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Lavori correzionali sono lavoro forzato? (Cass. 5757/20)

13 febbraio 2020, Cassazione penale

I cd. "lavori correzionali" previsti da una ordinamento penale straniero non integrano il divieto di lavori forzati se possono essere sostituiti dalla pena della privazione della libertà per il solo fatto che l'interessato possa opporre sul suo rifiuto, quando un giorno di lavoro correzionale venga convertito in un giorno di detenzione.

In tema di estradizione processuale, l'autorità giudiziaria italiana, anche qualora la convenzione applicabile non prevede la valutazione da parte dello Stato richiesto dei gravi indizi di colpevolezza, non può limitarsi a un controllo meramente formale della documentazione allegata, ma deve compiere, ai sensi dell'art.705 cod.proc.pen., una sommaria delibazione diretta a verificare, sulla base degli atti prodotti, l'esistenza di elementi a carico dell'estradando, nella prospettiva del sistema processuale dello Stato richiedente.

Cassazione penale

Sent. Sez. 2 Num. 5757 Anno 2020

Presidente: VERGA GIOVANNA
Relatore: SGADARI GIUSEPPE
Data Udienza: 28/11/2019 - deposito 13/02/2020

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
KD nato in Russia il 18/09/1970,
avverso la sentenza del 02/07/2019 della Corte di Appello di Firenze,
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione della causa svolta dal consigliere Giuseppe Sgadari;
udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale Roberto Aniello, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avv. AR che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Firenze, decidendo su rinvio della Corte di cassazione, dichiarava sussistenti le condizioni per l'accoglimento della domanda di estradizione avanzata dall'Autorità Giudiziaria della Federazione Russa nei confronti del ricorrente, sottoposto a custodia cautelare in carcere in relazione ai reati di truffa, associazione per delinquere ed esercizio abusivo di attività finanziaria e bancaria.

2. La Corte di appello riteneva sussistenti i gravi indizi di colpevolezza e non contraria all'art. 4 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo ed alla normativa italiana la possibile sottoposizione del ricorrente a "lavori correzionali" presso lo Stato richiedente, non potendo essere questi assimilati ai "lavori forzati".

3. Ricorre per cassazione DK, deducendo:

1) violazione di legge ed, in particolare, dell'art. 704, comma 2 cod. proc. pen. e dell'art. 13 della Convenzione europea di estradizione del 13.12.1957.

La Federazione Russa avrebbe fornito oltre il termine i chiarimenti richiesti dalla Corte di Appello sulla natura dei "lavori correzionali", come si evincerebbe dalla documentazione spedita in Italia, rispetto alla quale il ricorrente manifesta anche dubbi di genuinità (cfr. fg. 4 del ricorso).

La Federazione Russa, pertanto, sarebbe stata inadempiente e tanto determinerebbe una violazione degli obblighi di cooperazione tra Stati, imponendo il rigetto della richiesta di estradizione o la caducazione della misura cautelare a carico del ricorrente;

2) violazione ed errata applicazione degli artt. 698, 705, comma 2, cod. proc. pen. e 4 CEDU.

La nota della Federazione Russa relativa ai lavori correzionali, non avrebbe potuto, per le sua genericità ed il suo formalismo, far escludere che si tratti di lavori forzati, contrari alle richiamate normative ed impeditivi rispetto alla concessione della estradizione, per le loro caratteristiche degradanti per l'essere umano, provate da quanto risultante dai rapporti delle numerose ONG, tra cui Amnesty International Italia ed Amnesty International Russia e dall'elenco dei casi critici in discussione al Consiglio d'Europa.

Inoltre, il trattamento sanzionatorio che il ricorrente potrebbe subire nel paese richiedente - ivi compresi i lavori forzati che la nota proveniente dalla Federazione Russa non ha potuto escludere - sarebbe in contrasto con i principi di legalità e proporzionalità della pena;

3) violazione di legge in ordine alla errata valutazione della gravità indiziaria.

La Corte, in proposito, nulla avrebbe aggiunto rispetto alla prima sentenza oggetto di annullamento con rinvio, limitandosi, senza alcun vaglio critico, a recepire quanto indicato dalla Federazione Russa, laddove si individua solo un elenco di nomi di soggetti, senza distinzione di ruoli ed in possibile conflitto di interessi con il ricorrente, che lo avrebbero accusato senza attribuirgli alcuna specifica condotta. Inoltre, la persona offesa della truffa, Zuev, non avrebbe potuto riferire su fatti precedenti all'assunzione della carica di amministratore della società che si assume essere stata truffata dal ricorrente.


CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.

1.1. Quanto al primo motivo, deve rilevarsi, in primo luogo, che la decisione della Corte di Appello è intervenuta circa quattro mesi dopo la pronuncia di annullamento con rinvio della Corte di cassazione e, dunque, nel rispetto del termine di sei mesi "dalla presentazione della requisitoria" previsto, a salvaguardia dell'imputato, dall'art. 704, comma 2, cod. proc. pen.. Sicché, anche a voler ammettere che la Federazione Russa abbia risposto con ritardo alla richiesta di chiarimenti della Corte, ciò non ha comportato alcuna lesione dei diritti del ricorrente e, di conseguenza, non può comportare l'adozione di alcuna sanzione processuale.

Questa constatazione è sufficiente per ritenere infondato il primo motivo di ricorso, dovendosi aggiungere, in secondo luogo, che, dalla lettura dell'ordinanza con la quale la Corte di appello di Firenze, in data 7.5.2019, aveva richiesto chiarimenti alla Federazione Russa, non si evince alcun termine di carattere perentorio assegnato allo Stato richiedente, che ha fornito le sue risposte a distanza di meno di un mese dalla richiesta, come si evince dalla data della nota della Procura Generale della Federazione Russa del 3.6.2019.

1.2. In ordine ai dubbi sollevati dal ricorrente sulla genuinità della documentazione proveniente dalla Federazione Russa, si tratta di mere supposizioni, prive di qualunque supporto oggettivo diverso dai meri errori materiali contenuti nella nota della Federazione Russa cui il ricorso accenna.

2. Quanto al secondo motivo, il ricorso pecca di genericità, perché non si confronta con la dovuta completezza con la motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui la Corte di Appello, sulla base delle informazioni richieste alla Federazione Russa, ha escluso che i "lavori correzionali" cui potrebbe essere sottoposto l'estradando nel suo paese di origine, abbiano caratteri tali da impedire l'estradizione, comportando trattamenti "crudeli, disumani o degradanti".

In particolare, veniva in rilievo la circostanza che si potesse trattare di lavori forzati, così come era stato indicato di verificare dalla sentenza di annullamento con rinvio della Corte di cassazione, postasi nel solco di precedenti pronunce di legittimità secondo le quali, in tema di estradizione per l'estero, non può procedersi alla consegna qualora il fatto del quale l'estradando è chiamato a rispondere è sanzionato nella legislazione dello Stato richiedente con la pena dei lavori forzati, considerato che tale previsione contrasta con gli artt. 4, comma secondo, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e 5, comma secondo, della Carta dei diritti fondamentali dell'U.E. - per i quali nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato od obbligatorio - nonché con il rispetto dei diritti fondamentali richiesto dall'art. 698, comma primo, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 33578 del 01/07/2015, Sharododskyi, Rv. 264873 - 01. Massime precedenti Conformi: N. 23555 del 2006 Rv. 234738 - 01, N. 32625 del 2006 Rv. 234769 - 01, N. 15578 del 2011 Rv. 250034 - 01).

La Corte di Appello di Firenze ha sottolineato, infatti, sulla base delle informazioni provenute dalla Federazione Russa, che tali "lavori correzionali" previsti da quell'ordinamento penale straniero, potevano essere sostituiti dalla pena della privazione della libertà per il solo fatto che l'interessato si fosse mostrato renitente, calcolandosi in termini di parità un giorno di lavoro correzionale ed un giorno di detenzione.

Da ciò se ne è fatta conseguire, quale ovvia e tranciante conseguenza, l'insussistenza del carattere obbligatorio (o "forzato") del rimedio.

A tanto si aggiunga che la Corte ha anche sottolineato come tale tipo di attività lavorativa "viene svolta in luoghi stabiliti dall'amministrazione penitenziaria, è retribuita con diritto all'assistenza medica, formazione professionale o istruzione secondaria, inoltre i lavoratori beneficiano dell'assicurazione sociale e previdenza obbligatoria" (fg. 4 della sentenza impugnata).

Si tratta di un fascio di diritti, assicurati al detenuto, i quali escludono che si versi in una delle ipotesi di cui all'art. 698 cod. proc. pen..

Le contrarie obiezioni del ricorrente si fondano su asserzioni del tutto generiche e fanno riferimento a casi giudiziari non analoghi (secondo quanto risulta dalla documentazione allegata al ricorso, che pone all'attenzione singoli eventi di maltrattamenti di detenuti da parte delle guardie carcerarie).

Tanto assorbe ogni altra considerazione difensiva sul punto.

3. Ancora più generico risulta il ricorso nella parte in cui contesta la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente, che la Corte di cassazione, nella sentenza di annullamento, aveva chiesto di "individualizzare".

La Corte di Appello ha provveduto in tal senso e la motivazione offerta sul tema di interesse, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, è assai più approfondita rispetto alla prima sentenza della medesima Corte (del 15.1.2019) oggetto di annullamento in sede di legittimità, anche tenuto conto del fatto che la decisione oggi censurata, è stata fondata sulla analisi della documentazione "supplementare" inviata dall'autorità giudiziaria della Federazione Russa (cfr. fg. 6 della sentenza impugnata).

Prima di richiamarne i contenuti, non è superfluo ricordare che secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità, condivisa dal Collegio, in tema di estradizione processuale, l'autorità giudiziaria italiana, anche qualora la convenzione applicabile non prevede la valutazione da parte dello Stato richiesto dei gravi indizi di colpevolezza, non può limitarsi a un controllo meramente formale della documentazione allegata, ma deve compiere, ai sensi dell'art.705 cod.proc.pen., una sommaria delibazione diretta a verificare, sulla base degli atti prodotti, l'esistenza di elementi a carico dell'estradando, nella prospettiva del sistema processuale dello Stato richiedente.(Sez. 6, n. 8063 del 21/02/2019, A., Rv. 275088 - 01 Massime precedenti Conformi: N. 30896 del 2008 Rv. 240498 - 01, N. 5760 del 2011 Rv. 249455 - 01, N. 44852 del 2007 Rv. 238089 - 01, N. 43245 del 2013 Rv. 257460 - 01, N. 43170 del 2014 Rv. 260042 - 01, N. 26290 del 2013 Rv. 256566 - 01, N. 8609 del 2010 Rv. 246173 - 01).

Fatta questa premessa, la valutazione operata dalla Corte di Appello di Firenze si rivela essere tutt'altro che una "sommaria delibazione" inerente alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente.

Secondo quanto si legge nel provvedimento impugnato, il K è stato accusato da numerosi soggetti persone offese in quanto imprenditori, di avere personalmente gestito, insieme ad altri correi, una banca clandestina nella quale convertiva "disponibilità monetarie in contanti dietro il pagamento di un tasso oscillante tra il 4% ed il 6%".

Nell'ambito di tale illecita e strutturata attività, si era inserita la truffa nei confronti di tale Z, soggetto il quale non aveva mai più ricevuto dal ricorrente e dai suoi correi quanto loro versato. L'attendibilità di siffatta persona offesa, era stata riscontrata da altro teste, K L.A. - sul quale il ricorso, non a caso, tace - il quale aveva confermato le parole di Z ed assistito personalmente ad un incontro tra costui ed il ricorrente.

Si tratta di circostanza decisiva per sgombrare i dubbi sollevati in ricorso sulla affidabilità dello Z e sulla sua stessa capacità di riferire i fatti in ragione delle funzioni a lui riferibili ratione temporis in seno alla società truffata.

Tanto era stato confermato anche da altri testimoni, che la sentenza impugnata indica a fg. 7, tra i quali il revisore esterno T, il quale aveva avuto diretti contatti con il ricorrente a proposito della sua attività bancaria clandestina. Inoltre, il K risulta accusato anche dai suoi concorrenti, uno dei quali (F) riscontra quanto dichiarato da Z.

La motivazione è ampiamente esauriente, priva di vizi logico-giuridici rilevabili in questa sede e non intaccata dalle generiche asserzioni difensive. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. 
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94 disp.att. cod. proc. pen..
Così deliberato in Roma, udienza in camera di consiglio del 28/11/2019
Il consigliere relatore
Giuseppe Sgadari
Il Presidente