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Insegnante che usa violenza anche morale è sempre reato (Cass. 7969/20)

27 febbraio 2020, Cassazione penale

In ambito scolastico, il potere educativo o disciplinare, quale che sia l'intenzione del soggetto attivo, deve sempre essere esercitato con mezzi consentiti e proporzionati alla gravità del comportamento deviante del minore, senza superare i limiti previsti dall'ordinamento o consistere in trattamenti afflittivi dell'altrui personalità, sicché integra il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina il comportamento dell'insegnante che faccia ricorso a qualunque forma di violenza, fisica o morale, ancorché minima ed orientata a scopi educativi

In tema di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, la nozione di malattia è più ampia di quelle concementi l'imputabilità o i fatti di lesione personale, estendendosi fino a comprendere ogni conseguenza rilevante sulla salute psichica del soggetto passivo, dallo stato d'ansia all'insonnia, dalla depressione ai disturbi del carattere e del comportamento.

Corte di Cassazione

sez. VI Penale

sentenza 22 gennaio – 27 febbraio 2020, n. 7969
Presidente Criscuolo – Relatore Giorgi

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 15/04/2019 la Corte d'appello di Lecce, sez. dist. di Taranto, ha confermato quella 21/02/2017 del G.u.p. del Tribunale di Taranto, che all'esito di giudizio abbreviato condannava Ma. An. Lo. alla pena di mesi tre di reclusione, per il reato di abuso dei mezzi correzione di cui all'art. 571 cod. pen. - così riqualificata l'originaria imputazione di maltrattamenti -, commesso in danno degli alunni (fra i 3 e i 5 anni) della scuola d'infanzia "E. De Amicis" di Montesemola, dal settembre 2013 al giugno 2014, cagionando ad essi disagi psico-fisici, come disturbi del sonno, rifiuto della scuola, manifestazioni di pianto, intolleranza ai rimproveri.

Quanto all'integrazione degli elementi oggettivo e soggettivo del reato, la Corte ripercorreva, condividendolo, l'iter argomentativo del primo giudice. Questi, pur dando atto del giudizio espresso dal perito d'inaffidabilità delle dichiarazioni rese dai minori in sede d'incidente probatorio, per la tardività dell'atto rispetto agli eventi e per l'ormai sopravvenuta influenza suggestiva esterna o compromissione della capacità a testimoniare degli stessi, aveva fatto leva su quanto accertato alla luce delle originarie e spontanee dichiarazioni rese da alcuni minori (le sorelline El., i piccoli An., Gr., Ma., Sp.) nell'immediatezza dei fatti ai propri genitori e che avevano trovato un obiettivo e coerente riscontro esterno nelle deposizioni testimoniali della dirigente scolastica En. Sa., e della maestra An. Sp. che coadiuvava la Lo. nella stessa classe. Era infatti, emerso con certezza che l'imputata mancava di pazienza nell'interagire con gli alunni, soprattutto con i più fragili, lenti o introversi, che umiliava verbalmente, utilizzava un martelletto sbattuto sulla cattedra per imporre l'ordine e il silenzio, urlava e sgridava i bambini con toni di voce molto alti, aveva dato uno schiaffo a due di essi, Cr. Ba. e Mi. An., minacciava i più vivaci e disobbedienti di rinchiuderli in un armadietto. Comportamenti non professionali, questi, che avevano determinato nei bambini comportamenti anomali e regressivi rispetto al processo di crescita, con manifestazioni di ansia, paura, disturbi del sonno e alimentari, incontinenza e disagio psicologico.
Circa il diniego delle attenuanti generiche la Corte territoriale ribadiva che le allarmanti modalità dei fatti, protrattisi per diversi mesi in danno di bambini in tenera età, e la persistente noncuranza dimostrata di fronte ai richiami della dirigente e della collega giustificavano l'apprezzamento sfavorevole del primo giudice.

2. Avverso la suindicata sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputata, il quale ha dedotto con sei - distinti ma in parte connessi - motivi di ricorso:
- l'insufficiente e la contraddittoria motivazione per "radicale travisamento del fatto", circa l'affermata attendibilità del racconto dei bambini, pur ritenuto dal perito inquinato dall'influenza suggestiva degli interventi genitoriali, e l'effettivo tenore delle dichiarazioni rese dalla maestra Sp., donde l'esigenza non avvertita dai giudici di appello di un'integrazione probatoria sul punto;
- la violazione dell'art. 195 cod. proc. pen. e l'omessa motivazione per l'utilizzazione delle dichiarazioni de relato dei genitori dei bambini, il cui racconto era stato considerato non genuino e inattendibile dal perito;
- la violazione di legge e il vizio della motivazione in relazione ai presupposti normativi della declaratoria di responsabilità per il reato di cui all'art. 571 cod. pen., avendo inoltre la Corte d'appello ritenuto sussistente, ai fini della rilevanza penale della fattispecie, il rischio di causazione di malattia nel corpo o nella mente, che non trovava invece alcun riscontro probatorio;
- la violazione di legge e il vizio motivazionale circa il diniego delle attenuanti generiche nonostante l'incensuratezza dell'imputata.

Considerato in diritto

1. I motivi di ricorso si palesano tutti inammissibili siccome per un verso manifestamente infondati e per altro verso aspecifici.

2. Inammissibili devono ritenersi i - distinti ma strettamente connessi -profili di censura sostanzialmente orientati a riprodurre un quadro di argomentazioni già ampiamente vagliate e correttamente disattese dai giudici di merito, ovvero a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle risultanze processuali, in tal guisa richiedendo, sul presupposto di una valutazione alternativa delle fonti di prova (con particolare riguardo alla tesi della totale e radicale inaffidabilità della narrazione dei bambini), l'esercizio di uno scrutinio improponibile in questa sede; ciò a fronte della linearità e della logica conseguenzialità che caratterizzano viceversa la scansione delle sequenze motivazionali dell'impugnata decisione.

Il giudice d'appello ha linearmente ricostruito, infatti, il compendio probatorio posto a fondamento dell'affermazione di responsabilità dell'imputata, ha confutato i motivi di gravame e ha posto in rilievo i dirimenti profili storico-fattuali della vicenda, facendo leva:
- sulle spontanee e immediate propalazioni rese dai bambini ai genitori, da questi puntualmente e coerentemente riferite de relato o direttamente verificate, in merito a specifici comportamenti o episodi vessatori della maestra (come il rivolgersi ai bimbi più fragili, lenti o introversi con termini umilianti, l'utilizzare un martelletto sbattuto sulla cattedra per imporre l'ordine e il silenzio, l'urlare e sgridare i bambini con toni di voce molto alti, usare la forza o schiaffeggiare taluno di essi, minacciava i più vivaci di rinchiuderli in un armadietto), così da travalicare le finalità proprie del normale processo educativo;
- sugli obiettivi riscontri probatori della genuinità e conducenza di tali racconti, rinvenuti nelle circostanziate e univoche dichiarazioni della dirigente scolastica e della maestra che si alternava con l'imputata nella stessa classe: riscontri che s'estendevano agli effetti nocivi delle denunziate condotte sulla salute psichica dei minori, pure direttamente rappresentati dai genitori e individuati in atteggiamenti frutto di un evidente stato di ansia e di disagio e in una serie di disturbi psico-somatici.

Va rimarcato in proposito che, in ambito scolastico, il potere educativo o disciplinare, quale che sia l'intenzione del soggetto attivo, deve sempre essere esercitato con mezzi consentiti e proporzionati alla gravità del comportamento deviante del minore, senza superare i limiti previsti dall'ordinamento o consistere in trattamenti afflittivi dell'altrui personalità, sicché integra il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina il comportamento dell'insegnante che faccia ricorso a qualunque forma di violenza, fisica o morale, ancorché minima ed orientata a scopi educativi (Sez. 6, n. 34492 del 14/06/2012, Rv. 253654; Sez. 5, n. 47543 del 16/07/2015, Rv. 265496; Sez. 6, n. 9954 del 03/02/2016, M., Rv. 266434).

Muovendo da tale impostazione, entrambi i giudici di merito hanno sottoposto ad un rigoroso vaglio critico tutti i profili della vicenda e, disattendendo motivatamente la tesi difensiva della radicale inaffidabilità del racconto dei bambini, hanno affermato, con congrue ed esaustive argomentazioni, come l'accertato impiego di metodi educativi rigidi ed autoritari, basati sul ricorso a comportamenti violenti o costrittivi, del tipo di quelli utilizzati dall'imputata, si riveli pericoloso e talora dannoso per la salute psichica degli alunni. E ciò in linea con il costante insegnamento giurisprudenziale di questa Suprema Corte (Sez. 6, n. 16491 del 07/02/2005, Rv. 231452; Sez. 3, n. 49433 del 22/10/2009, Rv. 245753; Sez. 6, n. 19850 del 13/04/2016, S., Rv. 267000), secondo cui, in tema di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, la nozione di malattia è più ampia di quelle concementi l'imputabilità o i fatti di lesione personale, estendendosi fino a comprendere ogni conseguenza rilevante sulla salute psichica del soggetto passivo, dallo stato d'ansia all'insonnia, dalla depressione ai disturbi del carattere e del comportamento.

3. Anche con riguardo al trattamento sanzionatorio, oggetto di specifica doglianza difensiva, le valutazioni fattuali dei giudici di merito, circa la immeritevolezza delle attenuanti generiche, in considerazione della gravità degli episodi protrattisi per diversi mesi, in danno di bambini in tenera età, e della persistente noncuranza dimostrata di fronte ai richiami della dirigente e della collega, sono sorrette da un argomentato apparato motivazionale, perciò insindacabile in sede di controllo di legittimità.
4. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ed a versare a favore della Cassa delle ammende una somma, che si ritiene congruo determinare in duemila Euro.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 22/01/2020