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Impugnazione e motivi di diritto riproposti (Cass. 52526/18)

21 novembre 2018, Cassazione penale

Il dissenso della parte dalla interpretazione fornita dal primo giudice può pertanto essere esercitato tramite la riproposizione di taluni argomenti - in fatto e diritto disattesi, posto che nessuna disposizione processuale potrebbe attribuire al primo giudice il monopolio dell'attività interpretativa nè potrebbe costringere la parte "soccombente" a variare la prospettiva interpretativa delle disposizioni coinvolte, lì dove resti convinta della bontà della sua opzione iniziale.

Quando il motivo del primo diniego sia essenzialmente articolato in diritto, il potere di critica spettante alla parte soccombente può – e per certi versi deve – essere esercitato tramite la riproposizione degli argomenti disattesi dal primo giudice, atteso che resta coessenziale alla natura dell’impugnazione, intesa come rivalutazione della quaestio iuris, la facoltà della parte di ottenere un nuovo apprezzamento dei possibili significati delle disposizioni normative incidenti sul tema.

Il dissenso dalla interpretazione fornita dal primo giudice può essere esercitato tramite la riproposizione di taluni argomenti in fatto e diritto disattesi, posto che nessuna disposizione processuale potrebbe attribuire al primo giudice il monopolio dell'attività interpretativa delle disposizioni coinvolte, lì dove resti convinta della bontà della sua opzione iniziale. 

La riproposizione dei motivi non rende di per sé inammissibile l'impugnazione per genericità, cioè mancanza di specificità dei motivi come previsti dall'art. 581 c.p.p., che disciplina i requisiti formali dell'impugnazione (e richiedendo, a pena di inammissibilità, la specificità dei motivi con l'enunciazione dei capi e o dei punti cui si riferisce l'impugnazione; delle prove delle quali si deduce l'inesistenza, l'omessa assunzione o l'omessa o erronea valutazione, delle richieste, anche istruttorie; delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sostengono le richieste).

CORTE DI CASSAZIONE

SEZ. I PENALE

SENTENZA 21 novembre 2018, n.52526

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TARDIO Angela - Presidente -

Dott. FIORDALISI Domenico - Consigliere -

Dott. APRILE Stefano - Consigliere -

Dott. MAGI Raffaello - rel. Consigliere -

Dott. CENTONZE Alessandro - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Z.P., nato a (OMISSIS);

avverso l'ordinanza del 25/01/2018 del TRIB. SORVEGLIANZA di SASSARI;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. RAFFAELLO MAGI;

lette/sentite le conclusioni del PG Dr. TAMPIERI LUCA, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. Il Tribunale di Sorveglianza di Sassari, con ordinanza emessa in data 25 gennaio 2018 ha dichiarato inammissibile il reclamo proposto da Z.P. (detenuto sottoposto al regime differenziato di cui all'art. 41 bis ord.pen.) avverso la decisione reiettiva della domanda di ristoro del pregiudizio da detenzione inumana o degradante (art. 35 ter ord.pen.).

1.1 In motivazione, il Tribunale afferma che - per quanto riguarda il periodo di detenzione in Sassari - l'atto di impugnazione non è specifico, avendo, in sostanza, il detenuto riproposto la richiesta respinta dal Magistrato di Sorveglianza.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione - a mezzo del difensore - Z.P., deducendo erronea applicazione di legge, sia in riferimento ai presupposti della domanda che in relazione alla disciplina processuale della inammissibilità del reclamo.

2.1 n ricorrente evidenzia che nell'atto di reclamo erano state articolate doglianze niente affatto generiche, specie in riferimento alle carenze - evidenziate nella stessa decisione del Magistrato di Sorveglianza - riscontrate nella offerta sanitaria (in particolare, la mancata esecuzione dei cicli di fisioterapia ritenuti indispensabili per la patologìa da cui Z.P. è affetto).

Secondo il ricorrente l'omissione delle necessarie terapie sanitarie può e deve essere oggetto di valutazione ai fini previsti dal legislatore, potendo configurarsi - per tale ragione - trattamento inumano o degradante, non potendosi ritenere violato l'art. 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (da ora in avanti Conv. Eu.) nel solo caso di sovraffollamento.

Si compie riferimento, inoltre, ai contenuti della documentazione prodotta in sede di reclamo, confermativa della prolungata assenza del supporto terapeutico, ad ulteriore sostegno della specificità del motivo.

3. Il ricorso è fondato e va accolto, per le ragioni che seguono.

3.1 Non vi è dubbio alcuno circa la natura di impugnazione del reclamo previsto dall'art. 35 ter comma 4 ord.pen., con applicabilità della disciplina generale sul tema.

In tale ambito, ricade la disposizione di legge di cui all'art. 581 c.p.p. e dunque la richiesta di specificità dei motivi posti a fondamento del reclamo.

Tuttavia nel caso in esame la lettura dell'atto di reclamo conduce a ritenere fondata la doglianza proposta tramite il ricorso per cassazione.

3.2 I detenuto ha infatti posto essenzialmente un tema in diritto, rappresentato dalla possibile rilevanza, ai fini della integrazione del precetto contenuto nell'art. 35 ter ord.pen., di una prolungata inattuazione di un presidio terapeutico ritenuto, pacificamente, necessario per la cura di una particolare patologia di cui è portatore.

A fronte di tale tipologia di doglianza, pur se sostanzialmente riproduttiva della prospettazione iniziale disattesa dal primo giudice, non può darsi risposta nel senso della inammissibilità per genericità del motivo.

Occorre, infatti, precisare che la specificità dei motivi di impugnazione (art. 581 c.p.p.) si atteggia in maniera diversa non solo tra impugnazione di merito (a critica libera) e di legittimità (a critica vincolata) ma anche in rapporto ai contenuti della prima decisione giurisdizionale ed ai punti rilevanti per la decisione finale.

In particolare, lì dove sia incontroverso il fatto (come appare nel caso in esame, posto che lo stesso Magistrato di Sorveglianza rileva la carenza di offerta terapeutica) e il motivo del primo diniego sia essenzialmente articolato in diritto, il potere di critica spettante alla parte soccombente può - e per certi versi deve - tendere alla riproposizione degli argomenti disattesi dal primo giudice, atteso che resta coessenziale alla natura della impugnazione (intesa come rivalutazione della quaestio iuris) la facoltà della parte di ottenere un nuovo (e auspicabilmente diverso) apprezzamento dei possibili significati delle disposizioni normative incidenti sul tema.

3.3 Il dissenso della parte dalla interpretazione fornita dal primo giudice può pertanto essere esercitato tramite la riproposizione di taluni argomenti - in fatto e diritto disattesi, posto che nessuna disposizione processuale potrebbe attribuire al primo giudice il monopolio dell'attività interpretativa nè potrebbe costringere la parte "soccombente" a variare la prospettiva interpretativa delle disposizioni coinvolte, lì dove resti convinta della bontà della sua opzione iniziale.

3.4 Tali principi di fondo del sistema risultano, peraltro, in linea con i contenuti del noto arresto rappresentato da Sez. U. n. 8825 del 27.10.2016 (dep. 2017), ric. Galtelli, rv 268822.

Tale decisione, lungi dal muoversi sul crinale della piena omologazione tra l'appello ed il ricorso per cassazione (posto che ne evidenzia la diversità strutturale, del resto ineludibile portato della diversa conformazione legislativa dei poteri giurisdizionali) ha semplicemente ribadito che anche l'atto di appello (e dunque le forme di impugnazione allo stesso assimilabili) è soggetto alla operatività della previsione di legge in punto di necessaria specificità dei motivi posti a suo sostegno, adottando un modello interpretativo di maggior rigore circa i criteri di identificazione della genericità.

Tali modelli interpretativi, tuttavia, non si spingono al punto di esigere - in caso di questioni in diritto - la necessaria "novità" delle argomentazioni poste a sostegno della impugnazione, ben potendo in secondo grado essere dedotte "questioni già prospettate e disattese dal primo giudice", come ribadito dalla stessa decisione Sez.U. in esame (a pag. 20 della motivazione), con il solo limite della pertinenza ai contenuti e alla ratio decidendi della decisione impugnata.

In altre parole, lì dove si discuta di temi in diritto il requisito della "specificità" dei motivi di una impugnazione di merito risulta soddisfatto lì dove la riproposizione della questione interpretativa - anche senza elementi di novità - risulti essere pertinente ai contenuti della decisione impugnata e miri ad una rivalutazione della quaestio iuris da parte del giudice di grado superiore.

4. Nel caso in esame, pertanto, la parte ha inteso prospettare nel reclamo la "rilevanza" di una specifica questione (la mancata prestazione del trattamento fisioterapico) in sede di qualificazione dell'offerta trattamentale come "non conforme" ai contenuti dell'art. 3 Conv. Eu., rappresentando dunque l'incidenza di tale omissione al fine di ritenere integrato il trattamento vietato dalla legge perchè "inumano o degradante".

La doglianza - ferma restando la valutazione dei suoi contenuti in rapporto alla complessiva qualità dell'offerta trattamentale oggetto di verifica - è ammissibile e va valutata nel merito, posto che il richiamo, contenuto nella disposizione regolatrice, ai contenuti dell'art. 3 della Conv. Eu., come interpretato dalla Corte Edu, implica la rilevanza del tema dell'offerta di prestazioni sanitarie adeguate.

Va ribadito, infatti, che la violazione dei contenuti dell'art. 3 della Conv. Eu. può determinarsi in virtù di condotte di inosservanza - da parte dell'amministrazione penitenziaria -, dei diritti fondamentali della persona umana, sottoposta al trattamento rieducativo, la cui individuazione ed il cui livello di gravità va apprezzato in concreto, come la stessa Corte Edu ha avuto modo, in più occasioni, di affermare (si vedano i contenuti della decisione emessa dalla Grande Camera nel caso Labita contro Italia del 6 aprile 2000, ove si è affermato che: la Corte ricorda che per rientrare nell'ambito dell'articolo 3, un maltrattamento deve raggiungere un minimo di gravità. La valutazione di questo minimo è relativa per definizione; la stessa dipende dall'insieme dei dati relativi al caso, e in particolare dalla durata del trattamento, dai suoi effetti fisici e mentali nonchè, talvolta, dal sesso, dall'età e dallo stato di salute della vittima; si veda altresì quanto affermato, sul tema, da Sez. 1, n. 52992 del 9.9.2016, rv 268655).

4.1 La declaratoria di inammissibilità del reclamo, per quanto sinora detto, va annullata, con rinvio per nuovo esame del reclamo, nel merito, al Tribunale di Sorveglianza di Sassari.

P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Sassari.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2018