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"Infame di merda, prima o poi ti ammazziamo" è minaccia grave (Cass. 13180/19)

26 marzo 2019, Cassazione penale

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La gravità della minaccia va accertata avendo riguardo, in particolare, al tenore delle eventuali espressioni verbali ed al contesto nel quale esse si collocano onde verificare se, ed in qual grado, la condotta minatoria abbia ingenerato timore o turbamento nella persona offesa.

Per essere grave, non è necessario che la minaccia di morte sia circostanziata, potendo benissimo, ancorché pronunciata in modo generico, produrre un grave turbamento psichico, avuto riguardo alle personalità dei soggetti, attivo e passivo, del reato.

 

Corte di Cassazione

 sez. V Penale, sentenza 8 febbraio – 26 marzo 2019, n. 13180
Presidente Pezzullo - Relatore Tudino

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza impugnata, la Corte d'Appello di Genova ha confermato la decisione del 5 novembre 2015 del Tribunale in sede, con la quale Ba. Fa. e Ng. Fa. sono stati condannati alla pena di giustizia per il reato di minaccia grave in danno di VR. Pur all'esito delle censure defensionali, la corte territoriale ha ritenuto la penale responsabilità degli imputati, escludendo l'applicabilità della speciale causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen..

2. Ricorrono avverso tale pronuncia gli imputati, per mezzo del comune difensore Avv. AG, affidando le proprie censure a due motivi.

2.1. Con il primo motivo, deducono inosservanza o erronea applicazione della legge penale e correlato vizio della motivazione in riferimento all'aggravante del reato di minaccia, per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto la condotta grave omettendo di valutare in concreto il perturbamento psichico della persona offesa che, quale informatore della polizia, non si è sentito intimorito dalla generica prospettazione di morte, tanto da non aver sporto querela.
2.2. Con il secondo motivo, deducono analoghe censure ed il vizio di motivazione in riferimento alla mancata applicazione della speciale causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen., esclusa - pur in presenza dei presupposti - alla stregua della valutazione di gravità del fatto, automaticamente evinta dall'aggravante contestata.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Il primo motivo di censura è manifestamente infondato.

2.1. La corte territoriale ha esplicitamente sottolineato - in punto di dimostrazione della gravità della prospettazione di morte - la azione coordinata dei due agenti in concorso, che si avvicinarono alla persona offesa l'uno (Ba. Fa.) puntandogli contro un dito affermando "prima o poi ti ammazzo, la città è piccola, conosco delle persone che ti fanno fuori" mentre l'altro (Ng. Fa.) contestualmente gli rivolgeva l'espressione "infame di merda, prima o poi ti ammazziamo, vieni qua se hai il coraggio, quando ti troviamo poi vedi cosa ti succede" calando siffatte espressioni nel comune contesto ambientale delle parti - di difficile controllo da parte delle forze dell'ordine che, nell'occasione, furono costrette a chiamare rinforzi - e traendo da tali complessive circostanze, unitamente all'evocazione dell'intervento di terzi, una valutazione di attualizzazione e concretezza delle minacce, rispetto al quale lo status di confidente della vittima non è stato ritenuto idoneo a depotenziarne la portata intimidatrice.

2.2. Siffatta argomentazione, rappresentata secondo cadenze logiche ed aderenti agli esiti della prova, appare del tutto rispondente al principio secondo cui la gravità della minaccia va accertata avendo riguardo, in particolare, al tenore delle eventuali espressioni verbali ed al contesto nel quale esse si collocano onde verificare se, ed in qual grado, la condotta minatoria abbia ingenerato timore o turbamento nella persona offesa (Sez. 6, n.35593 del 16/06/2015, Romeo, Rv. 264341, N. 1451 del 1982, N. 1105 del 1984, , N. 5617 del 1986, N. 9314 del 1990, N. 43380 del 2008 Rv. 242188), non essendo necessario che la minaccia di morte sia circostanziata, potendo benissimo, ancorché pronunciata in modo generico, produrre un grave turbamento psichico, avuto riguardo alle personalità dei soggetti, attivo e passivo, del reato (Sez. 5, n.44382 del 29/05/2015, Mirabella, Rv. 266055, N. 725 del 1966).

E l'idoneità della minaccia di morte ad ingenerare turbamento nella persona offesa non è smentita, ma anzi confermata, dalla mancata proposizione della querela, avendo la persona offesa denunciato i fatti, avvertiti in termini di gravità, agli operanti intervenuti.

2.3. Dal testo della sentenza impugnata non è dato, pertanto, ravvisare alcuna omissione valutativa delle ragioni dell'impugnazione, né alcuna disarticolazione del ragionamento giustificativo, con il quale il ricorrente omette di confrontarsi (Sez. U. n.8825 del 27/10/2016 - dep. 2017, Gattelli, Rv. 268822), riproponendo in sede di legittimità censure argomentativamente superate. Di guisa che l'inammissibilità del ricorso esclude che debba darsi alla persona offesa l'avviso previsto dall'art. 12, comma 2 del D.Lgs. 10 aprile 2018, n. 36 (Sez. U, n.40150 del 21/06/2018, Salatino, Rv. 273551).

3. E', del pari, generico il secondo motivo di ricorso.

3.1. La corte territoriale ha escluso la sussistenza dei presupposti necessari per la declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto non solo richiamando la gravità, apprezzata in concreto, dei fatti, bensì esplicitando la valenza del movente ritorsivo e l'opposizione all'azione di contrasto alla vendita di merci che collocano ex sibus il fatto in una condizione logicamente incompatibile con il carattere di specialità che la tenuità deve contrassegnare.

3.2. Nella duplice declinazione evidenziata, la motivazione soddisfa il necessario standard valutativo dei presupposti di applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, considerato, peraltro, che il difetto delle condizioni può essere rilevato anche con giustificazione implicita (Sez. 5, n.24780 del 08/03/2017, Tempera, Rv. 270033, N. 48317 del 2016 Rv. 268499), attraverso la complessiva lettura del provvedimento.

4. Alla inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma, che si stima equo determinare in Euro. 3000, in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro. 3.000,00 a favore della Cassa delle ammende.