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Gelosia aggrava il reato per motivo futile se .. (Cass. 23075/20)

29 luglio 2020, Cassazione penale

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La gelosia può integrare l'aggravante dei motivi abietti o futili, quando sia connotata non solo dall'abnormità dello stimolo possessivo verso la vittima o un terzo che appaia ad essa legata, ma anche nei casi in cui sia espressione di spirito punitivo, innescato da reazioni emotive aberranti a comportamenti della vittima percepiti dall'agente come atti di insubordinazione.

L'accertamento della circostanza aggravante dei futili motivi, dovendo svolgersi con metodo bifasico, richiede la duplice verifica del dato oggettivo, costituito dalla sproporzione tra il reato concretamente realizzato e il motivo che lo ha determinato, e del dato soggettivo, costituito dalla possibilità di connotare detta sproporzione quale espressione di un moto interiore assolutamente ingiustificato, tale da configurare lo stimolo esterno come mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

(ud. 03/07/2020) 29-07-2020, n. 23075

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo - Presidente -

Dott. DE GREGORIO Eduardo - Consigliere -

Dott. BELMONTE Maria Teresa - Consigliere -

Dott. DE MARZO Giuseppe - rel. Consigliere -

Dott. ROMANO Michele - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

D.S.S., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 13/06/2019 della CORTE APPELLO di ROMA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere DE MARZO GIUSEPPE;

lette le conclusioni del Procuratore generale, Dott. DI LEO GIOVANNI che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo


1. Per quanto ancora rileva, alla luce del motivo di ricorso, con sentenza del 13/06/2019, la Corte d'appello di Roma ha confermato la decisione di primo grado, con riguardo alla affermazione di responsabilità di D.S.S., in relazione al reato di cui agli artt. 582, 583 e 577 c.p..

La Corte territoriale, in particolare, ha osservato che la circostanza aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 1, non poteva essere esclusa, in quanto le lesioni, cagionate dall'imputato dopo la fine della relazione con la persona offesa, erano il frutto dello spirito punitivo nutrito nei confronti della donna, considerata come una propria appartenenza: la spinta ad agire, in definitiva, era priva di quella minima consistenza che la coscienza collettiva esige per operare un collegamento logicamente accettabile con l'azione commessa, talchè essa appariva assolutamente sproporzionata all'entità del fatto.

2. Nell'interesse dell'imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, con il quale si lamenta inosservanza o erronea applicazione dell'art. 61 c.p., n. 1, tenuto conto che, alla luce della giurisprudenza di legittimità, non può configurare motivo abietto o futile la gelosia, ancorchè collegata ad un abnorme desiderio di vita comune. Si aggiunge che, in ogni caso, la condotta aveva provocato lesioni guaribili in tre giorni.

Motivi della decisione

1. La doglianza è infondata.

Questa Corte ha avuto modo di chiarire di recente che la gelosia può integrare l'aggravante dei motivi abietti o futili, quando sia connotata non solo dall'abnormità dello stimolo possessivo verso la vittima o un terzo che appaia ad essa legata, ma anche nei casi in cui sia espressione di spirito punitivo, innescato da reazioni emotive aberranti a comportamenti della vittima percepiti dall'agente come atti di insubordinazione (Sez. 1, n. 49673 del 01/10/2019, P, Rv. 27808202; Sez. 5, n. 44319 del 21/05/2019, M, Rv. 27696201).

Proprio quest'ultima decisione, superando sfumature linguistiche che hanno accompagnato in passato, nella giurisprudenza di questa Corte, un non esplicito superamento di posizioni ormai lontane dalla coscienza collettiva, sottolinea espressamente - e in termini condivisi dal Collegio - la centralità del principio di autodeterminazione delle persone, correlato al fondamentale valore della dignità umana, che vale a giustificare la connotazione in termini di maggiore gravità delle condotte violente che trovino il loro movente nel senso di appartenenza nutrito dall'imputato nei confronti dell'individuo con il quale ha condiviso una relazione sentimentale (nel caso di specie, cessata).

Tale conclusione si inserisce nella più ampia cornice alla stregua della quale l'accertamento della circostanza aggravante dei futili motivi, dovendo svolgersi con metodo bifasico, richiede la duplice verifica del dato oggettivo, costituito dalla sproporzione tra il reato concretamente realizzato e il motivo che lo ha determinato, e del dato soggettivo, costituito dalla possibilità di connotare detta sproporzione quale espressione di un moto interiore assolutamente ingiustificato, tale da configurare lo stimolo esterno come mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale (Sez. 5, n. 45138 del 27/06/2019, Vetuschi, Rv. 27764101).

Ora, razionalmente tali principi hanno trovato applicazione nel caso di specie, in cui l'imputato, secondo l'accertamento dei giudici di merito, ha buttato per terra la persona offesa, le ha dato una testata e poi l'ha sbattuta contro un muro.

2. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 3 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2020