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"Gaglioffo!" è diffamazione non critica (Cass. 14644/19)

3 aprile 2019, Cassazione penale

L'esercizio del diritto di critica trova un limite immanente nel rispetto della dignità altrui, non potendo lo stesso costituire mera occasione per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale: è penalmente punibile l'espressione che di per sé ecceda il limite della continenza, consistendo non già in un dissenso motivato espresso in termini misurati e necessari, bensì in un attacco personale lesivo della dignità morale ed intellettuale della persona.

Il principio della parità della armi non può tradursi in un diritto ad ottenere l'ammissione di una prova manifestamente superflua o, ancor più, vertente su fatti estranei a quelli contestati.

 

Corte di Cassazione

sez. V Penale, sentenza 29 gennaio – 3 aprile 2019, n. 14644
Presidente Vessichelli – Relatore Besso Morosini

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Lecce ha confermato, anche agli effetti civili, la condanna per il reato di diffamazione a mezzo stampa, commesso da Pu. Qu., quale autore di un articolo pubblicato in data 1 ottobre 2009 sul periodico mensile "Porta Grande", nel quale l'avv. Fr. Zi., in relazione all'attività di gestione dei beni ereditari della famiglia La., veniva definito "rapinatore", "gaglioffo-esecutore testamentario" ed era accusato di scarsa professionalità e rigore morale ("se n'è fregato di fare i dovuti inventari, ha violato tutti gli articoli del codice civile, ha fatto strame delle volontà testamentarie dei La.").
Con la medesima pronuncia la Corte distrettuale ha dichiarato estinti per prescrizione i reati di diffamazione commessi in data 1 agosto 2009 e 1 settembre 2009, confermando le statuizioni civili per tutte le condotte.
2. Avverso la sentenza ricorre l'imputato, tramite il difensore, articolando tre motivi.
2.1 Con il primo e il secondo denuncia, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. c), d) ed e) cod. proc. pen., la mancata ammissione della consulenza grafologica tempestivamente richiesta con il deposito della lista ex art. 468 cod. proc. pen..
La consulenza mirava a provare la falsità delle firme apposte sulle scritture private allegate alla querela (scritture utilizzate "con esercizio di un inesistente diritto di prelazione nell'acquisto della masseria Termetrio in favore della società di cui il figlio dello Za. risultava amministratore unico, vendita degli arredi") e dunque a dimostrare la verità delle accuse mosse dall'imputato all'operato dell'avv. Zi. in relazione alla illiceità della gestione dell'eredità La..
Tanto il Tribunale quanto la Corte di appello avrebbero immotivatamente escluso la prova a discarico, ledendo il diritto di difesa.
La motivazione fornita al riguardo sarebbe illogica e contraddittoria. La Corte di appello, negando ingresso alla consulenza in sede di rinnovazione dibattimentale, avrebbe considerato la consulenza "non necessaria" e "non indispensabile" poiché anche la "eventuale veridicità del fatto descritto negli articoli" non ne escluderebbe il carattere diffamatorio, salvo poi affermare che "il comportamento che si assume provocatorio in capo allo Zi. non è provato abbia integrato gli estremi di un illecito codificato".
2.2 Con il terzo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione sulle statuizioni civili.
Nessuna reale risposta avrebbe ricevuto il motivo di appello con il quale l'imputato aveva contestato la effettiva sussistenza di un danno e la quantificazione dello stesso in Euro 5.000,00.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato nei limiti di seguito precisati.
2. Anzitutto il ricorso non presenta profili di inammissibilità (cfr. paragrafo 3), pertanto deve rilevarsi il decorso del termine di prescrizione in ordine alla condotta (ultima in ordine temporale) per cui risulta confermata la condanna.
Tenuto conto della data di commissione del fatto (1 ottobre 2009) e del periodo di sospensione di 196 giorni di cui dà atto la sentenza di appello (pag. 4), la prescrizione è maturata in data 14 ottobre 2017.
Le ragioni di seguito esposte dimostrano l'assenza di elementi che possano comportare il proscioglimento nel merito dell'imputato ex art. 129, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. U., n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274).
3. La disamina delle ulteriori questioni è circoscritta al tema della responsabilità civile.
4. Il primo e il secondo motivo sono infondati.
4.1 A mente degli artt. 495, comma 1 e 190, comma 1, cod. proc. pen. il giudice provvede con ordinanza all'ammissione delle prove escludendo quelle vietate dalla legge e quelle che manifestamente sono superflue (cioè sovrabbondanti) o irrilevanti (cioè non attinenti al thema probandum).
È pacifico che va garantito il diritto-dovere delle parti di provare i fatti che si riferiscono alla imputazione, alla punibilità e alla determinazione della pena (art. 187 cod.proc.pen.), diritto che ben può essere oggetto di una interpretazione conforme al principio della "parità delle armi", sancito dall'art. 6, comma 3, lett. d) della CEDU, a sua volta ripreso anche dall'art. 111 Cost., comma 2, in tema di contraddittorio tra le parti, e che consiste, come è scritto nel precetto sovranazionale, nel diritto dell'accusato ad ottenere non solo la citazione ma anche l'interrogatorio dei testimoni a discarico, a pari condizioni dei testimoni a carico.
Tuttavia, come chiarito dalla Corte EDU (sent. 22 Febbraio 1996, Bulut c. Austria), il principio della parità della armi non può tradursi in un diritto ad ottenere l'ammissione di una prova manifestamente superflua o, ancor più, vertente su fatti estranei a quelli contestati (Sez. 2, n. 31883 del 30/06/2016, Di Rocco, in motivazione).
4.2 Nella specie l'oggetto del processo concerne il rapporto tra reato di diffamazione e scriminante del diritto di critica.
Secondo ius receptum l'esercizio del diritto di critica trova un limite immanente nel rispetto della dignità altrui, non potendo lo stesso costituire mera occasione per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale (tra le altre Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010, Simeone, Rv. 249239).
È penalmente punibile l'espressione che di per sé ecceda il limite della continenza, consistendo non già in un dissenso motivato espresso in termini misurati e necessari, bensì in un attacco personale lesivo della dignità morale ed intellettuale della persona (Rv. 244811).
La "doppia conforme" di condanna si fonda sul rilievo che, vere o meno le censure mosse all'operato della persona offesa, gli epiteti "rapinatore" e "gaglioffo", utilizzati dall'imputato, sono di per sé gravemente infamanti ed esorbitano, dunque, dal diritto di critica, non rispettando il limite della "continenza".
In tale situazione si inserisce in maniera coerente il rigetto della richiesta di esame del consulente grafologo, perché la prova richiesta verteva su un tema ininfluente ai fini della decisione.
L'accertamento della eventuale falsità delle scritture private, su cui il consulente tecnico era chiamato ad esprimersi, sarebbe stata irrilevante rispetto a una ratio decidendi che ha escluso la scriminante del diritto di critica per l'assenza del requisito non di verità, ma di continenza.
5. Il terzo motivo è fondato.
A fronte di un articolato motivo di gravame con il quale l'appellante contestava l'esistenza e comunque la quantificazione del danno liquidato in Euro 5.000,00, il giudice di secondo grado si è limitato a rilevare che "si tratta di punti dell'appello totalmente immotivati", quando invece la doglianza era dedotta in maniera specifica e avrebbe richiesto una risposta precisa che, invece, è mancata.
La sussistenza di un vizio di motivazione è palese e conduce all'annullamento della sentenza sul relativo punto della decisione.
6. Discende l'annullamento della sentenza impugnata agli effetti penali, senza rinvio, per essere il reato estinto per prescrizione; l'annullamento agli effetti civili e il rinvio al giudice civile competente per valore in grado d'appello.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata agli effetti penali, senza rinvio, per essere il reato estinto per prescrizione.
Annulla la stessa sentenza agli effetti civili, e rinvia al giudice civile competente per valore in grado d'appello.