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Invalidità grave, danno non patrimoniale è presunto (Cass. 2348/18)

31 gennaio 2018, Cassazione civile

 L'invalidità grave  integra, oltre al danno non patrimoniale anche un danno patrimoniale e in particolare un danno perdita di chance,  il cui accertamento spetta al giudice di merito in base a valutazione necessariamente equitativa.

Nei casi in cui l'elevata percentuale di invalidità permanente rende altamente probabile, se non addirittura certa, la menomazione della capacità lavorativa specifica ed il danno che necessariamente da essa consegue, il giudice può procedere all'accertamento presuntivo della predetta perdita patrimoniale, liquidando questa specifica voce di danno con criteri equitativi.

La liquidazione di detto danno può avvenire attraverso il ricorso alla prova presuntiva, allorchè possa ritenersi ragionevolmente probabile che in futuro la vittima percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell'infortunio.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Ordinanza 22 novembre 2017 - 31 gennaio 2018, n. 2348


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo - Presidente -

Dott. FRASCA Raffaele - Consigliere -

Dott. SESTINI Danilo - Consigliere -

Dott. SCODITTI Enrico - rel. Consigliere -

Dott. RUBINO Lina - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

ORDINANZA


sul ricorso 19342/2014 proposto da:

P.A., ;

- ricorrente -

contro

ALLIANZ S.P.A., (già RIUNIONE ADRIATICA DI SICURTA' SPA) 

- controricorrente -

e contro

L'ITALICA ASSICURAZIONI SPA, A.C.;

- intimati -

avverso la sentenza n. 1137/2013 della CORTE D'APPELLO di CATANIA, depositata il 04/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/11/2017 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione


Rilevato che:

con atto di citazione del 27 marzo 1999 P.A., A.V. e M.A. convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Catania A.C. e Italia Assicurazioni s.p.a. per il risarcimento del danno, i primi due per le lesione riportate ed il terzo quale proprietario del veicolo per il danno alla cosa, deducendo che il motociclo condotto dal P. con a bordo l' A. era stato investito dall'autovettura di proprietà e condotta dalla convenuta. Il Tribunale adito accolse la domanda, riconoscendo il danno biologico, quello morale e le spese mediche, nonchè il danno patrimoniale per il proprietario del mezzo. Avverso detta sentenza proposero appello P.A. e A.V. ed incidentale la società assicuratrice. Con sentenza di data 4 giugno 2013 la Corte d'appello di Catania, previa nuova consulenza tecnica, accolse parzialmente gli appelli.

Osservò la corte territoriale che il giudice di primo grado aveva ritenuto ricorrere l'esclusiva responsabilità della A., sulla base della dichiarazione resa da quest'ultima al proprio assicuratore (girandosi verso i figli che erano sul sedile posteriore, le era scivolato il piede dalla frizione e l'auto, ferma all'incrocio, aveva avuto un forte sobbalzo in avanti urtando la moto che stava passando) e della testimonianza Ar. (che aveva parlato di velocità moderata del motociclo), senza approfondire le risultanze del verbale di accertamento con riferimento ai fatti accertati visivamente dai verbalizzanti e relativi alla fase statica dell'incidente, per i quali il verbale di accertamento faceva piena prova fino a querela di falso. Aggiunse che dal verbale emergeva sia la mancanza assoluta di danni sull'autovettura che la circostanza che il motociclo dopo l'urto aveva continuato la sua marcia urtando prima l'obelisco opposto nella piazza e poi un'autovettura parcheggiata di fronte, entrambi piuttosto distanti rispetto al punto d'urto e che tali circostanze, unitamente all'entità dei danni riportati dal motociclo e dall'autovettura parcheggiata, comportavano l'affermazione che il P. aveva impegnato l'intersezione a velocità non adeguata e sicuramente elevata (anche considerando che l' A., come da essa dichiarato, era ferma, sicchè il mero sobbalzo in avanti non avrebbe potuto imprimere al motociclo la velocità con cui aveva urtato obelisco e autovettura parcheggiata), sicchè poco attendibile era il teste Ar., il quale aveva peraltro espresso una propria generica valutazione. Osservò quindi che in accoglimento dell'appello principale andava esclusa l'incidenza ai fini delle lesioni subite del mancato uso del casco, che per il giudice di primo grado aveva comportato una riduzione del risarcimento nella misura del 15%, ma che in accoglimento dell'appello incidentale il risarcimento andava ridotto del 50% perchè avevano avuto pari efficacia circa il sinistro il sobbalzo in avanti dell'autovettura e l'eccessiva velocità tenuta dal motociclo nell'attraversamento dell'intersezione, effettuato grazie alla frenata dell' A. che godeva della precedenza. Aggiunse il giudice di appello, quanto al P., che la CTU aveva valutato i postumi permanenti nella misura del 25%, evidenziando come la perdita del visus dell'occhio destro avesse determinato un "elevato pregiudizio circa le future possibilità lavorative" non consentendo allo stesso di "potere intraprendere arti e/o professioni che richiedono un'assoluta integrità psico-fisica (carriera militare, forze di polizia, vigilanza, guida automezzi pesanti, ecc.)" e che, occorrendo la prova che la riduzione della capacità lavorativa si fosse tradotta in un effettivo pregiudizio economico, la mera circostanza che il P. non potesse svolgere le attività indicate non consentiva di per sè di riconoscere un danno patrimoniale, ben potendo questi svolgere un'occupazione diversa da quelle specificate, in relazione alle quali non era stato neanche dedotto che il P. avesse specifiche aspirazioni od opportunità.

Ha proposto ricorso per cassazione P.A. sulla base di quattro motivi e resiste con controricorso Allianz s.p.a.. E' stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell'art. 375 c.p.c., comma 2. E' stata presentata memoria.

Considerato che:

con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 331 c.p.c., ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva il ricorrente che, avendo con l'appello incidentale la società assicuratrice chiesto di accertare l'esclusiva responsabilità del P., il giudizio di secondo grado doveva svolgersi nei confronti di tutti i soggetti risultati vittoriosi, compreso il M., e che non era stata ordinata l'integrazione del contraddittorio nei confronti di quest'ultimo, il quale non aveva proposto appello. Aggiunge che doveva essere ordinata l'integrazione del contraddittorio allo scopo di evitare giudicati contrastanti, come di fatto avvenuto.

Il motivo è infondato. Prevede l'art. 140, comma 4, del Codice delle assicurazioni, introdotto dal D.Lgs. n. 209 del 2005, che "nei giudizi promossi fra l'impresa di assicurazione e le persone danneggiate sussiste litisconsorzio necessario, applicandosi l'art. 102 c.p.c.". Trattandosi di norma processuale essa non trova applicazione ai giudizi, come quello di specie, instaurati prima della sua entrata in vigore (Cass. 16 aprile 2015, n. 7685). L'ipotesi in discorso integra un caso di litisconsorzio necessario disposto dal legislatore propter opportunitatem in quanto la norma prevede, a prescindere dall'esistenza di una situazione plurisoggettiva da accertarsi con efficacia di giudicato, la partecipazione necessaria della pluralità di danneggiati. Nè una tale ipotesi tipica di litisconsorzio può essere desunta dalla L. n. 990 del 1969, art. 27, come affermato da Cass. 16 aprile 2015, n. 7685, alle cui argomentazioni sul punto si rinvia. Resta fermo quindi che nel caso di pluralità di danneggiati ricorre un'ipotesi tipica di litisconsorzio necessaria, che trova applicazione solo ai giudizi instaurati dopo l'entrata in vigore della norma che l'ha prevista e tale non è il presente giudizio.

Accertato che non ricorre un'ipotesi di litisconsorzio necessario in senso sostanziale, deve accertarsi se ne ricorre uno in senso processuale, quale effetto del giudizio introdotto da tutti i danneggiati, tale da imporre l'integrazione del contraddittorio ai sensi dell'art. 331 c.p.c.. Si deve in particolare accertare se la presenza di più parti nel giudizio di primo grado debba necessariamente persistere in sede di impugnazione, al fine di evitare possibili giudicati contrastanti in ordine alla stessa materia e nei confronti di quei soggetti che siano stati parti del giudizio, coerentemente alla nozione di causa inscindibile di cui all'art. 331 c.p.c. (Cass. 26 gennaio 2010, n. 1535; 6 novembre 2011, n. 13695; 22 gennaio 1998, n. 567). Realizzano l'ipotesi del litisconsorzio necessario processuale, ad esempio, la chiamata in causa del terzo quale unico responsabile in quanto la decisione della controversia fra l'attore ed il convenuto, essendo alternativa rispetto a quella fra l'attore ed il terzo, si estende necessariamente a quest'ultimo, sicchè i diversi rapporti processuali diventano inscindibili (Cass. 8 agosto 2003, n. 11946; 6 aprile 2001, n. 5165) o il caso delle obbligazioni solidali interdipendenti, pur se derivanti da titoli diversi, ove le diverse autonome responsabilità si pongono l'una come limite dell'altro (Cass. 7 febbraio 2000, n. 1322). O ancora, l'esistenza di un vincolo di solidarietà passiva tra più convenuti in distinti e riuniti giudizi di risarcimento dei danni genera un litisconsorzio processuale quando almeno uno dei primi chieda accertarsi la responsabilità esclusiva di altro tra loro, ovvero rideterminarsi, nell'ambito di un'azione di regresso anticipato, la percentuale di responsabilità ad essi ascrivibile "pro quota" (Cass. 27 agosto 2013, n. 19584).

La pluralità di danneggiati non integra la fattispecie del litisconsorzio necessario processuale perchè la difformità di giudicati che può eventualmente insorgere per la mancata partecipazione al giudizio di appello di taluno dei danneggiati resta sul piano della mera contraddittorietà logica fra decisioni in ordine ad una parte della causa petendi, e cioè il fatto storico che ha cagionato il danno (mentre quanto al danno la causa petendi è diversa, stante la diversità sul piano soggettivo del giudicato quanto alla persona del danneggiato - in comune dal punto di vista soggettivo vi è infatti solo la persona del danneggiante). Tale contrasto, puramente logico, non determina un conflitto pratico di giudicati. Trattandosi infatti di pronunce relative a diversi beni della vita (il danno risarcibile di cui è portatore ciascun danneggiato), i giudicati sono materialmente eseguibili in modo simultaneo. La divergenza di accertamento in ordine alla percentuale di responsabilità (esclusiva o concorrente) non determina l'impossibilità di dare esecuzione alle pronunce in quanto ciascuna riguarda un bene della vita diverso e la contraddittorietà resta così sul piano puramente teorico.

In conclusione va riconosciuto il seguente principio di diritto: "in giudizio promosso fra l'impresa di assicurazione e la pluralità di persone danneggiate non sussiste l'ipotesi del litisconsorzio necessario processuale, mentre ove si tratti di giudizio introdotto dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, art. 140, sussiste il litisconsorzio necessario sostanziale".

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2700 c.c., e art. 116 c.p.c., ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva il ricorrente che il giudice di appello ha ritenuto di fondare il proprio giudizio esclusivamente sul verbale di accertamento redatto dai vigili urbani, sull'errato presupposto che facesse piena prova fino a querela di falso e sulla base di argomentazioni arbitrarie e non ancorate al dato oggettivo di prove certe ed indicazioni tecniche. Aggiunge che i vigili urbani non avevano assistito all'incidente, ma ne avevano ricostruito la dinamica solo attraverso la posizione di quiete assunta dai mezzi coinvolti, e che non sussisteva l'efficacia di piena prova rispetto a fatti che non si erano potuti verificare secondo un metro sufficientemente obiettivo, sicchè il verbale doveva essere liberamente apprezzato dal giudice.

Il motivo è inammissibile. Il giudice di merito ha affermato che il verbale di accertamento ha efficacia di piena prova con riferimento ai fatti accertati visivamente dai verbalizzanti e relativi alla fase statica dell'incidente. L'efficacia probatoria è stata dunque limitata alle circostanze attestate dal pubblico ufficiale come percepite dal punto di vista sensoriale senza alcun margine di apprezzamento, conformemente a quanto dalla giurisprudenza affermato (il processo verbale di accertamento di un incidente stradale redatto da organi di polizia fa piena prova fino a querela di falso in ordine ai fatti accertati visivamente dai verbalizzanti e relativi alla fase statica dell'incidente, quale risultava al momento del loro intervento fra le tante Cass. 15 febbraio 2006, n. 3282). Il verbale non è stato quindi reputato avente efficacia di piena prova con riferimento ad apprezzamenti valutativi dei verbalizzanti. La censura resta così estranea alla ratio decidendi.

Per il resto va rammentato che in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (fra le tante Cass. 13 giugno 2014, n. 13485).

Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2054 e 2700 c.c., art. 116 c.p.c., ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè motivazione illogica, insufficiente e contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva il ricorrente che la motivazione non soddisfa i requisiti di logicità e coerenza quanto all'attribuzione di responsabilità nella misura del 50% al conducente del motociclo, peraltro in contrasto con le risultanze istruttorie e senza sottoporre a libero apprezzamento il verbale degli organi di polizia.

Il motivo è inammissibile. La decisione di merito viene impugnata mediante la denuncia di vizio di motivazione in modo difforme da quanto disposto dalla previsione applicabile ratione temporis, e cioè quale omesso esame di fatto decisivo e controverso. Per il resto va rammentato che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che - per il tramite dell'art. 132 c.p.c., n. 4, - dà rilievo unicamente all'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. 10 giugno 2016, n. 11892).

Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 1218 e 1223 c.c., L. n. 39 del 1977, art. 4, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè motivazione illogica, insufficiente e contraddittoria, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva il ricorrente che il giudice di merito con motivazione inadeguata e contraddittoria ha concluso nel senso della mancanza di conseguenze patrimoniali pur in presenza del riconoscimento di una invalidità permanente nella misura del 25%.

Il motivo è fondato. La formulazione del motivo permette di scindere con chiarezza il profilo del vizio motivazionale, peraltro denunciato in modo irrituale secondo quanto osservato a proposito del precedente motivo, dalla denuncia di violazione di legge. Il giudice di merito ha recepito la valutazione del CTU circa la percentuale dei postumi permanenti quantificata nella misura del 25%. Ha però affermato che la mera circostanza che il P. non possa svolgere attività che richiedono un'assoluta integrità psico-fisica non consente di per sè di riconoscere un danno patrimoniale, ben potendo questi svolgere un'occupazione diversa da tali attività. Tale statuizione viola i principi di diritto enunciati da questa Corte in subiecta materia.

In tema di danni alla persona, l'invalidità di gravità tale (nella specie, del 25 per cento) da non consentire alla vittima la possibilità di attendere neppure a lavori diversi da quello specificamente prestato al momento del sinistro, e comunque confacenti alle sue attitudini e condizioni personali ed ambientali, integra non già lesione di un modo di essere del soggetto, rientrante nell'aspetto del danno non patrimoniale costituito dal danno biologico, quanto un danno patrimoniale attuale in proiezione futura da perdita di chance, ulteriore e distinto rispetto al danno da incapacità lavorativa specifica, e piuttosto derivante dalla riduzione della capacità lavorativa generica, il cui accertamento spetta al giudice di merito in base a valutazione necessariamente equitativa ex art. 1226 c.c. (Cass. 12 giugno 2015, n. 12211). Nei casi in cui l'elevata percentuale di invalidità permanente rende altamente probabile, se non addirittura certa, la menomazione della capacità lavorativa specifica ed il danno che necessariamente da essa consegue, il giudice può procedere all'accertamento presuntivo della predetta perdita patrimoniale, liquidando questa specifica voce di danno con criteri equitativi (Cass. 23 agosto 2011, n. 17514; 7 novembre 2005, n. 21497). La liquidazione di detto danno può avvenire attraverso il ricorso alla prova presuntiva, allorchè possa ritenersi ragionevolmente probabile che in futuro la vittima percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell'infortunio (Cass. 14 novembre 2013, n. 25634).

Il giudice di merito, escludendo in partenza il danno patrimoniale per il sol fatto che al danneggiato sarebbe data la possibilità di svolgere attività che non richiedono un'assoluta integrità psico-fisica, non ha adeguatamente compiuto l'accertamento presuntivo in ordine alla riduzione della perdita di guadagno nella sua proiezione futura, imposto dall'entità dei postumi, anche in termini di perdita di chance. 

P.Q.M.


accoglie il quarto motivo di ricorso, rigetta il primo e dichiara inammissibili gli altri motivi; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte di appello di Catania in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.


Così deciso in Roma, il 22 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2018.