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Furto di bici aperta in strada è reato aggravato (Cass. 25035/20)

3 settembre 2020, Cassazione penale

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Il furto di una bicicletta parcheggiata sulla pubblica via integra l'aggravante di esposizione per necessità pubblica fede anche se lasciata aperta senza lucchetti o catena.

La circostanza aggravante dell'esposizione della cosa alla pubblica fede non è esclusa dall'esistenza, nel luogo in cui si consuma il delitto, di un sistema di tal fatta, che non garantisce l'interruzione immediata dell'azione criminosa, mentre soltanto una sorveglianza specificamente efficace nell'impedire la sottrazione del bene consente di escludere l'aggravante dell'esposizione a pubblica fede. 

La Corte di cassazione non può censurare la scelta dei giudici di appello in tema di diniego delle attenuanti generiche, giacché le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che, per giustificare la soluzione dell'equivalenza, si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto.

Corte di Cassazione

sez. V Penale, sentenza 15 luglio – 3 settembre 2020, n. 25035
Presidente Pezzullo – Relatore Borrelli

 

Ritenuto in fatto

1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 12 luglio 2018 dalla Corte di appello di Ancona ed è confermativa di quella del Tribunale di Pesaro, che - all'esito di rito abbreviato - aveva condannato Fe. Si. per il furto di una bicicletta, aggravato dall'esposizione del bene alla pubblica fede, avvenuto nel Comune di Gradara.

2. Ricorre avverso detta sentenza l'imputato a mezzo del difensore di fiducia, affidando l'impugnativa a due motivi.
2.1. Il primo motivo di ricorso deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 625, comma 1, n. 7), cod. pen., giacché il bene non era esposto né per necessità, né per consuetudine alla pubblica fede; a sostegno del suo assunto, il ricorrente agita la circostanza della mancata assicurazione del velocipede con una chiusura, della durata prolungata della sosta e della presenza di un impianto di videosorveglianza, altresì deducendo che, benché Gradara sia un piccolo Comune, non può dirsi fatto notorio né appare ragionevole l'affidamento circa il fatto che un bene non venga asportato. Di conseguenza, la parte insiste per la derubricazione della fattispecie aggravata in quella semplice, con conseguente proscioglimento per mancanza di querela (vi sarebbe in atti solo una denunzia della persona offesa).
2.2. Il secondo argomento di censura deduce vizio di motivazione quanto alla denegata prevalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto alla circostanza aggravante di cui sopra.

3. Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte ex art. 83, comma 12-ter D.L. 17 marzo 2020, n. 18, conv. con modifiche con L. 24 aprile 2020, n. 27, ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso, sostenendo che quest'ultimo fosse reiterativo di censure mosse con l'atto di appello ed adeguatamente motivate e che l'ordito argomentativo del trattamento sanzionatorio non fosse manifestamente illogico.

4. L'Avv. Fr. Fe., a sua volta, nelle conclusioni inviate via Pec il 30 giugno 2020, ha obiettato a quanto osservato dal Procuratore generale, affermando che le censure della difesa non attenevano al merito, ma ad un error iuris e ad un vizio motivazionale. Ha ribadito, quindi, che la circostanza aggravante dell'esposizione alla pubblica fede nel caso di specie non poteva fondare né sulla consuetudine, né sulla necessità.

Considerato in diritto

Il ricorso è complessivamente infondato e va, pertanto, respinto.

1. Non è fondato il primo motivo di ricorso, con cui la parte deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 625, comma 1, n. 7), cod. pen., opinando che il bene non sarebbe stato esposto né per necessità, né per consuetudine alla pubblica fede.
1.1. Ebbene, il Collegio ritiene che il furto di una bicicletta parcheggiata sulla pubblica via integri l'aggravante in parola, sub specie di esposizione per necessità alla pubblica fede (Sez. 4, n. 16022 del 20/12/2018, dep. 2019, Tanzi, Rv. 275578; Sez. 4, n. 4200 del 20/10/2016, dep. 2017, Ribaga, Rv. 269128; Sez. 5, n. 3196 del 28/09/2012, dep. 2013, De Santis, Rv. 254381). Come acutamente osservato da Sez. 5, De Santis, cit., infatti, «Nel caso di una bicicletta, a ben guardare, non è un comportamento più o meno consolidato negli usi delle persone a giustificarne l'esposizione alla pubblica fede, quando il detentore l'abbia impiegata come mezzo di trasporto per raggiungere una destinazione diversa dalla propria abitazione e relative pertinenze (un negozio, un ufficio, l'appartamento di un conoscente, oppure - come nella fattispecie concreta qui in esame - una biblioteca), bensì la pratica necessità che egli la lasci lungo la pubblica via, essendo certamente impossibilitato a portarsela dietro. Può esservi o non esservi consuetudine, semmai, nell'apprestare sistemi di tutela contro il furto, appunto per impedire che altri se ne impossessino: ma ciò non implica conseguenze di sorta sull'indefettibile e presupposta necessità che il veicolo rimanga esposto alla pubblica fede, e non già perché esiste una consolidata abitudine in tal senso, bensì perché non sarebbe possibile fare altrimenti, quanto meno per elementare ragionevolezza (un ciclista potrebbe anche sollevare la sua bici da corsa o mountain bike e salire le scale di un palazzo, ma si tratterebbe di condotta francamente assurda)».

E' per questa ragione che, integrando la motivazione della sentenza impugnata, che aveva ragionato solo sulla consuetudine, il Collegio deve precisare che la sussistenza dell'aggravante in parola va ricollegata alla necessità, incombente sulla persona offesa, di lasciare il velocipede in strada; né il Collegio ha l'onere di verificare la tenuta del suesposto ragionamento quanto alla durata prolungata della sosta dedotta dal ricorrente, giacché tale dato di fatto non è stato acquisito nel processo, non risultando dalle sentenze di merito.

1.2. Non smentisce la validità di tale ragionamento la circostanza - addotta dal ricorrente - che vi fossero impianti di videosorveglianza in zona; secondo l'esegesi maggioritaria di questa Corte, la circostanza aggravante dell'esposizione della cosa alla pubblica fede non è esclusa dall'esistenza, nel luogo in cui si consuma il delitto, di un sistema di tal fatta, che non garantisce l'interruzione immediata dell'azione criminosa, mentre soltanto una sorveglianza specificamente efficace nell'impedire la sottrazione del bene consente di escludere l'aggravante di cui all'art. 625, comma primo, n. 7, cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 2724 del 26/11/2015, dep. 2016, Scalambrieri, Rv. 265808 Sez. 5, n. 35473 del 20/05/2010, Canonica, Rv. 248168; Sez. 5, n. 6682 del 08/11/2007, dep. 2008, Manno, Rv. 239095).

2. Il secondo motivo di ricorso - quanto alla denegata prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sull'aggravante contestata - è inammissibile.
La Corte di cassazione, invero, non può censurare la scelta dei giudici di appello sul punto, giacché le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che, per giustificare la soluzione dell'equivalenza, si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245930; Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017, Pennelli, Rv. 270450).

Se questa è la premessa esegetica da cui partire, a fortiori una motivazione come quella avversata - laddove si legge che l'imputato era gravato da precedenti penali - è ampiamente sufficiente a sostenere la decisione assunta. Da questo punto di vista, laddove il ricorrente si duole della mancata specificazione di detti precedenti, sarebbe stato suo onere evidenziare come un'analisi sulle pregresse condanne avrebbe potuto smentire il ragionamento del Giudice impugnato.
3. Da quanto sopra esposto discende il rigetto del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.