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"Idiota" su Facebook, critica non reato (Cass. 15089/20)

14 maggio 2020, Cassazione penale

In tema di diffamazione, il requisito della continenza postula, invero, una forma espositiva corretta della critica rivolta - e cioè funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell'altrui reputazione - ma non vieta l'utilizzo di termini che, sebbene oggettivamente offensivi, siano insostituibili nella manifestazione del pensiero critico, in quanto non hanno adeguati equivalenti; di modo che l' attribuzione ad un soggetto di un epiteto che appaia infamante costituisce un attacco alla persona, in quanto tale inammissibile e costituente reato, dovendosi però, contemporaneamente ammettere che il ricorso ad aggettivi o frasi anche aspri, ma atti a rispecchiare la assoluta gravità oggettiva della situazione in ipotesi verificata, non si risolve sempre e comunque in un argumentum ad hominem, in ragione della possibile funzionalità alla economia del concetto espresso

Cassazione penale

Sent. Sez. 5 Num. 15089 Anno 2020

Presidente: CATENA ROSSELLA
Relatore: SESSA RENATA
Data Udienza: 29/11/2019 - deposito 14/05/2020

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE TRIBUNALE DI TORINO nei procedimento a carico di:
CA nato a TORINO il **65

avverso la sentenza del 13/05/2019 del GIP TRIBUNALE dì TORINO 4

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere RENATA SESSA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore TOMASO EPIDENDIO che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio


RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza indicata in epigrafe il Giudice di Torino della sezione dei giudici per le indagini preliminari, sulla richiesta di emissione del decreto penale di condanna, ha pronunciato ex artt. 129 e 459 codice di rito sentenza di assoluzione nei confronti di CA in ordine al reato di cui agli artt, 595 comma 3 e 4 cod. pen. perché il fatto non costituisce reato .

Questa l'imputazione/ in sintesi: il Cascio era imputato di avere, in seguito alla pubblicazione dell'articolo" Spari in pieno giorno in corso Lecce..." , utilizzando il proprio account **, inserito sul social network Facebook e sulla pagina denominata 'Diario di Torino' la frase « Chi ha sparato è un idiota >> e in tal guisa, comunicando con più persone, di avere offeso la reputazione della agente della Polizia di Stato SE in servizio presso il commissariato di Torino San Paolo che aveva esploso in aria il colpo di pistola per interrompere la fuga ed identificare gli autori di un delitto ( per questi motivi, gli era contestata anche l'aggravante di aver commesso il fatto a mezzo internet ovvero con un mezzo di pubblicità e di aver recato offesa ad un rappresentante di un corpo amministrativo dello Stato, da identificarsi nella Polizia di Stato ).

2.Avverso l'anzidetta sentenza propone ricorso per cassazione il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Torino, lamentando l'inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, in riferimento all'art. 606, comma 1, lett. b) c.p.p., nonché l'illogicità della motivazione, in riferimento all'art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p..

Innanzitutto, la pronuncia del Gip si pone in contrasto con le disposizioni di legge in tema di tutela della reputazione, ritenendo erroneamente che il proferire all'indirizzo di una persona l'appellativo "idiota" non costituisca offesa, ma espressione del diritto di critica.

Si assume, a tal riguardo, che l'espressione impiegata abbia, invece, sicura valenza offensiva della reputazione poiché il termine nella lingua italiana sta a significare "stupido e imbecille" e nel linguaggio medico indica la persona affetta da idiozia.

In virtù di questo rilievo, il ricorrente evidenzia che il definire una persona "idiota" esula dal criterio della continenza in quanto, lungi dal rimanere nell'ambito di una critica misurata ed obiettiva, è suscettibile di trascendere nel campo dell'aggressione della sfera morale altrui e di trasformarsi in un attacco personale diretto a colpire, su un piano individuale e senza alcuna finalità di pubblico interesse, la figura morale del soggetto criticato.

L'espressione utilizzata si è risolta in un attacco alla persona, in una aggressione verbale al poliziotto Scidà Enzo - comunque identificabile alla stregua del contenuto dell'articolo - che si era limitato a sparare dei colpi di arma da fuoco in aria ( sia pure in pieno centro cittadino ) per arrestare la fuga degli autori di un delitto, e non può quindi essere qualificata come critica dell'operato del predetto.

CONSIDERATO IN DIRITTO


1.Preliminarmente si osserva che la sentenza di proscioglimento, emessa dal giudice per le indagini preliminari investito della richiesta di decreto penale di condanna, può essere impugnata solo con ricorso per cassazione ( Sez. U, Sentenza n. 43055 del 30/09/2010 Ud. (dep. 03/12/2010 ) Rv. 248378— 01; Sez. 4, n. 11236 del 08/01/2015 - dep. 17/03/2015, P.G. in proc. Carrera, Rv. 26270501 ).

Il ricorso pur astrattamente ammissibile in relazione al tipo di pronuncia impugnata è però inammissibile per essere i motivi addotti a sostegno palesemente infondati.

1.1.Innanzitutto, il ricorrente rimprovera al giudice di aver sostanzialmente obliterato l'offensività dell'espressione "idiota", che viene anzi riconosciuta dal Gip di Torino, ma al contempo giustificata in quanto legittimo esercizio del diritto di critica.

La scriminante in questione può invero, ritenersi pacificamente integrata a patto che l'offesa non si traduca in una gratuita ed immotivata aggressione alla sfera personale del soggetto passivo, ma sia contenuta nell'ambito della tematica attinente al fatto dal quale la critica ha tratto spunto.

Come giustamente richiamato dallo stesso ricorrente, "il limite della continenza nel diritto di critica è superato in presenza di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato" (Cass. n.15060 del 2011Rv. 250174 - 01), ma al riguardo non va trascurato che non è ravvisabile una violazione di tale requisito per il solo fatto dell'utilizzo di termini che, pur avendo accezioni indubitabilmente offensive, hanno però anche significati di mero giudizio negativo di cui deve tenersi conto / anche alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene impiegato (Cass. n. 37397/2016Rv. 267866 - 01; Cass. n. 31669/2015 Rv. 26444201 ).

A tali univoche coordinate ermeneutiche si è attenuto il giudice di merito, che ha in buona sostanza affermato che è alquanto difficile sostenere che gli anzidetti limiti siano stati travalicati nel caso dì specie, in cui la gratuità dell'offesa sembra esclusa dalla stretta riferibilità (o attinenza) dell'epiteto offensivo all'articolo di giornale riportante l'accadimento oggetto di critica (sulla considerazione del complessivo contesto dialettico in cui si realizza la condotta ai fini dell'accertamento della continenza cfr. Cass. n. 4853 del 2016 Ud. (dep. 01/02/2017 ) Rv. 269093 — 01 ).

Ha finvero /osservato al riguardo il giudice del provvedimento impugnato / che, benchè espresso in maniera inurbana il commento dell' indagato risponda all'esercizio legittimo del diritto di critica, emergendo già dall'articolo in commento elementi che potessero fare ipotizzare un eccessivo uso della forza da parte degli operanti, sproporzionato rispetto al reato commesso e soprattutto in rispetto alle condizioni di tempo e di luogo in cui è stato esploso il colpo d'arma da fuoco, e ha poi aggiunto che <<senza ovviamente entrare nel merito delle condotte degli operanti, nè condividendosi le sue valutazioni, si vuole con ciò sottolineare come AC abbia espresso le proprie riserve rispetto ad un episodio particolarmente eclatante come peraltro dimostrano alcuni degli altri commenti che tuttavia non riguardano l' operato dell'ordine», «quanto precede pare tanto più vero laddove si consideri che l' indagato non ha menzionato il nome dell' agente che ha esploso il colpo di pistola ( del quale verosimilmente neppure era a conoscenza ) nè emerge dall'articolo e dai commenti alcun elemento idoneo a consentirne l'individuazione>>; e ha infine concluso che «oltre a far seriamente dubitare della stessa sussistenza dell'elemento materiale del reato, la circostanza in parola non fa che confermare quanto sopra si è evidenziato a proposito del fatto che unico scopo dell' agente fosse quello di criticare una condotta a suo modo di vedere eccessiva ».

Indi su tali basi il giudice è giunto all'assoluzione dell'imputato con la formula perché il fatto non costituisce reato, ritenendo la ricorrenza della scriminante di cui all'articolo 51 cod. pen..


A fronte di tale ineccepibile motivazione ispirata ai principi regolanti la materia, come affermati anche da questa Corte, i motivi addotti in ricorso si appalesano manifestamente infondati.

In tema di diffamazione, il requisito della continenza postula, invero, una forma espositiva corretta della critica rivolta - e cioè funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell'altrui reputazione - ma non vieta l'utilizzo di termini che, sebbene oggettivamente offensivi, siano insostituibili nella manifestazione del pensiero critico, in quanto non hanno adeguati equivalenti ( Sez. 5, n. 31669 del 14/04/2015 - dep. 21/07/2015, Marcialis, Rv. 26444201; Sez. 5, n. 11950 del 08/02/2005 - dep. 25/03/2005, Marcenaro ed altri, Rv. 23171101 ); di modo che l' attribuzione ad un soggetto di un epiteto che appaia infamante costituisce un attacco alla persona, in quanto tale inammissibile e costituente reato, dovendosi/ però,contemporaneamente ammettere che il ricorso ad aggettivi o frasi anche aspri, ma atti a rispecchiare la assoluta gravità oggettiva della situazione in ipotesi verificata, non si risolve sempre e comunque in un argumentum ad hominem, in ragione della possibile funzionalità alla economia del concetto espresso; nel caso di specie, il giudice del merito ha, nei termini anzidetti„ ritenuto l'epiteto adoperato, non particolarmente aspro e pungente, non sproporzionato rispetto a quanto si era inteso rappresentare in relazione ad una situazione che, evidentemente, si prestava ad essere oggetto di una qualche critica presentando, comunque, degli aspetti suscettibili di essere ritenuti gravi.

2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso il 29/11/2019