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Ladro goloso lascia impronta: condanna (Cass. 35551/19)

2 agosto 2019, Cassazione penale

Il rilievo, in un appartamento ove sia stato commesso un furto, di impronte papillari, costituisce sufficiente prova di colpevolezza nei riguardi di colui cui le impronte si riferiscono, in quanto solo da costui, pertanto, può provenire una eventuale contraria dimostrazione.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE FERIALE PENALE

(ud. 01/08/2019) 02-08-2019, n. 35551

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAMACCI Luca - Presidente -

Dott. DI PAOLA Sergio - Consigliere -

Dott. LIBERATI Giovanni - Consigliere -

Dott. GAI Emanuela - rel. Consigliere -

Dott. VIGNA Maria Sabina - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

I.S., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 18/03/2019 della Corte d'appello di Napoli.

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa GAI Emanuela;

udito il Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa PICARDI Antonietta, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo


1. Con sentenza in data 18 marzo 2019, la Corte d'appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Napoli con la quale I.S. era stato condannato, alla pena di anni due di reclusione e Euro 600,00 di multa, in relazione al reato di cui all'art. 624 bis c.p.; perchè si introduceva nell'appartamento di D.G.T. e si impossessava di diversi beni ivi contenuti. In (OMISSIS). Recidiva specifica reiterata infraquinquennale.

2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l'imputato, tramite il difensore di fiducia, e ne ha chiesto l'annullamento deducendo, con un unico motivo di ricorso, la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) in relazione all'erronea applicazione dell'art. 192 c.p.p., con riferimento all'affermazione della responsabilità penale dell'imputato.

Secondo il ricorrente la responsabilità penale dell'imputato deriverebbe dalla valutazione di un unico indizio consistito nella presenza dell'impronta dattiloscopica sul barattolo di Nutella, da cui la corte territoriale avrebbe fatto discendere la prova non solo della circostanza che l'imputato avesse mangiato la Nutella, ma altresì la prova della sottrazione dei beni della persona offesa. L'affermazione della responsabilità sarebbe stata pronunciata in violazione dell'art. 192 c.p.p..

3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

Motivi della decisione

4. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza del motivo.

La sentenza impugnata, in continuità con quella di primo grado, ha dato atto che, sulla scorta dell'accertamento di fatto, incensurabile in questa sede, della presenza delle impronte papillari dell'imputato su un barattolo di Nutella, rinvenuto nell'abitazione della persona offesa, circostanza neppure contestata, ha logicamente tratto la conclusione che l'imputato si era introdotto nell'abitazione della persona offesa ed aveva asportato i beni della stessa.

La decisione è immune da censure dal momento che come affermato da risalenti pronunce di legittimità che il Collegio condivide, in tema di prova penale, il rilievo, in un appartamento ove sia stato commesso un furto, di impronte papillari, costituisce sufficiente prova di colpevolezza nei riguardi di colui cui le impronte si riferiscono, in quanto solo da costui, pertanto, può provenire una eventuale contraria dimostrazione (Sez. 4, n. 792 del 09/11/1988, Bernaus, Rv. 180247 - 01).

Quanto al caso in esame, incontestata l'appartenenza delle impronte papillari all'imputato, la deduzione difensiva secondo cui sarebbe dimostrato solo che questi aveva mangiato la Nutella, ma non costituirebbe prova della sottrazione dei beni dall'appartamento della persona offesa, in assenza di ulteriori indizi dimostrativi, è, oltre che implausibile, manifestamente infondata costituendo, il rilievo delle impronte papillari al medesimo riconducibili, piena prova del fatto in assenza di contrarie allegazioni difensive.

5. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'art. 616 c.p.p.. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 1 agosto 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2019