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Gestire piazza di spaccio non è reato lieve (Cass. 14961/22)

19 aprile 2022, Cassazione penale

Non può ritenersi di lieve entità il fatto compiuto nel quadro della gestione di una "piazza di spacciò', ancorché i singoli episodi di cessione siano di modica quantità, giacché anche tale condotta, in quanto posta in essere nell'ambito di un'articolata organizzazione di supporto, è indice di una comprovata capacità dell'autore di assicurare uno stabile commercio di sostanza stupefacente. 

Non è lieve lo spaccio se attuato attraverso la gestione di una piazza di spaccio "seriale", prolungata e come costante riferimento di molteplici acquirenti, con plurime condotte di cessione,  ingente quantitativo di stupefacente smerciato ed accertata capacità di approvvigionamento continuativo e sistematico di eroina e cocaina.

Tali elementi, letti nella loro globalità, depongono infatti per uno stabile radicamento del ricorrente nel mercato illecito cittadino nonché di legami con gli ambienti criminali di riferimento. Donde il carattere non certo minimale della gravità dei fatti, presupposto ineludibile per l'applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.

Il giudice nel verificare la sussistenza della fattispecie di lieve entità deve valutare i relativi indici complessivamente, abbandonando l'idea che gli stessi possano essere utilizzati dal giudice alternativamente, riconoscendo od escludendo, cioè, la lieve entità del fatto anche in presenza di un solo indicatore di segno positivo o negativo, a prescindere dalla considerazione degli altri, avendo vagliato tutti gli aspetti normativamente rilevanti e spiegato le ragioni della ritenuta prevalenza eventualmente riservata a solo alcuni di essi. 

Ai fini del riconoscimento del reato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, la valutazione dell'offensività della condotta non può essere ancorata solo al quantitativo singolarmente spacciato o detenuto, ma alle concrete capacità di azione del soggetto ed alle sue relazioni con il mercato di riferimento, avuto riguardo all'entità della droga movimentata in un determinato lasso di tempo, al numero di assuntori riforniti, alla rete organizzativa e/o alle peculiari modalità adottate per porre in essere le condotte illecite al riparo da controlli e azioni repressive delle forze dell'ordine. 

 

Core di Cassazione

sez III. penale

ud. 24 gennaio 2022 (dep. 19 aprile 2022), n. 14961
Presidente Liberati – Relatore Amoroso

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 29/04/2021, la Corte d'appello di Ancona confermava la sentenza con la quale il Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale di Macerata, in data 3/12/2020, a seguito di giudizio immediato, condannava l'imputato, per numerose condotte di spaccio di sostanza stupefacente, alla pena di anni 4 e mesi 8 di reclusione ed Euro 20.000 di multa, oltre alle pene accessorie.

Il giudizio di responsabilità veniva fondato su plurime emergenze probatorie consistenti, prevalentemente, nelle dichiarazioni rese dagli acquirenti della sostanza stupefacente che, in maniera coincidente, avevano delineato le fattezze del venditore e indicato l'utenza cellulare utilizzata per contattarlo.

Al quadro descritto si aggiungeva altresì l'esito positivo della individuazione fotografica: tutti i clienti identificati, fatta eccezione per A.G. e C.A. , avevano, infatti, riconosciuto nelle foto raffiguranti M.M. colui che aveva ceduto loro la sostanza stupefacente.

2. Avverso la decisione l'imputato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi.

3. Nel primo si lamenta la violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ritiene esente dalle censure prospettate in sede d'appello il giudizio di responsabilità dell'imputato formulato per gli episodi di cessione di stupefacente a favore di A. e C. , nonostante questi ultimi non fossero stati in grado, in sede di individuazione fotografica, di riconoscere nelle fotografie del M.M. lo spacciatore della sostanza acquistata.

Sul punto si censura la "ritenuta prevalenza della descrizione e dell'indicazione dell'utenza rispetto al mancato riconoscimento fotografico effettuato in sede di indagine".

4. Nel secondo motivo di ricorso si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato inquadramento delle fattispecie nella ipotesi di minore gravità di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.

5. Nel terzo motivo di ricorso si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, alla mancata concessione delle circostanze generiche, al disposto aumento per la continuazione e alla pena complessivamente irrogata.

6. Nell'ultimo motivo di ricorso si enuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla disposta pena accessoria dell'espulsione.

Considerato in diritto

1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile poiché la Corte, anche richiamando la sentenza di primo grado, con motivazione puntuale, ha dato una lettura coerente e logica dell'intero compendio probatorio.

Nella decisione impugnata si chiarisce che gli acquirenti A. e C. , pur non avendo riconosciuto l'imputato nelle fotografie visionate, avevano comunque fornito particolari relativi ai quantitativi solitamente smerciati, ai prezzi convenuti e alle modalità di contatto e di consegna dello stupefacente, perfettamente coincidenti con quelli indicati dagli altri acquirenti che erano stati in grado di riconoscere l'imputato in termini di certezza in sede di individuazione fotografica e che lo avevano definito come un riferimento stabile per l'approvvigionamento di piccoli quantitativi di eroina, e talvolta cocaina, della piazza civitanovese.

Nell'iter argomentativo si valorizza, inoltre, l'assenza di elementi concreti dai quali poter ipotizzare in capo all'A. e al C. un movente calunnioso che "non può dunque essere posto a fondamento di un'ipotesi alternativa che si rivela puramente concettuale".

Rispetto a tale articolata trama argomentativa, non è stato dedotto nulla di specifico. Le censure costituiscono mere prospettazioni alternative che si risolvono in una rilettura orientata degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell'assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferire rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, perché considerati maggiormente plausibili, o perché assertivamente ritenuti dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata, non consentite in sede di giudizio di legittimità. (Sez. 6 n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148).

2. Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile trattandosi della mera riproposizione delle censure prospettate in sede d'appello e disattese dai Giudici del merito.

I giudici di appello, dopo aver fatto riferimento alle argomentazionì sviluppate nella sentenza di primo grado, hanno fornito una valutazione autonoma ed analitica delle ragioni poste a fondamento dell'esclusione della ricorrenza dell'ipotesi disciplinata dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 di talché la motivazione risulta esaustiva ed immune dalle censure proposte.

In maniera ineccepibile si è valorizzato il ruolo assunto dall'imputato in una piazza di spaccio "seriale" all'interno della quale è stato per lungo tempo il costante riferimento di molteplici acquirenti; le plurime condotte di cessione; l'ingente quantitativo di stupefacente smerciato; l'accertata capacità di approvvigionamento continuativo e sistematico di eroina e cocaina.

Tali elementi, letti nella loro globalità, depongono per uno stabile radicamento del ricorrente nel mercato illecito cittadino nonché di legami con gli ambienti criminali di riferimento. Donde il carattere non certo minimale della gravità dei fatti, presupposto ineludibile per l'applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.

La Corte territoriale ha, quindi, fatto corretta applicazione di due fondamentali direttrici ermeneutiche cui il Collegio intende dare continuità.

Da un lato viene in rilievo il principio enunciato dal Supremo Consesso, secondo il quale il giudice nel verificare la sussistenza della fattispecie di lieve entità deve valutare i relativi indici complessivamente, abbandonando l'idea che gli stessi possano essere utilizzati dal giudice alternativamente, riconoscendo od escludendo, cioè, la lieve entità del fatto anche in presenza di un solo indicatore di segno positivo o negativo, a prescindere dalla considerazione degli altri, avendo vagliato tutti gli aspetti normativamente rilevanti e spiegato le ragioni della ritenuta prevalenza eventualmente riservata a solo alcuni di essi. (cfr. in motivazione, Sez. U - n. 51063 del 27/09/2018 Rv. 27407601 M.).

Dall'altro, l'enunciato secondo cui ai fini del riconoscimento del reato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, la valutazione dell'offensività della condotta non può essere ancorata so(o al quantitativo singolarmente spacciato o detenuto, ma alle concrete capacità di azione del soggetto ed alle sue relazioni con il mercato di riferimento, avuto riguardo all'entità della droga movimentata in un determinato lasso di tempo, al numero di assuntori riforniti, alla rete organizzativa e/o alle peculiari modalità adottate per porre in essere le condotte illecite al riparo da controlli e azioni repressive delle forze dell'ordine. (cfr. Sez. 6, n. 13982 del 20/02/2018, Lombino, Rv. 272529).

Ne consegue che non può ritenersi di lieve entità il fatto compiuto nel quadro della gestione di una "piazza di spacciò', ancorché i singoli episodi di cessione siano di modica quantità, giacché anche tale condotta, in quanto posta in essere nell'ambito di un'articolata organizzazione di supporto, è indice di una comprovata capacità dell'autore di assicurare uno stabile commercio di sostanza stupefacente.

3. Manifestamente infondato è anche il terzo motivo di ricorso.

I giudici del merito, con ragionamento immune da censure rilevabili in sede di legittimità, hanno sottolineato che il giudice di primo grado ha adeguatamente rappresentato le ragioni ostative alla concessione delle circostanze generiche e i criteri di commisurazione della pena e degli aumenti per la continuazione, sottolineando il radicamento dell'imputato nel mercato degli stupefacenti, la continuità degli episodi di spaccio e la varietà della sostanza erogata quali indici della pericolosità del ricorrente e della gravità della condotta.

4. Manifestamente infondato è altresì l'ultimo motivo di ricorso riferito all'espulsione.

La decisione impugnata, valorizzando gli aspetti presi in considerazione in punto di trattamento sanzionatorio, e dunque attenendosi ai parametri di cui all'art. 133 c.p., ha ritenuto pericoloso l'imputato anche alla luce della circostanza che questi è in grado di assicurarsi sostentamento in Italia con permesso di soggiorno scaduto, proprio grazie ai traffici illeciti in cui è inserito, dando così logicamente conto dei presupposti per l'adozione della disposta misura di sicurezza.

5. Alla luce di tali considerazioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.