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Indagini penali possono essere valutate dal giudice civile (Cass. 20335/04)

15 ottobre 2004, Cassazione civile

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Il giudice civile, in mancanza di alcun divieto, può liberamente utilizzare le prove raccolte in un diverso giudizio tra le stesse o tra altre parti, e può anche avvalersi delle risultanze derivanti dagli atti delle indagini preliminari svolte in sede penale, le quali possono anche essere sufficienti a formare il convincimento del giudice, la cui motivazione non è sindacabile in sede di legittimità quando la valutazione compiuta sia stata estesa anche a tutte le successive risultanze probatorie e non si sia limitata ad un apprezzamento della sola prova formatasi nel procedimento penale. 

 

 CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

 SEZIONE TERZA CIVILE 5770/2002

(ud. 20/05/2004) 15-10-2004, n. 20335

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: 6658/2002

 

Dott. VITTORIA Paolo - Presidente

 Dott. PREDEN Roberto - Consigliere

 Dott. TRIFONE Francesco - rel. Consigliere

 Dott. DURANTE Bruno - Consigliere

 Dott. SEGRETO Antonio - Consigliere

 ha pronunciato la seguente:

 sentenza

 sul ricorso proposto da:

 PA, GS, elettivamente domiciliati in ..

 - ricorrenti -

 contro

 VM, CP, CP, CA;

 - intimati -

 e sul 2^ ricorso n. 5368/02 proposto da:

 CP, CP, elettivamente domiciliati in ..;

 - controricorrenti e ricorrenti incidentali -

 e contro

 PA, GS, VM;

 - intimati -

 e sul 3^ ricorso n. 5770/02 proposto da:

 VM, elettivamente domiciliato in ..;

 - controricorrente e ricorrente incidentali -

 e contro

 CP, elettivamente domiciliato in ..

 - controricorrente al ricorso incidentale -

 e contro

 CA, GS, CP, PA;

 - intimati -

 e sul 4^ ricorso n. 6658/02 proposto da:

 VM, elettivamente domiciliato in ..;

 - controricorrente a ricorrente incidentale -

 contro

 CP, elettivamente domiciliato in ..

- controricorrente al ricorso incidentale -

 e contro

 CP, PA, GS, CA;

 - intimati -

 

avverso la sentenza n. 146/01 della Corte d'Appello di ROMA, sezione quar civile emessa il 28/12/2000, depositata il 17/01/01; RG. 2489/1999;

 udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/05/04 dal Consigliere Dott. Francesco TRIFONE;

 udito l'Avvocato MT;

 udito l'Avvocato CB;

 udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, assorbiti tutti gli altri ricorsi incidentali condizionati.

 Svolgimento del processo

 Con citazione innanzi al tribunale di Roma i coniugi PC e RR convenivano in AC, AP e MV per ottenerne la condanna in solido al risarcimento dei danni subiti per effetto di un incendio divampato nell'appartamento da essi abitato al primo piano dello stabile sito in Rignano Flaminio.

 

Assumevano che l'incendio si era sviluppato in un punto imprecisato del pianoterra del medesimo stabile, ove erano un locale adibito a negozio di proprietà di AP, condotto in locazione da AC, ed altro locale di proprietà di MV.

 

I convenuti si costituivano e contrastavano la domanda.

 

AC deduceva che il locale era condotto in locazione dalla moglie SG; MV negava di essere responsabile dell'incendio; AP indicava come responsabile dell'evento di danno MV, nei cui confronti proponeva domanda riconvenzionale per essere a sua volta risarcito dei danni che aveva subito.

 

Interveniva volontariamente nel giudizio S G, conduttrice del locale adibito alla sua attività di commercio, che pure chiedeva la condanna di MV al ristoro di tutti i danni patiti per la distruzione degli arredi, delle scorte e delle attrezzature esistenti nel negozio e per il mancato guadagno in relazione alla cessazione della sua attività.

 

Altro intervento in causa, spiegato per reclamare il risarcimento dei danni subiti quale proprietario di altro appartamento dello stabile, era effettuato da Angelo Del Meglio, il quale successivamente rinunciava alla domanda.

 

Il tribunale adito, all'esito della prova orale e di due consulenze tecniche d'ufficio e dopo avere acquisito agli atti di causa il rapporto dei carabinieri e la documentazione prodotta dalle parti, condannava MV a risarcire i danni agli attori PC e RR, alla conduttrice S G ed al proprietario Ap.

 

Sulla impugnazione principale di MV e su quella incidentale condizionata dei coniugi PC e RR decideva la Corte d'appello di Roma con sentenza pubblicata il 17 gennaio 2001, la quale, in accoglimento sia dell'appello principale che di quello incidentale, rigettava le domande proposte nei confronti di MV e condannava Ap al risarcimento dei danni a favore dei predetti coniugi.

 

Per entrambi i gradi del giudizio le spese a favore di MV erano poste a solidale carico dei coniugi PC e RR, di S G e di Ap;

 

quest'ultimo era condannato a pagare le spese del doppio grado a favore dei coniugi PC e RR.

 

I giudici d'appello premettevano che, pur in presenza del giudicato penale di assoluzione di MV dal reato di incendio colposo per non avere l'imputato commesso il fatto, il giudice civile non era vincolato all'esito del processo penale ed aveva il potere di accertare, con autonoma valutazione, se i fatti dedotti in causa erano idonei per affermare la responsabilità del convenuto.

 

Consideravano che il giudice di primo grado aveva fondato la sua decisione sulle deposizioni rese dai testi escussi nel processo civile e sulle risultanze della consulenza tecnica disposta in detta sede, ma non aveva fatto riferimento alle emergenze del procedimento penale, introdotto contro MV, se non per affermare di non essere vincolato dalla pronuncia assolutoria per non avere l'imputato commesso il fatto.

 

Ritenevano che il consulente tecnico nominato in primo grado aveva espresso solo l'ipotesi che all'incendio avesse potuto dare causa l'uso del camino dell'appartamento di MV.

 

Rilevavano che la conclusione del giudice penale, il quale aveva escluso che l'incendio potesse essere stato innescato dal camino dell'appartamento di MV, non era nè confermata, nè smentita da quel che era emerso nel giudizio civile.

 

Giudicavano, perciò, che non era stata raggiunta la prova della responsabilità del V.

 

Per altro verso, poichè costituiva dato certo che l'incendio si era sviluppato, favorito dai materiali infiammabili ivi esistenti in quantità notevole, nella parte retrostante del locale adibito a negozio di proprietà di Ap, condannavano costui, nella qualità di custode dell'immobile e in applicazione della norma di cui all'art. 2051 cod. civ., a risarcire i danni dei coniugi PC e RR nella misura già indicata dal tribunale.

 

Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso principale, affidato a tre mezzi di doglianza, Ap e S G.

 

Resistono con controricorso i coniugi PC e RR, i quali hanno proposto impugnazione incidentale condizionata nei confronti di MV per il caso di ritenuta sua responsabilità per l'incendio ed impugnazione incidentale non condizionata nei confronti dello stesso quanto alla loro condanna alle spese dei due gradi del giudizio a suo favore.

 

Resiste con due controricorsi MV, il quale, sulla base di tre motivi, propone anche impugnazione incidentale condizionata sia nei confronti dei ricorrenti principali, che nei confronti dei coniugi PC e RR.

 

PC e RR resistono con controricorso al ricorso incidentale subordinato di MV.

 

Ap e S G nonchè MV hanno presentato memoria.

 

Motivi della decisione

 

I ricorsi, impugnazioni distinte della medesima sentenza, sono riuniti (art. 335 cod. proc. civ.).

 

Con il primo motivo dell'impugnazione principale i ricorrenti Ap e S G deducendo la violazione delle norme di cui agli art. 115 e 116 cod. proc. civ. nonchè l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla responsabilità dell'incendio - criticano la impugnata sentenza perchè il giudice del merito avrebbe fondato tutto il suo ragionamento su due sole deposizioni rese nel procedimento penale, alle quali aveva assegnato valore preminente rispetto a tutti gli altri elementi istrut-tori acquisiti nel giudizio civile.

 

Assumono che il giudice di secondo grado, privilegiando le prove raccolte nel processo penale, avrebbe violato i principi posti dagli art. 115 e 116 cod. proc. civ. e non avrebbe tenuto conto che le prove del giudizio penale assumono in quello civile la valenza di indizi e di elementi di valutazione non vincolanti, essendo il giudice civile obbligato a porle in confronto con gli altri elementi direttamente acquisiti nella causa civile.

 

Aggiungono che il giudice del merito, per stabilire degli effetti della prova penale nel giudizio civile, avrebbe dovuto anche considerare se le parti del processo civile avessero o meno partecipato al giudizio penale, giacchè alla regola del contraddittorio, elemento cardine del nostro sistema processuale, deve essere improntata anche la fase della stessa formazione della prova penale.

 

Precisano, in particolare, che il convincimento del giudice di secondo grado in ordine al fatto che il camino di MV non fosse stato acceso il giorno dell'incendio, era stato tratto esclusivamente dalle deposizioni rese nel procedimento penale dai due vigili del fuoco M e C, delle quali non erano stati considerati i punti di contrasto con quanto dichiarato dagli altri testi; che il giudice del merito, esclusa la sussistenza di prova della responsabilità di MV, non aveva ricercato se vi fossero state altre cause dell'incendio, diverse dalla diffusione di corpi incandescenti dal camino dello stesso V; che la relazione del consulente tecnico d'ufficio sarebbe stata esaminata in modo parziale, dato che il tecnico non aveva affermato che l'incendio era stato determinato da corpi incandescenti provenienti dal camino di MV, ma aveva semplicemente riferito che il focolare di costui era in comunicazione diretta con quello della proprietà P, per cui poteva solo ipotizzarsi la provenienza dell'innesco dal camino del Vo; che la Corte d'appello non avrebbe potuto sminuire il racconto di Anna e Maria Teresa C e di Gina C per il fatto che trattavasi di deposizioni sospette a motivo del grado di parentela con S G; che la medesima Corte territoriale aveva del tutto omesso di esaminare le deposizioni dei testi TLP e GL, entrambi sentiti dai Carabinieri; che sarebbe stato omesso qualsiasi esame sul contenuto della sentenza penale del tribunale, da cui si sarebbero dovuti trarre fondati elementi di inattendibilità dei testi M e C, dei quali, comunque, non era stata valutata l'attendibilità.

 

Infine, i ricorrenti nell'atto d'impugnazione riproducono i capitoli della prova testimoniale da essi articolata nel giudizio civile; il contenuto delle deposizioni dei testi ***, con riferimento anche alle sommarie informazioni rese in sede di indagini di polizia; il contenuto delle deposizioni di Tito ** e di **.

 

L'ampia ed articolata censura, che sostanzialmente costituisce istanza di riesame in questa sede del materiale istruttorie acquisito al processo civile, non può essere accolta.

 

Occorre, anzitutto, premettere che il giudice di merito, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, oltre che utilizzare prove raccolte in diverso giudizio fra le stesse o altre parti, può anche avvalersi delle risultanze derivanti dagli atti delle indagini preliminari svolte in sede penale.

 

Le quali, anche se debbano considerarsi quali indizi, quando nella loro concreta efficacia sintomatica dei singoli fatti noti sono apprezzati utilmente come elementi idonei a fornire utili e concorrenti elementi di giudizio, ben possono essere sufficienti a formare il convincimento del giudice, la cui motivazione non è sindacabile in sede di legittimità quando la valutazione compiuta sia stata estesa anche a tutte le successive risultanze probatorie e non si sia limitata ad un apprezzamento della sola prova formatasi nel procedimento penale.

 

Devesi, inoltre, ribadire che costituisce principio del tutto pacifico (ex plurimis: Cass., sez. un., n. 13045/97) che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per Cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge).

 

Ne consegue che il preteso vizio di motivazione sotto il profilo dell'omissione, dell'insufficienza o della contraddittorietà, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d'ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico- giuridico posto a base della decisione.

 

Orbene, in relazione alla suddetta regola, la quale rende inammissibile in questa sede la rivisitazione del materiale istruttorio per farne discendere una valutazione difforme da quella, coerente e convincente, del giudice del merito, le censure, che i ricorrenti principali prospettano con il primo motivo del ricorso, non evidenziano vizi logici della motivazione tali da integrare la ipotesi di cui all'art. 360 n. 5 cod. proc. civ..

 

La sentenza di secondo grado, invero, ha sottoposto gli elementi e le circostanze emersi nel procedimento penale al vaglio delle situazioni acquisite nel successivo giudizio civile (pag. 10); ha spiegato che il consulente tecnico aveva formulato solo l'ipotesi della possibile provenienza dell'incendio dal camino del V, ma che detta ipotesi era da escludere in virtù delle deposizioni rese dai due vigili del fuoco e delle perplessità al riguardo manifestate anche dal giudice penale (pag. 11); ha ritenuto che le affermazioni raccolte nel processo civile erano sospette per il grado di parentela dei testimoni con S G e che l'altra deposizione di GC riferiva circostanze poco logiche (pag. 12); ha concluso nel senso non era possibile affermare che il camino del V era acceso quando si sviluppo l'incendio (pag. 12), dopo che in precedenza (pag. 9) aveva rilevato che la diversa conclusione del giudice di primo grado, circa la responsabilità del V, era stata desunta sulla base di quelle stesse deposizioni testimoniali, giudicate in secondo grado inattendibili, e sulla scorta di una lettura non corretta della relazione di consulenza tecnica.

 

Con il secondo mezzo di doglianza - deducendo la violazione delle norme di cui agli art. 2051 e 1587 cod. civ. nonchè l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine all'affermata responsabilità presunta di Ap - i ricorrenti principali denunciano che il giudice di secondo grado aveva ritenuto sussistente detta responsabilità per il solo fatto che l'incendio aveva avuto inizio nel negozio di sua proprietà, mentre avrebbe dovuto considerare che, a norma dell'art. 2051 cod. civ., la relativa presunzione di colpa, prevista a carico del custode, doveva ritenersi superata per avere il proprietario P dimostrato che il locale, all'epoca dell'incendio, era detenuto in locazione da S G.

 

Assumono che l'operatività nei confronti del proprietario-locatore della presunzione di responsabilità ex art. 2051 cod. civ. resta circoscritta nell'ambito dell'obbligo di vigilanza sullo stato di conservazione e di efficienza delle strutture edilizie e degli impianti, ma non si estende alle ipotesi in cui il danno sia stato cagionato da sostanze, collocate dall'inquilino all'interno dell'immobile, in ordine alle quali l'obbligo di custodia è del conduttore.

 

Rilevano che nella fattispecie il giudice del merito non si era affatto posto il problema se l'incendio fosse sorto dalle strutture edilizie e dagli impianti, dei quali il proprietario aveva conservato la custodia, ovvero da porzioni e da impianti del bene locato, che dovevano ritenersi passati in custodia della conduttrice G.

 

Aggiungono che il giudice d'appello non aveva poi assolutamente spiegato come il proprietario P potesse essere stato il custode del materiale infiammabile, che si trovava in un locale detenuto dalla conduttrice.

 

Anche detta censura non può essere accolta.

 

Costituisce principio del tutto pacifico nella giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis: Cass., n. 12019/91; Cass., n. 11321/96) che il proprietario dell'immobile locato, conservando la disponibilità giuridica del bene e quindi la custodia delle strutture murarie e degli impianti in esse conglobati, è responsabile, ai sensi dell'art. 2051 cod. civ., dei danni cagionati a terzi da dette strutture ed impianti (salvo rivalsa sul conduttore che abbia omesso di avvertirlo ex art. 1577 cod. civ.), mentre con riguardo ad altre parti ed accessori del bene locato, delle quali il conduttore ha la disponibilità con facoltà od obbligo di intervenire allo scopo di evitare pregiudizio a terzi, la responsabilità verso i terzi, secondo la previsione della suddetta norma, grava soltanto sul medesimo.

 

Di conseguenza, in caso di danni derivati dall'incendio sviluppatosi in un immobile condotto in locazione, così come il conduttore risponde quale custode a norma dell'art. 2051 cod. civ. e si libera da tale responsabilità dando la prova del fortuito, che può anche consistere nella dimostrazione che il fattore determinante l'insorgere dell'incendio ha avuto origine in parti, strutture o apparati dell'immobile non rientranti nella sua disponibilità ed estranei, quindi, alla sfera dei suoi poteri e doveri di vigilanza (Cass., n. 5706/97); allo stesso modo il locatore, per i danni da incendio dell'immobile di sua proprietà, si sottrae alla responsabilità presunta, stabilita dalla citata norma, quando prova che l'incendio ha avuto origine in parti dell'immobile delle quali il conduttore ha la custodia in virtù del suo diritto di utilizzare il bene concessogli in godimento (Cass., n. 7578/95).

 

In tale situazione, nella quale concorrono la esclusiva disponibilità del proprietario di alcune parti dell'immobile locato e l'analogo esclusivo potere di custodia del conduttore sulle altre parti della medesima res locata, qualora non sia possibile determinare in quale di esse sia insorto l'incendio, deve necessariamente ammettersi che la presunzione di responsabilità del custode, prevista dall'art. 2051 cod. civ. e superabile solo con la prova del caso fortuito, continua a configurarsi a carico sia del proprietario che del conduttore, poichè nessuno dei due è stato in grado di dimostrare che la causa autonoma del danno del terzo è da ravvisare nella violazione, da parte dell'altro, dello specifico dovere di vigilanza diretto ad evitare lo sviluppo nell'immobile del suddetto agente dannoso.

 

Nel caso di specie, pertanto, è conforme a legge ed è assistita da idonea motivazione la statuizione del giudice del merito di affermazione della responsabilità del P nella considerazione che l'incendio si era propagato dall'immobile di sua proprietà; che non ne era stata dimostrata una causa esclusiva esterna alla situazione di custodia; che non era stato possibile neppure accertare in quali strutture o da quali impianti dell'immobile locato esso si era sviluppato.

 

Con il terzo motivo - deducendo la violazione delle norma di cui all'art. 2697 cod. civ. nonchè l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine all'entità dei danni subiti dai coniugi PC e RR - i ricorrenti principali denunciano che la conferma da parte del giudice di secondo grado della sussistenza e dell'entità dei danni dei coniugi PC e RR nella misura di lire 43.000.000, secondo conforme valutazione del giudice di primo grado, non poteva essere giustificata dal fatto che detta quantificazione non era stata oggetto di contestazione in appello.

 

Assumono che nel giudizio d'appello il solo MV, condannato in primo grado a risarcire il pregiudizio economico patito dai predetti coniugi, aveva contestato la misura dell'avvenuta liquidazione dei danni effettuata nei suoi confronti e che nello stesso - giudizio di gravame Ap si era difeso negando l'assenza di ogni sua obbligazione risarcitoria, senza, però, riconoscere, in modo espresso o tacito, che l'entità dei danni medesimi fosse pari all'importo determinato dal tribunale.

 

Aggiungono che i fatti addotti da una parte, in mancanza di specifica prova, possono essere considerati non controversi se la controparte espressamente li ammetta o assuma una condotta processuale che ne presuppone logicamente la sussistenza, sicchè, nella specie, in difetto di espressa o di implicita ammissione sul punto da parte dell'obbligato, il giudice di secondo grado avrebbe dovuto valutare se i danneggiati avevano o meno fornito la dimostrazione del pregiudizio economico patito.

 

Anche detta censura non può essere accolta.

 

Il giudice di secondo grado ha, anzitutto, precisato che i danni subiti dai coniugi PC e RR erano quegli stessi quantificati già nella sentenza del tribunale e che in tale misura essi dovevano essere posti a carico del diverso obbligato Ap, per cui sul punto, fatto oggetto dell'impugnazione per Cassazione in relazione alla previsione dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., occorre rilevare che è stata adottata indubbia motivazione per relationem alle ragioni esposte dal primo giudice.

 

Inoltre, al riguardo la Corte territoriale ha anche aggiunto che la quantificazione dei danni, quale effettuata in primo grado, non era stata oggetto di contestazione in appello da parte dell'appellato P, del quale i danneggiati avevano reclamato, con il gravame incidentale, l'accertamento della concorrente responsabilità e la condanna al risarcimento.

 

Solo la seconda delle due rationes decidendi risulta censurata in questa sede, per cui l'altra è da sola sufficiente allo scopo, senza che per essa questo giudice debba verificare anche la congruità e l'ammissibilità dell'argomentazione per relationem nei termini indicati dalla sentenza d'appello, questione in ordine alla quale non è stata formulata alcuna doglianza.

 

Il ricorso principale, perciò, è rigettato.

 

Subordinatamente all'accoglimento dell'impugnazione principale hanno proposto ricorso incidentale condizionato PC e RR nei confronti di MV, al fine di ottenerne la condanna nel caso fosse stata esclusa la responsabilità di Ap.

 

Due ricorsi incidentali, basati entrambi su tre motivi ed essi pure condizionati all'accoglimento del ricorso principale, sono stati proposti da MV, l'uno nei confronti di S G e l'altro nei confronti di PC e RR.

 

I tre suddetti ricorsi incidentali condizionati, tuttavia, non possono essere dichiarati assorbiti nella pronuncia di rigetto dell'impugnazione principale, ma di essi questa corte deve, ancor prima, rilevare l'inammissibilità perchè i ricorrenti incidentali non hanno interesse a proporli.

 

Ciò in applicazione del principio, pacifico nella giurisprudenza di legittimità (su cui da ultimo: Cass., n. 12344/2003; Cass., n. 14382/2002; Cass., n. 8732/2001), secondo cui il ricorso incidentale, anche se qualificato come condizionato, presuppone la soccombenza, per cui non può essere proposto dalla parte, che sia rimasta completamente vittoriosa nel giudizio di appello, per sollevare questioni che non sono state decise dal giudice di merito in quanto assorbite dall'accoglimento di altra tesi, avente carattere preliminare; in caso di accoglimento del ricorso principale, infatti, dette questioni non decise possono essere riproposte davanti al giudice di rinvio.

 

Nel caso di specie, invero, MV era risultato totalmente vittorioso in secondo grado per il fatto che era stata esclusa ogni sua responsabilità per l'incendio; PC e RR, in accoglimento dell'appello incidentale condizionato all'esito positivo del gravame principale di MV, avevano vista riconosciuta la loro pretesa nei confronti di Ap, giudicato il solo responsabile dell'incendio medesimo, sicchè se il ricorso per Cassazione di quest'ultimo fosse stato accolto avrebbero potuto riproporre innanzi al giudice del rinvio la domanda di condanna dell'eventuale diverso responsabile.

 

Con l'unico mezzo di doglianza esposto a motivo del ricorso incidentale non condizionato di PC e RR nei confronti di MV i ricorrenti incidentali deducono la violazione della norma di cui all'art. 91 cod. proc. civ..

 

Assumono che, ponendo a loro carico le spese processuali dei due gradi del giudizio a favore di MV, il giudice del merito avrebbe ipotizzato nei loro confronti una insussistente situazione di soccombenza parziale, giacchè essi sin dal primo grado del giudizio avevano chiesto la condanna al risarcimento dei danni di colui che sarebbe risultato responsabile dell'evento, per cui, trattandosi di domanda alternativa nei confronti del V e del P e non di cumulo di domande verso entrambi, ciò avrebbe dovuto fare escludere la loro soccombenza nei riguardi di chi non era stato riconosciuto responsabile.

 

La censura non può essere accolta.

 

La Corte territoriale ha condannato i ricorrenti incidentali alle spese del giudizio di primo e di secondo sostanzialmente argomentando in base alla valutazione globale della loro soccombenza, tenendo in conto l'esito dell'intero giudizio, in esatta applicazione, oltre che del principio dell'infrazionabilità del relativo criterio secondo le varie fasi del giudizio medesimo, del principio della causalità, il quale comporta (ex plurimis: Cass., n. 7182/2000) che la parte obbligata a rimborsare alle altre le spese che esse hanno anticipato nel processo, è quella che, col comportamento tenuto fuori del processo, ovvero col darvi inizio o resistervi in forme e con argomenti non rispondenti al diritto, ha dato causa al processo o al suo protrarsi.

 

Il che accade quando l'attore come fatti costitutivi di un medesimo evento dannoso ed in funzione dell'unico petitum di risarcimento del danno deduce, in via alternativa o solidale, comportamenti illeciti di soggetti diversi, Trattasi, in tal caso, di domande distinte ed autonome nei confronti di ciascun convenuto, per cui la partecipazione al giudizio del soggetto, per il quale l'illecito dovesse risultare escluso, trova comunque causa nella vocatio in ius operata da parte dell'attore, cui, perciò, legittimamente viene riferita la situazione di soccombenza, siccome è avvenuto nell'ipotesi in oggetto di controversia avente ad oggetto l'accertamento, in via alternativa, della responsabilità rispetto a soggetti distinti.

 

Il ricorso incidentale non condizionato di PC e RR nei confronti di MV in ordine all'adottato regolamento delle spese processuali è, pertanto, rigettato.

 

Sussistono giusti motivi per compensare interamente tra tutte le parti le spese del presente giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

 

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale non condizionato proposto da PC e RR nei confronti di MV; dichiara inammissibili gli altri ricorsi incidentali condizionati; compensa interamente tra tutte le parti le spese del giudizio di Cassazione.

 Così deciso in Roma, il 20 maggio 2004.

 

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2004