reato di cui al capo F) partecipazione ad associazione per delinquere armata finalizzata al traffico di droghe, tra cui cocaina, esclusa l'aggravante ex L. n. 203 del 1991, art. 7, ed escluso il ruolo verticistico in origine contestato, e, riconosciute le attenuanti generiche, condannato alla pena di anni 7 di reclusione.

La Corte di appello ha confermato nei confronti di entrambi la sentenza del Tribunale. L'imputato, con l'ausilio dell'avv. RENATO APPELLI, denuncia:

1 - violazione di legge e vizio di motivazione - mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione circa la sussistenza del reato di cui al cit. D.P.R., art. 74 (la Corte di appello non avrebbe adeguatamente valutato i motivi di appello, limitandosi a riportare più o meno acriticamente una serie di conversazioni).

16.1. Il ricorso è inammissibile per una pluralità di ragioni.

16.2. Il ricorso è inammissibile perchè deduce promiscuamente violazioni di legge e vizi di motivazione (cfr. sub 3.4.).

16.3. Il ricorso è, ancora, inammissibile perchè proposto per motivi non consentiti in sede di legittimità, e comunque privi della necessaria specificità (ex art. 581 c.p.p., comma 1, lett. C), poichè il ricorrente si è limitato a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio acquisito e valutato conformemente dai due giudici del merito, peraltro reiterando più o meno pedissequamente doglianze già esaminate ed incensurabilmente disattese dalla Corte di appello (cfr. 1.2. ss.).

16.4. Anche nel caso di specie, la Corte di appello ha, infatti, riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio già sottoposto al vaglio del Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell'appellante, è giunta alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilità dell'imputato.

16.5. Il ricorso risulta, infine, assolutamente privo di specificità in tutte le sue articolazioni (reiterando, più o meno pedissequamente, censure già dedotte in appello e già non accolte:

Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, rv. 221693; Sez. 6, n. 34521 del 27/6/2013, rv. 256133), del tutto assertivo e, comunque, manifestamente infondato, a fronte dei rilievi con i quali la Corte di appello - con argomentazioni giuridicamente corrette, nonchè esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede - ha motivato l'affermazione di responsabilità, valorizzando (f. 176 ss.; f. 181 ss.), elementi desunti da plurime conversazioni oggetto di intercettazioni legittime, sicuramente utilizzabili, ed in difetto di documentati travisamenti (cfr. 1.4.), puntualmente esaminando, ed incensurabilmente confutando (f. 182 ss. della sentenza impugnata), le doglianze difensive.

16.6. Per la possibilità di valorizzare in argomento unicamente le risultanze di intercettazioni di conversazioni, cfr. quanto in argomento già osservato sub 4.6.

16.7. A fronte di tali rilievi, in concreto, il ricorrente si è limitato a reiterare le doglianze già sconfessate dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa "lettura" delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture.

17. LE STATUIZIONI CONCLUSIVE. 17.1. La sentenza impugnata va annullata nei confronti di I. V. limitatamente al complessivo trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio sul punto, nei sensi precisati sub 8 ss.

17.2. La declaratoria di inammissibilità totale dei ricorsi di A.A., B.S., C.A., CI.GI., D.S., D.L.G., F.P., M.V., M.P., MO. M., MO.PA., P.C., T.M., V.S., comporta, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna dei predetti ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonchè - apparendo evidente dal contenuto dei motivi che essi hanno proposto i ricorsi determinando le cause di inammissibilità per colpa (Corte cost., sentenza 13 giugno 2000, n. 186) e tenuto conto dell'entità delle rispettive colpe - della somma di Euro mille ciascuno in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria.

17.3. Il rigetto dei ricorsi di L.E. e S. S. comporta, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna dei predetti ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di I.V. limitatamente al comples s. trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio sul punto; dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

Rigetta i ricorsi di L.E. e S.S., che condanna al pagamento delle spese processuali.

Dichiara inammissibili i ricorsi di A.A., B. S., C.A., CI.GI., D. S., D.L.G., F.P., M. V., M.P., MO.MA., MO.PA., P.C., T.M., V.S., che condanna al pagamento delle spese processuali, e ciascuno al versamento della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, nella Udienza pubblica, il 1 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2016