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Gelosia ossessiva può essere reato (Cass, 20126/15)

14 maggio 2015, Cassazione penale

Anche la gelosia può essere reato: il delitto di maltrattamenti in famiglia può derivare dal continuo ed invasivo controllo da parte del marito, divorato appunto da una patologica ed incontenibile gelosia nei confronti della moglie.

L'assillare costantemente la congiunta con continui comportamenti ossessivi e maniacali, ispirati da una gelosia morbosa, e tali da provocare in modo diretto importanti limitazioni e condizionamenti nella vita quotidiana e nelle scelte lavorative nonché un intollerabile stato d'ansia - quali l'insistente contestazione di tradimenti insistenti, la ricerca incessante di tracce di relazioni extra-coniugali con ispezione costante del telefono della compagna per verificarne le comunicazioni, la verifica degli orari di rientro a casa ed il controllo degli spostamenti, i ripetuti insulti con uso di parole scurrili facenti esplicito riferimento alle ipotizzata infedeltà ("buttana, troia"), i più volte prospettati dubbi circa l'effettiva paternità della loro figlia con conseguenti reiterate richieste di test diagnostici per la verifica del DNA, nonché le pressioni affinché la persona offesa abbandonasse il mestiere di assistente di volo ritenuto non adatto a "donne per bene" -, sostanzia la situazione di abituale vessazione psicologica sanzionata dalla legge, in quanto espressione di un evidente spirito di prevaricazione e fonte di un'intensa e perdurante sofferenza morale. 

Corte di Cassazione

sez. VI Penale sentenza 3 marzo - 14 maggio 2015, n. 20126

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 22 maggio 2014, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Palermo del 7 marzo 2013, la Corte d'appello siciliana ha assolto D.G.R. dal reato di maltrattamenti in danno della moglie C.D. di cui al capo 1) (commesso sino al (omissis) ) e, confermata la condanna per il reato di atti persecutori di cui al capo 2) commesso in danno della medesima sino all'(omissis) , ha ridotto la pena inflitta all'imputato in primo grado ad anni uno e mesi sei di reclusione, escludendo la misura di sicurezza applicata e diminuendo la provvisionale ad Euro 5000.

A sostegno del decisum, il giudice di secondo grado ha rilevato che, ferma la credibilità della persona offesa C.D. , dagli elementi probatori emerge che effettivamente la vita di coppia era contrassegnata da una certa animosità e litigiosità, verosimilmente determinata dalla gelosia del D.G. , e tuttavia mancano i presupposti per ritenere provati tanto il requisito dell'abitualità, risultando accertato un unico episodio di intimidazione, quanto l'elemento soggettivo, non essendo dimostrata la consapevolezza dell'imputato di cagionare alla moglie un turbamento psichico e morale; che, di contro, il reato di cui al capo 2) deve ritenersi provato alla luce delle dichiarazioni rese dalla persona offesa C.D. , confermate, oltre che dal contenuto dei messaggi telefonici, dalle convergenti deposizioni rese dai prossimi congiunti; che non sussistono i presupposti per escludere la recidiva contestata e per concedere le circostanze attenuanti generiche.

2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso il Procuratore generale presso la Corte d'appello di Palermo e ne ha chiesto l'annullamento nella parte assolutoria per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nonché per erronea applicazione di legge penale.

Evidenzia il ricorrente come la Corte d'appello abbia travisato le risultanze processuali ed, in particolare, le dichiarazioni della persona offesa e dei testi escussi, i quali hanno concordemente riferito di plurime condotte violente ed intimidatorie poste in essere dall'imputato nei confronti delle moglie, derivanti dalla sua gelosia morbosa, integranti, in quanto ripetute e costanti nel tempo, il requisito dell'abitualità. Il ricorrente evidenzia ancora come tali emergenze non possano ritenersi contraddette dalla circostanza che la donna abbia potuto sopportare le vessazioni e le violenze fisiche e psicologiche del marito per anni; come il reato di maltrattamenti possa essere integrato anche da atti di disprezzo della persona offesa e nulla rilevino eventuali periodi di normalità e di accordo con il soggetto passivo; come "l'unico atto intimidatorio" a cui si fa riferimento nella sentenza impugnata è di inusuale violenza, atteso che in quel caso l'imputato, alterato per aver assunto alcolici, aveva estratto una pistola e minacciato la C. puntandole l'arma al volto, in presenza della figlia minore e della suocera.

3. L'Avv. R.B., difensore di fiducia di D.G.R. , ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d'appello di Palermo e l'ordinanza di rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, dello stesso 22 maggio 2014, e ne ha chiesto l'annullamento:

3.1. quanto all'ordinanza, per vizio di motivazione in relazione agli artt. 125, 192 e 603 cod. proc. pen., per avere la Corte d'appello rigettato la richiesta di acquisire il fascicolo del procedimento civile instaurato da D.G. nei confronti della Toy Park s.r.l. per il riconoscimento del credito per mancato pagamento della retribuzione per attività lavorativa, trattandosi di documentazione assolutamente decisiva ai fini della valutazione della attendibilità della persona offesa, atteso che essa si era determinata a sporgere denuncia querela solo dopo che il ricorrente aveva avanzato la richiesta di pagamento di una somma pari a quasi 300.000 Euro nei confronti della società datrice di lavoro di cui i familiari della presunta vittima sono titolari, ciò tanto più considerato che le dichiarazioni di questi ultimi venivano valorizzate a riscontro della denuncia di quest'ultima.

3.2. quanto alla sentenza, per violazione di legge processuale, mancata assunzione di prova decisiva e vizio di motivazione in relazione agli artt. 612-bis cod. pen. e 125 e 192 cod. proc. pen., per avere la Corte ritenuto inattendibile la persona offesa ai fini della integrazione del reato ex art. 572 cod. pen., assolvendo D.G. da tale imputazione, e, del tutto contraddittoriamente, ritenuto la stessa credibile ai fini del giudizio di penale responsabilità per il reato di cui all'art. 612-bis cod. pen.; lamenta inoltre il ricorrente che la Corte ha omesso di rispondere in merito alla denunciata reciprocità delle offese fra i coniugi ed alla circostanza che la stessa persona offesa ha negato di avere modificato le proprie abitudini così come di temere per la propria incolumità, il che esclude anche il reato di stalking;

3.3. per violazione di legge processuale, mancata assunzione di prova decisiva e vizio di motivazione in relazione agli artt. 125 e 99, comma 4, cod. proc. pen., per avere la Corte non adeguatamente argomentato la sussistenza dei presupposti per la recidiva, laddove l'assistito è stato assolto dal reato di maltrattamenti ed i precedenti penali, non specifici, sono risalenti nel tempo.

4. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso di D.G. sia rigettato e che il ricorso del P.G. sia accolto con annullamento con rinvio alla Corte d'appello. L'Avv. A.P., per la parte civile C.D. , ha chiesto l'accoglimento delle proprie richieste, come da conclusioni scritte e nota spese depositate a verbale. L'avv. R.B., difensore di fiducia di D.G.R. , ha chiesto che il ricorso del P.G. sia rigettato ed ha insistito perché il ricorso dell'imputato sia di contro accolto. Considerato in diritto 1. Entrambi i ricorsi sono fondati.

2. Meritevole di accoglimento è il ricorso presentato dal P.M..

2.1. Mette conto evidenziare in proposito che, nel giustificare la riforma della pronuncia di primo grado ed il giudizio liberatorio per il reato di maltrattamenti, la Corte palermitana ha evidenziato come la persona offesa non abbia specificato le condotte violente ed intimidatorie poste in essere dal marito nei suoi confronti, ad eccezione dell'episodio risalente al luglio 2008. Il giudice di secondo grado non ha, nondimeno, fornito un'adeguata motivazione delle ragioni per le quali sia potuto addivenire a tale valutazione, laddove il Tribunale, pervenendo ad un giudizio opposto sulla base delle stesse prove assunte nel giudizio - e, per vero, non smentite dalla Corte - avesse dato atto delle dichiarazioni rese dalla persona offesa in merito ai continui litigi col marito sfocianti in aggressioni fisiche (schiaffi, pugni, strattoni, lancio di oggetti e suppellettili) e di quanto riferito a conferma dai genitori della vittima, in merito alla più volte rilevata presenza di ecchimosi sulle braccia della figlia e di oggetti rotti nell'abitazione (pag. 7 della sentenza di primo grado).

2.2. Per altro verso, la Corte ha ritenuto che nella rappresentazione da parte della vittima della "vita di coppia", come "contrassegnata dalla gelosia del marito e dalle liti scaturenti per tale ragioni", non siano ravvisabili i presupposti del delitto di maltrattamenti. Conclusione che, tuttavia, almeno nei termini nei quali è stata espressa, si pone secondo una linea di discontinuità rispetto al consolidato insegnamento di questo giudice di legittimità, alla stregua del quale il reato di maltrattamenti in famiglia è integrato non soltanto dalle percosse, lesioni, ingiurie, minacce o privazioni, ma anche dagli atti di vessazione psicologica che si risolvano in una vera e propria, durevole, sofferenza morale (Cass. Sez. 6, n. 44700 del 08/10/2013 - dep. 06/11/2013, P, Rv. 256962; Sez. 2, Sentenza n. 10994 del 06/12/2012 Ud. (dep. 08/03/2013) T. e altro Rv. 255175).

A questo riguardo, il Tribunale aveva congruamente rilevato come l'assillare costantemente la congiunta con continui comportamenti ossessivi e maniacali, ispirati da una gelosia morbosa, e tali da provocare in modo diretto importanti limitazioni e condizionamenti nella vita quotidiana e nelle scelte lavorative nonché un intollerabile stato d'ansia - quali, come dato atto nella sentenza di primo grado, l'insistente contestazione di tradimenti insistenti, la ricerca incessante di tracce di relazioni extra-coniugali con ispezione costante del telefono della donna per verificarne le comunicazioni, la verifica degli orari di rientro a casa ed il controllo degli spostamenti, i ripetuti insulti con uso di parole scurrili facenti esplicito riferimento alle ipotizzata infedeltà ("buttana, troia"), i più volte prospettati dubbi circa l'effettiva paternità della loro figlia con conseguenti reiterate richieste di test diagnostici per la verifica del DNA, nonché le pressioni affinché la persona offesa abbandonasse il mestiere di assistente di volo ritenuto dal D.G. non adatto a "donne per bene" -, certamente sostanzi la situazione di abituale vessazione psicologica sanzionata dalla fattispecie incriminatrice dell'art. 572 cod. pen., in quanto espressione di un evidente spirito di prevaricazione e fonte di un'intensa e perdurante sofferenza morale. 

La decisione impugnata deve pertanto essere annullata sul punto con rinvio ad altra Sezione della Corte d'appello di Palermo per un nuovo giudizio.

3. Parimente fondato è il ricorso presentato dal D.G. avverso l'ordinanza di rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, avente ad oggetto l'acquisizione al fascicolo degli atti relativi alla causa civile intrapresa dal D.G. nei confronti della Toy Park s.r.l. per il riconoscimento del credito relativo al mancato pagamento delle retribuzioni quale dipendente della medesima società, per un importo assai rilevante. Mette conto notare che detta società è riferibile ai familiari della presunta vittima sentiti a conferma delle dichiarazioni rese dalla vittima.

3.1. Sotto un primo aspetto, va rammentato che, alla stregua del chiaro disposto dell'art. 603, commi 1 e 2, cod. proc. pen., l'assunzione di nuove prove in appello è subordinata alla valutazione del giudicante di non essere in grado di decidere allo stato degli atti, salvo che non si tratti di prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, nel quale caso il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale nei limiti previsti dall'art. 495 comma 1. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale ai sensi dell'art. 603, comma 1, cod. proc. pen., è subordinata alla verifica dell'incompletezza dell'indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria, accertamento rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata (Cass. Sez. 4, n. 4981 del 05/12/2003, Rv. 229666).

3.2. Sotto un diverso aspetto, va evidenziato che, come hanno chiarito anche le Sezioni Unite di questa Corte, le regole dettate dall'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non trovino applicazione con riguardo alle dichiarazioni rese dalla persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto e tuttavia hanno evidenziato che la verifica circa l'attendibilità deve essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, soprattutto nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, nel qual caso può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi (Cass. Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte ed altri, Rv. 253214).

3.3. Fissate tali coordinate ermeneutiche, ritiene il Collegio che la motivazione svolta a sostegno del rigetto della richiesta di rinnovazione della istruttoria dibattimentale non possa ritenersi adeguata nella parte in cui la Corte d'appello ha stimato la documentazione richiesta - in quanto afferente alle pretese economiche nascenti dal rapporto di lavoro dell'imputato con la società indicata - "inconducente rispetto ai fatti oggetto del presente procedimento". Ed invero, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice distrettuale, la documentazione relativa al contenzioso civile pendente con pretese risarcitorie importanti, in quanto possibilmente dimostrativa della sussistenza di motivi d'astio dell'accusante, e dei suoi familiari chiamati a deporre a riscontro, nei confronti dell'imputato, non può ritenersi circostanza "inconducente" ai fini della valutazione di attendibilità della principale teste a carico e dei testimoni a riscontro, ma costituisce di contro elemento rilevante ai fini della decisione sul punto ed avrebbe pertanto dovuto essere acquisita e sottoposta al prudente apprezzamento del giudicante di merito. L'ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio. Stante la fondatezza del primo motivo, gli ulteriori motivi avverso la sentenza di condanna per il reato di stalking - che presuppone il vaglio positivo di attendibilità della persona offesa - sono di conseguenza assorbiti.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d'Appello di Palermo per nuovo giudizio.