Home
Lo studio
Risorse
Contatti
Lo studio

Decisioni

Ingiusta detenzione, fungibilità e poteri d'ufficio (Cass. 7901/22)

4 marzo 2022, Cassazione penale

Il giudice della riparazione deve verificare, anche d'ufficio, l'eventuale computo o computabilità ex art. 657 c.p.p. (fungibilità), del periodo di detenzione cautelare, oggetto del procedimento attivato ai sensi dell'art. 314 c.p.p., nella determinazione di una pena definitiva che l'interessato deve scontare.

 Ai fini della determinazione della pena da eseguire vanno computati anche i periodi di custodia cautelare relativi ad altri fatti, per i quali il condannato abbia già ottenuto il riconoscimento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, stante la inderogabilità della disciplina dettata dall'anzidetta disposizione normativa e dovendosi escludere l'esistenza di una facoltà di scelta, da parte dell'interessato (pur quando ne sussisterebbe la possibilità, attesa la già intervenuta esecutività della sentenza di condanna all'atto della richiesta di riparazione), tra il ristoro pecuniario di cui all'art. 314 c.p.p., e lo scomputo dalla pena da espiare della custodia cautelare ingiustamente sofferta, fermo restando che, al fine di evitare che l'interessato consegua una indebita locupletazione, il giudice investito della richiesta di riparazione può sospendere il relativo procedimento, ove gli risulti l'esistenza di una condanna non ancora definitiva a pena dalla quale possa essere scomputato il periodo di custodia cautelare cui la detta richiesta si riferisce, e che, ove la somma liquidata a titolo di riparazione sia stata già corrisposta, lo Stato può agire per il suo recupero esperendo l'azione di ingiustificato arricchimento di cui all'art. 2041 c.c..

L'attribuzione di poteri officiosi al giudice della riparazione, in considerazione del carattere pubblico del rapporto e della ratio solidaristica dell'istituto: è vero che costituisce onere dell'interessato, in base ai principi civilistici, dimostrare i fatti posti a base della domanda, e cioè la sofferta custodia cautelare e la sopravvenuta assoluzione, ma il giudice, avuto anche riguardo al fondamento solidaristico dell'istituto della riparazione per ingiusta detenzione, avvalendosi dei poteri istruttori d'ufficio, ha il potere-dovere di acquisire i documenti ritenuti necessari ai fini della decisione, sempre che gli stessi siano conosciuti o conoscibili dalle parti.

Il giudice della riparazione ha la possiilità di deliberare sulla scorta di atti non prodotti dalle parti, alla cui conoscenza può pervenire anche attraverso la richiesta ex artt. 213 o 738 c.p.c., di copie o informazioni alla Pubblica Amministrazione e alla stessa Amministrazione della giustizia, e, evidentemente, nell'ambito di quesa a quella penitenziaria.

Il potere di acquisizione può esercitarsi anche al fine di verificare, d'ufficio o su richiesta della parte pubblica, se ostino all'accoglimento della domanda fattori preclusivi all'indennizzo.

 

Corte di Cassazione

sez. III penale

ud. 22 febbraio 2022 (dep. 4 marzo 2022), n. 7901
Presidente Rosi – Relatore Liberati

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza del 16 settembre 2021 la Corte d'appello di Reggio Calabria, provvedendo sulla richiesta di riparazione per l'ingiusta detenzione subita da M.O. dal 29 ottobre 2010 al 21 ottobre 2016, a seguito dell'annullamento con rinvio della propria precedente ordinanza del 13 febbraio 2020 disposto dalla Quarta Sezione Penale di questa Corte con la sentenza n. 21572 del 2021, ha riconosciuto al richiedente un indennizzo solamente per l'ingiusta detenzione dallo stesso subita dal 29 ottobre 2010 al 5 novembre 2013, in misura pari a Euro 259.873,64, condannando il Ministero dell'Economia a corrispondergli tale somma e dichiarando interamente compensate le spese processuali.

2. Avverso tale ordinanza il richiedente ha proposto un primo ricorso per cassazione, con l'assistenza dell'Avvocato L.C., che lo ha affidato a due motivi.

2.1. In primo luogo, ha denunciato la violazione degli artt. 314 e 627 c.p.p., per avere il giudice del rinvio applicato erroneamente il principio di diritto stabilito nella sentenza di annullamento, nella quale era stato specificato che in tale sede avrebbe dovuto essere verificato se, esclusa la rilevanza dell'essersi avvalso della facoltà di non rispondere nel corso dell'interrogatorio di garanzia, vi fossero a carico del ricorrente aspetti di colpa, in quanto la Corte d'appello, pur avendo escluso la sussistenza di cause di colpa a carico del M. , aveva introdotto un altro elemento, esterno ed estraneo alla condotta del ricorrente, ritenuto ostativo al pieno riconoscimento della riparazione, costituito dalla contemporanea presenza di un altro titolo cautelare. Tale ricostruzione doveva, però, ritenersi errata, in quanto nel sistema cautelare vige la regola della autonomia dei titoli, con la conseguente irrilevanza della esistenza di un titolo cautelare diverso (tra l'altro relativo a fatti contestati nell'ambito del procedimento denominato (omissis) dai quali il ricorrente era stato assolto).

2.2. In secondo luogo, ha denunciato la violazione dell'art. 315 c.p.p., comma 3, e art. 627 c.p.p., con riferimento alla compensazione delle spese di tutto il procedimento, in quanto, anche se gli argomenti del Ministero dell'Economia, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, erano stati i medesimi in entrambi i giudizi innanzi alla Corte d'appello di Reggio Calabria, questi avevano comunque impegnato la difesa del richiedente la riparazione, che doveva pertanto essere riconosciuta e rimborsata, per tutte e tre le fasi in cui si era articolato il giudizio volto a ottenere la riparazione per l'ingiusta detenzione sopportata dal M. .

3. Il richiedente ha proposto altro ricorso avverso la medesima ordinanza, con l'assistenza dell'Avvocato F.C., che lo ha affidato a un unico articolato motivo, mediante il quale ha denunciato la violazione dell'art. 314 c.p.p., comma 4, sempre con riferimento al mancato riconoscimento dell'indennizzo per l'ingiusta detenzione subita nel periodo in cui a carico del ricorrente vi era un altro titolo cautelare, non costituendo onere del richiedente dimostrare che tale periodo non sia materialmente computabile al fine di escluderlo dal periodo di detenzione oggetto della riparazione, non potendo essere preclusiva la mera pendenza di un altro procedimento di cui non sia neppure noto l'esito.

Ha richiamato l'orientamento interpretativo della giurisprudenza di legittimità secondo cui costituisce onere del giudice procedente verificare d'ufficio le sorti del procedimento parallelo, allo scopo di accertare se, effettivamente, il periodo di tempo di cui si chiede il computo nella ingiusta detenzione sia stato considerato ai fini di un'altra condanna (si cita la sentenza n. 41307 del 2019 e si richiama la sentenza n. 31416 del 2008 delle Sezioni Unite e la successiva giurisprudenza di legittimità).

Ha quindi censurato l'ordinanza impugnata, che ha rigettato parzialmente la richiesta di riparazione per l'ingiusta detenzione sofferta dal ricorrente solo in ragione della mera pendenza di un altro procedimento a carico del ricorrente medesimo e dell'esistenza di un altro titolo cautelare, senza conoscerne l'esito e l'eventuale computo del periodo di detenzione a esso relativo in relazione ad altri titoli.

Si è poi aggiunto che dalle contestazioni relative a tale procedimento il ricorrente era comunque stato assolto, con la conseguente impossibilità di computare tale periodo di detenzione in relazione ad altro titolo di reato e anche al fine di escludere il diritto alla riparazione in relazione alla detenzione sofferta per tale diverso titolo.

4. Il Procuratore Generale nelle sue richieste ha concluso per l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata, sottolineando che il diritto alla riparazione non è escluso ove, nel medesimo periodo, l'istante abbia sofferto custodia cautelare anche per altro titolo con il limite, derivante da quanto disposto dall'art. 314 c.p.p., comma 4, che, una volta operata la fungibilità, resta preclusa all'interessato la strada della riparazione, e che costituiva onere del giudice del merito compiere le opportune verifiche al fine di evitare il proliferare di procedimenti e il riconoscimento di un indennizzo non dovuto che costringerebbe lo Stato all'esercizio di un'azione di accertamento negativo o di indebito arricchimento.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato.

2. Giova premettere che nella precedente sentenza di questa Corte, n. 21572 del 2021, la Quarta Sezione, dopo aver ricordato che in materia di riparazione per ingiusta detenzione la colpa che vale a escludere l'indennizzo è rappresentata dalla violazione di regole, da una condotta macroscopicamente negligente o imprudente dalla quale può insorgere, grazie all'efficienza sinergica di un errore dell'Autorità giudiziaria, una misura restrittiva della libertà personale, e che il concetto di colpa che assume rilievo quale condizione ostativa al riconoscimento dell'indennizzo non si identifica con la colpa penale, venendo in rilievo la sola componente oggettiva della stessa, ha rilevato l'insufficienza della motivazione della prima ordinanza della Corte d'appello di Reggio Calabria, nella parte relativa alla individuazione sia della colpa grave ostativa alla riparazione in capo al M. , sia dell'effetto sinergico riconducibile ai presunti comportamenti colposi dell'interessato.

Il giudice del rinvio, nell'esaminare nuovamente la richiesta del M. , di riparazione per l'ingiusta detenzione dallo stesso sofferta dal 29 ottobre 2010 al 21 ottobre 2016, nell'ambito di un procedimento penale nel quale gli era stato contestato il reato di cui all'art. 416 bis c.p., (quale presunto componente della cosca Rosmini), contestazione dalla quale era stato assolto, ha, anzitutto, escluso comportamenti connotati da dolo o colpa grave ascrivibili al M. incidenti sulla emissione e sul mantenimento del provvedimento coercitivo adottato nei suoi confronti; ha escluso l'indennizzabilità del periodo di detenzione compreso tra il 6 novembre 2013 e il 31 ottobre 2016, in quanto in tale periodo il ricorrente era in stato di custodia cautelare anche in relazione ad altro titolo, emesso per i delitti di illecita concorrenza e intestazione fittizia, aggravati ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7; ha, di conseguenza, limitato il periodo di ingiusta detenzione indennizzabile a quello compreso tra il 29 ottobre 2010 e il 5 novembre 2013, sottolineando che il richiedente, pur essendo a conoscenza della esecuzione di tale diverso titolo cautelare, non aveva specificato alcunché nella richiesta di riparazione.

3. Alla luce di tale contenuto della decisione impugnata, sia il primo motivo del ricorso proposto nell'interesse del M. dall'Avvocato L.C., sia l'unico motivo del ricorso redatto, sempre nell'interesse del richiedente, dall'Avvocato F.C., mediante i quali è stata censurata la considerazione da parte del giudice della riparazione della esistenza di un altro titolo cautelare a carico del ricorrente nel periodo oggetto della richiesta di indennizzo, sono fondati.

4. Va, infatti, ricordato che, come sottolineato anche dal ricorrente nel ricorso redatto dall'Avvocato C, le Sezioni Unite, nella sentenza Cascio (Sez. U, n. 31416 del 10/07/2008, P.G. in proc. Cascio, Rv. 240113 - 01), hanno chiarito che "ai fini della determinazione della pena da eseguire vanno computati anche i periodi di custodia cautelare relativi ad altri fatti, per i quali il condannato abbia già ottenuto il riconoscimento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, stante la inderogabilità della disciplina dettata dall'anzidetta disposizione normativa e dovendosi escludere l'esistenza di una facoltà di scelta, da parte dell'interessato (pur quando ne sussisterebbe la possibilità, attesa la già intervenuta esecutività della sentenza di condanna all'atto della richiesta di riparazione), tra il ristoro pecuniario di cui all'art. 314 c.p.p., e lo scomputo dalla pena da espiare della custodia cautelare ingiustamente sofferta, fermo restando che, al fine di evitare che l'interessato consegua una indebita locupletazione, il giudice investito della richiesta di riparazione può sospendere il relativo procedimento, ove gli risulti l'esistenza di una condanna non ancora definitiva a pena dalla quale possa essere scomputato il periodo di custodia cautelare cui la detta richiesta si riferisce, e che, ove la somma liquidata a titolo di riparazione sia stata già corrisposta, lo Stato può agire per il suo recupero esperendo l'azione di ingiustificato arricchimento di cui all'art. 2041 c.c.".

Sulla base di questo chiarimento la giurisprudenza successiva ha evidenziato l'attribuzione di poteri officiosi al giudice della riparazione, in considerazione del carattere pubblico del rapporto e della ratio solidaristica dell'istituto (v., da ultimo, Sez. 4, n. 41307 del 02/10/2019, Ministero dell'Economia, Rv. 277357, nonché Sez. 4 n. 46468 del 14/09/2018, De Maria, Rv. 274353, secondo cui, pur essendo onere dell'interessato, in base ai principi civilistici, dimostrare i fatti posti a base della domanda, e cioè la sofferta custodia cautelare e la sopravvenuta assoluzione, avuto anche riguardo al fondamento solidaristico dell'istituto della riparazione per ingiusta detenzione, il giudice, avvalendosi dei poteri istruttori d'ufficio, ha il potere-dovere di acquisire i documenti ritenuti necessari ai fini della decisione, sempre che gli stessi siano conosciuti o conoscibili dalle parti), sottolineando la possibilità per il giudice della riparazione di deliberare sulla scorta di atti non prodotti dalle parti, alla cui conoscenza può pervenire anche attraverso la richiesta ex artt. 213 o 738 c.p.c., di copie o informazioni alla Pubblica Amministrazione e alla stessa Amministrazione della giustizia (Sez. 4, n. 18172 del 21/02/2017, Manzi, Rv. 269779), e, evidentemente, nell'ambito di questa a quella penitenziaria.

Tale potere di acquisizione può esercitarsi anche al fine di verificare, d'ufficio o su richiesta della parte pubblica, se ostino all'accoglimento della domanda fattori preclusivi all'indennizzo (v., ex plurimis, Sez. 4, n. 4377 del 10/12/2002, dep. 2003, Rv. 226062, nonché la già citata Sez. 4, n. 41307 del 02/10/2019, Ministero dell'Economia, Rv. 277357).

È stato, dunque, chiarito che il giudice della riparazione deve verificare, anche d'ufficio, l'eventuale computo o computabilità ex art. 657 c.p.p., del periodo di detenzione cautelare, oggetto del procedimento attivato ai sensi dell'art. 314 c.p.p., nella determinazione di una pena definitiva che l'interessato deve scontare.

L'officiosità di tale verifica discende dalla necessità del coordinamento tra gli istituti esistenti al fine di garantire la ragionevole durata del processo, che impongono, in un'ottica di economia processuale, di evitare il proliferare dei processi e procedimenti, mentre il riconoscimento e il pagamento di un indennizzo non dovuto costringerebbero lo Stato all'esercizio di un'azione di accertamento negativo o di indebito arricchimento.

5. Ora, nel caso in esame, la Corte d'appello di Reggio Calabria, nuovamente investita della richiesta di riparazione per l'ingiusta detenzione subita dal ricorrente dal 29 ottobre 2010 al 21 ottobre 2016, una volta escluse condotte dolose o gravemente colpose del richiedente incidenti sulla applicazione della misura coercitiva disposta a suo carico, avrebbe dovuto, per poter limitare l'indennizzo spettante al richiedente solo a una parte del periodo di restrizione della libertà personale dallo stesso subita, in considerazione della esistenza di un altro titolo cautelare nel periodo da considerare, verificare se il periodo di custodia cautelare sofferto dal ricorrente dal 6 novembre 2013 al 31 ottobre 2016 per altro titolo sia stato computato ad altra pena che il ricorrente doveva o deve espiare, giacché solo in tal caso detto periodo di detenzione avrebbe potuto essere scomputato da quello per il quale è dovuta al richiedente la riparazione per l'ingiusta detenzione, rimanendo altrimenti dovuto l'indennizzo per l'intero periodo di privazione della libertà.

Il giudice della riparazione si è, invece, limitato a prendere atto della esistenza di un altro titolo cautelare, senza verificare l'esito del relativo giudizio (che tra l'altro sarebbe stato di assoluzione secondo quanto affermato dal ricorrente), nè, tantomeno, se tale periodo di detenzione sia stato imputato a pena da espiare, con la conseguente insufficienza della indagine svolta per poter escludere la indennizzabilità di una parte del periodo di privazione della libertà personale.

6. Il secondo motivo del ricorso proposto nell'interesse del M. dall'Avvocato L.C., relativo alla regolamentazione delle spese processuali, rimane assorbito dalla fondatezza degli altri motivi, che, determinando la necessità di annullare l'ordinanza impugnata, travolgono anche le statuizioni sulle spese oggetto di detto motivo.

7. Anche l'ordinanza impugnata deve, dunque, essere annullata, sussistendo la denunciata errata applicazione delle disposizioni che regolano il procedimento di riparazione per l'ingiusta detenzione, con rinvio per nuovo esame, da compiere sulla base dei criteri e principi ricordati, accertando l'eventuale imputabilità del suddetto periodo di custodia cautelare sofferto dal ricorrente dal 6 novembre 2013 al 31 ottobre 2016 a pena da espiare, alla medesima Corte d'appello di Reggio Calabria, che provvederà anche alla liquidazione delle spese sostenute dalle parti in entrambi i giudizi di legittimità.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Reggio Calabria.