Il segreto d’ufficio non richiede classificazione formale ("segreto", "riservato"), ma discende dalla natura delle informazioni: le informazioni divulgate dal sottosegretario della giustizia Demastro al parlamentare e vicepresidente del Copasir On. Donzelli erano oggettivamente riservate e non ostensibili in base alla L. 241/1990, al D.M. 115/1996 e alla clausola apposta dal DAP; egli aveva in particolare reso pubbliche informazioni «derivanti da intercettazioni ambientali dell'amministrazione penitenziaria, tra l'esponente della ‘ndragheta Francesco Presta e Cospito avvenute il 28 dicembre e il camorrista Francesco Di Maio del Clan dei Casalesi avute con sempre con Cospito il 12 gennaio 2023».
Tribunale di Roma
Sez. VIII penale
20 maggio 2025 (ud. 20 febbraio 2025)
VIII Sezione I Collegio, composto da: Francesco Emilia Lucia Rugarli Conforti Bruni Presidente est. Giudice est. Giudice est alla udienza pubblica del 20 febbraio 2025 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente
SENTENZA nei confronti di: DELMASTRO DELLE VEDOVE Andrea, nato il domiciliato presso l'abitazione in ** assistito e difeso di fiducia dagli Avv. ** del Foro di Torino. Entrambi presenti.
IMPUTATO del reato p. e p. dall'art. 326 c. I c.p. per avere, quale Sottosegretario alla Giustizia, dunque P.U., rivelato al/'on. Giovanni Donzelli il contenuto della nota predisposta, nell'assolvimento dei compiti conferiti dal Decreto Ministeriale del 28.07.2017 dal Nucleo Investigativo Centrale in data 30.01.2023 - contenente le trascrizioni delle relazioni di Polizia Penitenziaria sui colloqui intercorsi tra i detenuti Alfredo Cospito, ristretti secondo il regime disciplinato dall'art. 41 bis O.P. presso l'istituto di pena di Sassari - ricevuta dal Capo Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria , così violando il dovere di segretezza che su quelle trascrizioni era imposto: ■ dalla natura delle notizie, intrinsecamente sottratte ad una conoscenza diffusa, in ragione del regime di segretezza imposto dalla disciplina relativa ai detenuti sottoposti di cui al/'art.41 bis 0.P.; ■ dal combinato disposto degli articoli 24 L. 241/90 (sull'esclusione del diritto di accesso agli atti amministrativi), 8 del DPR 352/90 (che demanda alle singole amministrazioni il regolamento per l'accesso agli atti amministrativi), 3 comma I Decreto Ministero della Giustizia del 25.01.1996 n. 115 (che individua i documenti non accessibili per ragione di ordine e sicurezza pubblica) e 41 bis O.P.; ■ dalla clausola di Limitata Divulgazione apposta sulla nota di cui sopra dal Capo Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria all'atto della trasmissione al Sottosegretario, ai sensi della circolare, emessa con espresso richiamo all'art. 24 L. 241/90, dal capo DAP il 19.12.2019; trattandosi di colloqui su potenziali connessioni criminali in fase nascente, la divulgazione dei quali era idonea a porre in pe lo l'interesse alla prevenzione e repressione della criminalità, protetto dal segreto. In Roma il 31.01.2023
PARTI CIVILI
Orlando Andrea nato a Rappresentato e difeso Bachisio Silvio Lai nato a Rappresentato e difeso Serracchiani Debora nata a Rappresentata e difesa Verini Walter nato a ** Rappresentato e difeso ** Con la partecipazione del cancelliere dott. Antonio Lamonica Miraglio (Upp ). P.M. dott. P. Ielo e R. Affinito
CONCLUSIONI
PM: assoluzione dell'imputato per difetto dell'elemento soggettivo. Difesa di Parte Civile Orlando e Lai: condanna alla pena ritenuta di giustizia, al risarcimento del danno non patrimoniale nella cifra simbolica di euro 5,00 e al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile. Deposita conclusioni scritte e nota spese. Difesa di parte civile Verini: condanna alla pena ritenuta di giustizia, al risarcimento del danno non patrimoniale nella cifra simbolica di euro 5,00 e al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile. Deposita conclusioni scritte e nota spese. Difesa di parte civile Serracchiani: condanna alla pena ritenuta di giustizia, al risarcimento del danno non patrimoniale nella cifra simbolica di euro 5,00 e al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile. Deposita conclusioni scritte e nota spese. Difesa dell'imputato: assoluzione perché il fatto non sussiste o non costituisce reato. Deposita memoria scritta.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto che dispone giudizio, emesso dal GUP il 29.11.2023, l'odierno imputato veniva citato a giudizio per rispondere del reato descritto in epigrafe.
All'udienza del 12.03.2024, il Tribunale acquisiva con accordo delle parti il verbale dell'udienza preliminare e, a richiesta della difesa dell'imputato, il Tribunale acquisiva altresì copia di articoli di giornale ANSA. I difensori di Serracchiani Debora, Verini Walter, Orlando Andrea e Lai Bachisio Silvio depositavano atto di costituzione di parte civile, che era stata respinta in sede di udienza preliminare, richiesta sul quale il Tribunale si riservava e rinviava pertanto l'udienza.
All'udienza del 02.04.2024, il Tribunale scioglieva la riserva ammettendo la costituzione di parte civile di Serracchiani Debora, Orlando Andrea, Verini Walter e Bachisio Lai Silvio. Il Tribunale, dichiarato aperto il dibattimento, ammetteva le prove dichiarative e documentali richieste dalle parti e rinviava l'udienza per l'escussione dei testi PM.
All'udienza del 12.06.2024, il PM rinunciava al teste e il Tribunale revocava l'ordinanza di ammissione del teste. Veniva prodotta la giustificazione del teste . Il Tribunale procedeva all'escussione dei testi PM, e . Con il consenso delle parti, il Tribunale inoltre acquisiva la copia della minuta protocollo 84 riservato e rinviava l'udienza per la prosecuzione dell'istruttoria.
All'udienza del 16.09.2024, venivano escussi i testi e . La Difesa Verini produceva giustificazione del teste . Il Tribunale acquisiva la copia dell'articolo cui aveva fatto riferimento il teste . La Parte Civile rinunciava ai testi e il Tribunale nerevocava la relativa ordinanza di ammissione, rinviando successivamente l'udienza.
All'udienza del 05.11.2024, viste le dichiarazioni di adesione all'astensione dalle udienze presentate dai difensori delle parti civili e dal difensore dell'imputato, il Tribunale rinviava l'udienza.
All'udienza del 12.12.2024, veniva escussa la teste , testimone anche della difesa dell'imputato e alla cui escussione tale parte non aveva rinunciato; a seguito di tale deposizione il Tribunale acquisiva sia le note consultate dalla teste durante l'escussione sia la richiesta di accesso agli atti dell'On. Bonelli di data 03.02.2023.Veniva prodotta la giustificazione del teste **. Si procedeva all'esame dell'imputato On. DELMASTRO DELLE VEDOVE Andrea e conseguentemente il Tribunale rinviava l'udienza.
All'udienza del 03.02.2025, preliminarmente il Tribunale dava atto del mutamento del collegio e disponeva la rinnovazione dell'istruttoria, avendo il consenso delle parti all'utilizzazione degli atti assunti davanti al Collegio indiversa composizione. Venivano poi ascoltati i testi della difesa, quali . Il Tribunale acquisiva idocumenti prodotti dalla difesa (copiosa documentazione) dell'imputato e della parte civile (Avv. Ermini Camera dei Deputati, resoconto stenografico dell'Assemblea, seduta n.47, mercoledì 01 febbraio 2023). Dichiarata chiusa l'istruttoria, il Tribunale rinviava l'udienza per la discussione.
All'udienza del 20.02.2025, alla presenza dell'imputato, le parti discutevano e concludevano. Il Tribunale dichiarava chiuso il dibattimento e, ritiratosi in camera di consiglio per deliberare, dava lettura del dispositivo indicando il termine per il deposito della motivazione in giorni 90.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La penale responsabilità dell'imputato sussiste e va affermata per le ragioni in fatto ed in diritto di seguito indicate.
1.1. L'istruttoria dibattimentale: le prove dichiarative
Va premesso che la materialità dei fatti e il loro svolgimento è pressoché pacifico tra le parti e non contestato.
La vicenda oggetto del processo nasce dall'esposto presentato dal parlamentare On. Angelo Bonelli in seguitoall'intervento svolto in Parlamento il 31.01.2023 dall'On. Giovanni Donzelli, durante il quale questi aveva riportato fedelmente i colloqui che Alfredo Cospito, detenuto sottoposto al regime del 41 bis O.P. presso l'istituto di pena di Sassari, aveva intrattenuto in carcere con alcuni esponenti, sottoposti ad analogo regime, ma appartenenti alla criminalità organizzata, 'ndragheta e camorra , intervento concluso con un attacco politico ad alcuni esponenti del partito di opposizione, PD, che al Cospito avevano fatto visita nei giorni precedenti.
Per quanto la circostanza potrebbe anche ritenersi rientrare nel notorio, è bene ricordare che da molto tempo il detenuto Cospito aveva inscenato una forma di protesta contro il regime ex art 41 bis OP, al quale era sottoposto; una protesta che si era estrinsecata in un prolungato digiuno che ne avevano debilitato le condizioni fisiche.
Nel diritto che compete ad ogni parlamentare di fare ingresso e visitare carcere e detenuti, i quattro parlamentari(On. Serracchiani, Orlando, Verini e Lai) si erano recati presso l'istituto di detenzione dove il Cospito era ristretto per rendersi conto di persona di quale fosse l'effettiva situazione e la condizione del detenuto.
2. La valutazione delle risultanze istruttorie: affermazione della responsabilità penale e determinazione della pena
Ebbene, alla luce di quanto fin qui esposto, deve ritenersi raggiunta, oltre ogni ragionevole dubbio, la prova della penale responsabilità dell'imputato per i fatti di cui è processo.
Andrea DELMASTRO DELLE VEDOVE, Sottosegretario di Stato alla Giustizia con delega al DAP ed alla Penitenziaria, dunque, pubblico ufficiale, ha rivelato, mediante comunicazione al compagno di partito, On. Donzelli Giovanni, che ne faceva oggetto dell'intervento alla Camera dei Deputati in data 31.01.2023, notizie apprese dalla nota stilata dal NIC, che riportava pedissequamente il contenuto di alcune relazioni di servizio del GOM sui colloqui intercorsi tra i detenuti al 41 bis O.P. e presso l'istituto di pena di Sassari, nota richiesta insistentemente dallo stesso DELMASTRO DELLE VEDOVE al Capo Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria.
Devono quindi esporsi le ragioni su cui il Collegio fonda l'affermazione di responsabilità.
In sintesi, e per anticipare i temi trattati, il Collegio ritiene che le notizie comunicate dall'imputato all'Onorevole Donzelli rientrassero e rientrino (salvo l'effetto della loro odierna diffusa conoscenza, peraltro proprio a causa della condotta dell'imputato), nell'ambito del segreto di ufficio e avessero la copertura penale prevista dall'art 326 c.p.; che la comunicazione di tali notizie abbia comportato un concreto pericolo per latutela e l'efficacia della prevenzione e repressione della criminalità e che il DELMASTRO DELLE VEDOVE non può essere ritenuto tanto leggero e superficiale, come per certi versi vorrebbero Difesa e Procura, da non aver considerato e non essersi reso conto della valenza e delicatezza, e in definitiva della segretezza, di quelle informazioni.
Conviene prendere le mosse da quella che è ormai una consolidata interpretazione del giudice di legittimità del perimetro in cui opera la norma e di quali siano le condotte che ne comportano la violazione.
Secondo la Suprema Corte è"notizia di ufficio una specifica informazione riguardante atti e fatti funzionalmente collegati all'attività istituzionale" (Cass. Sez II 20.3.24, PG in proc c/ Mango Giuseppe). In motivazione, che qui per comodità si riporta, viene poi tracciato l'ambito del segreto di ufficio e le norma da cui si desume l'obbligo di segretezza che grava sul pubblico impiegato.
Infatti, spiega il giudice di legittimità, ribadendo principi più volte affermati, "Il dovere di segretezza da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio costituisce, dunque, il presupposto della fattispecie incriminatrice in esame; la sua osservanza costituisce, infatti, lo strumento per garantire il bene giuridico tutelato,da individuarsi nel buon funzionamento della pubblica amministrazione, che potrebbe rimanere pregiudicato dalla rilevazione del contenute degli atti, soprattutto quando incidono su interessi antagonisti o concorrenti con quelli pubblici [Sez. 6, n. 30148 del 23/4/2007, Lazzaro, Rv. 237605, In motivazione). Secondo la costante ermeneusi diquesta Corte, il contenuto dell'obbligo la cui violazione è sanzionata dall'art. 326 cod. pen., deve essere desunto dalnuovo testo dell'art. 15 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, come sostituito dall'art. 28 della legge 7 agosto 1990, n. 241, recante nuove norme in tema di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi. Tale norma prevede che «l'impiegato deve mantenere il segreto d'ufficio. Non pud trasmettere a chinon ne abbia diritto informazioni riguardanti provvedimenti od operazioni amministrative, in corso o concluse,ovvero notizie di cui sia venuto a conoscenza a causa delle sue funzioni, al di fuori delle ipotesi e delle modalitàpreviste dalle norme sul diritto di accesso.» li divieto di divulgazione (e di utilizzo) comprende, dunque, non soltanto informazioni sottratte all'accesso, ma anche, nell'ambito delle notizie accessibili, quelle informazioni che non possonoessere date alle persone che non hanno il diritto di riceverle, in quanto non titolari dei prescritti requisiti. Pertanto, intale contesto normativo, la giurisprudenza di questa Corte, del Collegio pienamente condivisa e qui ribadita, ha affermato che la nozione di "notizie d'ufficio, le quali debbono rimanere segrete" assume non soltanto il significatodi informazione sottratta alla divulgazione in ogni tempo e nei confronti di chiunque, ma anche quello di informazioneper la quale la diffusione (pur prevista in un momento successivo) sia vietata dalle norme sul diritto di accesso, nel momento in cui viene indebitamente diffusa ovvero utilizzata, perché svelata a soggetti non titolari del diritto o senzail rispetto delle modalità previste (così, Cass Sez VI 1.7.22, Mango e inoltre in senso analogo tra le diverse, Sez. 6, n.9409 del 09/12/2015, dep. 2016, Cerato Rv. 267274; Sez. 6, n. 9726 del 21/02/2013, Carta, Rv. 254593; Sez. 6, n. 11001 del 26/02/2009, Richero, Rv. 243578; Sez. 6, n. 30148 del 23/04/2007, Lazzaro, Rv. 237605; Sez. 6, n. 7483 del 04/03/1998, Balestri, Rv. 211244). Questo orientamento, assolutamente consolidato, consente di sgomberare il campo da una tesi che si è più volte presentato nel corso dell'istruttoria.
La norma comprende un ambito di applicazione molto più ampio delle classificazioni amministrative a cui spesso si è fatto riferimento; le categorie del "segreto/segretissimo riservato/riservatissimo" e altre consimili sono certamente ricomprese nell'ambito .. della norma ma non ne esauriscono affatto il portato, sicché è del tutto fuorviante e privo di qualsiasi fondamento giuridico opinare che poiché nessuna di tali clausole era apposta sulla relazione dei NIC e sulcarteggio che il responsabile del DAP invia all'imputato con le note nr 97 e 98 del 30.1.2024, sol per questo lenotizie lì contenute fossero ostensibili urbi et orbi.
Che si trattasse di notizie apprese in ragione e in forza del proprio ufficio, è questione del tutto pacifica: è lo stessoimputato che spiega di aver chiesto al capo del DAP, Russo Giovanni, nella sua qualità di sottosegretario, che gli venissero trasmesse le notizie in possesso del Dipartimento sul detenuto Cospito (cfr. pag 27 trascr ud12.12.24 esame DELMASTRO DELLE VEDOVE); una richiesta che aveva ritenuto di avanzare inconsiderazione del dibattito che si era aperto sulla richiesta di revoca del regime ex art 41 bis OP presentata dal detenuto. Informazioni che peraltro miravano proprio ad ottenere il contenuto delle relazioni del GOM trasfuse nella relazione del NIC giacché il primo invio (la nota nr 97) in cui si faceva riferimento alla salute del Cospitovenne ritenuto insufficiente e non esaustivo.
Quanto alla segretezza delle notizie che risultavano dalla relazione del NIC, lì trasfuse dalla relazione del GOM(cfr. supra), in sintesi relative ad abboccamenti e intese tra il Cospito e alcuni pericolosi esponenti dellacriminalità organizzata su manifestazioni esterne volte a indurre un movimento di pressione per l'abolizione delregime ex art 41 bis OP, pare al Collegio che la segretezza di tali notizie, prima ancora che dal comune buonsenso e dalla clausola di limitata divulgazione apposta dal capo del DAP alle due note trasmesse all'imputato, risulti dal complesso di norme che regolano il diritto di accesso agli atti amministrativi.
L'art. 24 della L. 241/90 prevede i casi di esclusione del diritto di accesso, sia con diretto riferimento ad alcuni tipi di atti, sia demandando al Governo l'individuazione di quali atti sottrarre a quel diritto: tra questi (comma VI lett c) art 24) sono indicati i documenti che "riguardino le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azionistrettamente strumentali alla tutela dell'ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione e alla sicurezza dei beni edelle persone coinvolte, all'attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini".
Ritiene il Collegio che l'occulta captazione, all'insaputa degli interlocutori, delle conversazioni che intercorrono tra esponenti della criminalità politica e mafiosa (latu sensu), poi riferiti a organi investigativi, rientri a pieno titolo tra le azioni strettamente strumentali alla tutela dell'ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con particolare riferimento alle tecniche investigative (la captazione occulta durante l'ora di aria operata dal persona del GOM), alla identità delle fonti di informazione (possibilità attraverso la contestualizzazione e il preciso riferimento alle frasi pronunciate di individuare e ricostruire chi fosse il personale presente), alla attività di polizia giudiziaria (per la cui efficacia si richiede prima di tutto riservatezza e segretezza mentre notoriamente il disvelamento è da sempre ritenuto danno per ogni attività investigativa).
Poco importa, che la generale e indistinta comunicazione sia opera di altro soggetto, colui che aveva ricevuto le notizie coperte da segreto di ufficio e che poi le diffonde (qui l'On. Donzelli): è evidente che il segreto di ufficio vuole proprio evitare che la notizia riservata divenga di dominio privato o pubblico al di fuori delle finalità di ufficio.
In attuazione di tali disposizioni il Ministero della Giustizia ha emanato, con DM 115/96, il regolamento concernente gli atti sottratti al diritto di accesso, che all'art. 3 prevede la categoria dei documenti inaccessibiliper motivi di ordine e sicurezza pubblica, tra i quali alla letta) sono "le relazioni di servizio, informazioni ed altri atti o documenti che contengono notizie la cui conoscenza sia di pregiudizio concreto ed effettivo alla tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza pubblica degli istituti penitenziari e dell'attività di prevenzione e repressione della criminalità; alla lett c) atti e documenti concernenti l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi del Corpo di Polizia penitenziaria, ivi compresi quelli relativi all'addestramentp all'impiego e dalla mobilità del personale nei limiti strettamente necessari ad assicurare l'ordine e la sicurezza pubblici".
Non avrebbe pregio, obiettare che l'imputazione contesta come oggetto della rivelazione la scheda dei NIC: inquell'atto a pag. 49 e 53 sono riportate in modo pedissequo, letterale e per esteso, in sostanza integralmente, le due relazioni dei GOM predisposte nelle date del 28 dicembre e del 12 gennaio 2023 e che, rispettivamente, riportano icolloqui del Cospito del 23 dicembre e dell'll gennaio.
E comunque l'intero contenuto della scheda dei NIC risponde certamente a tutti gli altri requisiti che comportano riservatezza e sottrazione all'accesso delineati dalla lett. a) dell'art. 3 DM 115/96.
Infatti, le notizie comunicate dall'imputato all'On. Donzelli, in termini e modi tanto precisi da consentirne una riproduzione letterale parola per parola (dr. l'esame del teste On. Donzelli e le vaghe risposte sulla circostanza che il suo intervento riportasse le stesse parole e la stessa sequenza letterale contenute nella relazione del NIC e riprese dalla relazione del GOM): rivelavano che il detenuto Cospito portava avanti intese con elementi di spicco dellacriminalità organizzata per una comune battaglia per l'abolizione del regime previsto dall'art. 41 bis O.P., una sorta di saldatura per convergenza di interessi tra la criminalità politica e la criminalità comune, nella sua più pericolosa forma; intese che erano ritenute di rilievo e degne di attenzione sotto il profilo preventivo e repressivo; rivelava che i detenuti erano controllati e ascoltati, anche al di fuori delle previsioni normative e quanto da loro detto era oggetto di relazioni di servizio.
Sarà anche stato un segreto di pulcinella, come osserva nella sua memoria il difensore dell'imputato, ed è certamentecorretto ipotizzare che i detenuti temano e ritengano di essere ascoltati e osservarti; tuttavia, - a parere del Collegio -un conto sono le ipotesi che più o meno fondatamente un soggetto formula, altro è la certezza, con collocazione delfatto in un preciso contesto spazio temporale.
Giacché è certo che, a seguito del clamore mediatico dell'intervento in parlamento dell'On. Donzelli, tanto il Cospito che i detenuti di criminalità organizzata vennero a sapere che il loro colloquio era stato ascoltato e riferito. Inoltre, l'indicazione precisa e circostanziata delle frasi captate, poteva mettere i detenuti in condizione di ricostruire il momento in cui le avevano scambiate e individuare, quantomeno a livello di sospetto, il personale che le aveva captate e riferite (dalla stessa relazione dei NIC in atti risulta che i detenuti vedono la televisione, e il clamore suscitato delle notizie comunicate dall'imputato è notorio).
Vero, come già ricordato, non è l'imputato che diffonde in una seduta parlamentare le notizie contenute nella relazionedei NIC, ma è l'imputato che con la condotta oggetto di imputazione pone le condizioni per le successive propalazioni, che è esattamente quanto la norma vuole evitare pretendendo che le notizie riservate restino all'interno dell'ufficio e non siano indiscriminatamente diffuse all'esterno o comunque diffuse in violazione delle norme sul diritto di accesso.
Del resto, quando si intende tutelare il segreto di ufficio e si impone che la conoscenza di determinati fatti circoli solo ed esclusivamente tra chi ne deve avere conoscenza in ragione dell'ufficio e se ne deve servire in relazione ai compiti istituzionali connessi, si vuole proprio evitare la circolazione indiscriminata che si apre nel momento in cui il fatto coperto da segreto viene diffuso al di fuori dell'ufficio.
Il riferimento all'ufficio consente di sgomberare il campo da altro equivoco.
Alcune voci processuali (certamente l'imputato e ad es la teste ') sembrano ritenere che leinformazioni in questione, poiché erano state trasmesse in chiaro (non con la rete in criptato), non fossero più segrete perché - come detto con certa iperbole - viste da migliaia di persone (cfr pag 17 trascr ud 12.12.24 del ); in realtà, è evidente che all'interno di unufficio l'atto, l'informazione o la notizia può essere vista e conosciuta da pluralità di persone che in ragione dei compiti di ufficio ne vengono a contatto e quindi a conoscenza.
Non per questo viene meno il segreto che obbliga tutti i soggetti che hanno conoscenza dell'atto o dell'informazione in funzione del ruolo svolto, quale sia.
Il segreto di ufficio riguarda, infatti, il buon funzionamento dell'ufficio e riguarda, obbligandoli, tutti i soggetti che operano all'interno di quello; non è geloso segreto custodito da uno o da un ristretto numero di soggetti, né riguarda solo i soggetti decisori e che operano ai più alti livelli, ma tutti i soggetti che appartengono all'ufficio ovvero in ragione di quello hanno conoscenza dell'atto.
L'esempio più chiaro è quello degli uffici giudiziari (uffici spesso ricorrenti nella casistica di violazione dell'art 326c.p.) in cui le notizie relative ad un'indagine o anche ad atti delicati e riservati, come intercettazioni ed esecuzionedi misure cautelari, sono a conoscenza del P.M. e del Giudice, ma anche degli amministrativi addetti agli uffici che le trasmettono o le ricevono o ancora del personale di PG che collabora all'indagine o che deve eseguire iprovvedimenti: in taluni casi il numero di persone a conoscenza del segreto di ufficio, anche se certo non in migliaia, può anche essere di molte unità, tutte indistintamente tenute al segreto di ufficio, senza che questo venga menoperché conosciuto da più persone.
Peraltro, tutta l'istruttoria dibattimentale nel ricostruire la vicenda è costellata di elementi che indicano come le notizie rivelate dall'imputato all'On. Donzelli fossero considerate non liberamente estensibili e coperte da segreto di ufficio.
Autorevolmente, e per primo, sia pure in termini contraddittori, è lo stesso Ministero, nella persona del Capo Gabinetto a ritenere quelle notizie, coperte da segreto e non liberamente estensibili.
Nel provvedimento con cui si nega all'On. Bonelli il diritto di visione e copia di quegli atti si fa espresso riferimento agli artt. 22 e 24 L nr 241/90 e al DM nr 115/1996, tutte norme che individuano gli atti sottratti al diritto di accesso.
E' stato chiesto alla teste ** quale fosse il senso della citazione di norme che contemplavano gli atti per i quali è escluso il diritto di accesso, ma la teste non è stata in grado, per quanto firmataria dell'atto, di dare una spiegazione convincente (cfr. pag. 11 sgg trascr ud 12.12.24, dove all'incalzare delle domande del P.M. che chiede contro di una incongruenza, la teste infine si rifugia in un non ricordo).
La sottile distinzione che la teste alla fine introduce tra copia dell'atto e informazione contenuta nello stesso atto,appare poco convincente, anche perché la richiesta dell'On. Bonelli mirava ad avere le informazioni, peraltro ormai ampiamente note e certo, a quel punto, non più coperte dal segreto di ufficio.
Resta poi il dubbio di cosa ebbe effettivamente a disposizione l'On Donzelli vista la pedissequa e precisa ripetizione delle parole, della loro sequenza e dei termini contenuti nelle relazioni dei GOM trasfuse nella scheda dei NIC e diquel doppio errore di date che proprio nelle modalità di stesura della scheda dei NIC trova una sua agevolazione e una sua spiegazione.
È un fatto che nella deposizione del 12.12.2024 la teste ** spiega la mancata ostensione all'On. Bonelli per difetto del diritto di accesso ai sensi della L. 241/1990 per carenza di un interesse (il signore Bonelli non ha un interesse diretto e concreto attuale, non ha in interesse qualificato...cfr pag. 6 trascr ud. 12.12.245), tuttavia nel documento il riferimento è alle norme che sottraggono determinati atti al diritto di accesso in particolare all'art24. L. 241/90 e al DM 115 /96, indicazioni normative del tutto ultronee rispetto alle spiegazioni fornita dal teste, che si appunta sul solo disposto dell'art 22.
Nel documento non c'è alcun riferimento alla carenza di interesse personale, come poi, invece, sostenuto nella deposizione.
Per converso, è facile osservare che se non si ha un interesse all'accesso, non si vede quale importanza abbia che le notizie siano sottratto al diritto di accesso, che nel caso di specie non era riconosciuto.
D'altro canto, appare davvero singolare che a fronte della richiesta di documenti e notizie che l'imputato definisce nel processo divulgabili a tutti, anche in televisione perché non classificati (trascr. ud. 12.12.24 pag 39 e memoria del difensore pag 31), si predisponga un tavolo congiunto di esperti (cfr dep. pag S trascr ud12.12.24) che doveva esprimere un parere sulla loro ostensione, per di più nonostante le notizie fossero ormai di dominio pubblico dopo l'intervento alla camera dell'On. Donzelli (che per pacifica giurisprudenza privava quelle notizie della lorosegretezza).
Così come appare contraddizione insanabile affermare che le informazioni erano pienamente libere e ostensibili, noncoperte da alcun segreto (come si legge nel provvedimento), senza che a ciò facesse seguito il rilascio deidocumenti e citando le norme di legge che espressamente individuano i documenti non suscettibili di accesso ecomunque comunicando solo ciò che era già ampiamente noto, visto il clamore che la vicenda aveva assunto.
(cfr. trascr ud 12.6,24 pagg 59 sgg), responsabile del GOM, il reparto che raccoglie leinterlocuzioni tra il Cospito e gli altri detenuti, poi trasfuse nella relazione del NIC e quindi comunicate dall'imputato all'On Donzelli, spiega che avrebbe inviato il plico contenente le informazioni richieste sul Cospito in forma riservata con un motociclista, come da prassi per i plichi riservati, tuttavia viste le insistenze e le urgenze della segreteria del capo dipartimento DAP, a sua volta pressato dall'imputato, l'incarto venne mandato via mail.Queste modalità di trasmissione fecero in modo che l'incarto non potesse essere trattato come riservato, tanto che venne apposta la clausola limitata divulgazione (cfr. dep pag 62 sgg trascr. ud 12.6.24).
In sostanza l'incarto, per quello che era il suo contenuto, avrebbe dovuto viaggiare come riservato, ma per la fretta messa da chi lo richiedeva venne trasmesso in chiaro perse quella caratteristica iniziale e quella qualificazione formale.
Tuttavia, a parere del Collegio, la circostanza non privava l'atto delle caratteristiche di segretezza di ufficio, una qualità che non richiede formali investiture in quanto discende dalla legge per il contenuto oggettivo dell'atto.
Nell'accezione del codice e nell'interpretazione data dalla giurisprudenza "Segreto di ufficio" sta a significare che l'attoe la notizia può legittimamente circolare tra i soggetti, anche più di uno, che per ragioni di ufficio hanno diritto ad avere conoscenza di quelle notizie ma sono comunque tenute a non rivelarne il contenuto al di fuori dello stesso ufficio; il carattere di segretezza, come già sottolineato, non può ritenersi venir meno se la notizia circola all'interno dell'ufficio tra gli addetti ai lavori che l'apprendono in ragione delle funzioni che svolgono.
Vi è poi ancora una volta una palese contraddizione: se lo incarto non era coperto dal segreto ed era liberamente divulgabile, perché mai trasmetterlo in forma riservata (almeno questa era l'intenzione); si è risposto per la tutela del personale coinvolto, i cui nomi sono omissati e coperti, ma è evidente che per tale tutela era sufficiente la cancellazione dei nominativi, così come compare nei documenti trasmessi (si è peraltro già osservato come la precisa contestualizzazione spazio temporale di quelle conversazioni captate potesse consentire di individuare il persona le presente, "responsabile" di quella captazione).
La verità è che i tentativi di intesa e forse di saldatura tra criminalità politica e criminalità comune, un fenomeno non nuovo nella storia del paese (si pensi alle note vicende del sequestro Cirillo e a quelle della cd. banda della Magliana), erano questioni di estrema delicatezza e di evidente interesse investigativo, che con tutta evidenza nessuno dei protagonisti della vicenda riteneva liberamente ostensibile.
Rispecchia palesemente questa valutazione e l'importanza della notizia, la nota del 01.3.20 (alla quale si è già fatto riferimento ma che qui conviene ancora richiamare) che il dirigente della Polizia Penitenziaria, Dott , indirizza al Capo Dipartimento che chiede notizie sull'esistenza di un segreto investigativo.
Un segreto investigativo che il dirigente esclude perché la natura del documento (quello inviato al capo dipartimentoe poi trasmesso con note 97 e 98 alla segreteria dell'imputato) non rileva o disvela contenuti sottoposti al segreto investigativo o rientranti nella disciplina degli atti classificati (ancora una volta, nel pieno delle polemiche, si fa riferimento a categoria non perfettamente coincidenti con il segreto di ufficio tutelato dalla norma).
Nondimeno, il dirigente si sente in dovere di specificare "che l'appunto de quo era in fase di elaborazione dei dati e delle notizie attinte già in possesso dell'Amministrazione, trattate da questo Nucleo Investigativo Centrale nell'alveodelle competenze specificamente attribuite dal DM 28 luglio 2017 e riferite all'art 3 co IV (analisi e monitoraggio dei fenomeni di criminalità organizzata, di terrorismo anche internazionale e di eversione de/l'ordine costituzionalerilevato in ambito penitenziario)".
Notizie quindi che incidevano direttamente, a parere del Collegio, "sulla tutela de/l'ordine pubblico e della sicurezza pubblica degli istituti penitenziari e dell'attività di prevenzione e repressione della criminalità': atti e notizie per questo sottratti alla libera divulgazione e al diritto di accesso, secondo il disposto del già ricordato art 3lett. a) DM 115/96 cfr. supra).
Concetti quelli della possibile rilevanza investigativa che tornano nella deposizione del teste (già responsabilepresso il DAP dell'Ufficio V Alta Sicurezza vale adire detenuti in regime di 41 bis, terroristi interni ed internazionali, collaboratori di giustizia, detenuti per reati di criminalità organizzata) che ha spiegato come le relazioni del GOM, incaricati di sorvegliare tali detenuti, venissero inviati alla DNA e alla DDA ( cfr pag 47 e 48 trascr ud. 16.9.24 dep).
Anche il teste riferisce dell'avvenuto declassamento della nota da lui predisposta (la prima) da riservato, com'era indicato nella stampigliatura, a limitata divulgazione (cfr dep Ud 12.6.24 pag 16) una declassificazione che il teste spiega dipendere dal fatto che il gen aveva inviato la nota non in maniera classificata, non utilizzando la rete Ponente, che è la rete cifrata ....
Che si trattassero di atti comunque riservati, sia pure non secondo la classificazione ministeriale, appare chiaro dalla deposizione del teste ** (cfr. trascr. ud. 16.9.24 pag 32 sgg), teste che inoltre ha ben chiara la differenza che corre tra la riservatezza comunque dovuta per determinate notizie e le modalità di circolazione all'interno dell'ufficio, sicché la prima non viene meno se la notizia all'interno dell'ufficio tra il personale addetto circola in chiaro.
Spiega la teste: "....e comunque la relazione, quella famosa di tante pagine, del NIC (ci si riferisce a quella che il capo dipartimento• trasmette con la nota a limitata divulgazione nr 98) arriva sulla mia mail personale; quindi, quando si dice in chiaro è relativamente in chiaro perché, ovviamente, non è nel protocollo ordinario de/l'amministrazione ma arriva presso la mia mail; quindi, comunque diciamo ha una sua riservatezza.
Il senso, secondo il Collegio, è che l'atto non diventa liberamente divulgabile e ostensibile sol perché trasmesso in chiaro e non con rete (quella riservata alla trasmissione degli atti riservati o segreti che dir si voglia) giacché comunque l'atto per il suo contenuto ricade nell'ambito del segreto di ufficio, diverso e più esteso della classificazione amministrativa sugli atti riservati.
E questo era ben chiaro a tutti i soggetti che, in un modo o nell'altro, vennero a contatto di quei documenti e di quella relazione.
Che fossero atti riservati e non divulgabili lo riteneva certamente il Capo Dipartimento del DAP che nella sua deposizione (cfr. dep. del 12.6.24 pag 9) ben chiarisce come la clausola limitata divulgazione apposta su entrambi gli incarti da lui inviati (nota 97 e nota 98 entr del 30.1.2023 e nell'ultima espressamente menzionata nella lettera di accompagnamento:
facendo seguito alla nota di limitata divulgazione 30 gennaio 2023
nella prima nota - la nr 97 -aveva prudenzialmente inviato, a riprova di come le informazioni fossero ritenute delicate e riservate, solo un sintetico estratto della relazione del NIC, dove erano assenti le informazioni sui colloqui tra Cospito e gli altri detenuti tratte dalla relazione del GOM, che invece compaiono nella seconda nota, la nr 98.
Il teste ha ben spiegato, con argomentazioni che al Collegio sembrano logiche e coerenti, quale fosse il senso della limitata divulgazione e del perché quel protocollo fosse stato istituito dal suo predecessore.
Solo dopo la insistita richiesta della segreteria del sottosegretario viene inviata la seconda nota che contiene l'integrale scheda del NIC con tutte le relazioni del GOM e anche le informazioni poi date all'On Donzelli dall'imputato.
Quanto alla clausola di limitata divulgazione, che peraltro nasce proprio per le informazioni relative ai detenuti al 41 bis (cfr. dep. Teste **, il teste ** ne spiega bene il senso e il significato della clausola (cfr. pag 21 trascr ud 12.6.24) e può qui richiamarsi il passo della deposizione qui di interesse: un awertimento ai destinatari che l'atto ricevuto non è destinato ad essere pubblicamente diffuso.
Su questa clausola molto si è discusso e molta confusione si è fatta, ad awiso del Collegio, tra il concetto di segreto di ufficio, come si delinea ai sensi art 326 c.p., e le classificazioni amministrative dell'atto segreto e riservato.
La clausola di limitata divulgazione non rende certamente l'atto segreto o riservato, nessuno invero lo ha sostenuto, ma certamente riconosce a quell'atto una qualità negativa: per il contenuto non può essere oggetto di indiscriminata diffusione ma è destinato solo a chi lo riceve o a chi deve conoscerlo per ragioni di ufficio.
In sostanza classifica l'atto come coperto dal segreto di ufficio.
La tesi sostenuta da più voci processuali, tra le quali legittimamente quella dell'imputato, che tale classificazione avesse valore solo all'interno del DAP e fosse tamquam non esset per il destinatario esterno al dipartimento, che quindi poteva liberamente diffonderlo, è singolare.
Dipinge una Pubblica Amministrazione senza coerenza, priva di unitarietà, in cui ogni ufficio si regola come una sorta di repubblica indipendente, senza alcuna considerazione e attenzione per le esigenze di altri uffici.
Il DAP indica che una determinata notizia non deve uscire al di fuori del circuito istituzionale di chi la deve conoscere per ragioni di ufficio, ma il destinatario potrebbe legittimamente comunicarla indifferentemente a chiunque perché la clausola non ha valore al di fuori dell'ufficio che la ha apposta.
Un appartenente al DAP non può comunicare la notizia al di fuori dell'ufficio (la ragione per cui il protocollo venne istituito) ma l'appartenente ad altro Ufficio che ne venga a conoscenza in ragione del suo ufficio può invece liberamente trasmettere la notizia ad altri, indipendentemente da una ragione di ufficio.
In definitiva, e per concludere sul punto, dall'istruttoria risulta chiaro come nessuno dubitasse che le notizieriguardanti i rapporti e le intese tra Cospito e i detenuti di criminalità organizzata, e più in generale il detenuto Cospito, fossero notizie delicate e riservate, che non dovessero avere una libera circolazione e non potessero esserecomunicate al di fuori dei ristretti circuiti istituzionali a ciò demandati; molto è invece cambiato dopo la vicendache qui ci occupa, quando le notizie sul Cospito e sui suoi rapporti durante la detenzione con altri detenuti sono diventate notizie di libera diffusione e le chiare clausole con cui se ne limitava la divulgazione poco più che consigli, da non prendere neppure troppo sul serio, che si potevano legittimamente ignorare.
In definitiva: le notizie riguardanti i colloqui del Cospito erano segreti di ufficio non accessi a terzi perché rientranti e ricomprese nella categoria che la legge (in particolare L 241/90 115/96) sottrae al diritto di accesso per il loro contenuto e per la rilevanza in ordine a una pluralità di aspetti, in particolare la sicurezza all'interno degli istituiti e la efficacia del sistema di prevenzione e repressione di reatiall'interno degli istituti penitenziari, con i possibili riflessi all'esterno; tali sono stati ritenuti e come tali sono statitrattati da tutti i soggetti che ne sono venuti a contatto; la clausola di limitata divulgazione prendeva atto di tale oggettiva rilevanza e precludeva a chi ne veniva a conoscenza un uso e una divulgazione al di fuori dei compiti di ufficio e delle finalità a cui erano dirette quelle informazioni.
Si è contestato che gli atti fossero coperti da segreto di ufficio perché contenevano notizie che erano già state diffuse dalla stampa, il riferimento è ad un articolo a firma di Lirio Abbate sull'edizione del 30.12.23 del quotidiano La Repubblica.
La tesi è priva di fondamento.
Riporta l'articolo in questione: Caspita condivide la sua ora di socialità con un camorrista e due mafiosi di cosanostra, in particolare un boss palermitano che anche lui è contro il 41 bis e con loro passeggia nel cortile, parla,e condivide idee e analisi.
Si tratta di una notizia del tutto generica, la cui vaghezza balza immediatamente agli occhi se la si confronta che le notizie contenute nell'intervento dell'On. Donzelli, apprese e rivelate dall'imputato.
Nell'articolo non sono in alcun modo menzionati i nomi detenuti per criminalità organizzati, notizia che invece ilDELMASTRO DELLE VEDOVE riferisce all'On. Donzelli; l'articolo parla genericamente di condivisione di idee.
Le relazioni del GOM inserite nella scheda NIC invece indicano precisamente il contenuto di quegli scambi di ideee, quel che più conta, il tentativo di dar vita ad una progettualità comune. Soprattutto, ben diverso è che una notizia appaia in termini generici in un articolo di giornale rispetto alla diffusione ad opera di una fonte qualificata eautorevole.
Del resto, la differenza è stata stigmatizzata dal giudice di legittimità in termini chiari, infatti: "In tema di rivelazione di segreti di ufficio, il dovere di segretezza in capo al pubblico ufficiale è escluso soltanto se la notizia di ufficio sia divenuta, per causa non imputabile al predetto soggetto, di dominio pubblico. Tale situazione non è integrata dalla precedente pubblicazione della notizia su due quotidiani di diffusione nazionale, in quanto, da un lato, ciò non equivale a rendere di dominio pubblico assoluto la notizia, dall'altro, la rivelazione del pubblico ufficiale conferisce un "quid pluris" alla conoscenza di essa, attribuendole una particolare pregnanza qualificativa di credibilità." (Cass Sez VI 9.6.1997, Palumbo).
Peraltro, e per chiudere l'argomento, come già sottolineato appare radicalmente diverso il contenuto dell'articolo pubblicato sul quotidiano rispetto alle notizie precise, dettagliate e contestualizzate che l'imputato rivela all'On.Donzelli.
Si è poi sostenuto, facendo leva su una più risalente giurisprudenza (che esclude il reato quando il destinatario della rivelazione del segreto aveva comunque diritto alla sua conoscenza), che l'Onorevole Donzelli avrebbe comunque avuto un diritto di accesso e comunque di conoscenza delle notizie rivelate dall'imputato, sicché il delitto non potrebbe sussistere, anche nell'ipotesi si volesse ritenere non rispettate (assunto che la difesa contesta) le procedure sul diritto di accesso in questo senso (in questo senso Cass Sez. V 20.3.2009 PG c/ C e altro; Cass sez VI 6.6.1994, Bandiera).
L'argomento per la verità è superato dall'assunto, ritenuto dal Tribunale (cfr. supra), della non ostensibilità delle notizie rivelate dall'imputato perché comprese tra quelle per le quali è escluso il diritto di accesso; né risulta che per i parlamentari il diritto di accesso sia regolato diversamente e vi sia una contrazione del segreto di ufficio (questo stesso dato si ricava con certezza dalla stessa nota del Capo di Gabinetto del 16.2.23, più volte ricordata).
Si deve poi ricordare che rispetto a quelle medesime informazioni, pur se ormai di dominio pubblico, il diritto di accesso venne negato all'Onorevole Bonelli che pure aveva presentato istanza scritta.
Non è perciò chiaro perché quel diritto di accesso dovesse essere invece riconosciuto all'On. Donzelli, come vorrebbe la difesa (cfr infra).
Tuttavia, anche a voler accedere alla tesi Difensiva dell'ostensibilità delle notizie, tutta la più recentegiurisprudenza sottolinea come il reato sia integrato anche quando destinatario della rivelazione sia un soggettoastrattamente legittimato a ricevere l'informazione ma che ne sia entrato in possesso in violazione alle norme ealle procedure sul diritto di accesso (Cass. Sez VI
11.5.23 Agnetto Fabio; Cass Sez VI 1.7.22 Mango già cit. supra; Cass Sez VI 4.11.16 PG in proc Di Campli; CassSez VI 9.12.2015, Cerato e altro; Cass Sez V 15.1.2025 PG in proc Perrone e altro dove si sottolinea costantemente che il reato è integrato quando la rivelazione "sia vietata dalle norme sul diritto di accesso,perché svelata a soggetti non titolari del diritto o senza il rispetto delle modalità previste '.
Conclusione che risulta conforme al bene tutelato dalla norma penale che è il buon andamento della Pubblica Amministrazione e la sua imparzialità (Cass Sez VI 3.10.2017 Greco e altri; Cass Sez VI 21.2.24 PG in proc c/ferro Antonio Vito), risultandone la palese mortificazione allorché le notizie o le informazioni siano date in camera caritatis al di fuori di qualsivoglia controllo e procedura, divenendo così un affare privato tra chi la notizia rivela e chi la apprende.
Del resto, è la stessa L 241/90 all'art. 28 a vietare al pubblico impiegato che la comunicazione delle informazioni avvenga "al di fuori delle ipotesi e delle modalità previste dalle norme sul diritto di accesso.»
Certo, a parere del Collegio, non possono rientrare nelle modalità previste informali colloqui telefonici e incontri altrettanto informali alla buvette del Parlamento.
La Difesa ha infatti contestato che il modo in cui le notizie vennero fornite all'On. Donzelli non rispondessero alle modalità previste dalla legge, invocando l'art 5 DPR nr 184/2006 che prevede un accesso informale.
La tesi non può essere condivisa perché l'informalità introdotta dalla disposizione non può significare e non significa un affare privato tra due soggetti al di fuori di qualsivoglia controllo e al di fuori di qualsivoglia documento e di qualsivoglia traccia della richiesta e delle notizie fornite.
Ciò risulta evidente dalla lettura integrale della norma in questione:
1. Qualora in base alla natura del documento richiesto non risulti l'esistenza di controinteressati il diritto di accesso può essere esercitato in via informale mediante richiesta, anche verbale, all'ufficio dell'amministrazione competente a formare l'atto conclusivo del procedimento o a detenerlo stabilmente.
2. Il richiedente deve indicare gli estremi del documento oggetto della richiesta ovvero gli elementi che neconsentano l'individuazione, specificare e, ove occorra, comprovare l'interesse connesso all'oggetto della richiesta, dimostrare la propria identità e, ove occorra, i propri poteri di rappresentanza del soggetto interessato.
3. La richiesta, esaminata immediatamente e senza formalità, è accolta mediante indicazione della pubblicazione contenente le notizie, esibizione del documento, estrazione di copie, ovvero altra modalità idonea.
4. La richiesta, ove provenga da una pubblica amministrazione, è presentata dal titolare dell'ufficio interessato odal responsabile del procedimento amministrativo ed è trattata ai sensi de/l'articolo 22, comma 5 della legge.
5. La richiesta di accesso può essere presentata anche per il tramite degli Uffici relazioni con il pubblico.
6. La pubblica amministrazione, qualora in base al contenuto del documento richiesto riscontri l'esistenza di controinteressati, invita l'interessato a presentare richiesta formale di accesso.
La richiesta va fatta all'ufficio e non in forma privata alla singola persona, fosse pure il responsabile (e l'istruttoria, per voce stessa dei protagonisti, indica che richiesta e comunicazioni sono avvenuti al di fuori della PA e come questione privata tra l'imputato e l'On. Donzelli), tanto vero che non esiste alcuna richiesta e non è noto quali fossero gli atti richiesti quali eventualmente consegnati, il che introduce un primo elemento di opacità; il richiedente deve comunque indicare gli estremi del documento oggetto di richiesta, mentre nel caso di specie appare chiaro che sono state date generiche indicazioni.
Informale, inoltre, non può voler dire sottratto a qualsivoglia controllo, giacché delle interlocuzioni tral'imputato e l'On. Donzelli non esiste alcuna traccia.
Del resto, proprio il contenuto del successivo art. 6, che introduce l'accesso formale quando non sia possibile l'accoglimento della richiesta in via informale, sta a significare che informale non vuol dire sganciato da qualsivoglia controllo e verifica, come avviene in una questione privata trattata al di fuori dei luoghi istituzionali e degli uffici, come in effetti avvenne per la richiesta dell'On. Donzelli e per la comunicazionefatta dall'imputato.
Resta da esaminare la sussistenza del dolo, unico punto in cui le discussioni di Accusa e Difesa si sovrappongono, anche se per la Difesa l'argomento ha valore residuale essendosi sostenuto in via principale chele informazioni trasmesse dall'imputato all'On. Donzelli non erano coperte da segreto di ufficio, tesi questa,invece, respinta dalla Procura.
La tesi che l'imputato non fosse consapevole che le notizie da lui insistentemente richieste e comunicate all'on Donzelli fossero coperte dal segreto d'ufficio non può essere condivisa: difetta di credibilità ed è sfornita diprova salva la parola interessata dell'imputato e di parte dei testi in servizio al Ministero che, riferendosi alle classificazioni del segreto e riservato e a quella del segreto investigativo, non considerano in alcun modo che ilsegreto di ufficio ha una portata più vasta.
Va premesso che il delitto previsto dall'art 326 c.p. è reato di dolo generico ed è irrilevante il movente o la finalitàper cui il soggetto agente rivela né il reato è escluso dall'eventuale errore sui limiti dei propri e degli altrui poteriin ordine a dette notizie (Cass Sez VI 13.1.99 nr 2183 Cass Sez VI 11.2.2002 nr 9331).
In primo luogo, ad avviso del Collegio, occorre sgomberare il campo da un equivoco vale a dire che l'imputato sarebbe stato tratto in errore anche dalla confusione che regnava all'interno del Ministero e dagli equivoci sul segreto amministrativo confuso con altri tipi di riservatezza degli atti (tesi che viene spesa nella richiesta di archiviazione del P.M. acquisita in atti).
L'intera istruttoria dibattimentale indica che tali equivoci e le interpretazioni prospettate in dibattimento sulla libera ostensione delle notizie fornite all'On. Donzelli, sorgono e si sviluppano dopo il fatto e dopo il clamore mediatico e le polemiche politiche.
E' evidente che il difetto di dolo deve preesistere alla condotta incriminata; l'illecito deve essere compiuto sorretto da una atteggiamento psicologico che incide sulla corretta formazione del processo volitivo viziato dall'errore.
La confusione e gli equivoci avrebbero dovuto sussistere prima della condotta incriminata e avrebbero dovuto condizionarla, ma di questo non c'è alcuna traccia nell'istruttoria.
Trattasi, inoltre, di errore che non può cadere sulla conoscenza della legge penale né sulla corretta valutazione di quelli che sono gli elementi che integrano la fattispecie penale, dovendo, piuttosto, cadere sul fatto che l'agente si rappresenta in modo errato.
Orbene, per quanto riguarda il connotato di segretezza che qualificava le notizie rivelate, l'istruttoriadibattimentale rivela in modo chiaro che solo dopo il clamore mediatico e politico suscitato dall'interventoparlamentare dell'On. Donzelli più voci ed in diversi contesti si spesero per assicurare che nessun segretotutelasse quelle notizie (cfr. le copie di articoli di quotidiani prodotte) e che si trattava di notizie liberamente ostensibili e non coperte da alcun segreto (salvo le incongruenze già sottolineate e sulle quali sarebberipetitivo tornare), mentre esistono prove che identiche assicurazioni siano state fornite prima che le notizie rivelate né che l'imputato ebbe a chiedere lumi e informazioni ad alcuno sulla natura di quelle notizie.
Al contrario, risulta che l'imputato compulsò con fretta e premura insistente gli uffici del DAP e dallo stesso esame del Delmastro appare evidente come egli agì in modo del tutto autonomo e senza nessuna preventiva consultazione con gli uffici. Anche il racconto che l'imputato fa di una consultazione con il magistrato Sebastiano Ardita, unica persona a cui sia stato fatto esplicito riferimento, avvenne in momento successivo (l'imputato usa l'avverbio dopo: cfr pag. 50 esame DELMASTRO DELLE VEDOVE).
Quindi, prima della condotta incriminata non vi fu alcuna consultazione con gli uffici e nessuno assicurò l'imputato che le informazioni potevano essere divulgate al di fuori degli uffici, al contrario, come già ricordato, tutto il percorso con cui le informazioni richieste giungono dal DAP all'imputato è disseminato di segnali che ne indicano la riservatezza, primo tra tutti la clausola di limitata divulgazione apposta dal capo del DAP e che il DELMASTRO DELLE VEDOVE ebbe certamente, per sua stessa ammissione, modo di vedere (cfr esame imputato "Basentini, istituisce questa circolare che diceva, "se io ti faccio una domanda, tu mi dai la risposta senza farla circolare qua dentro perché è fragile e permeabile la struttura e io voglio dare la risposta chiusa a chi me l'ha fatta'; cioè al ministro, al sottosegretario").
Un'assicurazione, quella sulla libera ostensione dei colloqui intercorsi tra il Cospito e i detenuti in regime di 41 bis OP per criminalità organizzata, che peraltro, ritiene il Tribunale, piuttosto difficilmente l'imputato avrebbe potuto avere.
Prima di ogni altra valutazione, è il comune buon senso, che indica come notizie sensibili e riservate di per sé einformazioni sui comportamenti e collegamenti all'interno dell'istituto di pena tra detenuti sottoposti al regime 41 bis O.P., in considerazione del particolare regime detentivo a cui quei detenuti sono sottoposti e della caratura delinquenziale che li caratterizza, un regime che ha la precipua finalità di recidere i collegamenti con l'esterno e il contesto criminale a cui appartengono.
Se poi si ritiene il comune buon senso un criterio di valutazione troppo scivoloso per un processo, unaconsiderazione che il Collegio può certamente condividere, può richiamarsi la valutazione di chi, per storia professionale e ruolo ricoperto, ha tutti gli elementi per qualificare nel modo più corretto le informazionioggetto dell'imputazione: ......E' bene premettere, in linea di principio, tutti gli atti riferibili ai detenuti in regime di 41 bis sono, per loro natura, sensibili, ragion per cui, ai fini della loro ostensione, occorrono una preventiva verificae una valutazione del loro contenuto. A partire da questo dato esiste, però, una pluralità di aspetti che meritano doversi approfondimenti. Bisogna comprendere di che tipo di atti si tratti, quale livello di segretezza essi abbiano,ese e chi potesse averne conoscenza e se il destinatario potesse a sua volta, divulgarli e dividerli o condividerli conterzi (da intervento Ministro Nordio seduta nr. 47 della Camera resoconto stenografico prodotto dalla difesa diParte civile Ud 3.2.25).
Il passaggio del discorso del Ministro è riportato anche nel secondo periodo in cui si attenua il portato della prima affermazione: è però certo che nel caso che qui occupa non ci fu alcuna preventiva verifica né alcunapprofondimento.
Il risultato degli studi approfonditi del Ministero è il provvedimento del Capo di Gabinetto con cui si rispondealla richiesta dell'On. Bonelli, un provvedimento che tenta di tutelare la posizione del sottosegretario affermando l'assenza di segreto su quelle informazioni e sugli atti, ma comunque negando il diritto di accessoe mantenendo la riservatezza su ogni altro atto.
Dunque, a differenza di altro caso giudiziario per analogo reato, che pure ha destato clamore ed è stato oggetto già di pronunce giurisdizionali, anche al massimo livello, dove pure il problema del dolo è stato affrontato ex professo, (ci si riferisce alla rivelazione del segreto investigativo che ha coinvolto il magistrato della Procura di Milano Storari e l'ex Consigliere del CSM Davigo) nel caso di cui è processo non ci fu nessuno che rassicurò l'imputato sulla liceità e legittimità delle comunicazioni degli atti e delle notizie che egli intendeva fare all'On. Donzelli.
Anche il profilo personale dell'imputato rende inverosimile il difetto di dolo sostenuto. Laureato in legge, avvocato penalista , sottosegretario con delega agli Istituti di pena (quindi proprio il settore che attua il regime previsto dall'art 41 bis OP), parlamentare di lungo corso, attento e sensibile ai profili della sicurezza, così come ci racconta la teste nel riferire il disappunto che l'imputato ebbe nei confronti della• , responsabile di non aver puntualmente verificato l'attuazione delle direttive da lei impartite, chiamato a ricoprire ruoli apicali nell'amministrazione della giustizia e specificamente nella gestione della polizia penitenziaria e degli istituti di pena, ebbene date tutte queste premesse suona abbastanza singolare che le informazioni contenute nella relazione dei GOM integralmente trasfuse nella scheda del NIC siano state dall'imputato ritenute liberamente divulgabili e non coperte dalla riservatezza del segreto di ufficio.
Né si può ritenere, come pure a tratti si è cercato di accreditare, che l'imputato ignorasse l'esistenza del segreto di ufficio e che questo si limitasse alle classificazioni degli atti come "segreto/segretissimo; riservato/riservatissimo" o al segreto investigativo, errore questo peraltro che cadrebbe sulla legge penale, non scusabile ai sensi art 5 CP.
Inoltre, si è poi già ricordato come il percorso delle carte trasmesse all'imputato fosse disseminato di alert sulla delicatezza e la riservatezza delle informazioni lì contenute.
Infatti: è solo un caso che l'incarto non si trasmesso in modo riservato e che non sia poi classificato come riservato; la stampigliatura RISERVATO, sia pure barrata a penna, ancora si legge sulla nota nr 84 del GOM inviata dal ; la clausola limitata divulgazione, apposta dal capo del DAP sulla seconda nota - la nr 98 - in modo espresso e per esteso nel corpo della stessa nota di accompagnamento. Sono tutti segnali dei quali l'imputato era a conoscenza, quantomeno di quello più vistoso vale a dire la clausola limitata divulgazione (cfr esame DELMASTRO DELLEVEDOVE ud 12.12.24 pag 30).
L'imputato al riguardo fa affermazioni non condivisibili in punto di diritto: la circolare con evidenza non istituiscealcun segreto, che invece discende direttamente dalla legge, ma si limita a dare atto e a comunicare al destinatario, come avvenuto nel caso di specie, che l'atto non è liberamente ostensibile, ed è bene qui precisare che non ci sono categorie sottratte al segreto di ufficio e al dovere di riservatezza, soprattutto quando si tratti di notizie sottratte al diritto di accesso, come era nel caso di specie.
L'imputato ha spiegato di aver avuto rassicurazioni sul punto ma invero - come già sottolineato
- nel corso dell'istruttoria non si sono sentiti testimoni che abbiano riferito di una preventiva consultazione del sottosegretario, al quale sarebbe stato assicurato la libera divulgazione delle notizie riguardanti detenuti sottoposti al41 bis O.P. e nello stesso racconto della vicenda fatto dall'imputato non compaiono soggetti con i quali ebbe aconsultarsi, prima.
Né qui rilevano le assicurazioni e le tesi che sono state sostenute dopo il fatto, nel momento in cui scoppia il clamore mediatico e politico.
D'altro canto, non risulta neppure chiaro, oltre alla personale conoscenza, quale sia stata l'utilizzazione chel'imputato ebbe a fare delle informazioni richieste in termini tanto pressanti: nel dibattimento l'unico uso che risulta essere stato fatto di quelle informazioni è la loro comunicazione all'Onorevole Donzelli, che poi se ne servì nella discussione parlamentare.
Ancora: anche nella recente sentenza in tema di rivelazione del segreto di ufficio nel caso sopra richiamato, si è sottolineato come persone particolarmente competenti e a conoscenza della materia (Cass Sez VI 4.12.24, Davigo), e tale deve certamente ritenersi l'imputato in materia di sicurezza all'interno degli Istituti di pena, non possa credibilmente invocare il difetto di dolo. Peraltro, un errore sulla segretezza va escluso anche alla luce della chiara clausola apposta dal DAP che l'imputato ha ignorato, adducendo poi in dibattimento spiegazioni poco convincenti, che tali rimangono anche se dopo il fatto suffragate da testi operanti all'interno dello stess Ministero.
Ritenere che l'indicazione di limitata divulgazione potesse avere valore solo all'interno del DAP, i cui componenti erano dunque tenuti alla riservatezza, e non avesse invece alcun valore all'esterno, ossia che chi aveva conoscenza della notizia o dell'informazione in ragione del suo ufficio ma quale appartenente a uffici diversi dal DAP potesse liberamente divulgarla, è privo del più elementare senso logico.
Altro è evidentemente la possibilità per il decisore politico di prendere conoscenza di quella notizia, che nessuno nega, che è però cosa ben diversa dalla libera divulgazione.
Quanto all'errore sulla legge extrapenale che avrebbe determinato l'errore sul fatto va ricordato che per "legge diversa da quella penale" si deve intendere quella destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale, non incorporata in una norma incriminatrice, nè da questa richiamata implicitamente ( Cass Sez I 30.1.24, Del Vecchio; Cass Sez VI 25941 del 31.3.2015, Ceppaglia, Cass Sez IV 12.2.2015, Bucca; Cass Sez IV 7.7.2020, Barba) , il che evidentemente esclude che possa ricondursi alla legge extrapenale la nozione di segreto di ufficio.
Pertanto, alla stregua di quanto esposto va affermata la responsabilità penale dell'imputato in ordine al delitto a lui ascritto.
Ciò posto e venendo al trattamento sanzionatorio, possono concedersi ai sensi art. 62 bis c.p. le attenuantigeneriche per la condizione di soggetto immune da precedenti penali e per il buon e coretto comportamento processuale: l'imputato ha presenziato al processo ed ha accettato di sottoporsi ad esame, rispondendo alledomande delle parti e del Tribunale, ed articolando le sue difese in termini corretti.
Il fatto è inoltre un episodio isolato, specifico e limitato.
La pena, osservati i criteri di cui all'art 133 c.p. può essere determinata in mesi otto di reclusione (un anno direclusione ridotta di un terzo per la concessione delle attenuanti generiche).
Segue ex /ege la condanna al pagamento delle spese processuali.
Trattandosi di reato commesso in violazione dei doveri di ufficio va disposta la pena accessoria dell'interdizionetemporanea dai pubblici uffici ex artt. 28, IV co, e 31 c.p. che il Collegio ritiene equo determinare periodo di un anno, anche in considerazioni delle limitazioni edittali previste dal citato articolo 28 c.p.
Va concesso ai sensi art 163 c.p. il beneficio della sospensione condizionale della pena, potendosi certamente formulare una prognosi favorevole sui futuri comportamenti dell'imputato per la condizione di soggetto incensurato e apparendo il fatto un singolo e specifico episodio, legato a fattori contingenti, e non ostandovi inoltre la misura della pena irrogata.
3. La richiesta di risarcimento del danno delle costituite parti civili
Va premesso che con ordinanza del 02.04.2024, le cui motivazioni qui si richiamano, il Collegio ha ammesso lacostituzione di parte civile degli On. Serracchiani Debora, Orlando Andrea, Verini Walter e Bachisio Silvio Lai iquali tutti hanno richiesto il risarcimento del danno reputazionale da rivelazione di segreto d'ufficio.
A fondamento della domanda risarcitoria, quantificata nella misura simbolica di euro cinque, le parti civili assumono che la divulgazione dei dati sensibili e riservati concernenti i contenuti delle conversazioni intercorse tra Alfredo Cospito ed esponenti della criminalità organizzata è avvenuta dall'imputato DELMASTRO DELLEVEDOVE all'On. Donzelli con il fine precipuo di preparare l'intervento di questi alla Camera dei Deputati sulla proposta di istituzione della Commissione Antimafia, informazioni che l'On. Donzelli avrebbe poi utilizzato nelsuo discorso alla Camera riprendendole testualmente dalla relazione dei NIC.
Secondo tale prospettazione ciò che appare rilevante e decisivo è la dedotta sussistenza di un nesso causaleeziologicamente orientato tra la condotta illecita in imputato contestata al DELMASTRO DELLEVEDOVE e l'evento dannoso, individuato nel contenuto dell'interv parlamentare dell'On. Donzelli, che sfruttaquanto appreso dall'odierno imputato.
Ciò posto, il danno fatto valere dalle parti civili è certamente qualificabile in termini danno non patrimoniale all'onore e alla reputazione, in quanto tale risarcibile senza necessità di dover attingere alla norma espressa dal terzo comma dell'art. 326 c.p. (cfr. Cass. pen. n. sez. VI, 23/11/2021, ud. 23/11/2021, dep. 07/10/2022,n.38062).
Tuttavia, ferma la legittimazione delle parti civili a far valere una pretesa risarcitoria per il danno derivante dalla condotta sussumibile nell'art. 326, co. 1, c.p., deve essere chiarito che "altro" è la legittimazione alla costituzione di parte civile delle persone offese o del danneggiato ed "altro" è la prova del danno patito, che la parte legittimata a far valere il suo interesse nel processo penale deve dimostrare avvalendosi degli ordinari strumenti di prova.
Il concreto danno generato dalla condotta illecita non è infatti presunto, né può intendersi dimostrato con il semplice riconoscimento della ipotetica, astratta, lesione prospettata all'atto della costituzione, ma deve essere provato secondo le consuete regole civilistiche regolanti la materia e dettate, più in particolare, dagli artt. 2043 e 1223 e.e., così come richiamate dall'art. 185 c.p. La "sussistenza" del danno che è prossima all'immanenza quando la parte civile è la persona offesa, ovvero la persona fisica direttamente lesa dall'azione criminosa tipica, deve essere invece specificamente provata quando il rapporto tra azione e danno è indiretto, come avviene, diregola, nei casi in cui la pretesa civilistica sia avanzata dal danneggiato (Cass. pen. n. 31574/2023).
Passando ad esaminare le risultanze dell'istruttoria dibattimentale, non è emersa alcuna evidenza e certa prova del fatto che l'imputato abbia fornito all'On. Donzelli le informazioni riservate al preciso fine di consentire a quest'ultimo di utilizzarle nel proprio discorso parlamentare nei termini in cui poi sono state utilizzate, per screditare specificatamente la reputazione degli On. Andrea Orlando, Bachisio Silvio Lai, Debora Serracchiani eWalter Verini. Il danno lamentato, infatti, non è dato di per sé dalle notizie rivelate in ordine alle interlocuzionee ai progetti del Cospito con altri detenuti, quanto dell'uso che di tali notizie viene fatto mettendole in correlazione con la visita dei parlamentari all'anarchico insurrezionalista (anche con errore di data, come si è visto, così da sovrapporre la visita ai colloqui del Cospito con i detenuti per criminalità organizzata) e mettendoin connessione la correlazione Cospito - detenuti di criminalità organizzata con quella tra la visita dei parlamentario e la criminalità organizzata rispetto alla quale l'intervento formula una domanda provocatoria.
Che in tutto questo l'imputato abbia avuto una parte non è in alcun modo provato.
D'altro canto, si deve prendere atto che tanto l'On. Donzelli che l'imputato (cfr pag 43 trascr Ud 12.12.24) hanno escluso qualsivoglia coordinamento nell'intervento in parlamento del quale l'On. Donzelli si è assunto la piena ed esclusiva responsabilità, e il processo non offre elementi certi che smentiscano la tesi difensiva.
Non può ritenersi, infatti, che l'imputato sia né l'autore "materiale" né quello "mediato" del danno reputazionale lamentato dalle parti civili né tantomeno si può ritenere che egli ne sia corresponsabile in via solidale con l'On.Donzelli (peraltro tutelato dall'art 68, I co, Cost) , ai sensi dell'art. 2055 e.e., dal momento che, come sovra detto, manca la prova della preordinazione della condotta illecita della rivelazione della notizia riservata all'On. Donzelli ai fini della preparazione dell'intervento che questi avrebbe successivamente tenuto in Parlamento.
Ne consegue che la domanda di risarcimento del danno avanzata dalle costituite parti civili nei confrontidell'imputato deve pertanto essere respinta.
P.Q.M.
Il Tribunale visti gli artt. 533, 535 c.p.p.
Dichiara DELMASTRO DELLE VEDOVE ANDREA colpevole del reato a lui ascritto e concesse le circostanze generiche di cui all'art 62 bis c.p. lo condanna alla pena di mesi otto di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processuali.
Visti gli artt. 28, co IV, e 31 cp
Applica a DELMASTRO DELLE VEDOVE ANDREA la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per la durata di un anno.
Visto l'art. 163 e 175 cp
Concede in favore dell'imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione nel casellario
Visto l'art 538 cpp
Rigetta la richiesta di risarcimento del danno avanzata dalle costituite parti civili Fissa per il deposito della motivazione il termine di gg novanta.
Motivazione predisposta e depositata in modo non telematico in ragione del Decreto del Presidente del Tribunale nr 6248 del 26.03.2025 ai sensi art .175 bis cpp attestante il malfunzionamento di App.2.
Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2025