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Infarto del difensore è forza maggiore, impugnazione va garantita (Cass. 8985/22)

16 marzo 2022, Cassazione penale

L'incapacità di intendere e di volere dovuta all'insorta malattia, che si ritiene idonea a configurare la causa di forza maggiore ai fini della restituzione in termini, deve essere valutata anche come incapacità temporanea, non essendo esigibile che il difensore, in condizioni di parziale incoscienza dovuta ad una così grave patologia come quella occorsa all'avvocato dell'istante, sia tenuto ad avvedersi del decorso del termine per impugnare nell'ambito di uno dei, plausibilmente, numerosi patrocini che compongono la sua attività professionale.

Cassazione penale

sez. V, ud. 19 gennaio 2022 (dep. 16 marzo 2022), n. 8985

Ritenuto in fatto

1. La Corte d'Appello di Ancona, con la decisione in epigrafe, non ha accolto l'istanza di restituzione nel termine per proporre appello formulata da V.L. in data 28.5.2021, in relazione alla sentenza n. 703 del 15.12.2020 del Tribunale di Ascoli Piceno, divenuta irrevocabile, avanzata per l'impossibilità del difensore di fiducia a proporre impugnazione, stante l'assoluto impedimento derivante dall'infarto del miocardio che lo ha colpito in data 4.5.2021.

La decisione è fondata sulla constatazione della non assoluta incapacità di intendere e di volere seguita alla malattia dell'avvocato patrocinatore, il quale non risulta essere mai stato in condizioni di incoscienza tali da impedirgli di informare il suo assistito, anche tramite terzi, della decorrenza del termine per proporre impugnazione a partire dal 2.4.2021, a fronte di un mandato difensivo comprensivo anche del potere di impugnazione conferito sin dal 25.5.2018, sicché la malattia è intervenuta quando oramai più dei due terzi di detto termine erano decorsi.

2. Ha proposto ricorso l'istante, tramite il difensore, deducendo un unico motivo di censura con cui denuncia violazione di legge processuale e vizio di motivazione carente e illogica.

Il ricorrente evidenzia come, nell'istanza di restituzione in termini, fosse stato chiarito che l'effettivo incarico di proporre appello avverso la sentenza di condanna emessa nei suoi confronti fosse stato conferito soltanto in data 30.4.2021, dopo le normali e doverose valutazioni di opportunità, non rilevando che il difensore di fiducia avesse ricevuto mandato per proporre impugnazione sin dalla nomina del 25.5.2018.

Soltanto quattro giorni dopo, dunque, il difensore nominato era stato colpito da infarto del miocardio infero-posteriore (il 4.5.2021), con necessità di ricovero ospedaliero e degenza sino al 10.5.2021, data in cui egli è stato dimesso con prescrizione di "riposo assoluto" e con indicazione di non muoversi dal letto per ulteriori 10 giorni (e cioè sino al 20.5.2021). Durante soprattutto i primi giorni di malattia, il difensore è stato in condizioni di semi-incoscienza e, poi, costretto entro rigide prescrizioni mediche che gli hanno impedito non soltanto di provvedere in ordine alla scadenza processuale, ma anche soltanto di averne piena consapevolezza.

La grave situazione di malattia di cui è stato vittima il difensore di fiducia del ricorrente integra pienamente - a suo giudizio - un fattore di "forza maggiore" che avrebbe imposto la restituzione nel termine per impugnare, anche secondo gli indirizzi interpretativi della giurisprudenza di legittimità (si cita Sez. 2, n. 20956 del 8/6/2020).

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato.

2. La giurisprudenza di legittimità ha costantemente ricercato un equilibrio tra le esigenze di tutela e garanzia effettive del diritto di difesa e la necessità di evitare un'eccessiva indulgenza nella valutazione delle situazioni di forza maggiore e caso fortuito che la legge, mediante la disposizione di cui all'art. 175 c.p.p., e l'istituto della restituzione in termini, pone come condizioni della riammissione dell'imputato nei termini per proporre impugnazione, così incidendo sull'ordinaria evoluzione del giudicato, che, sostanzialmente, in tali casi, non può ritenersi formato.

Per questo, si è condivisibilmente affermato che integra un'ipotesi di causa di forza maggiore che giustifica la restituzione in termini, ai sensi dell'art. 175 c.p.p., il solo stato di malattia che sia di tale gravità da incidere sulla capacità di intendere e volere dell'interessato, impedendogli per tutta la sua durata qualsiasi attività (cfr. Sez. 6, n. 51912 del 3/12/2019, Costantino, Rv. 27806:3, che, in applicazione del principio, ha ritenuto legittimo il rigetto della richiesta di restituzione in termini per richiedere un rito alternativo che il ricorrente aveva avanzato adducendo le complicanze di un intervento chirurgico, eseguito in procinto della scadenza del termine per formulare la richiesta, che aveva determinato stato febbrile associato ad una risalente sindrome ansioso depressiva, curata con farmaci inducenti stato confusionale. Vedi, in senso conforme, Sez. 3, n. 23324 del 10/3/2016, Piazzi, Rv. 266826).

2.1. Ciò posto, in talune fattispecie, con caratteri di peculiarità, la Cassazione ha ritenuto che fosse invece apprezzabile, dal punto di vista della restituzione nel termine per impugnare, una situazione patologica del difensore tale da potersi ritenere che abbia impedito del tutto l'esercizio del diritto di impugnazione, sì da integrare la causa di forza maggiore presupposta dal legislatore.

La sentenza della Seconda Sezione Penale, n. 20956 del 2020, invocata dall'istante, tra le altre, ha valutato che la grave situazione di salute di cui è stato vittima il legale di fiducia del ricorrente, pur se preesistente alla sua nomina, costituisse situazione di fatto immediatamente riconducibile alla nozione di forza maggiore che, di per sé, determina le condizioni per la nuova decorrenza dell'intero termine, ricorrendo il carattere dell'assolutezza del fattore esterno determinante e considerando altresì i ristrettissimi tempi residuati per proporre l'impugnazione (tre giorni, in quel caso).

La Corte ha ritenuto, su questi presupposti fattuali, che fosse, altresì, inesigibile da parte dell'imputato una costante verifica della circostanza relativa a se il suo difensore fosse stato o meno in grado di eseguire il suo mandato; così come non poteva ritenersi che a carico del difensore, affetto da gravi patologie, sorgesse il dovere di informare, direttamente o per interposta persona, l'imputato della sua impossibilità, ovvero anche semplice difficoltà, ad adempiervi (nello stesso senso, cfr. anche Sez. 2, n. 21726 del 17/04/2019, Iannotti).

La verifica dei presupposti per attivare il rimedio della restituzione nel termine consiste, dunque, nel valutare se la mancata presentazione dell'impugnazione nei termini di legge, da parte dell'imputato o della difesa tecnica nel suo interesse, sia riconducibile a colpa o malizia, personale o professionale, della parte (intesa nella sua articolazione di imputato e difensore) - nel qual caso, ovviamente, non è consentito l'accesso al rimedio processuale ex art. 175 c.p.p. - ovvero a fattori esterni riconducibili alle nozioni di caso fortuito o forza maggiore, che, se peculiari o inusuali, possono aver inciso, sulla base di una valutazione di ordinaria diligenza, sull'utile e tempestiva presentazione dell'impugnazione.

2.2. Nella fattispecie all'esame del Collegio risulta che la patologia del difensore sia stata effettivamente molto grave: un infarto del miocardio infero-posteriore, sopraggiunto il 4.5.2021, con necessità di ricovero ospedaliero e degenza sino al 10.5.2021, data in cui egli è stato dimesso con prescrizione di "riposo assoluto" e con indicazione di non muoversi dal letto per ulteriori 10 giorni; nell'istanza di restituzione in termini si rappresenta, altresì, che, durante soprattutto i primi giorni di malattia, il difensore è stato in condizioni di semi-incoscienza e, poi, costretto entro rigide prescrizioni mediche che gli hanno impedito non soltanto di provvedere in ordine alla scadenza processuale, ma anche soltanto di averne piena consapevolezza.

Di fronte ad una tale situazione di fatto, in verità incontestata nei suoi elementi essenziali, la Corte d'Appello ha incentrato le ragioni del rigetto dell'istanza ex art. 175 del codice di rito su un ragionamento che, invero, prova troppo: poiché il termine per proporre impugnazione (nel caso di specie, l'appello) era già iniziato a decorrere ben prima dell'insorgere della patologia e il difensore risultava essere stato nominato, anche in vista di future impugnazioni, già circa due anni addietro, la patologia insorta a pochi giorni dalla scadenza del termine sarebbe in qualche modo ininfluente sull'esercizio del diritto a proporre appello, che poteva essere utilmente proposto ben prima della malattia; d'altra parte, si interpreta quest'ultima in modo rigido ed assoluto, ben oltre le condizioni, ragionevoli e costituzionalmente orientate configurate dalla giurisprudenza di legittimità già richiamate.

Ed invece, l'incapacità di intendere e di volere dovuta all'insorta malattia, che si ritiene idonea a configurare la causa di forza maggiore ai fini della restituzione in termini, deve essere valutata anche come incapacità temporanea, non essendo esigibile che il difensore, in condizioni di parziale incoscienza dovuta ad una così grave patologia come quella occorsa all'avvocato dell'istante, sia tenuto ad avvedersi del decorso del termine per impugnare nell'ambito di uno dei, plausibilmente, numerosi patrocini che compongono la sua attività professionale.

D'altra parte, neppure appare logico basare il rigetto dell'istanza ex art. 175 c.p.p., come invece ha fatto il provvedimento impugnato, sul tempo "sprecato" dal difensore dal momento in cui ha ricevuto l'incarico (quello specifico e, vieppiù, quello generale conferitogli all'inizio del mandato) fino a quello in cui è insorta la patologia, in modo del tutto inaspettato ed imprevedibile (secondo i presupposti di configurabilità del caso fortuito e della forza maggiore): è una scelta difensiva importante e personalissima quella di decidere se proporre o non impugnazione avverso un provvedimento penale, una scelta che spetta solo all'imputato ed al difensore e non può ubbidire alla tempistica che il giudice si prefiguri come migliore o più opportuna ad evitare imprevisti.

La legge prevede un determinato termine per impugnare una sentenza e, sino al suo scadere, ogni momento del suo decorso è utile e uguale all'altro per proporre impugnazione.

Deve, pertanto, affermarsi che integra un'ipotesi di causa di forza maggiore che giustifica la restituzione in termini, ai sensi dell'art. 175 c.p.p., lo stato di malattia del difensore che sia di tale gravità da incidere sulla sua capacità di intendere e volere, anche in modo temporaneo, ma tanto da impedirgli per tutta la sua durata qualsiasi attività, non essendo esigibile che il difensore, in condizioni di parziale incoscienza dovuta alla sua patologia, sia tenuto ad avvedersi del decorso del termine per impugnare, nè potendosi operare valutazioni di meritevolezza del rimedio basate sulla possibilità di attivarsi da parte sua prima dell'insorgere della patologia.

In conclusione, nel caso di specie, deve riconoscersi la sussistenza di una causa di forza maggiore che ha impedito al difensore di proporre nei termini di legge impugnazione per conto del suo assistito, sicché si impone la restituzione nel termine per proporre appello e l'ordinanza impugnata, pertanto, deve essere annullata senza rinvio.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e rimette il ricorrente in termini per appellare la sentenza 15 dicembre 2020 del Tribunale di Ascoli Piceno.