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Ingiusta detenzione va indennizzata secondo caso concreto (Cass. 46772/13)

22 novembre 2013, Cassazione penale

La nozione di "colpa grave" ostativa del diritto alla riparazione dell'ingiusta detenzione, va individuata in quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile ragione di intervento dell'autorità giudiziaria, che si sostanzi nell'adozione o nel mantenimento di un provvedimento restrittivo della libertà personale.

La colpa grave può concretarsi in comportamenti sia processuali sia di tipo extraprocessuale, come la grave leggerezza o la macroscopica trascuratezza, tenuti sia anteriormente che successivamente al momento restrittivo della libertà personale; onde, l'applicazione della suddetta disciplina normativa non può non imporre l'analisi dei comportamenti tenuti dall'interessato, anche prima dell'inizio dell'attività investigativa e della relativa conoscenza, indipendentemente dalla circostanza che tali comportamenti non integrino reato.

Il comportamento silenzioso o mendace dell'indagato o dell'imputato, che, per quanto legittimamente tenuto nel procedimento penale, abbia finito con il non chiarire la propria posizione mediante l'allegazione di quelle circostanze, a lui note, idonee a contrastare l'accusa o a vincere le ragioni di cautela, può integrare la nozione di colpa grave ai fini di escludere il diritto all'indennizzo da ingiusta detenzione.

Il parametro aritmetico per calcolare l'indennizzo per ogni giorno di detenzione ingiusta  costituisce uno standard che fa riferimento all'indennizzo in un'astratta situazione in cui i diversi fattori di danno derivanti dall'ingiusta detenzione si siano concretizzati in modo medio ed ordinario; con la conseguenza che tale parametro può subire variazioni verso l'alto o verso il basso in ragione di specifiche contingenze proprie del caso concreto.

Al giudice è chiesta una valutazione che pur equitativa, non può mai essere arbitraria, onde egli è tenuto ad offrire una adeguata motivazione che dia conto, alla luce del materiale probatorio acquisito, delle ragioni per le quali si è distaccato dai parametri standard, con l'unico limite che il frutto della sia determinazione non può condurre allo sfondamento del tetto, normativamente fissato, dell'entità massima della liquidazione.

Precedenti carcerazioni  non costituiscono un valido elemento da cui desumere, automaticamente e necessariamente, una minore afflittività del periodo di detenzione, dato che la esistenza di precedente esperienza carceraria può avere, secondo i casi, sia un effetto di riduzione della sofferenza cagionata dalla carcerazione sia un effetto di massimizzazione di quella sofferenza.

 

Cassazione penale

sez. IV, (ud. 24/10/2013, dep. 22/11/2013), n.46772


RITENUTO IN FATTO

M.Z., a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso l'ordinanza della Corte di Appello di Venezia con la quale è stata accolta la sua istanza di riparazione per l'ingiusta detenzione subita per due giorni e liquidata la somma di Euro 300,00, mentre è stata rigettata in relazione al residuo periodo del mantenimento della custodia cautelare per la ritenuta sussistenza della condotta ostativa ex art. 314 c.p.p..

Il M., giudicato dal Tribunale dei minorenni per i reati di rapina aggravata, tentato omicidio, porto illegale di armi ed altro, era stato assolto in via definitiva con la formula per non aver commesso il fatto.

La Corte territoriale, nel motivare il rigetto parziale, ha ritenuto che l'istante aveva concorso al mantenimento della custodia cautelare omettendo in sede di interrogatorio di fornire chiarimenti sulla sua presenza in casa nella notte del fatto e nelle ore antecedenti la rapina, così fornendo un alibi falso.

Quanto alla liquidazione dell'indennizzo,il giudice della riparazione ha applicato il parametro aritmetico pari ad Euro 235,82 per ogni giorno di restrizione ingiusta, riducendolo ad Euro 150,00 per la rilevanza negativa dei precedenti penali dell'istante.

Il ricorrente ha articolato tre motivi di censura.

Con il primo motivo deduce la violazione dell'art. 314 c.p.p., censurando l'interpretazione data dal giudice di merito della colpa grave e sostenendo l'ininfluenza, ai fini del mantenimento della custodia cautelare, della circostanza afferente la sua presenza in casa nella notte della rapina, dallo stesso falsamente affermata agli inquirenti, a fronte del quadro indiziario complessivo a suo favore.

Con il secondo motivo lamenta che il giudice della riparazione, violando i principi affermati dalle Sezioni unite con la sentenza Ambrosio, aveva fondato la colpa grave su elementi indiziari a disposizione del giudice della cautela, valutati diversamente dal giudicante, che aveva pronunciato sentenza assolutoria.

Con il terzo motivo censura la statuizione nella parte in cui aveva riconosciuto per due giorni, a titolo di liquidazione del diritto alla riparazione, la somma complessiva di Euro 300,00 dimenticando, ai fini del calcolo dell'indennizzo, che i termini per la custodia cautelare per i minori degli anni 18 sono ridotti della metà e operando una illegittima riduzione facendo riferimento all'esistenza di precedenti condanne in capo all'istante.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è parzialmente fondato con riferimento al terzo motivo.

Il primo motivo è infondato.

Va, innanzitutto ricordato che nel procedimento per la riparazione dell'ingiusta detenzione, il sindacato del giudice di legittimità sull'ordinanza che definisce il procedimento per la riparazione dell'ingiusta detenzione è limitato alla correttezza del procedimento logico giuridico con cui il giudice è pervenuto ad accertare o negare i presupposti per l'ottenimento del beneficio.

Resta invece nelle esclusive attribuzioni del giudice di merito, che è tenuto a motivare adeguatamente e logicamente il suo convincimento, la valutazione sull'esistenza e la gravità della colpa o sull'esistenza del dolo (v. tra le tante, da ultimo, Sezione 4, 11 aprile 2012, n. 21896, Hilario, rv. 253325).

Ciò detto, l'ordinanza impugnata sfugge da censure in questa sede, perchè fa corretta applicazione dei principi di diritto operanti nella subiecta materia ed è assistita da congrua motivazione.

La decisione, infatti, è in linea con il principio in forza del quale, in materia di riparazione per l'ingiusta detenzione, ai fini dell'accertamento della sussistenza della condizione ostativa della "colpa grave" dell'interessato, pur dovendosi considerare l'insindacabile diritto al silenzio da parte della persona sottoposta alle indagini e dell'imputato (che hanno il diritto di difendersi anche con il silenzio, la reticenza o il mendacio), il giudice ben può valutare il comportamento silenzioso o mendace per escludere il suo diritto all'equo indennizzo.

Infatti, anche nel necessario rispetto delle strategie difensive adottate in sede penale, nel procedimento de quo è possibile valutare, per escludere il diritto all'indennizzo, il comportamento silenzioso o mendace dell'indagato o dell'imputato, che, per quanto legittimamente tenuto nel procedimento penale, abbia finito con il non chiarire la propria posizione mediante l'allegazione di quelle circostanze, a lui note, idonee a contrastare l'accusa o a vincere le ragioni di cautela (cfr., in tal senso, Sezione 4, 17 novembre 2011, n. 7296, Berdicchia, rv 251928).

La decisione gravata rispetta il suddetto principio, avendo valorizzato come sopra dettagliato il comportamento gravemente imprudente del prevenuto che, in sede di primo interrogatorio, si era avvalso della facoltà di non rispondere e nel successivo interrogatorio aveva mentito affermando di essere rimasto a casa nella notte del fatto.

Anche il secondo motivo è infondato.

Il giudice della riparazione, chiamato a pronunciarsi sull'ingiusta detenzione, per valutare se chi l'ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito una motivazione che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità.

Al riguardo, il giudice deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine di stabilire, con valutazione ex ante (e secondo un iter logico- motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito), non se tale condotta integri estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell'autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di "causa ad effetto" (cfr., tra le tante, la citata sentenza Hilario).

La Corte di merito ha proceduto secondo le suindicate indicazioni di principio, attraverso l'analisi del quadro indiziario, venuto meno,e solo parzialmente, in dibattimento, per mancata acquisizione del verbale di audizione del teste ex art. 500 c.p.p. ed ha valorizzato negativamente il fatto che l'istante non era stato rintracciato a casa nella notte del fatto.

La motivazione sul punto fornita è congrua e resiste alla lettura di segno diverso operata nel ricorso.

Va del resto ricordato che la nozione di "colpa grave" di cui all'art. 314 c.p.p., comma 1, ostativa del diritto alla riparazione dell'ingiusta detenzione, va individuata in quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile ragione di intervento dell'autorità giudiziaria, che si sostanzi nell'adozione o nel mantenimento di un provvedimento restrittivo della libertà personale. A tal riguardo, la colpa grave può concretarsi in comportamenti sia processuali sia di tipo extraprocessuale, come la grave leggerezza o la macroscopica trascuratezza, tenuti sia anteriormente che successivamente al momento restrittivo della libertà personale; onde, l'applicazione della suddetta disciplina normativa non può non imporre l'analisi dei comportamenti tenuti dall'interessato, anche prima dell'inizio dell'attività investigativa e della relativa conoscenza, indipendentemente dalla circostanza che tali comportamenti non integrino reato (anzi, questo è il presupposto, scontato, dell'intervento del giudice della riparazione) (di recente, Sezione 4, 12 febbraio 2010, Petrozza).

Infondata è la deduzione afferente l'asserita violazione dei principi sanciti dalla richiamata sentenza delle Sezioni unite D'ambrosio, che si riferisce alla diversa ipotesi, prevista dall'art. 314 c.p.p., comma 2, cioè ai casi in cui sia stato accertato che il provvedimento custodiale è stato emesso o mantenuto in assenza delle condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 c.p.p..

Fondato è, invece, il terzo motivo.

La questione innanzitutto da affrontare è se, anche nel caso di imputato minorenne, il dato di partenza della valutazione indennitaria, che va necessariamente tenuto presente, è costituito, dal parametro aritmetico, calcolato secondo i criteri indicati dalla sentenza delle v. Sezioni unite, 9 maggio 2001, Caridi, individuato, alla luce dei criteri sotto indicati, nella somma di Euro 235, 82 per ogni giorno di detenzione in carcere ed in quella della metà per ogni giorno di arresti domiciliari, in ragione della ritenuta minore afflittività della pena.

A tale conclusione la giurisprudenza di legittimità è pervenuta rilevando la necessità di contemperare il parametro aritmetico - costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell'indennizzo di cui all'art. 315 c.p.p., comma 2, (Euro 516.456,90) e il termine massimo della custodia cautelare di cui all'art. 303 c.p.p., comma 4, lett. c), espresso in giorni (sei anni ovvero 2190 giorni), moltiplicato per il periodo anch'esso espresso in giorni, di ingiusta restrizione subita - con il potere di valutazione equitativa attribuito al giudice per la soluzione del caso concreto, che non può mai comportare lo sfondamento del tetto massimo normativamente stabilito.

Secondo i principi costantemente affermati da questa Corte tale criterio aritmetico di calcolo, rispetto al quale, in particolare, la somma che ne deriva Euro 235,82, per ciascun giorno di detenzione in carcere può essere ragionevolmente dimezzata Euro 117,91 nel caso di detenzione domiciliare, attesa la sua minore afflittività, costituisce, però, solo una base utile per sottrarre la determinazione dell'indennizzo ad un'eccessiva discrezionalità del giudice e garantire in modo razionale una uniformità di giudizio.

Il parametro aritmetico indicato, pertanto, costituisce uno standard che fa riferimento all'indennizzo in un'astratta situazione in cui i diversi fattori di danno derivanti dall'ingiusta detenzione si siano concretizzati in modo medio ed ordinario; con la conseguenza che tale parametro può subire variazioni verso l'alto o verso il basso in ragione di specifiche contingenze proprie del caso concreto. In ogni caso, al giudice è chiesta una valutazione che pur equitativa, non può mai essere arbitraria, onde egli è tenuto ad offrire una adeguata motivazione che dia conto, alla luce del materiale probatorio acquisito, delle ragioni per le quali si è distaccato dai parametri standard, con l'unico limite che il frutto della sia determinazione non può condurre allo sfondamento del tetto, normativamente fissato, dell'entità massima della liquidazione (cfr. Sezione 4, 16 luglio 2009 - 5 novembre 2009 n. 42510, Ric. Ministero dell'economia in proc. Morelli).

Trattandosi di un parametro standard, nel senso sopra indicato, ritiene il Collegio che lo stesso sia applicabile anche nella ipotesi che la ingiusta detenzione sia riferita ad un imputato minorenne, come nel caso in esame, applicabile sempre che non siano individuati fattori eccezionali, suscettibili, nel caso concreto, di alterare il rapporto che il legislatore ha inteso fissare tra i predetti termini.

L'altra questione da affrontare è se la somma ottenuta, applicando i suddetti parametri, possa essere ridotta facendo riferimento alle precedenti condanne. Nella specie, la Corte d'appello ha ritenuto che la somma spettante al M., alla luce del criterio aritmetico, per i due giorni di ingiusta dovesse essere ridotta in Euro 300,00 (Euro 150,00 per ogni giorno di detenzione) in considerazione della circostanza che il ricorrente risultava avere precedenti condanne, essendo ragionevole ritenere che, in tal caso, il danno derivante dalla ingiusta detenzione sofferta sia minore.

Ritiene il collegio di non condividere tale affermazione, non potendo la circostanza indicata costituire un valido elemento da cui desumere, automaticamente e necessariamente, una minore afflittività del periodo di detenzione (v. in tal senso di recente, Sez. 3, 20 gennaio 2011, n. 17404, Tripodi, rv. 250279, che richiama, per contrastarlo, il diverso orientamento, che giustifica tale riduzione, nelle ipotesi di precedenti condanne e detenzioni, facendo riferimento alla minore afflittività in tali casi della privazione della libertà personale, riconducibile sia al minore discredito che l'evento comporta per una persona la cui immagine sociale è già compromessa, sia al fatto che la sua dimestichezza con l'ambiente carcerario rende meno traumatica l'ingiusta privazione della libertà, v. Sez. 4, 22 giugno 2010, n. 34673, Trapasso, rv 248083).

Ritiene tuttavia il Collegio di riaffermare che una automatica e generalizzata riduzione della somma determinata secondo il cd. criterio aritmetico per tutti i soggetti che abbiano subito precedenti condanne e precedenti detenzioni, rende la valutazione equitativa priva di una adeguata e logica motivazione, dal momento che la esistenza di precedente esperienza carceraria può avere, secondo i casi, sia un effetto di riduzione della sofferenza cagionata dalla carcerazione sia un effetto di massimizzazione di quella sofferenza.

L'ordinanza impugnata deve di conseguenza essere annullata con rinvio per nuovo esame alla Corte d'appello di Venezia, che si uniformerà al principio di diritto sopra indicato, provvedendo in quella sede al regolamento delle spese di questo giudizio tra le parti.

PQM

Annulla l'ordinanza impugnata limitatamente alla determinazione dell'indennizzo e rinvia sul punto alla Corte di Appello di Venezia, cui rimette anche il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio. Rigetta il ricorso nel resto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2013