Home
Lo studio
Risorse
Contatti
Lo studio

Decisioni

Ipotizzare scorrettezze deontologiche di un avvocato è reato (Cass. 53196/18)

29 novembre 2018, Cassazione penale

Avanzare dubbi circa la correttezza dell’operato professionale di un avvocato, avulsi da qualsivoglia contesto di critica politica e circoscritti a problematiche di natura condominiale, costituisce reato.

Le accuse di condotte deontologicamente rilevanti, tenute da un professionista nei confronti del cliente denunciate, possono costituire esercizio di legittima tutela degli interessi di quest’ultimo, attraverso il diritto di critica, a condizione che ne ricorrano i requisiti ad esso connaturati, vale a dire che le accuse abbiano un fondamento o che, almeno, l’accusatore sia fermamente ed incolpevolmente convinto di quanto afferma.

Corte di Cassazione

sez. V Penale, sentenza 1 ottobre – 27 novembre 2018, n. 53196
Presidente Palla – Relatore Catena

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza impugnata il Tribunale di Torino in composizione monocratica confermava la sentenza emessa dal Giudice di pace di Torino in data 22/06/2013, con cui C.L. era stato condannato a pena di giustizia, oltre che al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile, in relazione al reato di cui all’art. 595 cod. pen., perché, comunicando con più persone mediante l’invio di una lettera raccomandata nella quale, fra l’altro, scriveva:

"Mi sorge il dubbio della seria incompatibilità del ruolo dell’avv.to G.F. nel ricoprire a volte il ruolo di difensore del condominio (…) ed in altri momenti contro lo stesso, ed in altri ancora contro ed a favore di ogni singolo condomino, mi sono perso qualcosa?

Pertanto richiamandomi alle più elementari norme deontologiche, mi appello a lei che possa intervenire a limitare questa confusione di ruoli alla bisogna, ed essendo padre di famiglia.

Capisco bene il bisogno di lavorare, ma viva Dio, tutto ha un limite e volendo evitare per il momento la segnalazione all’ordine degli avvocati, la invito a redarguirla e pertanto mi riferisco direttamente a lei, che peraltro non ha nessun coinvolgimento personale con i genitori dell’avv. G. .....", offendeva la reputazione della medesima avv. G.F. . Con l’aggravante dell’attribuzione di un fatto determinato; in Torino, il 10/07/2013.
2. Con ricorso depositato in data 27/06/2017 C.L. ricorre, a mezzo del difensore di fiducia Avv.to V.F. , per vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. e) cod. proc. pen., non essendo stato considerato il contesto in cui le frasi erano state scritte e diffuse, ossia la ricerca di informazioni attuata dal C. in funzione della sua candidatura a sindaco del comune di (…), con ricerche sull’amministrazione comunale dell’epoca e sulle asserite irregolarità in campo urbanistico; in detto contesto si collocava, infatti, un primo scritto del C. , che aveva dato origine ad un altro procedimento, in cui il ricorrente è stato assolto per aver esercitato il diritto di critica politica; in detto contesto il C. si era occupato anche della famiglia G. /A. , sollevando dei dubbi circa l’incompatibilità dell’Avv.to G.F. nell’assumere a volte la difesa del comune, ed altre volte dei condomini, contro il C. , oltre ad aver assistito il medesimo, in passato.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile.
A fronte della motivazione delle sentenze di merito - che costituiscono un unico compendio argomentativo in caso di "doppia conforme" - assolutamente immune da censure logiche, e basata su di una analitica ricostruzione delle vicende, oltre che sulla puntuale confutazione delle doglianze difensive, il ricorso tende a sottoporre alla Corte di legittimità le medesime questioni già attentamente valutate dalla Corte territoriale.
La sentenza impugnata ha rilevato come non fosse stata affatto avanzata istanza di riunione dei due processi nei confronti del ricorrente, e come la difesa non avesse neanche chiesto l’acquisizione dei verbali di prova, limitandosi a proporre brani della sentenza ancora sub iudice, essendo il processo pendente in fase di appello.
In ogni caso - ha proseguito la Corte territoriale - la presunta critica politica evocata dalla difesa, non emerge affatto, atteso che le tre parti di cui la missiva si compone, e che attengono a problematiche del C. con ciascuno dei tre destinatari, riguardano vicende condominiali.
Appare, quindi, evidente, come il ricorso non si confronti affatto con le argomentazioni della sentenza impugnata, limitandosi a riprodurre doglianze alle quali i Giudici di merito hanno già fornito più che adeguata risposta.
Nessun dubbio, infine, che il tenore complessivo della missiva evidenzi dubbi circa la correttezza dell’operato professionale della persona offesa, avulsi da qualsivoglia contesto di critica politica e circoscritti a problematiche di natura condominiale, come evidenziato incontestatamente dalla sentenza impugnata.
In ogni caso deve ricordarsi che le accuse di condotte deontologicamente rilevanti, tenute da un professionista nei confronti del cliente denunciate, possono costituire esercizio di legittima tutela degli interessi di quest’ultimo, attraverso il diritto di critica, a condizione che ne ricorrano i requisiti ad esso connaturati, vale a dire che le accuse abbiano un fondamento o che, almeno, l’accusatore sia fermamente ed incolpevolmente convinto di quanto afferma (Sez. 5, sentenza n. 28081 del 15/04/2011, Taranto, Rv. 250406; Sez. 5, sentenza n. 3565 del 07/11/2007, dep. 23/01/2008, Toppetta ed altro, Rv. 238909).
Nel caso in esame nulla di quanto detto risulta dedotto, essendosi la difesa limitata a sostenere il legittimo esercizio di critica politica, peraltro puntualmente contrastato dalla motivazione della sentenza impugnata, non essendo stata in alcun modo confutata seriamente la valenza diffamatoria delle accuse di comportamento deontologicamente scorretto aventi ad oggetto l’operato dell’Avv.to G.F. .
Dall’inammissibilità del ricorso discende, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.