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Indennizzo per vittime di reato violento solo se responsabile incipiente (Trib. Torino, 2067/17)

18 aprile 2017, Tribunale di Torino

L'indennizzo a carico dello Stato a favore di vittime di reati violenti  è cogente solo in presenza del presupposto dell'impossibilità di esercitare la pretesa nei confronti del responsabile in quanto incapiente o non identificato.

 

TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO

SEZIONE QUARTA CIVILE

Sentenza 18 aprile 2017, n. 2067

Il Giudice Unico

dott.ssa Anna Castellino

ha pronunziato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 5492/2015 R.G.C.

avente per oggetto: risarcimento del danno

promossa da:

A.C., elettivamente domiciliata in Torino, via Bertola 2, presso lo studio dell'avv. SC e dell'avv. GAC che la rappresentano e difendono per procura in atti;

Parte attrice

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI,

Parte convenuta contumace

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

C.A. ha evocato in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri domandandone la condanna al risarcimento del danno patito a seguiti dei reati violenti e intenzionali subiti, previo accertamento della responsabilità dello Stato Italiano per l'omessa attuazione della Direttiva 2004/80/CE che impone agli Stati membri dell'Unione di garantire 'adeguato' ed 'equo' ristoro alle vittime dei reati violenti ed intenzionali.

L'attrice, allegando i gravi crimini di violenza sessuale e lesioni commessi ai suoi danni da A.G., accertati con sentenza penale di condanna passata in giudicato (docc. 1,2,14) ha invocato la direttiva 2004/80/CE del 29.4.2004 'relativa all'indennizzo delle vittime da reato' e in particolare l'art. 12 (rubricato 'Sistemi di indennizzo nazionali') e ritenendo lo Stato Italiano inadempiente all'obbligo di attuazione, ne ha domandato la condanna al pagamento dell'indennizzo 'equo' e 'adeguato' previsto dall'art. 12, indicato alla luce delle circostanze del caso concreto nella misura di Euro 400.000,00.

Il Ministero convenuto ha depositato comparsa costitutiva in via telematica in data 9.6.2015, dichiarata irricevibile con decreto 19.6.2015 e non seguita da rituale costituzione in giudizio; pertanto, alla prima udienza ne è stata dichiarata la contumacia.

All'esito del deposito delle memorie autorizzate ex art. 183 VI comma c.p.c., il giudice, ritenendo irrilevanti o inammissibili i capi di prova orale dedotti, ha rinviato la causa per la precisazione delle conclusioni.

1) La contumacia della parte convenuta

Come esposto in premessa, la parte convenuta dopo aver depositato in via telematica in data 9.6.2015 la comparsa costitutiva (dichiarata irricevibile), non ha provveduto a regolarizzare la propria posizione processuale non costituendosi (né mai comparendo) in giudizio.

In proposito l'art. 19 del D.L. 27 giugno 2015, n. 83 convertito con modificazioni in L. n. 132 del 2015 ha così disposto:

'Al D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 16-bis, sono apportate le seguenti modificazioni:

1) dopo il comma 1 è inserito il seguente:

"1-bis. Nell'ambito dei procedimenti civili, contenziosi e di volontaria giurisdizione innanzi ai Tribunali e, a decorrere dal 30 giugno 2015, innanzi alle Corti d'Appello è sempre ammesso il deposito telematico dell'atto introduttivo o del primo atto difensivo e dei documenti che si offrono in comunicazione, da parte del difensore o del dipendente di cui si avvale la pubblica amministrazione per stare in giudizio personalmente, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. In tal caso il deposito si perfeziona esclusivamente con tali modalità".

Pertanto prima dell'entrata in vigore del D.L. (27 giugno 2015) il deposito telematico degli atti introduttivi era privo di valore legale consentendo l' art. 16 bis D.L. n. 79 del 2012 nella previgente formulazione 'il deposito degli atti processuali e dei documenti' da parte dei difensori delle parti 'precedentemente costituite' e non per l'atto contestuale alla costituzione (interpretazione fatta propria ed espressa nel protocollo del PCT concordato con l'ordine degli avvocati di Torino: '...Ogni atto diverso da quelli contemplati nel suesteso elenco non è al momento depositabile telematicamente: è pertanto privo di valore legale - tra gli altri - il deposito degli atti introduttivi nel procedimento ordinario (atto di citazione, comparsa di costituzione e risposta, interventi autonomi)'. La parte convenuta deve dunque considerarsi contumace.

2) La direttiva comunitaria 2004/80/CE del 29.4.2004: giurisprudenza comunitaria e interna.

La domanda azionata nel presente giudizio ha ad oggetto il risarcimento del danno per inadempimento dello Stato italiano all'obbligo di dare attuazione alla direttiva comunitaria 2004/80/CE del 29.4.2004.

E' dunque preliminare l'esame del contenuto di tale direttiva, nei suoi tratti più rilevanti.

- Considerando 6:

'Le vittime di reato nell'Unione Europea dovrebbero avere il diritto di ottenere un indennizzo equo e adeguato per le lesioni subite, indipendentemente dal luogo della Comunità Europea in cui il reato è stato commesso'.

- Considerando 7:

'La presente direttiva stabilisce un sistema di cooperazione volto a facilitare alle vittime di reato l'accesso all'indennizzo nelle situazioni transfrontaliere, che dovrebbe operare sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori. Dovrebbe essere pertanto istituito in tutti gli Stati membri un meccanismo di indennizzo'.

- Considerando 8:

'La maggior parte degli Stati membri ha già istituito questi sistemi di indennizzo, alcuni di essi in adempimento dei loro obblighi derivanti dalla convenzione Europea del 24 novembre 1983 sul risarcimento alle vittime di atti di violenza'.

- Considerando 10

'Le vittime di reato in molti casi non possono ottenere un risarcimento dall'autore del reato in quanto questi può non possedere le risorse necessarie per ottemperare a una condanna al risarcimento dei danni, oppure può non essere identificato o perseguito'.

- Considerando 11:

'Dovrebbe essere introdotto un sistema di cooperazione tra le autorità degli Stati membri per facilitare l'accesso all'indennizzo nei casi in cui il reato sia stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiede'.

- Considerando 12:

'Questo sistema dovrebbe consentire alle vittime di reato di rivolgersi sempre ad un'autorità del proprio Stato membro di residenza e dovrebbe ovviare alle eventuali difficoltà pratiche e linguistiche connesse alle situazioni transfrontaliere'.

- Articolo 12:

'1. Le disposizioni della presente direttiva riguardanti l'accesso all'indennizzo nelle situazioni transfrontaliere si applicano sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori.

2. Tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime'.

Lo Stato Italiano è stato sanzionato all'esito del procedimento di infrazione proposto dalla Commissione europea innanzi alla Corte di giustizia (sentenza 29 novembre 2007, n. C-112/07 Commissione c. Italia) per non essersi conformato alla direttiva non dandosi rilievo all'iter legislativo in corso in data successiva all'avvio del procedimento (sfociato nell'emanazione del D.Lgs. n. 204 del 2007 entrato in vigore il 24.11.2007).

Tale normativa, rubricata 'Attuazione della direttiva 2004/80/CE relativa all'indennizzo delle vittime di reato' si è limitata a disciplinare le modalità di coordinamento tra Stati in caso di situazioni transfrontaliere (in adempimento del settimo considerando), ma non ha introdotto un sistema di indennizzo a favore delle vittime di tutti i reati violenti ed intenzionali, ritenuto dalla difesa attorea obiettivo non meno importante e presupposto per l'operatività della disciplina.

Come noto si sono formate nella giurisprudenza interna, anche di questo Tribunale, due diverse soluzioni interpretative in merito alla portata della direttiva:

- la prima (Corte d'Appello di Torino sentenza 23.1.2012 che ha confermato al sentenza di primo grado del 3.5.2010; Tribunale di Milano sentenza n. 10441/2014), pur condividendo l'individuazione della ratio ispiratrice della direttiva nel coordinamento transfrontaliero, ha precisato: 'Tali forme di collaborazione presuppongono però che tutti gli Stati membri siano dotati di normative nazionali che prevedano l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, ed è appunto ciò che impone il par. 2 dell'art. 12: altrimenti il sistema nel suo complesso non può funzionare'; ha pertanto accolto la domanda attorea fondata sul presupposto dell'inadempimento dello Stato italiano all'obbligo di dare attuazione all'art. 12 della direttiva;

- la seconda (Tribunale di Trieste 741/2014, 382/2013; Corte d'appello di Roma 9.5.2014, Tribunale di Torino 28.12.2013 e 20.11.2014), muovendo dalla ratio della direttiva di facilitare l'accesso all'indennizzo nelle cosiddette situazioni transfrontaliere, ha ritenuto rimessa alla discrezionalità del legislatore l'individuazione delle fattispecie indennizzabili, discrezionalità esercitata dallo Stato italiano con il riconoscimento della tutela per le vittime di specifici reati quali le vittime di terrorismo e criminalità organizzata ( L. n. 320 del 1990 e successivamente L. n. 44 del 1999 ); le vittime del disastro aereo di Ustica (L. n. 340 del 1995); le vittime dei reati di usura (L. n. 108 del 1996 ) e di tipo mafioso (L. n. 512 del 1999 ); ha pertanto rigettato la domanda ritenendo l'art. 12 non immediatamente precettivo di un obbligo di indennizzo per le vittime di tutti i reati violenti.

Nella giurisprudenza comunitaria, la Corte di Giustizia con la sentenza n. 467 del 28 giugno 2007 ha affermato che 'La direttiva istituisce un sistema di cooperazione volto a facilitare alle vittime di reato l'accesso all'indennizzo in situazioni transfrontaliere. Essa intende assicurare che, se un reato intenzionale violento è stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiede abitualmente, quest'ultima sia indennizzata da tale primo Stato' e con l' ordinanza del 30.1.2014 , pronunciata a seguito del rinvio pregiudiziale del Tribunale di Firenze in data 20 febbraio 2013 ex art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (in fattispecie analoga alla presente relativa all'indennizzo richiesto dalla vittima di un reato di violenza sessuale) ha concluso affermando che, poiché nel caso in esame la vittima era residente in Italia dove il fatto è stato commesso, 'la situazione di cui trattasi nel procedimento principale non rientra nell'ambito di applicazione della direttiva 2004/80, bensì solo del diritto nazionale. Orbene, in una situazione puramente interna, la Corte non è, in linea di principio, competente a statuire sulla questione posta dal giudice del rinvio'.

Successivamente all'ordinanza della Corte di Giustizia (il 16.10.2014) l'Italia è stata deferita dalla Commissione alla Corte per inadempimento della direttiva.

Con la recente sentenza dell'11.10.2016, la Corte di Giustizia ha così statuito:

'La Repubblica italiana, non avendo adottato tutte le misure necessarie al fine di garantire l'esistenza, nelle situazioni transfrontaliere, di un sistema di indennizzo delle vittime di tutti i reati intenzionali violenti commessi sul proprio territorio, è venuta meno all'obbligo ad essa incombente in forza dell'articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa all'indennizzo delle vittime di reato'.

Nell'iter motivazionale della pronuncia, dopo aver dato conto delle diverse interpretazioni offerte circa il contenuto della direttiva, la Corte ha interpretato l'art. 12 paragrafo 2 nel senso 'che esso mira a garantire al cittadino dell'Unione il diritto di ottenere un indennizzo equo ed adeguato per le lesioni subite nel territorio di uno Stato membro nel quale si trova, nell'ambito dell'esercizio del proprio diritto alla libera circolazione, imponendo a ciascuno Stato membro di dotarsi di un sistema di indennizzo delle vittime per ogni reato intenzionale violento commesso sul proprio territorio' e dunque tale disposizione 'non prevede che gli Stati membri possano circoscrivere l'applicazione del sistema di indennizzo che sono tenuti ad istituire in forza della direttiva 2004/80 ad una parte sola dei reati intenzionali violenti, commessi nei rispettivi territori'.

Nel rileggere e reinterpretare la precedente pronuncia della Corte di Giustizia (del 2014) ha chiarito: '49. Infatti, è pur vero che la Corte ha già dichiarato che la direttiva 2004/80 prevede un indennizzo unicamente nel caso di un reato intenzionale violento commesso in uno Stato membro dove la vittima si trova, nell'ambito dell'esercizio del suo diritto alla libera circolazione, cosicché una situazione puramente interna non rientra nell'ambito di applicazione di tale direttiva (v., in tal senso, sentenze del 28 giugno 2007, D., C-467/05, EU:C:2007:395, punto 59, e del 12 luglio 2012, G. e a., C-79/11, EU:C:2012:448, punto 37, nonché ordinanza del 30 gennaio 2014 , C., C-122/13, EU:C:2014:59, punto 12). Ciò non toglie tuttavia che, nel fare ciò, la Corte si è limitata a precisare che il sistema di cooperazione istituito dalla direttiva 2004/80 riguarda unicamente l'accesso all'indennizzo nelle situazioni transfrontaliere, senza tuttavia escludere che l'articolo 12, paragrafo 2, di tale direttiva imponga ad ogni Stato membro di adottare, al fine di garantire l'obiettivo da essa perseguito in siffatte situazioni, un sistema nazionale che garantisca l'indennizzo delle vittime di qualsiasi reato intenzionale violento sul proprio territorio.

50. Una siffatta interpretazione dell'articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80 è del resto conforme all'obiettivo di tale direttiva, consistente nell'abolizione degli ostacoli tra Stati membri alla libera circolazione delle persone e dei servizi al fine di migliorare il funzionamento del mercato interno'.

Nelle more del procedimento di infrazione è stata promulgata la L. n. 122 del 2016, entrata in vigore il 23.7.2016, che all'art. 11, sotto la rubrica 'Diritto all'indennizzo in favore delle vittime di reati intenzionali violenti, in attuazione della direttiva 2004/80/CE . Procedura di infrazione 2011/4147' ha così statuito:

'1. Fatte salve le provvidenze in favore delle vittime di determinati reati previste da altre disposizioni di legge, se più favorevoli, è riconosciuto il diritto all'indennizzo a carico dello Stato alla vittima di un reato doloso commesso con violenza alla persona e comunque del reato di cui all'articolo 603-bis del codice penale, ad eccezione dei reati di cui agli articoli 581 e 582, salvo che ricorrano le circostanze aggravanti previste dall'articolo 583 del codice penale.

2. L'indennizzo è elargito per la rifusione delle spese mediche e assistenziali, salvo che per i fatti di violenza sessuale e di omicidio, in favore delle cui vittime, ovvero degli aventi diritto, l'indennizzo è comunque elargito anche in assenza di spese mediche e assistenziali.

3. Con decreto del Ministro dell'interno e del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono determinati gli importi dell'indennizzo, comunque nei limiti delle disponibilità' del Fondo di cui all'articolo 14, assicurando un maggior ristoro alle vittime dei reati di violenza sessuale e di omicidio'.

3) L'esame dei presupposti per l'accoglimento della domanda risarcitoria

A fronte di tale mutato contesto giurisprudenziale (comunitario) e normativo (interno), la difesa attorea ritiene ormai incontestabile l'inadempimento dello Stato italiano e per l'effetto integrati i presupposti per la domanda risarcitoria, tenuto conto che al momento alla L. n. 122 del 2016 (di cui in ogni caso ha stigmatizzato il contenuto, ritenuto sotto molti profili in contrasto con la direttiva) non hanno ancora fatto seguito i decreti attuativi per cui non risulterebbe comunque adempiuto l''obbligo di prendere tutti i provvedimento necessari a conseguire il risultato prescritto da una direttiva' (sentenza Francovich).

Come riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee, a partire dalla sentenza Francovich del 19 novembre 1991, poiché 'gli Stati membri sono tenuti ad adottare tutte le misure di carattere generale o particolare atte ad assicurare l'esecuzione degli obblighi ad essi derivanti dal diritto comunitario', ne consegue che la 'responsabilità dello Stato per danni causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili è inerente al sistema del Trattato'; la tutela dei diritti che trovano fonte nella normativa comunitaria verrebbe altrimenti meno 'se i singoli non avessero la possibilità di ottenere un risarcimento ove i loro diritti siano lesi da una violazione del diritto comunitario imputabile ad uno Stato membro'.

Sulla base di tale premessa, la Corte ha peraltro circoscritto i limiti e presupposti in presenza dei quali ricorre la responsabilità dello Stato con riferimento alla 'natura della violazione del diritto comunitario' di cui si è reso responsabile, individuando tre precise condizioni:

'La prima di queste condizioni è che il risultato prescritto dalla direttiva implichi l'attribuzione di diritti a favore dei singoli.

La seconda condizione è che il contenuto di tali diritti possa essere individuato sulla base delle disposizioni della direttiva.

Infine, la terza condizione è l'esistenza di un nesso di causalità tra la violazione dell'obbligo a carico dello Stato e il danno subito dai soggetti lesi'.

Nella successiva sentenza della Corte di Giustizia del 5.3.1996 si è ulteriormente chiarito:

'55 Quanto alla seconda condizione, sia per quanto riguarda la responsabilità della Comunità ai sensi dell'art. 215 sia per quanto attiene alla responsabilità degli Stati membri per violazioni del diritto comunitario, il criterio decisivo per considerare sufficientemente caratterizzata una violazione del diritto comunitario è quello della violazione manifesta e grave, da parte di uno Stato membro o di un'istituzione comunitaria, dei limiti posti al loro potere discrezionale.

56 Al riguardo, fra gli elementi che il giudice competente può eventualmente prendere in considerazione, vanno sottolineati il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, l'ampiezza del potere discrezionale che tale norma riserva alle autorità nazionali o comunitarie, il carattere intenzionale o involontario della trasgressione commessa o del danno causato, la scusabilità o l' inescusabilità di un eventuale errore di diritto, la circostanza che i comportamenti adottati da un' istituzione comunitaria abbiano potuto concorrere all' omissione, all' adozione o al mantenimento in vigore di provvedimenti o di prassi nazionali contrari al diritto comunitario.

57 In ogni caso, una violazione del diritto comunitario è manifesta e grave quando continua nonostante la pronuncia di una sentenza che ha accertato l'inadempimento contestato, di una sentenza pregiudiziale o di una giurisprudenza consolidata della Corte in materia, dalle quali risulti l'illegittimità del comportamento in questione'.

Ancora, la più recente pronuncia della Corte di Giustizia 25.1.2007 ha ribadito che se i termini adoperati dalla direttiva 'lasciano agli Stati membri un certo potere discrezionale nella scelta del meccanismo da adottare ai fini di tale tutela' (come nella specie ove non sono previsti nel dettaglio i presupposti di operatività dell'indennizzo), anche a voler ritenere che lo Stato nell'esercizio della sua discrezionalità non abbia rispettato 'il livello minimo di tutela prescritto dalla direttiva', affinché sia integrata 'la responsabilità dello Stato membro interessato ' non è sufficiente 'il solo fatto dell'infrazione al diritto comunitario' (in ipotesi integrato dall'incompleta attuazione della direttiva per omesso rispetto dei requisiti minimali di tutela), ma è altresì necessario che la violazione sia 'grave e manifesta' il che presuppone una 'violazione sufficientemente caratterizzata del diritto comunitario' in ragione del grado di chiarezza e di precisione della norma violata.

Nell'elaborazione giurisprudenziale interna, infine, la Suprema Corte (Sezioni Unite 17 aprile 2009 n. 9147) ha affermato che:

- 'In caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (...) non autoesecutive, sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di giustizia, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto (...) allo schema della responsabilità per inadempimento della obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria per attività non antigiuridica, dovendosi ritenere che la condotta dello Stato inadempiente sia suscettibile di essere qualificata come antigiuridica nell'ordinamento comunitario ma non anche alla stregua dell'ordinamento interno';

- 'Il diritto al risarcimento deve essere riconosciuto allorché la norma comunitaria, non dotata del carattere self-executing, sia preordinata ad attribuire diritti ai singoli, la violazione sia manifesta e grave e ricorra un nesso causale diretto tra tale violazione ed il danno subito dai singoli'.

La difesa attorea assume che, alla luce dell'interpretazione offerta dalla recente sentenza della Corte di Giustizia sopra citata, risulti grave e manifesta la violazione da parte dello Stato italiano della direttiva comunitaria, con ciò ritenendo superato l'orientamento espresso anche dalla giurisprudenza del Tribunale di Torino che, sul presupposto della scarsa chiarezza precettiva dell'art. 12 della direttiva, aveva escluso il fondamento della condanna risarcitoria.

Occorre tuttavia considerare che la giurisprudenza sia comunitaria sia interna richiede ai fini della sussistenza della responsabilità dello Stato anche la (terza) condizione, consistente nell'esistenza di un nesso di causalità tra la violazione dell'obbligo a carico dello Stato e il danno subito dai soggetti lesi'.

Ci si deve dunque domandare se nel caso di specie l'adempimento dell'obbligo imposto dalla direttiva da parte dello Stato avrebbe scongiurato la verificazione del danno che in questa sede si chiede sia risarcito; in concreto, dunque, è necessario verificare se la parte attrice ha dimostrato la sussistenza dei presupposti per la tutela dei diritti riconosciuti dalla direttiva non attuata dallo Stato.

Incontestato è il presupposto consistente nella qualificazione dell'attrice come 'vittima di reati intenzionali e violenti': la lettura delle sentenze di primo e secondo grado (seguite dall'inammissibilità del ricorso in Cassazione) con cui con ampia ed approfondita motivazione A.G. è stato ritenuto responsabile dei reati di violenza sessuale e lesioni personali non lascia adito a dubbi in proposito.

Tale requisito non è tuttavia da solo sufficiente per ritenere che C.A. sia titolare del diritto ad ottenere un indennizzo a carico dello Stato.

La finalità della direttiva si evince infatti dal considerando 10 in base al quale ' 'Le vittime di reato in molti casi non possono ottenere un risarcimento dall'autore del reato in quanto questi può non possedere le risorse necessarie per ottemperare a una condanna al risarcimento dei danni, oppure può non essere identificato o perseguito'.

L'indennizzo a carico dello Stato è dunque cogente solo in presenza del presupposto dell'impossibilità di esercitare la pretesa nei confronti del responsabile in quanto incapiente o non identificato.

La diversa interpretazione proposta dalla difesa attorea nella comparsa conclusionale circa la funzione solidaristica della disciplina, assimilabile ad esempio alla tutela offerta dall'Inail con diritto di rivalsa nei confronti del responsabile, non è coerente con il dettato del citato considerando 10 e con il contenuto della Convenzione europea del 24 novembre 1983, menzionata nel considerando 8 della direttiva che la stessa parte attrice riconosce (p. 5 citazione) essere in linea con gli obiettivi e le finalità di tale Convenzione nell'imporre analogo sistema di indennizzo anche ai paesi che non l'avevano ratificata (tra cui l'Italia).

Tale Convenzione ha nelle sue premesse la seguente dicitura: 'considerando che è necessario introdurre o sviluppare regimi di risarcimento in favore di queste vittime da parte dello Stato sul cui territorio sono stati commessi tali reati, segnatamente per i casi in cui l'autore del reato sia ignoto o privo di mezzi'.

Anche nelle conclusioni dell'Avvocato Generale presentate il 12 aprile 2016 nella Causa C-601/14 promossa dalla Commissione europea contro la Repubblica italiana, definita appunto con la sentenza dell'11.10.2016 sopra citata, vi sono plurimi riferimenti al presupposto dell'insolvenza o mancata identificazione del responsabile:

'64. Con il suo ricorso per inadempimento la Commissione afferma che, prevedendo un sistema di indennizzo applicabile alle vittime non di tutti, ma solo di determinati reati intenzionali violenti il cui autore sia insolvente o sconosciuto e violando così le disposizioni dell'articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti...

70. In tale ottica, il cittadino dell'Unione che si sposta si trova in una situazione chiara. Ove si avvalga della sua libertà di circolazione, egli ha la garanzia che, qualora sia vittima di un reato intenzionale violento nello Stato membro in cui si reca, potrà chiedere - in caso di inadempimento dell'autore del reato - alle autorità competenti di detto Stato un indennizzo, come avrebbe potuto fare se il reato fosse stato commesso sul territorio dello Stato membro in cui risiede....

73. Nel caso in cui l'autore del reato sia sconosciuto o insolvente, gli Stati membri hanno previsto un indennizzo da parte di un organismo pubblico o di un fondo speciale che garantisca il risarcimento dei danni di una certa gravità. Al riguardo, la fissazione della soglia a partire dalla quale sia possibile richiedere l'indennizzo è lasciata alla valutazione degli Stati membri.

74. Il carattere generale, riconosciuto dagli Stati membri, del principio dell'indennizzo per i reati il cui autore sia solvibile garantisce la parità di trattamento. Il fatto che, ove l'autore non sia noto o sia insolvente, determinati Stati membri garantiscano l'indennizzo mediante fondi pubblici soltanto per alcuni di detti reati pregiudica tale parità di trattamento.

88. La direttiva 2004/80 impone agli Stati membri il solo obbligo di prevedere l'indennizzo delle vittime dei reati intenzionali violenti quando il loro autore sia sconosciuto o insolvente, e ciò allo scopo di realizzare uno degli obiettivi dell'Unione'.

In linea con tali presupposti la L. n. 122 del 2016 (pur allo stato come si è detto priva dei decreti attuativi) all'art. 12 ha previsto per il riconoscimento dell'indennizzo il requisito della preventiva infruttuosa escussione del responsabile.

D'altronde la stessa difesa attorea nel formulare le conclusioni a pag. 39 dell'atto di citazione aveva testualmente domandato l'accertamento, quale presupposto della domanda di condanna, della responsabilità dello Stato per non aver garantito adeguato ed equo ristoro alle vittime di reati violenti ed intenzionali 'impossibilitate a conseguire sai loro offensori il risarcimento integrale dei anni subiti e patendi', con ciò riconoscendo l'indefettibilità di tale presupposto, modificando poi le conclusioni sul punto con la memoria ex art. 183 c.p.c.

Tornando dunque al caso di specie, la prova del nesso causale necessaria ai fini dell'accoglimento della pretesa risarcitoria nei confronti dello Stato, implica il previo accertamento della sussistenza dei presupposti in presenza dei quali in caso di adempimento dell'Italia all'obbligo di dare attuazione alla direttiva comunitaria, l'attrice avrebbe ottenuto il dovuto risarcimento e dunque anche la prova dell'insolvenza del responsabile (essendo questi nella specie ben noto e condannato in sede penale).

Ora è ben vero che il considerando 10 è sul punto generico, essendo rimessa alla discrezionalità dello Stato la precisa individuazione dei requisiti affinché possa ritenersi provata l'insolvenza, ma nella specie la prova deve dirsi del tutto mancante.

La difesa attorea si è infatti limitata ad allegare nella citazione che 'il G. è tuttora detenuto e privo di qualsiasi sostanza visti anche i precedenti penali' e a dedurre un generico capo di prova del seguente letterale tenore: 'vero che è impossidente e non ha mai offerto alcuna somma risarcitoria'. Difetta per contro non solo qualsivoglia previo tentativo di escussione, nonostante la parte fosse munita di titolo esecutivo per le statuizioni civili della sentenza di condanna (in punto spese processuali), ma altresì un principio di prova documentale attestante indagini patrimoniali negative.

La prova non può ritenersi in re ipsa e nemmeno fondata su presunzioni in quanto il fatto che il reo sia detenuto non comporta automaticamente che questi fosse privo di redditi in precedenza o che non sia titolare di crediti, beni mobili o immobili potenzialmente aggredibili.

Né a diverse conclusioni sono pervenuti i giudici di merito nelle sentenze citate da parte attrice in quanto nel caso sottoposto all'attenzione dei giudici torinesi (con le prodotte sentenze del Tribunale n. 3145/2010 e della Corte d'Appello n. 154/2012), si è dato rilievo allo stato di latitanza del convenuto e nella pronuncia del Tribunale di Milano, pur premettendosi che non è necessaria la "prova rigorosa" del preventivo non utile esercizio di azioni risarcitorie nei confronti dei responsabili e della loro non solvibilità', l'ha desunta nel caso di specie dalle condizioni personali sotto il profilo della provata assenza di fonte lecita di guadagno prima della carcerazione.

La genericità dell'allegazione e la totale assenza di prova circa le condizioni patrimoniali del responsabile induce dunque ad escludere che nella specie sussistano i presupposti in presenza dei quali, in base alla stessa direttiva come sopra interpretata, all'attrice è attribuito il diritto ad ottenere un indennizzo a carico dello Stato.

La domanda, dunque, non può essere accolta.

Tenuto conto della contumacia di parte convenuta, al rigetto della domanda non consegue alcun onere di parte attrice in punto spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunziando, ogni diversa domanda o eccezione disattesa o assorbita, rigetta le domande di parte attrice;

nulla in punto spese.

Così deciso in Torino, il 14 aprile 2017.

Depositata in Cancelleria il 18 aprile 2017.