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Legittima difesa domiciliare senza violenza o minaccia? (Cass. 40414/19)

2 ottobre 2019, Cassazione penale

Nella nuova ipotesi della cd. legittima difesa domiciliare presunta - quella cioè posta in essere contro l’intromissione nel domicilio - affinché l’azione lesiva del soggetto agente possa essere presuntivamente ritenuta scriminata, occorre che l’intrusione nell’abitazione sia avvenuta con violenza o minaccia.

 

Corte di Cassazione

sez. V Penale, sentenza 13 giugno – 2 ottobre 2019, n. 40414
Presidente Sabeone – Relatore Sessa

Ritenuto in fatto

1.La Corte di Appello di Torino, con sentenza del 6.6.2018, ha, in parziale riforma della pronuncia emessa dal Tribunale di Trieste, assolto G.A.A. dal reato di cui all’art. 628 c.p. (capo A) perché il fatto non sussiste, nonché confermato la condanna del predetto in ordine al reato di cui all’art. 582 c.p., art. 585 c.p., art. 61 c.p., n. 2 (capo B), rideterminando la pena in mesi otto di reclusione.

2. Avverso la suindicata sentenza ricorre l’imputato per il tramite del difensore di fiducia, chiedendone l’annullamento, deducendo con un unico articolato motivo:
2.1. l’erronea applicazione della legge penale e correlato vizio argomentativo per non essersi riconosciuta la scriminante della legittima difesa, già invocata in appello. Si evidenzia che nel caso di specie quanto meno andava ravvisata l’ipotesi della cd. legittima difesa putativa per errore incolpevole dell’agente determinato dal comportamento della persona offesa, che si era introdotta nella casa dell’imputato, ingenerando in lui un giustificato timore non solo per i suoi beni ma anche per la sua incolumità (e ciò perché al suo rientro a casa l’imputato aveva notato che qualcuno era entrato in essa in sua assenza ed aveva anche asportato delle cose e si era poi spaventato perché aveva udito che qualcuno stava tentando di aprire la porta della sua abitazione; indi, allorquando l’estraneo era entrato, egli, non avendolo immediatamente riconosciuto, lo aveva colpito alla testa con una mazza da baseball).
La Corte territoriale avrebbe, in buona sostanza, errando nell’applicazione della norma sulla legittima difesa, ritenuto necessario ai fini del riconoscimento della scriminante che fosse intervenuto un attacco alla persona e non sufficiente la sola introduzione nel domicilio dell’aggressore in assenza di un attentato alla incolumità propria o altrui;
2.2. l’eccessività della pena inflitta, lamentando la mancata considerazione del comportamento processuale, avendo l’imputato ammesso alcuni dei fatti contestati, mostrando resipiscenza; tenuto anche conto che il reato al più avrebbe dovuto essere riqualificato come lesioni colpose per eccesso colposo ex art. 55 c.p., lesioni comunque di scarsa entità.
Lamenta altresì il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 5 essendo evidente che la persona offesa abbia concorso col proprio fatto doloso all’azione dell’imputato.

Considerato in diritto

1. Il ricorso deve essere rigettato.

Esso ha ad oggetto, prevalentemente, doglianze aspecifiche, meramente ripetitive rispetto alle deduzioni d’appello, a cui, come si dirà, la Corte aveva già dato risposte concrete ed esaurienti, o, comunque, motivi diversi da quelli consentiti, laddove versati sostanzialmente in fatto, o addirittura del tutto nuovi (così quello afferente l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 5), ma merita qualche ulteriore precisazione con riguardo alla insussistenza della scriminante della legittima difesa, circostanza che rende il corrispondente motivo non manifestamente infondato e il ricorso, quindi, non inammissibile.

1.1.Deve rilevarsi in primo luogo che, diversamente da quanto eccepito dal ricorrente, il giudice di secondo grado non ha fatto erronea applicazione della norma di cui all’art. 52 c.p.. Esso si è attenuto al principio di diritto secondo il quale " anche dopo le modifiche apportate dalla L. 13 febbraio 2006, n. 59 la causa di giustificazione di cui all’art. 52 c.p. non consente un’indiscriminata reazione nei confronti del soggetto che si introduca fraudolentemente nella propria dimora, ma presuppone un attacco, nell’ambiente domestico, alla propria o all’altrui incolumità, o, quanto meno, un pericolo di aggressione " (ed ha citato, a sostegno, le seguenti pronunce: Cass. Pen. Sez. V 30.3.2017, n. 44011; Cass. Pen. Sez. V n. 35709 del 2.7.2014 rv. 260316; Cass. Pen. Sez. IV n. 691 del 14.11.2013 dep. 10.1.2014, rv. 257884; Cass. Pen. Sez. I n. 12466 del 21.2.2007 rv. 236217-01); tale interpretazione è qui condivisa perché è perfettamente aderente al tenore del disposto normativo di cui all’art. 52 c.p. che così recita: "Nei casi previsti dall’art. 614, commi 1 e 2, sussiste il rapporto di proporzione di cui al comma 1 del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o la altrui incolumità; b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione.
Alla luce di esso la Corte territoriale ha affermato che, quindi, nel caso di specie si dovrebbe ritenere giustificata l’aggressione fisica fatta a freddo in danno di un soggetto introdottosi nel domicilio dell’autore dell’aggressione in assenza di un attentato alla incolumità propria od altrui, il che induce a ritenere radicalmente infondata la tesi proposta dalla difesa.

Nel caso in esame, invero, vi sarebbe stata, secondo la stessa ricostruzione dell’imputato, la mera introduzione nell’appartamento da parte della persona offesa, non accompagnata da altre circostanze rilevanti ai fini dell’operatività della presunzione di proporzionalità tra offesa e difesa di cui all’art. 52 c.p., comma 2, nè, ancor prima, idonee a far sorgere la stessa necessità di difesa contro una offesa ingiusta; d’altronde, la stessa repentinità della condotta, come descritta dal ricorrente, al punto che il medesimo nemmeno riconosceva la vittima, nonostante fosse persona a lui nota, non lascia spazio alla creazione di quella situazione di pericolo attuale richiesto dalla norma, essendosi piuttosto l’azione risolta in un attacco preventivo che in quanto tale non può giammai assumere i connotati della legittima difesa, che presuppone, per sua stessa definizione, l’esigenza di difendersi da una ingiusta aggressione; nè sussistono elementi fattuali, neppure antecedenti all’azione, che possano dar conto di una concreta incidenza sull’insorgenza di erroneo convincimento di dover difendere sé o altri da un’ingiusta aggressione, non potendo certamente desumersi ciò dal solo fatto che l’imputato abbia subito un preventivo furto, avvenuto, in precedenza, in sua assenza. (L’accertamento della legittima difesa, anche putativa, deve essere effettuato valutando, con giudizio "ex ante", le circostanze di fatto, in relazione al momento della reazione e al contesto delle specifiche e peculiari circostanze concrete, al fine di apprezzare solo in quel momento - e non "ex post" - l’esistenza dei canoni della proporzione e della necessità di difesa, costitutivi dell’esimente della legittima difesa, cfr. ex multis Sez. 4, n. 33591 del 03/05/2016 - dep. 01/08/2016, Bravo, Rv. 26747301).

Nè a diversa conclusione si potrebbe giungere alla luce della recente L. n. 36 del 26 aprile 2019 - pubblicata sulla G.U. del 3.5.2019 ed entrata in vigore il 18.5.2019 - che ha, tra l’altro, apportato modifiche agli artt. 52 e 55 c.p., e ciò di là di quelle che potranno essere le future evoluzioni interpretative del complessivo statuto normativo afferente la legittima difesa scaturente dall’ultima modifica, con particolare riferimento alla natura delle presunzioni come introdotte (presunzione di sussistenza della scriminante in caso intrusione domiciliare, violenta o con minaccia, di cui al nuovo comma 4 dell’art. 52 c.p.) o riqualificate dalla nuova legge (presunzione di proporzionalità di cui al comma 3 del medesimo art. 52 cit.), che solo apparentemente sembrano rafforzate in termini di assolutezza dall’avverbio "sempre" adoperato dal legislatore, dal momento che è, comunque, rimasta in vita l’ipotesi dell’eccesso colposo di cui all’art. 55 c.p. (prevedendo la modifica che ha interessato anche tale disposizione normativa esclusivamente la non punibilità, e per la sola ipotesi della salvaguardia della propria o altrui incolumità, anche in caso di eccesso colposo giustificato da situazione di minorata difesa ovvero di grave turbamento).

Ed invero, ciò che balza evidente leggendo la nuova norma - ed è di rilevo nella fattispecie in esame - è che nella nuova ipotesi della cd. legittima difesa domiciliare presunta - quella cioè posta in essere contro l’intromissione nel domicilio - affinché l’azione lesiva del soggetto agente possa essere presuntivamente ritenuta scriminata - sia pure, come detto, in maniera non assoluta - occorre che l’intrusione nell’abitazione sia avvenuta con violenza o minaccia (così testualmente il nuovo comma 4 dell’art. 52 c.p. come modificato dalla L. n. 36 del 2019: "Nei casi di cui al secondo e al comma 3 agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l’intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone"), laddove a nessuna delle due dette circostanze è fatto riferimento nella ricostruzione del caso in esame; anche lo stesso ricorrente non fa mai riferimento ad una intrusione con minaccia o violenta (corredata da violenza alle persone - o quanto meno alle cose - all’atto dell’intrusione o successiva per intrattenersi all’interno dell’abitazione); a ben vedere non parla neppure di effrazione della porta di ingresso bensì soltanto di ingresso della vittima senza bussare (così anche a proposito del furto che l’imputato assume di aver subito in sua assenza si parla di scoperta di oggetti mancanti di cui l’imputato si sarebbe accorto solo ma mai di forzatura della porta di ingresso; d’altronde lo stesso imputato ammette di conoscere la persona offesa sia pure assumendo di non averla prontamente riconosciuta prima di averle dato i colpi sulla testa; cfr. pag. 7 della sentenza impugnata).

Ne discende che la valutazione della legittima difesa nel caso in esame rimane ancorata ai parametri interpretativi, ordinari, preesistenti, di cui, come detto, ha fatto corretta applicazione, dandone congruamente conto, la Corte territoriale nella motivazione della sentenza impugnata.

Nè a diversa conclusione potrebbe giungersi con riferimento all’ipotesi dell’eccesso colposo, pure sostenuta dalla difesa.

La Corte ha anche in tal caso fatto corretta applicazione del disposto normativo di cui all’art. 55 c.p. e dei principi affermati al riguardo da questa Corte. Ha, invero, escluso la configurabilità dell’eccesso colposo, perché, stante l’insussistenza dei requisiti della aggressione ingiusta attuale e della necessità di difendersi, non si tratta di stabilire la proporzionalità della difesa rispetto all’offesa mancando proprio a monte il bisogno di rimuovere un pericolo attuale.

Ed invero, premesso che, in ogni caso, l’ammettere o l’escludere l’esistenza della legittima difesa o dell’eccesso colposo costituisce un giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità, quando gli elementi di prova, accertati e valutati dal giudice di merito siano posti in esatta relazione con la norma di diritto (Sez. 5, n. 8583 del 10/04/1981 - dep. 06/10/1981, Luppino, Rv. 15034001), come nel caso di specie, di talché non sussiste neppure il vizio denunciato sotto il profilo della violazione di legge, va da sé che, se non è giuridicamente prospettabile l’esimente della legittima difesa, non è, concettualmente, ipotizzabile neppure l’eccesso colposo.

Come è ovvio, l’eccesso colposo sottintende i presupposti della scriminante con il superamento dei limiti ad essa immanenti, sicché, per stabilire se nel fatto si siano ecceduti colposamente i limiti della difesa legittima, bisogna prima accertare la inadeguatezza della reazione difensiva, per l’eccesso nell’uso dei mezzi a disposizione dell’aggredito in un preciso contesto spazio temporale e con valutazione "ex ante", e, poi, procedere ad una ulteriore differenziazione tra eccesso dovuto ad errore di valutazione ed eccesso consapevole e volontario, dato che solo il primo rientra nello schema dell’eccesso colposo delineato dall’art. 55 c.p., mentre il secondo consiste in una scelta volontaria, la quale comporta il superamento doloso degli schemi della scriminante (Sez. 1, n. 45425 del 25/10/2005 - dep. 15/12/2005, P.G. in proc. Bollardi, Rv. 23335201).

Ed invero, secondo la costante interpretazione giurisprudenziale, poiché il presupposto su cui si fondano sia l’esimente della legittima difesa che l’eccesso colposo è costituito dall’esigenza di rimuovere il pericolo di un’aggressione mediante una reazione proporzionata e adeguata, l’eccesso colposo si distingue per un’erronea valutazione del pericolo e dell’adeguatezza dei mezzi usati: ne deriva che, una volta esclusi gli elementi costitutivi della scriminante, non v’è spazio ovviamente - per l’inesistenza di una offesa dalla quale difendersi - per la configurazione di un eccesso colposo (sicché non vi è neppure obbligo per il giudice di una specifica motivazione sul punto, pur se l’eccesso colposo sia espressamente prospettato dalla parte interessata, cfr. ex multis Sez. 5, n. 2505 del 14/11/2008 - dep. 21/01/2009, Olari e altri, Rv. 24234; Sez. 1, n. 740 del 04/12/1997 - dep. 21/01/1998, Mendicino ed altro, Rv. 20945201).
La modifica dell’art. 55 c.p. introdotta dalla nuova legge non muta ovviamente i termini interpretativi suindicati, rimanendo in ogni caso ancorata la sussistenza dell’eccesso colposo alla ricorrenza dei presupposti della legittima difesa, escludendo il nuovo comma 2 di tale articolo unicamente la punibilità in caso di grave turbamento o minorata difesa (nel senso che in tali situazioni sarebbe scusato anche l’eccesso di difesa).
1.2. Quanto, poi, al motivo avente ad oggetto il trattamento sanzionatorio, esso è palesemente inammissibile. Le determinazioni del giudice di merito in ordine al trattamento sanzionatorio sono infatti insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esente da vizi logico-giuridici ed idonea a dar conto delle ragioni del decisum. Nel caso di specie, la motivazione della sentenza impugnata è senz’altro da ritenersi adeguata, avendo la Corte territoriale fatto riferimento alla gravità ed efferatezza della condotta e al precedente penale per rapina da cui è gravato l’imputato.
Si è anche affermato che "ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso" (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv 249163). Sicché, in assenza di elementi positivamente valutabili ictu oculi emergenti, il percorso argomentativo adottato dal giudice distrettuale si rivela ineccepibile, soprattutto ove raffrontato con le generiche deduzioni spiegate, in parte qua, nell’impugnativa.
1.3. Del tutto nuova è, infine, la questione del mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 5, non risultando essa oggetto di censura in appello, come è facilmente evincibile alla stregua della stessa ricostruzione operata nella sentenza impugnata e del medesimo tenore della doglianza articolata in ricorso. Essa pertanto non è deducibile per la prima volta dinanzi alla Corte di cassazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 3, e deve essere dichiarata inammissibile secondo l’espresso disposto normativo.
Costituisce, inoltre, principio qui condiviso quello secondo cui i motivi nuovi proposti a sostegno dell’impugnazione devono avere ad oggetto, a pena di inammissibilità, i capi o i punti della decisione impugnata enunciati nell’originario atto di impugnazione a norma dell’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. a), nel senso di statuizioni suscettibili di autonoma considerazione; a tal fine, rappresentano distinte statuizioni la questione relativa all’affermazione di responsabilità dell’imputato, investita dall’appello originario, e quella inerente la configurabilità di un’aggravante oggetto di motivo nuovo proposto per la prima volta in sede di legittimità e quindi inammissibile (Sez. 5, n. 4184 del 20/11/2014, Giannetti, Rv. 262180; Sez. 2, n. 53630 del 17/11/2016, Braidic, Rv. 268980 quanto al rapporto tra statuizioni di sussistenza di un’aggravante e quelle riferite al giudizio di bilanciamento; Sez. 2, Sentenza n. 17693 del 17/01/2018 Ud. (dep. 19/04/2018) Rv. 272821; sulla nozione di motivi nuovi e il loro ambito, cfr. altresì Sez. U, n. 4683 del 25/2/1998, Bono, Rv. 210259).
2. Dalle argomentazioni svolte deriva il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.