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Giurisdizione del giudice italiano per procurato ingresso illegale (Cass. 15084/21)

21 aprile 2021, Cassazione penale

Sussiste la giurisdizione del giudice italiano relativamente al delitto di procurato ingresso illegale nel territorio dello Stato di cittadini extra-comunitari nella ipotesi in cui i migranti, provenienti dall'estero a bordo di navi madre, siano abbandonati in acque internazionali, su natanti inadeguati a raggiungere le coste italiane, allo scopo di provocare l'intervento dei soccorritori che li condurranno in territorio italiano, poichè la condotta di questi ultimi, che operano sotto la copertura della scriminante dello stato di necessità, è riconducibile alla figura dell'autore mediato di cui all'art. 48 c.p., in quanto conseguente allo stato di pericolo volutamente provocato dai trafficanti, e si lega senza soluzione di continuità alle azioni poste in essere in ambito extraterritoriale.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

(ud. 10/02/2021) 21-04-2021, n. 15084


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IASILLO Adriano - Presidente -

Dott. BIANCHI Michele - Consigliere -

Dott. BINENTI Roberto - Consigliere -

Dott. SANTALUCIA Giuseppe - rel. Consigliere -

Dott. CENTONZE Alessandro - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

R.A., nato il (OMISSIS);

B.I., nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 26/11/2019 della CORTE ASSISE APPELLO di PALERMO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;

udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE SANTALUCIA;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COCOMELLO ASSUNTA, che ha concluso, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi;

lette le note conclusive del difensore, avv.to C. P., che ha insistito nell'accoglimento dei ricorsi.

Svolgimento del processo

1. La Corte di assise di Palermo ha confermato la sentenza con cui il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Palermo ha condannato R.A. e B.I. alla pena di anni quattordici di reclusione ed Euro 6.120.000,00 di multa ciascuno per il delitto, pluriaggravato, di aver illegalmente procurato l'ingresso nel territorio dello Stato di 367 persone di varia nazionalità, promuovendo, organizzando ed effettuando il trasporto nel territorio dello Stato delle stesse, in partenza dalle coste libiche e in rotta, attraverso il canale di Sicilia, verso l'Italia.

Il natante, andato in evada, fu soccorso nelle acque del mar Mediterraneo da una nave militare irlandese che condusse le persone che erano a bordo nel porto di Palermo, fatto avvenuto il 6 agosto 2015; per il delitto di omicidio colposo ai sensi degli artt. 113 e 586 c.p. e art. 589 c.p., u.c., di oltre duecento passeggeri stipati a bordo del natante sopra indicato, morte per asfissia acuta violenta, dopo che erano state stipate in condizioni di sovraffollamento all'interno di una imbarcazione vetusta, inadatta a trasportare un numero così elevato di persone, pari a circa seicento.

1.1. La Corte territoriale ha anzitutto dato risposta alla questione posta con i motivi di appello inerente al difetto di giurisdizione per essere i fatti avvenuti in acque internazionali. Ha a tal fine richiamato l'orientamento della giurisprudenza di legittimità che riconosce la giurisdizione italiana quando il trasporto di migranti irregolari dalle coste di uno Stato estero si connoti per il verificarsi di una interruzione in acque internazionali del viaggio, in ragione di guasti al natante, e poi intervengano in soccorso dei migranti in pericolo navi diverse che infine li trasportino esse stesse in Italia.

1.2. Ha preso in esame i motivi afferenti alle affermazioni di responsabilità per i fatti ascritti e specificamente i dati testimoniali valutati dal giudice di primo grado, i riconoscimenti degli imputati e le dichiarazioni accusatorie rese nei loro confronti, e ha concluso che il materiale probatorio è assai robusto e tranquillizzante e consente di ritener raggiunta la piena prova di reità.

1.3. Ha escluso la ricorrenza dello stato di necessità, ha affermato la sussistenza del nesso causale fra le condotte tenute come membri dell'equipaggio e l'evento costituito dall'affondamento del natante, evidenziando che il trasporto dei migranti è stato attuato con modalità tali da radicare un fattore causale essenziale rispetto alle letali conseguenze che si verificarono.

1.4. Infine, ha rigettato la richiesta di attenuanti generiche e di riduzione del trattamento sanzionatorio.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore degli imputati che ha proposto, con atti separati, due ricorsi dal contenuto sovrapponibile, articolati in più motivi.

2.1. Con il primo motivo ha dedotto difetto di competenza per territorio. La vicenda in esame riguarda un episodio svoltosi esclusivamente in acque internazionali e il guasto del barcone è stato evento fortuito non precedibile che non fa cessare la serialità causale degli atti e colloca tutte le azioni interamente nell'area delle acque internazionali. Il porto vicino più sicuro quando accadde l'incidente che impose i soccorsi era Malta: ne consegue che la giurisdizione italiana non sussiste in riferimento al reato di cui al capo A), che si è consumato in acque internazionali, proprio al momento in cui i migranti salirono a bordo della nave (OMISSIS) battente bandiera svedese. Le acque internazionali non sono sottoposte alla sovranità di alcuno Stato e sono res communis omnium, ossia bene appartenente alla collettività e in quello spazio gli Stati esercitano giurisdizione solamente sulle navi che battono le rispettive bandiere. La giurisdizione pertanto era di spettanza dello Stato svedese.

Il difetto di giurisdizione sussiste anche per il delitto di cui al capo B), in quanto la richiesta del Ministro della Giustizia può avere ad oggetto i delitti comuni dello straniero all'estero e non i delitti commessi in acque internazionali.

2.2. Con il secondo motivo ha dedotto difetto di motivazione in ordine alle prove testimoniali e specificamente in punto di valutazione di attendibilità. Tutti i testimoni escussi erano tutti portatori di propri interessi, primo fra tutti quello di ottenere il permesso di soggiorno e poi di non essere coinvolti nell'indagine come sospettati di aver fatto parte dell'equipaggio o di avere avuto un qualunque ruolo attivo nella vicenda criminale. La Corte territoriale avrebbe poi dovuto considerare la situazione di panico in cui i testimoni si trovarono al momento dell'incidente in mare e la situazione di caos che si venne a determinare. Gli inquirenti italiani null'altro hanno fatto che cristallizzare nei verbali di sommarie informazioni le dichiarazioni che i migranti avevano già effettuato all'equipaggio, senza alcuna garanzia difensiva per i cinque che quelle dichiarazioni resero. Non hanno considerato che sulla nave dei soccorsi vi erano anche altri migranti, provenienti da altro barcone salvato in alto mare e dunque non si può essere certi che l'album fotografico sia stato formato soltanto con soggetti che si trovavano a bordo del barcone affondato. Non si può essere certi, poi, che le prime identificazioni come sospettato non abbiano influenzato e condizionato le dichiarazioni dei testimoni. E non può escludersi che i primi cinque che si fecero avanti per indicare nell'imputato il presunto scafista non fossero loro stessi gli scafisti.

La Corte territoriale ha illegittimamente utilizzato le dichiarazioni, la cui inattendibilità è stata affermata dal Gip, di ben dieci migranti che, dopo aver redatto i verbali di sommarie informazioni, fecero perdere le loro tracce lasciandoli centro che li ospitava e sottraendosi al contraddittorio.

Le testimonianze assunte nel contraddittorio tra le parti hanno invece rivelato lacune e incongruenze; alcune di loro sono state inquinate dalle modalità di assunzione della prova che non sono consistite nell'esame e controesame ma in domande palesemente suggestive, poste direttamente dal presidente. Dalle dichiarazioni rese da sei testimoni sentiti in incidente probatorio sono emerse delle contraddizioni che tacciano i testi di inattendibilità e che la Corte territoriale ha liquidato con mere formule di stile. Le discrasie nei racconti sono evidenti; i testimoni hanno descritto dei segmenti di condotte che erano cadute sotto la loro percezione ma hanno ascoltato anche i racconti degli altri, senza liberarli dalle opinioni personali e dai pregiudizi. Nessuno ha descritto condotte dell'imputato collegate ad ordini impartiti dagli organizzatori o anche dal comandante che ha sempre dichiarato che gli altri quattro imputati nulla avevano a che vedere con la conduzione del barcone.

2.3. Con il terzo motivo ha dedotto difetto di motivazione in punto di scriminante dello stato di necessità. L'imputato, prescelto a caso fra i passeggeri, minacciato dai libici di salire a bordo altrimenti avrebbe perso la vita, ha solo tentato si salvare chi, come lui, stava attraversando il mare per giungere in una terra ove avere un futuro migliore. Egli non ebbe altra scelta se non quella di condurre l'imbarcazione in salvo.

2.4. Con il quarto motivo ha dedotto difetto di motivazione circa il nesso di causalità fra condotta ed evento per il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. L'imputato aveva il diritto di non rimanere in Libia ove erano posti in pericolo i suoi diritti fondamentali, sicchè la sua permanenza in quel territorio avrebbe proseguito nel tempo una lesione gravissima dei suoi diritti.

2.5. Con il quinto motivo ha dedotto difetto di motivazione circa il nesso di causalità tra il favoreggiamento dell'immigrazione e le morti. Le cause del ribaltamento del barcone e del successivo inabissamento sono ascrivibili a una variazione della distribuzione del carico costituito dalle persone a bordo del peschereccio, che ha compromesso la labile stabilità del sistema. Il nesso di causalità tra condotta ed evento è stato allora interrotto da un evento imprevisto ed imprevedibile che esclude la responsabilità dell'imputato per il reato di cui all'art. 586 c.p.. La sentenza impugnata non motiva per nulla sull'esistenza in concreto di una colpa dell'imputato rispetto all'evento morte non voluto.

2.6. Con il sesto motivo ha dedotto difetto di motivazione in punto di diniego delle attenuanti generiche, nonostante il corretto comportamento processuale ed extraprocessuale e lo stato di incensuratezza.

2.7. Con il settimo motivo ha dedotto difetto di motivazione in ordine all'eccessività della pena inflitta. Essa travalica la gravità dei fatti e il giudice di appello ha omesso di prendere nella dovuta considerazione il comportamento processuale dell'imputato nonchè la personalità dello stesso.

Motivi della decisione


1. I ricorsi sono inammissibili per le ragioni di seguito illustrate.

2. L'asserito difetto di giurisdizione non sussiste. La giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che "sussiste la giurisdizione del giudice italiano relativamente al delitto di procurato ingresso illegale nel territorio dello Stato di cittadini extra-comunitari nella ipotesi in cui i migranti, provenienti dall'estero a bordo di navi madre, siano abbandonati in acque internazionali, su natanti inadeguati a raggiungere le coste italiane, allo scopo di provocare l'intervento dei soccorritori che li condurranno in territorio italiano, poichè la condotta di questi ultimi, che operano sotto la copertura della scriminante dello stato di necessità, è riconducibile alla figura dell'autore mediato di cui all'art. 48 c.p., in quanto conseguente allo stato di pericolo volutamente provocato dai trafficanti, e si lega senza soluzione di continuità alle azioni poste in essere in ambito extraterritoriale" - Sez. 1, n. 20503 del 08/04/2015, Rv. 263670; cfr., anche, Sez. 1, n. 11165 del 22/12/2015, dep. 2016, Rv. 266430; Sez. 1, n. 18354 del 11/03/2014, Rv. 262542 -.

Nel caso in esame, affermano però i ricorrenti, non si verificò un incidente appositamente provocato da quanti erano al comando del natante, ma si ebbe un guasto, che non fu nè provocato nè ideato al fine di attrarre i soccorritori. Un evento, dunque, fortuito e imprevedibile e pertanto, si aggiunge nei ricorsi, non tale da far cessare "la serialità causale degli atti", collocandoli tutti nello spazio delle acque internazionali.

3. L'assunto è manifestamente infondato.

Occorre anzitutto considerare, a voler seguire il ragionamento dei ricorrenti, che l'imbarcazione su cui viaggiavano i migranti era, secondo quanto già specificato in imputazione, "vetusta", "priva di qualsivoglia dotazione di sicurezza", "del tutto inidonea ad affrontare la traversata, perchè in condizioni di sovraffollamento e priva delle minime dotazioni di sicurezza individuale...". Non può allora affermarsi che un'interruzione del viaggio di quella malandata imbarcazione non fosse ampiamente prevedibile e non fosse stato accettata l'eventualità di un soccorso in mare.

Ma, anche a ragionare diversamente, non si vede per quale ragione non debba assimilarsi il caso ora in esame - ammesso in ipotesi quanto dedotto in ricorso, ossia che il guasto non fu causato e fu accidentale - a quello più volte trattato dalla giurisprudenza di legittimità, con l'affermazione della giurisdizione italiana.

Voluto o meno che fosse l'intervento dei soccorritori, è certo che anche per il caso ora in esame la condotta illecita di procurato ingresso nel territorio dello Stato di cittadini extracomunitari, in violazione della normativa vigente in materia di immigrazione, sia stata completata dal doveroso intervento dei soccorritori che curarono il trasporto delle persone salvate in mare sul territorio italiano, agendo comunque come autori mediati.

Infatti, può al più ammettersi che il guasto non fu preordinato, non anche che esso potesse dirsi del tutto imprevedibile, dovendo convenirsi che la traversata in mare di una imbarcazione sovraffollata e priva delle condizioni di sicurezza facesse concretamente prefigurare agli organizzatori del viaggio, anche in ragione della doverosità del soccorso in mare, che il trasporto, ove non fosse stato compiuto interamente per come programmato, sarebbe stato completato dall'intervento di terzi.

4. Il motivo relativo alle valutazioni di attendibilità dei testimoni e alle asserite carenze e contraddizioni del loro narrato è manifestamente infondato.

La Corte di appello ha dato adeguata risposta ai rilievi già propostiòcon gli atti di appello. Ha escluso la sussistenza di contraddizioni, sia interne ad una stessa dichiarazione accusatoria che tra più dichiarazioni, e ha logicamente rilevato che la non piena sovrapposizione dei contenuti narrativi in riguardo ai comportamenti che gli imputati tennero durante il viaggio ben trova spiegazione nel fatto che ciascuno dei dichiaranti era collocato in un posto diverso dell'imbarcazione ed ebbe quindi possibilità di osservarne gli atteggiamenti da punti diversi e in tempi diversi; ha ricordato che il giudice di primo grado ebbe a definire non piena l'attendibilità di quanti, tra i soggetti trasportati, indicarono nell'immediatezza dello sbarco i due imputati come facenti parte dell'equipaggio, in ragione del fatto che resero quelle dichiarazioni in assenza di contraddittorio; e immediatamente dopo ha evidenziato che quelle dichiarazioni di accusa sono state confermate dai testimoni sentiti in incidente probatorio. Ha quindi preso in considerazione il rilievo che i dichiaranti sono tutte persone offese, rilevando che nessuno però si costituì parte civile, e che potettero essere animati, nel rendere le dichiarazioni di accusa, dalla prospettiva di ottenere vantaggi, in particolare il permesso di soggiorno. Ha risposto alla deduzione difensiva di scarsa attendibilità dei dichiaranti per la situazione di panico in cui si trovarono durante il viaggio e in specie al momento in cui si verificò il guasto; ed ha poi provveduto ad esaminare il contenuto di numerose deposizioni dando conto, con specificità di argomenti, alla inconsistenza delle deduzioni di appello.

Le critiche di ricorso sono pertanto, da un lato, manifestamente infondate nella parte in cui reiterano rilievi già adeguatamente affrontati dal giudice del merito e, dall'altro, non meritevoli di considerazione in questa sede per la parte in cui si sostanziano nel tentativo di prospettare una diversa valutazione del materiale probatorio, trascurando che "non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti" - Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, Rv. 271623 -.

5. Generico è poi il motivo circa un presunto stato di necessità in cui avrebbero agito gli imputati. La Corte di appello ha già evidenziato che la deduzione della scriminante è stata fatta senza l'indicazione di alcun fatto specifico da cui poter trarre che in quella concreta vicenda gli imputati, che erano tra i migranti trasportati, furono costretti da altri, ignoti libici, ad assumere la direzione della barca sotto la minaccia di morte. Si tratta di una mera ipotesi difensiva, articolata solo in astratto e incapace pertanto di dare corpo ad un vizio della impugnata sentenza.

6. Manifestamente infondato è il motivo con cui si contesta la motivazione della sentenza in punto di nesso causale tra condotta ed evento del delitto di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. E' scarsamente comprensibile l'argomento difensivo a tal fine addotto, che cerca di far derivare dal diritto di sottrarsi al trattamento inumano subito in territorio libico, violativo dei diritti fondamentali, l'assenza di tipicità delle condotte contestate, che indubbiamente integrano il reato di procurato ingresso illecito nel territorio dello Stato di cittadini extracomunitari.

7. Del pari manifestamente infondato è il motivo relativo alla dedotta assenza di nesso causale tra le condotte di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e la morte di molti migranti di cui all'art. 586 c.p.. La Corte di appello ha dato sul punto motivazione adeguata e per nulla illogica o carente. Ha osservato che gli organizzàtori del viaggio, e gli imputati che, allettati dalla promessa di denaro, aderirono all'illecito piano del trasporto dei molti migranti, si servirono di un "barcone assolutamente inadeguato per le dimensioni in relazione all'eccessivo numero" di persone trasportate, in assenza peraltro delle minime condizioni di sicurezza (fl. 29). Da qui la logica conclusione che l'evento infausto dell'affondamento - con la conseguente morte di molte persone -, solo in parte determinato dai movimenti dei migranti sul barcone che del resto, per le condizioni della traversata, non erano certo imprevedibili, non fu certo uno sviluppo imprevedibile, atipico, abnorme, della condotta criminosa di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina (fl. 29). Il comportamento scomposto delle persone trasportate non ebbe dunque la forza di interrompere il nesso causale con il naufragio e la morte dei migranti, non assurgendo a fattore causale autonomo.

8. Manifestamente infondati sono, infine, i motivi relativi al diniego delle attenuanti generiche e alla pretesa eccessività della pena irrogata. La Corte di appello ha correttamente richiamato la particolare gravità dei fatti per giustificare la decisione di non riconoscere le attenuanti invocate, e ha quindi motivato facendo riferimento ad uno dei parametri normativi per l'esercizio della discrezionalità giudiziale in punto di pena. A tal proposito la giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere che "al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicchè anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all'uopo sufficiente" - Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549-. Ha poi fatto richiamo alle gravissime conseguenze letali che si ebbero a verificare per dare conto della infondatezza delle doglianze in punto di pena, dando così motivazione del tutto adeguata seppur sintetica. E' sul punto appena il caso di richiamare il principio di diritto secondo cui "il giudice può tenere conto più volte del medesimo dato di fatto sotto differenti profili e per distinti fini senza che ciò comporti lesione del principio del ne bis in idem. (Nella specie la Corte ha ritenuto immune da vizi la motivazione della Corte d'appello che ha fatto riferimento ai medesimi elementi indicativi della gravità del fatto per determinare la pena in misura superiore al minimo e per negare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche)" - Sez. 3, n. 17054 del 13/12/2018, dep. 2019, Rv. 275904 -.

9. Per quanto detto, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. Alla declaratoria d'inammissibilità consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria, equa al caso, indicata in dispositivo.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2021