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Insistere per vedere i figli non è stalking (CA Roma, 30.1.2018)

30 gennaio 2018, Corte di Appello di roma

Appostarsi sotto casa, telefonare, mandare messaggi non integrano stalking se tesi a esercitare il diritto di visita del coniuge non affidatario.

Si tratta di una serie di episodi connessi tra loro dall'essere originati dalla volontà dell'agente di esercitare, pur con modalità personalizzate ed ridondanti, il diritto di visita della figlia minorenne e non ad un reale intento persecutorio in danno della ex convivente.

 

CORTE DI APPELLO DI ROMA

SEZIONE I PENALE

30 gennaio 2018

 

Dott. FRANCESCO NERI - Presidente

Dott. MASSIMO LO MASTRO - Consigliere

Dott. LUDOVICA CIROLLI - Consigliere

Ha pronunciato in Dibattimentale la seguente

SENTENZA

nel procedimento penale di 2 grado nei confronti di :

1) T.U. - LIBERO

nato a R. - R. il (...) - I.

domiciliato a R.- VIA P. 390

S.G. - PARTE CIVILE

Svolgimento del processo
Con sentenza del Tribunale di Rieti, in data 25 giugno 2013, T.U. veniva assolto per il fatto di cui al capo di imputazione per insussistenza del fatto ai sensi dell'art. 530 comma secondo c.p.p.

Il primo Giudice ha ritenuto non raggiunta la prova dei fatti contestati al di là di ogni ragionevole dubbio.

Pur rilevando la intrinseca logicità del racconto formulato dalla persona offesa costituita parte civile, S.G., e dato atto della portata circostanziata delle dichiarazioni della stessa, il Tribunale di Rieti ha ritenuto che il raffronto con le dichiarazioni rese dagli altri testimoni fosse non pienamente soddisfacente e inidoneo a generare un conclusivo giudizio di attendibilità.

Avverso la sentenza di assoluzione, ai sensi dell'art. 576 c.p.p., ha proposto appello la parte civile costituita S.G., articolando due motivi di gravame.

Con il primo motivo, la parte civile sostiene che all'esito dell'istruzione di primo grado, non potevano sussistere dubbi sulla sussistenza del reato in contestazione. A sostegno dell'assunto l'appellante richiama le testimonianze rese dalla parte civile, dai suoi genitori, dai vicini di casa nonché dai Carabinieri presso il Comando Stazione di Cottanello. Secondo l'appellante, il giudice di primo grado non ha tenuto nel debito conto le dichiarazioni rese dalla persona offesa dal reato né i riscontri provenienti dalle altre deposizioni testimoniali e dalle acquisizioni documentali; in particolare, la parte civile impugnante rileva come non siano stati presi in considerazione i tabulati telefonici da cui emergeva che il 40% del traffico telefonico ricevuto dall'appallante provenisse dall'utenza telefonica intestata a T. e come, a conferma delle dichiarazioni rese dall'appellante, non siano state valutate le testimonianze rese dal comandante la stazione dei carabinieri di Cottanello, maresciallo G.S. e dei carabinieri V.R. e Lintozzi Massimiliano. A dire dell'appellante, la continua serie di sms dal contenuto minaccioso e irriguardoso ad ogni ora del giorno e della notte avevano determinato nella S. un perdurante stato di timore per la propria incolumità, al punto che la stessa era stata costretta a cambiare casa, cercando alloggio nelle vicinanze della casa dei propri genitori, e a rifiutare un'offerta di lavoro.

Con il secondo motivo, l'appellante chiede che sia riconosciuta la responsabilità civile dell'imputato e per l'effetto condannarlo al risarcimento dei danni, patrimoniale e non patrimoniale quest'ultimo nelle forme di danno morale esistenziale e biologico derivati dalla condotta antigiuridica ascritta all'imputato.

Alla prima udienza dibattimentale in grado di appello, il processo veniva rinviato a causa della tardività della notificazione dell'avviso all'imputato; all'udienza dibattimentale del 19 gennaio 2018, ritualmente costituite, le parti hanno concluso come da verbale. Procuratore generale e difensore hanno chiesto la conferma della sentenza di primo grado mentre la parte civile, depositati in copia la sentenza del Tribunale di Rieti n. 505/2014 n. 1169/2012 con cui l'imputato T. veniva condannato in distinto processo penale alla pena di mesi 15 di arresto e al risarcimento dei danni in favore della parte civile S.G. per il reato di cui all'art. 660 c.p. e il decreto del Tribunale dei Minorenni di Perugia con cui veniva disposta nei confronti del T. la sospensione della potestà genitoriale, chiedeva la riforma della sentenza di assoluzione impugnata come da conclusioni scritte che depositava (condanna dell'imputato al risarcimento dei danno morali e materiali in favore della parte civile quantificati in almeno Euro 50.000,00. e alla provvisionale di Euro 15.000,00).

Motivi della decisione

L'appello è infondato e la sentenza impugnata va confermata.

1) Con riferimento al primo motivo di appello, muovendo dal criterio di valutazione della prova testimoniale della persona offesa dal reato dettato dalla Cassazione a Sezioni Unite, correttamente applicato dal giudice di primo grado, si perviene ad un giudizio di insussistenza del reato in esame, per insufficienza della prova che il fatto sussista.

La teste S.G., costituita parte civile, ha riferito di avere intrattenuto una relazione con T.U. nel corso della quale era nata una bambina. Un giorno il T., per una insignificante lite intervenuta con i suoi genitori, era andato improvvisamente via di casa e da quel momento aveva iniziato a perseguitarla: aveva iniziato a mandarle messaggi, a minacciarla, a venire sotto casa tutti i giorni e a tutte le ore, anche la notte e la mattina; scuoteva la porta o la imbrattava di feci e si arrampicava sulla casa fino alla finestra. Tale situazione si era ripetuta varie volte; il T. in particolare minacciava di toglierle la bambina, creava situazioni imbarazzanti, come prendere a pugni il muro; altre volte veniva a prendere la bambina fuori orario e la costringeva ad aprire la porta, altrimenti iniziava a prenderla a calci.

Su domanda del PM la teste riferiva:

- di non essere mai stata malmenata, anche se una volta l'imputato le aveva dato una spinta e lei era caduta;

- che nel corso di conversazioni telefoniche con l'imputato, era stata minacciata, dicendo che se non avesse riposto al telefono lui si sarebbe recato da lei;

- che comportamenti posti in essere dall'imputato erano tanto insistenti e intollerabili da provocarle una elevata condizione di ansia, anzi, aveva dovuto cambiare "abitudini di vita" in quanto, prima delle menzionate condotte viveva da sola con la bambina ma dopo aveva dovuto cambiare casa, trovandone una accanto a quella dei genitori.

Il T. faceva in modo di dare continuamente segni della sua presenza, al telefono, alla porta, attraverso i carabinieri ed ogni volta l'imputato soleva affermare che lei non gli faceva vedere la bambina, anche se ciò non era vero; una volta, l'uomo si era persino arrampicato alla finestra di casa, spaventandola non poco quando era comparso sulla veduta.

In alcune occasioni le aveva mandato degli sms in cui affermava che lei era matta e che lui pagava regolarmente le somme previste per il mantenimento della bambina, anche se ciò rispondeva al vero; quando veniva a vedere la bambina, in presenza della minore, le aveva rivolto frasi volgari e irrispettose, come "mi fai un bocchino" e in altre situazioni le aveva detto che l'avrebbe ammazzata e tolto la bambina.

Un giorno in cui doveva avere un colloquio di lavoro, si era raccomandata con il T. di venire a prendere la bambina ed essere puntuale; anziché osservare la sua richiesta lui le aveva scritto "é un tuo problema, non me ne frega niente" ed ella non si era potuta recare all'appuntamento; in altre occasioni le aveva portato indietro la bambina in anticipo, perché piangeva e non voleva stare con lui.

Le telefonate dell'imputato arrivavano a tutte le ore di giorno e di notte, anche alle cinque, alle tre, a mezzanotte, proprio quando lei metteva a letto la bambina, durante i pasti o in orario di riposo notturno.

Su domanda del difensore dell'imputato, la teste ha affermato:

- che era stato il T. a rivolgersi al Tribunale dei Minori senza dirle nulla, per toglierle la bambina; invece il Tribunale aveva disposto l'affidamento condiviso, riconoscendo all'imputato unicamente il diritto di visita;

- che lei non ha un lavoro ne' lo aveva al momento della convivenza con l'imputato;

- che la casa dove vivevano era in locazione e che l'imputato provvedeva al pagamento "solo in minima parte";

- che la ragione del suo trasferimento dai propri genitori non era dovuta a ragioni economiche, ma alla sua paura dell'imputato, tanto che anche la nuova casa era in affitto;

- quando si preparava il processo al Tribunale dei Minori, le diceva: "meno 1, meno 2, meno 3" con gli sms;

- che l'imputato vive a Roma;

su domanda del Tribunale la teste ha dichiarato:

- che a seguito del processo le uniche condotte di disturbo attuate dall'imputato sono state realizzate mediante chiamate telefoniche, in quanto avrebbe capito che i messaggi "vengono visti";

- che nel corso delle sue chiamate di disturbo, l'imputato avrebbe utilizzato cinque utenze diverse, che tuttavia non era in grado di precisare;

- che lei aveva provato dire all'imputato di chiamare solo un giorno a settimana per mettersi d'accordo in ordine alle modalità dell'esercizio del diritto di visita, ma a lui non era importato nulla.

Ciò premesso, rileva il Collegio come le altre fonti di prova, indicate dall'appellante non confermino la testimonianza della parte civile.

a) Il teste G.S., Comandante della Stazione CC di Cottanello, ha riferito di essersi occupato di diverse denunce presentate da S.G. per atti persecutori. Per questo, in una prima occasione egli aveva provveduto ad acquisire i tabulati telefonici dell'utenza in uso alla donna, verificando che il traffico telefonico proveniente dall'imputato (mediante l'utenza 347******* a lui formalmente intestata) era considerevole, risultando pari a circa al 40% del traffico telefonico totale della donna. Il Comandante, peraltro, ha riferito di non essere mai intervenuto personalmente a seguito delle richieste di intervento pervenute al comando, dicendo che le c.n.r. redatte riguardavano sempre occasioni in cui erano previste visite del T. alla bambina posta in affidamento congiunto. In alcune di queste occasioni la denunciante aveva lamentato che l'imputato si era presentato fuori orario o un giorno diverso da quello previsto pertanto si rifiutava di consegnargli la bambina; da ciò nascevano litigi, da cui scaturiva la richiesta di intervento dei carabinieri. In atre occasioni, il T. si presentava in orario e giorni coretti, ma la donna non consegnava la bambina affermando che era malata; in questi casi, quando erano intervenuti, i militari avevano chiesto alla donna di documentare la circostanza mediante esibizione di certificati medici che però non erano poi stati presentati. Su domanda della p.c. il teste riferiva che militari della stazione erano intervenuti anche in una occasione in cui la signora S. aveva lamentato che l'imputato si era appostato fuori dalla propria abitazione in modo assertivamente molesto; loro erano intervenuti e l'uomo aveva detto che, non avendo potuto vedere la bambina, si era messo nei pressi di casa per sentirne la voce. Su domanda a chiarimento in merito, il teste riferiva di non aver controllato se detta occasione corrispondesse o meno ad uno dei giorni di visita in cui l'imputato era abilitato al prelievo della figlia.Su domanda della difesa dell'imputato, il teste confermava che anche il T. aveva presentato più di una querela contro la ex compagna.

Emerge dunque dalla deposizione di un teste senz'altro affidabile e indipendente, che gli interventi di p.g. furono effettuati in occasione di tentativi di incontro tra il T. e la propria figlia. Il fatto che gli orari di visita non fossero esattamente quelli indicati come corretti dalla S., non costituisce a parere di questa Corte un elemento indiziante di volontà persecutoria.

Infatti, recandosi presso la casa in cui dimorava la figlia minorenne con la precisa e manifesta volontà di vederla, il T. non recava per ciò solo molestia alla madre affidataria. A tale proposito, non si può affermare con certezza che la finalità di incontrare la figlia fosse un mero pretesto per molestare la ex convivente, anche tenuto conto dei comportamenti significativi tenuti dall'imputati in seguito al diniego opposto dalla S. all'incontro.

Difatti il T. si arrampicava sulla finestra o sostava nei pressi della abitazione in cui dimorava la figlia per vederla o udirne la voce e del resto, ai dinieghi della S. di consegnare la bambina, come ha riferito il teste G., era il T. a rivolgersi ai Carabinieri e a riprova di ciò è emerso dalla deposizione del teste G. che i carabinieri, a fronte del diniego di consegna della minore per motivi di salute, richiesero senza alcun esito alla S. di giustificare con un certificato medico la malattia di cui sarebbe stata affetta la bambina.

b) Il teste V.R., in servizio alla Stazione dei Carabinieri di Cottanello, riferiva di avere effettuato un intervento per i fatti per cui è processo. In particolare, in data 6.5.09 verso le ore 18 su richiesta di S.G., era intervenuto con un collega per una 'lite con l'ex convivente'. Giunti sul posto entravano in contatto con un giovane che si trovava nel parcheggio del paese e che veniva individuato per l'attuale l'imputato, il quale diceva loro che probabilmente li aveva chiamati la propria ex convivente così ammettendo senza remore nella immediatezza di essere entrato in contrasto con la predetta poco prima. In quel frangente egli non potè far altro che raccogliere le dichiarazioni di ciascuno degli interessati. L'imputato, piuttosto agitato, affermava di essere stato offeso in presenza di una persona di cui faceva il nome. Parallelamente, gli S. erano assai agitati lamentando di essere stati offesi e minacciati dal T..

Dunque, dalla testimonianza di un teste completamente estraneo alla vicenda e imparziale per le funzioni svolte, emerge che nell'occasione citata vi fu tra le parti contrapposte una lite verbale con offese reciproche, elemento che non concorre in alcun modo a confermare l'assunto accusatorio.

c) Il teste A.E., in servizio presso la Stazione CC di Cottanello, premettendo che il fatto oggetto di processo si riferisce ad una vicenda prolungatasi nel tempo, ha riferito di avere effettuato più interventi, talvolta su richiesta del T., talvolta su richiesta della denunciante; in queste occasioni emergeva che una parte rimproverava all'altra di averla insultata o minacciata e l'altra adduceva di esser stata lesa nel proprio diritto a vedere la figlia.

Su domanda della difesa di pc il teste riferiva:

- di esser stato informato da parte della denunciante che la stessa aveva ricevuto sms che riteneva pertinenti al reato e che lui l'aveva sempre consigliata di conservarli e portare il telefono in caserma per consentirne l'annotazione; non ne ricordava però il contenuto;

- di sapere che, in base al provvedimento adottato dal Tribunale dei minori, il T. era ammesso al diritto di visita della figlia il giorno di giovedì e di avere anche constatato che il T. si recava presso l'abitazione della ex compagna in giorni diversi, peraltro ricordando che in due occasioni l'imputato riferiva di essere impossibilitato all'incontro il giorno previsto, per ragioni di lavoro o per problemi legati ai mezzi di trasporto. Su domanda della difesa dell'imputato, il teste riferiva - di ricordare che in più occasioni l'imputato aveva lamentato l'impossibilità di vedere la figlia per riferite ragioni di salute della stessa ma di non avere avuto modo di verificare la fondatezza delle ragioni addotte.

Dunque, un altro teste di polizia giudiziaria, altamente attendibile e circostanziato nella narrazione, ha riferito del dissidio esistente all'epoca tra gli ex conviventi a motivo dell'esercizio del diritto di visita del minorenne da parte del genitore non collocatario, il quale si recava talvolta presso il domicilio della figlia in giorni diversi da quello stabilito. Non è tuttavia ragionevole riconoscere all'inosservanza del calendario la prova dell'azione e della volontà persecutoria in danno del genitore affidatario anche considerato che, essendo il giovedì un giorno lavorativo, non era sempre possibile per il genitore non affidatario recarsi a far visita alla figlia. Può dirsi certo che l'inosservanza del calendario fosse foriero di liti e di eccessi verbali da ambo le parti, ma non è in alcun modo provato che l'atteggiamento reattivo del coniuge al diniego della visita settimanale con la figlia fosse volto a perseguitare o rendere la vita intollerabile alla ex convivente. In ogni caso, va rilevato che non sempre il T. si recava a visita in giorni diversi dal giovedì dal momento che, come è emerso dalle testimonianze precedenti, la S. aveva diverse volte addotto motivi di salute ostativi alla consegna della figlia, giustificazione ragionevolmente necessaria solo se il padre si fosse recato a visita nel giorno della settimana stabilito. Può dirsi pertanto che l'inosservanza del calendario non fosse usuale con la conseguenza che il dissidio in materia di diritto di visita non fosse un mero pretesto ma un reale punto di frizione tra le parti. In conclusione, può dirsi pertanto plausibile quanto affermato dall'imputato nel corso dell'esame, secondo cui la contestazione si colloca in un contesto di continue discussioni con la ex convivente dettate dal fatto che egli no riusciva a vedere la figlia e nel contesto delle quali si scatenavano scontri verbali.

1.2) Il vaglio di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa dal reato costituita parte civile. Come ha correttamente rilevato il giudice di primo grado, il vaglio di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa costituita parte civile deve essere più rigoroso di quello previsto per i testimoni comuni dato l'interesse patrimoniale sotteso alla sua partecipazione al giudizio (che nel caso di specie si estrinseca in 50.000,00 Euro a titolo di danni materiali e morali).

Ciò premesso, rileva il Collegio che alcuni degli episodi più significativi narrati dalla teste (imbrattamento della porta mediante feci, episodio del colloquio di lavoro), non sono stati riferiti nè confermati da alcun altro teste. I prossimi congiunti della S. hanno reso deposizioni genericamente confermative della narrazione della denunciante (episodio dell'arrampicamento sulla finestra) in forma palesemente poco serena ed obiettiva, in quanto chiaramente condizionate da un generalizzato sentimento ai prevenzione e sfiducia nei confronti dell'imputato, narrando di episodi che nemmeno la teste principale aveva menzionato. Emblematico il caso delle asserite percosse ai danni della propria figlia riferite dal padre della S., la quale invece ha negato di esser mai stata picchiata dall'imputato e non può quindi rapportarsi all'azione dell'imputato il certificato di pronto soccorso prodotto in atti e risalente al 25.7.11.

Come si è detto, le deposizioni rese dai diversi testi di PG ascoltati nel corso del processo non hanno fornito effettivo conforto e riscontro alla ricostruzione resa dalla denunciante, che, per parte sua, non ha mai dato seguito agli inviti rivolti da personale di PG di richiedere la verbalizzazione del contenuto degli sms ricevuti, di guisa che il pur rilevante traffico telefonico in entrata sull'utenza della denunciante, proveniente da utenze riferibili a dire della denunciante all'imputato, nulla riscontrano in termini di minaccia e intimidazione.

A sostegno del legittimo diniego all'esercizio della visita da parte del padre, non si rinvengono in atti certificati medici relativi a malattie ostative di cui fosse affetta la minore e quanto alla documentazione prodotta in atti denominata "certificazione di visita di T. Alessandra" datata 13.4.11, la stessa, come ha correttamente rilevato il giudice di primo grado, deve ritenersi priva di valore probatorio, essendo priva della indicazione della sua provenienza da un medico.

In conclusione, all'esito della valutazione della prova testimoniale e degli elementi di riscontro che si reputano necessari ai fini della valutazione della attendibilità della principale fonte di prova, questa Corte ritiene di condividere il giudizio di non piena attendibilità della denunciante costituitasi parte civile formulato dal giudice di prime cure.

Peraltro, come si vedrà, gli altri episodi riferibili all'imputato, come la presenza costante nei pressi dell'abitazione della S., i calci alla porta - ma non rottura della stessa - le telefonate particolarmente frequenti non possono ritenersi, nel quadro complessivo dei rapporti fra i soggetti del reato, esclusivamente riconducibili ad un intento persecutorio, essendo alternativamente ipotizzabile che l'atteggiamento del T. fosse diretto ad avere contatti visivi con la figlia allorchè ciò non gli veniva consentito.

1.3) Il dolo.

Rileva la Corte che, secondo costante principio di diritto, nel delitto di atti persecutori, l'elemento soggettivo è integrato dal dolo generico, che consiste nella volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice, e che, avendo ad oggetto un reato abituale di evento, deve essere unitario, esprimendo un'intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica, anche se può realizzarsi in modo graduale, non essendo necessario che l'agente si rappresenti e voglia fin dal principio la realizzazione della serie degli episodi. (Cass.Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014 - dep. 08/05/2014, C e altro, Rv. 26041101).

Ciò premesso in diritto, dall'istruzione dibattimentale, emergono una serie di episodi connessi tra loro dall'essere originati dalla volontà dell'agente di esercitare, pur con modalità personalizzate ed ridondanti, il diritto di visita della figlia minorenne e non ad un reale intento persecutorio in danno della ex convivente.

Il contesto logorato, conflittuale ed esasperatamente litigioso che ha obiettivamente fatto seguito allo scioglimento della sua coppia, fa da sfondo all' alterato tentativo da parte del T. di esercitare il diritto a frequentare e tenere con sé la propria figlia. Non emerge di contro alcun elemento di prova che induca a ritenere che la condotta del T. fosse volutamente diretta a creare attorno alla ex convivente un clima di paura per la propria incolumità personale o a costringerla a mutare le proprie abitudini di vita. Il mutamento di residenza da parte della donna in realtà nel contesto post - separazione può alternativamente essere letto come un avvicinamento, anche per ragioni logistiche e di opportunità, alla casa dei propri genitori e non a sfuggire alle condotte persecutorie dell'ex convivente, il quale avrebbe potuto reiterare anche nel nuovo domicilio (facilmente individuabile) le proprie condotte intimidatrici con analoghe visite indesiderate o a mezzo telefono cellulare.

Dunque, dall'istruzione dibattimentale non può dirsi sufficientemente provato l'elemento psicologico del reato, ossia il dolo necessario alla consumazione del reato inteso quale consapevolezza della idoneità delle proprie condotte alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice, ossia ingenerare il fondato timore di per l'incolumità propria o costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. Ed invero, le condotte ascrivibili all'imputato, in quanto unicamente ispirate al una volontà criminosa unificatrice dei singoli atti in funzione persecutoria della vittima al fine di indurla in una condizione di permanente intimidazione o a farle mutare abitudini di vita, restando le condotte del T. confinate nell'ambito del tentativo di conservare, sia pure attraverso atti dimostrativi, abnormi ed insistenti, i propri contatti con la figlia.

2) La produzione documentale della parte civile. Reputa il collegio che nulla rilevino le prove documentali offerte dalla parte civile. Ed invero, della sentenza di condanna per il delitto di cui all'art. 660 c.p. per le numerose telefonate e messaggi sms inviati dal T. alla S. con il pretesto di avere notizie della figlia, non si condivide l'assunto secondo cui la pretestuosità delle comunicazioni del T. con la S. si ricaverebbe dal fatto che i messaggi sms e le telefonate si verificavano nei giorni non previsti dalle visite: difatti, il contesto altamente conflittuale determinatosi dopo la separazione, per come emerso nella fase istruttoria di primo grado e la volontà manifestata dallo stesso T. di incontrare la figlia sia pure in giorni diversi da quello stabilito, induce a ritenere la conflittualità tra i coniugi in tema del diritto di visita della minorenne permanente e non circoscritta al solo giorno previsto di vista (come si è visto non sempre osservato), di guisa che a nulla rileva a fini di prova la non concomitanza dei messaggi sms o delle telefonate in giorni diversi da quelli di visita.

Con riferimento al decreto del Tribunale dei Minorenni con cui è stata sospesa nei confronti del T. la potestà genitoriale, rileva il Collegio come il percorso di sostegno alla genitorialità attivato anche per il padre non sia andato a buon fine a causa della perdurante conflittualità tra la coppia genitoriale e l'ostilità dell'uomo verso la ex compagna; il che non fa che confermare la conclusione del giudice di primo grado e di questo Collegio in ordine all'origine delle condotte ascritte all'imputato, le quali si iscrivono nel citato contesto di contrasto interpersonale successivo alla separazione in merito alla visita e allo stesso affidamento della figlia. Non va infatti dimenticato che, per ammissione della stessa S., il primo a ricorrere al Tribunale del Minorenni per l'affidamento esclusivo della bambina fu proprio il T., che mai lo rivelò alla moglie innescando in questo modo un insanabile contrasto con la ex convivente.

Dal complesso delle prove raccolte non può che derivare la conferma della sentenza di primo grado perché il fatto non sussiste.

2) Con riferimento al secondo motivo di appello, rileva il Collegio che, dal rigetto del primo dei motivi di gravame in punto di insussistenza della responsabilità penale, deriva la reiezione anche del secondo motivo di appello con cui viene richiesta la condanna al risarcimento dei danni alla costituita parte civile in complessivi 50.000,00 Euro. In ogni caso, va rilevato come, della non marginale somma richiesta a titolo risarcitorio, non sia data alcuna giustificazione concreta in rapporto a specifiche sofferenze o danni esistenziali per perdita di occasioni lavorative.

P.Q.M.
Visti gli artt. 592, 605 c.p.p., conferma la sentenza del Tribunale di Rieti pronunciata nei confronti di T.U. in data 25 giugno 2014 appellata dalla costituita parte civile S.G. che condanna al pagamento delle spese del giudizio di appello. Compensa tra le parti private le spese sostenute.

Indica in gg. 90 il termine per il deposito della motivazione.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2018.

Depositata in Cancelleria il 30 gennaio 2018.