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Guerra nello stato richiedente non impedisce estradizione (Cass. 39560/24)

28 ottobre 2024, Cassazione penale

Il rischio di sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti non può essere desunto dal mero coinvolgimento dello Stato richiedente in un conflitto bellico, a condizione che siano fornite adeguate garanzie in ordine al fatto che la detenzione avverrà in territori diversi da quelli direttamente interessati dalle attività belliche e che, in ogni caso, siano fornite adeguate tutele per l'incolumità del soggetto richiesto nel caso di estensione del conflitto.

 

Corte di Cassazione 

sezione VI penale

19/09/2024 (dep. 28/10/2024)  n. 39560 

Dott. DI STEFANO Pierluigi   - Presidente

Dott. COSTANZO Angelo        - Consigliere

Dott. GIORDANO Emilia Anna   - Consigliere

Dott. VIGNA Maria Sabina     - Consigliere 

Dott. DI GERONIMO Paolo      - Relatore

ha pronunciato la seguente

                                   SENTENZA

sul ricorso 

                                 proposto da

Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Trento

nel procedimento a carico di

Lo.Ar., nato in P il (Omissis)

avverso la sentenza del 29/5/2024 emessa dalla Corte di appello di

Trento

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;

udita la relazione del consigliere Paolo Di Geronimo;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona della Sostituta

Procuratore generale Perla Lori, che ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Trento dichiarava l'insussistenza delle condizioni per l'accoglimento della richiesta di estradizione formulata dall'autorità giudiziaria ucraina nei confronti di Lo.Ar., sottoposto a procedimento penale per violazioni in materia di stupefacente.

Il rigetto della richiesta di estradizione veniva motivato in relazione alle insufficienti condizioni detentive esistenti in U, non solo per carenze preesistenti, ma soprattutto a seguito degli eventi bellici in atto.

A supporto si richiamava l'informativa fornita dalla Missione permanente nella Repubblica di Ucraina presso il Consiglio d'Europa, del 19 aprile 2022, con la quale si dava atto dell'impossibilità di garantire il pieno rispetto dei diritti tutelati dalla CEDU. Si dava atto, inoltre, che a seguito del conflitto in corso era stata proclamata la legge marziale, tutt'ora in vigore, con conseguenti rilevanti deroghe rispetto alle ordinarie garanzie procedurali essendo, in particolare, consentita l'adozione di provvedimenti restrittivi senza un preventivo provvedimento giurisdizionale, nonché in relazione alla durata della custodia cautelare.

Sottolinea la Corte come non possa neppure operarsi una distinzione a seconda del luogo in cui l'estradando è destinato ad essere detenuto, posto che l'evoluzione del conflitto non consente di individuare aree del territorio ucraino sicuramente non soggette a rischi di coinvolgimento nell'attività bellica.

2. Ha proposto ricorso il pubblico ministero formulando un unico motivo di ricorso articolato in quattro punti.

Il ricorrente deduce il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta esclusione delle garanzie fondamentali per effetto dell'applicazione della legge marziale e delle difficoltà determinate dal conflitto in atto.

In particolare, il ricorrente sostiene che la comunicazione inviata al Consiglio d'Europa, relativamente alla deroga rispetto agli obblighi convenzionali, non attiene ai diritti fondamentali, tra i quali rientra anche il divieto della tortura. Peraltro, l'effettiva estensione della deroga è stata specificata nell'allegato alla richiesta di estradizione, nella quale si rappresenta che l'incapacità di garantire la piena attuazione delle previsioni della CEDU, nonché le limitazioni all'equo processo e al diritto di difesa, attengono ai soli territori occupati dall'esercito russo, sicché sul restante territorio ucraino permarrebbero tutte le preesistenti garanzie.

Peraltro, anche la lettura che è stata data dell'art. 615 del codice di procedura penale ucraino non è corretta, posto che tale disposizione, anche in relazione alle zone sottoposte alla legge marziale, prevede l'adozione delle misure cautelari personali da parte della sola autorità giurisdizionale. Nel caso concreto, peraltro, risulta che il mandato di arresto nei confronti del consegnando è stato emesso da un giudice istruttore ucraino.

La decisione impugnata non avrebbe neppure valutato le rassicurazioni fornite dall'autorità ucraina in merito al fatto che il consegnando sarebbe stato condotto in un istituto di detenzione collocato nella parte occidentale del territorio e, quindi, nella zona più lontana da quella coinvolta nel conflitto.

Afferma il ricorrente che la Corte di appello avrebbe immotivatamente escluso qualsivoglia rilevanza alle rassicurazioni - relative al rispetto dei diritti fondamentali e nell'esclusione dell'incidenza sulle condizioni detentive degli eventi bellici - contenute nella nota inviata dall'autorità giudiziaria. In tal modo, tuttavia, sarebbe stato leso il principio della buona fede nei rapporti internazionali, nonché nel reciproco affidamento tra gli Stati, in difformità rispetto ai principi elaborati dalla Corte EDU.

Infine, si eccepisce il vizio di motivazione anche in ordine alla ritenuta sussistenza del rischio di sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti, in considerazione delle condizioni dei penitenziari ucraini, in relazione ai quali le criticità segnalate nei rapporti meno recenti sarebbero state superate.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

2. La Corte di appello ha adottato la propria decisione sulla base di una lettura parziale degli atti.

La sentenza fonda il diniego della consegna essenzialmente su tre aspetti, tutti strettamente legati all'incidenza del conflitto in cui è coinvolta l'Ucraina, concernenti il rispetto dei diritti previsti dalla CEDU, le ricadute derivanti dall'applicazione della legge marziale e il rischio di coinvolgimento in eventi bellici.

La Corte di appello ha segnalato come, in base alla comunicazione inviata al Consiglio d'Europa, l'Ucraina avrebbe denunciato l'impossibilità di rispettare gli obblighi internazionali in materia di assistenza giudiziaria, nonché la sospensione degli obblighi di cui agli artt. 5, 6, 8, e 13 CEDU; inoltre, si assume che le limitazioni alle garanzie processuali derivanti dall'emanazione della legge marziale non sarebbero circoscritte alle sole zone del territorio ucraino attualmente occupato.

2.1. Le suddette considerazioni appaiono basate su una insufficiente acquisizione e valutazione di dati informativi.

Come sottolineato nel ricorso, infatti, la sospensione di alcuni dei diritti garantiti dalla CEDU avrebbe un ambito applicativo limitato alle zone direttamente coinvolte dal conflitto e, in ogni caso, non risulterebbe sospesa l'applicazione dei diritti fondamentali previsti dagli artt. 2, 3, 4 e 7.

La legge marziale, inoltre, non troverebbe applicazione sull'intero territorio ucraino, bensì solo in determinate aree, il che non osterebbe al pieno rispetto delle garanzie processuali nel caso di accoglimento dell'estradizione.

Tale perimetrazione delle riduzioni alle garanzie fondamentali derivanti dal conflitto in atto troverebbero riscontro nella nota trasmessa dall'Ufficio del Procuratore Generale di Ucraina unitamente alla richiesta di estradizione.

2.2. La Corte di appello ha omesso di confrontarsi con le informazioni fornite dall'autorità giudiziaria Ucraina che, invece, avrebbero dovuto essere considerate al fine di valutare l'effettiva sussistenza o meno delle condizioni per la consegna dell'estradando. In buona sostanza, il provvedimento impugnato sembra fondarsi su un atto generale - qual è la comunicazione inviata al Consiglio d'Europa - omettendo di attribuire qualsivoglia rilievo alle informazioni specifiche fornite in sede di richiesta di estradizione.

Peraltro, qualora la Corte avesse ritenuto insufficienti le informazioni ricevute, avrebbe dovuto richiedere la loro integrazione, anziché provvedere nel merito e rigettare l'istanza.

2.3. Né può attribuirsi una qualche valenza ostativa alla sentenza di questa Corte secondo cui si configura la condizione ostativa del rischio per i diritti fondamentali della persona, ai sensi degli art. 698, comma 1, e 705, comma 2, lett. c), cod. proc. pen., ove nello Stato richiedente, coinvolto in un conflitto armato in atto, sia applicata la legge marziale e non siano offerte specifiche rassicurazioni in ordine alle condizioni detentive che saranno assicurate all'estradando. (Fattispecie relativa alla richiesta di estradizione avanzata dalla Repubblica ucraina nei confronti di una persona di nazionalità russa, in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza della Corte di appello per non avere valutato i rischi per la incolumità e la grave compromissione delle garanzie dell'estradando conseguente alle introdotte modifiche del codice di rito, con riguardo alla durata della carcerazione preventiva ed al controllo giurisdizionale sulla sua applicazione) (Sez.6, n. 8636 del 30/1/2024, Aleynuk, Rv. 286074).

Il principio ivi affermato, infatti, non depone affatto nel senso dell'impossibilità di accogliere richieste di estradizione verso l'Ucraina in considerazione del conflitto in atto e delle limitazioni conseguenti, tant'è che in quella sentenza è stato disposto l'annullamento con rinvio proprio per consentire alla Corte di appello di acquisire le necessarie informazioni integrative volte a verificare se, in concreto, sussistessero le paventate ragioni ostative alla consegna. Occorre aggiungere, inoltre, che nella fattispecie esaminata dalla citata sentenza, l'estradizione riguardava un cittadino russo nei cui confronti, in quanto appartenente alla nazione belligerante con l'Ucraina, si pongono evidenti problematiche di diversa natura in ordine al rischio di sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti, problemi in alcun modo configurabili nel caso di specie, in cui l'estradando è di nazionalità polacca.

2.4. Per converso, in altre recenti pronunce questa Corte ha dato atto della sussistenza delle condizioni per disporre l'estradizione verso l'Ucraina, nonostante la perdurante prosecuzione del conflitto.

In particolare, Sez. 6, n. 36440 dell'1/7/2024, nel confermare la sentenza che aveva disposto la consegna, ha precisato che la Corte europea dei diritti dell'uomo - nei procedimenti relativi a denunce contro lo Stato richiedente da parte di condannati e detenuti per violazioni dei diritti garantiti dagli artt. 2 e 3 della Convenzione in considerazione delle condizioni pericolose della loro detenzione a causa del conflitto in corso - a seguito delle informazioni fornite dallo Stato ucraino non ha adottato misure provvisorie ai sensi dell'art. 39 del Regolamento, ritenendo la situazione delle istituzioni sotto controllo, atteso l'impegno volto a garantire i diritti umani fondamentali e la sicurezza dei detenuti.

2.5. In conclusione, si ritiene che la Corte di appello avrebbe dovuto valutare comparativamente le fonti di conoscenza in suo possesso, in particolare verificando se le informazioni fornite unitamente alla richiesta di estradizione siano o meno in grado di escludere la privazione di diritti fondamentali e della garanzia del giusto processo. In caso di ritenuta perdurante insufficienza delle informazioni, peraltro, sarebbe stato onere del giudicante procedere alla richiesta di specifiche integrazioni.

3. L'ulteriore motivo ostativo alla consegna è stato individuato nel paventato rischio che il consegnando, pur se detenuto in un istituto posto nella zona occidentale dell'Ucraina, possa trovarsi ugualmente coinvolto in condotte belliche, potenzialmente lesive per la sua integrità fisica.

Invero, la Corte di appello ha dato atto delle garanzie fornite dall'autorità richiedente, che indicava come l'istituto di destinazione fosse dotato di idonei di ricoveri per far fronte a possibili bombardamenti, pur ritenendo tale circostanza di per sé insufficiente, non essendo attestata l'esistenza di sistemi di allarme idonei a consentire la messa in sicurezza dei detenuti.

A fronte delle garanzie fornite, la Corte di appello - salva restando l'eventuale necessità di richiedere ulteriori rassicurazioni - avrebbe dovuto valutare in concreto il pericolo di esposizione ad azioni belliche, non potendosi limitare ad evocare l'astratta possibilità che la zona occidentale in cui è ubicato l'istituto di destinazione dell'estradando possa essere oggetto di bombardamenti. Tale rischio, infatti, non costituisce un fatto imputabile allo Stato richiedente, non rientra tra le cause ostative alla consegna e, soprattutto, presenta evidenti caratteri di aleatorietà, senza tener conto delle contromisure adottate.

La circostanza che vi siano stati bombardamenti e attacchi missilistici da parte delle forze armate della Federazione Russa anche in territori non direttamente interessati dai combattimenti di terra, non costituisce un elemento astrattamente idoneo ad impedire la consegna.

Il rischio bellico, infatti, riguarda la situazione generale esistente nello Stato richiedente l'estradizione che, tuttavia, in ragione delle garanzie che l'autorità giudiziaria di quello Stato richiedente ha fornito circa il trattamento detentivo individualizzante, che sarà assicurato all'estradando in un istituto di pena che attualmente si trova in una zona non direttamente interessata dagli eventi bellici, non rappresenta una valida ragione ostativa alla consegna.

In conclusione, deve affermarsi il principio secondo cui il rischio di sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti non può essere desunto dal mero coinvolgimento dello Stato richiedente in un conflitto bellico, a condizione che siano fornite adeguate garanzie in ordine al fatto che la detenzione avverrà in territori diversi da quelli direttamente interessati dalle attività belliche e che, in ogni caso, siano fornite adeguate tutele per l'incolumità del soggetto richiesto nel caso di estensione del conflitto.

4. Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve essere accolto con conseguente annullamento con rinvio per nuovo giudizio, nel quale la Corte di appello dovrà rivalutare la sussistenza delle condizioni legittimanti l'estradizione, tenendo conto delle informazioni fornite dall'autorità giudiziaria e accertando, anche mediante ulteriori richieste integrative, l'effettivo rispetto delle garanzie e dei diritti fondamentali nella parte dello Stato richiedente non occupato dalla Federazione Russa.

 

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Bolzano.

Così deciso in Roma il 19 settembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2024.